Echi dalla Grecia di Alfio Russo

Echi dalla Grecia Echi dalla Grecia Un'impalcatura di menzogne e di violenze sul baratro della stanchezza e della fame (DAL NOSTRO INVIATO) Bitolj, 6 febbraio. E ora andiamo a cercare i campi di concenti-amento descritti dagli scribi della stampa anglosassone, andiamo a vedere le « migliaia di disertori italiani e albanesi » che rifiutando di combattere sono passati nell'ospitale terra jugoslava. Delle menzogne questa è stata la più strampalata e la più vigliacca: nella Serbia Meridionale, da Skoplje a Bitolj, da Veles a Gevgelia a Derida, non c'è campo di concentramento di nessuna specie ma c'è aperta qualche prigione per i prezzolati della propaganda britannica. Calunniose invenzioni Durante tre mesi di guerra, solamente una ventina di italiani e di albanesi sono sconfinati in Jugoslavia, soldati dei posti di frontiera che essi hanno tenuto fino all'ultimo minuto; perduti nella tempesta di neve, essi sbagliarono cammino: ceco tutto. Il loro dolore e la loro dignità sono stati sempre ammirati dalla gente jugoslava. I giornalisti d'oltre Oceano, infallibili tiratori della notizia falsa, telegrafarono da Atene e da Belgrado la più fantastica delle notizie false, che gli alpini, due battaglioni intieri, ed i carristi erano passati in Jugoslavia gettando le armi sul confine. La centrale di tiro dei giornalisti americani è a Skoplje. Tengono il bordone agli inelesi colti più volte con le mani ne, sacco. Vi fu un giorno, infatti, che la Legazione d'Inghilterra a Belgrado chiese al Ministero degli esteri di accreditare quale console a Skoplje certo Parker che, falso giornalista e vera spia, era stato costretto a sospendere la sua attività dopo le reiterate protoste del Governo jugoslavo. Il Parker era noto per avere assolto compiti di spionaggio a Praga come aggregato alla missione Runciman. Passato in Jugoslavia, agli stipendi occulti della Legazione d'Inghilterra aggiungeva quelli palesi di un giornalista americano e di un altro britannico; raccoglieva nei rivoli del bassofondo belgradese manciate di porcherie quando non era lui stesso a fabbricarle, e le portava ai suoi principali che le telegrafavano in bella copia ai giornali. Parker ed i suoi due complici sono stati autori del panico jugoslavo del mese di maggio e giu- pspderGcDecpddsvnlidpnidsgdcLstspmgno quando annunciavano ognil settimana la marcia degli italiani sulla Slovenia, lo sbarco a Spalato, il bombardamento di Ragusa e di Sebenico. Chi scrive, fu svegliato una notte da uno di questi signori per sentirsi dire che gli italiani marciavano già in Slovenia e che era ora di fare le valige. Pregati tutti e tre di smetterla, li Parker divenne appunto console e gli altri due passarono in Romania e poi in Grecia. Ma il falso console fece stampare carte geografiche dell'Albania fingendole italiane, dove i confini apparivano allargati fino a Skoplje; queste carte egli diffuse in tutta la Jugoslavia con la spiegazione che gii italiani rivendicavano la Macedonia, che appunto non c'era da fidarsi dell'amicizia di Roma e che gli jugoslavi avrebbero fatto proprio il loro affare prendendo il vantaggio dell'iniziativa. Non contento di questo colpo di mano truffaldino, il Parker mandò informazioni al suo amico americano sulle condizioni delle popolazioni macedoni e albanesi della Serbia Meridionale minacciata appunto dall'imminente attacco italiano; l'allarme, diceva, era vastissimo; poteva credersi che il Governo di Belgrado, sopraffatto dall'ira di quelle popolazioni, avrebbe preso misure decise. Il Neiv York Times stampò tutto questo; fu punito, è vero, da una dura lezione della stampa italiana ma ebbe egualmente il successo di don Basilio. Chi ci .imise il posto fu il Parker che gli jugoslavi pregarono infine di far vela al più pie sto. Ma egli ha lasciato i suol adepti segreti, ha visto crescere l'erba velenosa della quale aveva sparso la semenza. In tutta la Jugoslavia non vi sono dunque campi di concentramento per gli sconfinati e disertori italiani; c'è soltanto una ventina di soldati che hanno passato il confine perchè non conoscevano la strada; sono pochissimi e sanno mostrare la dignità della quale il Popolo italiano è signore assai ricco. Sono false le informazioni della stampa anglo-sassone, della Radio Atene e della Radio Londra, sono false le dicerie, le voci sussurrate dagli zelatori jugoslavi. I disertori sono greci Del resto, basta venire quaggiù per sapere la verità. Gli italiani hanno mai detto che l'esercito greco non si batte, che perde per vigliaccheria i suoi uomini? Forse, allora, una reazione sarebbe stata almeno logica. Eppure nói sappiamo che i soldati greci hanno disertato a migliaia, che persino ufficiali hanno gettato le armi abbandonando gli uomini ed 1 posti. Hanno disertato i cuzo-valac.chi, i macedoni, gli albanesi dell'Epiio, hanno disertato gli isolani di Creta e di Itaca, hanno disertato insomma quelli che hanno potuto sfuggire alla fitta maglia della disciplina e agli occhi d'Argo della polizia. I vuoti delle diserzioni e delle renitenze sono stati colmati dagli incessanti ri chiami dei riservisti. Venti classi sono state ingoiate dalla guerra in meno di tre mesi. I ragazzi di diciassette anni so no stati chiamati alle armi, gli invalidi — invece di essere curati sono stati adibiti alla difesa in terna, messi nelle fabbriche e negli uffici. Non v'è più in Grecia un uomo che non sia vecchio che possa badare ai campi ed alle greggi. Quest'anno, appunto, le semine sono andate perse e la fame che è già cruda aprirà spietatamente le sue immense fauci nell'imminente primavera. Ma più che d'uomini, più che di soldati, la Grecia ha bisogno di pane. Le richieste greche a Londra sono sempre le stesse: viveri, e poi medicamenti, bende per i feriti, letti d'ospedale e infine armi. Gli Inglesi danno soltanto armi, cannoni, mitragliatrici, aeroplani. Della popolazione che soffre, che essi con le male arti della oligarchia ateniese e gli scagnozzi della polizia, tengono, non si curano; dei malati, dei feriti che sono caduti per loro non hanno alcun pensiero, alcuna preoccupazione. Non vogliono nemmeno che i feriti siano trasportati nelle città, perchè le popolazióni potrebbero reagire impressionate dal gran numero e dal tristo stato. Muoiano sul campo stesso dove sono caduti, tanto non servono più. Lo stato delle città, raccontano i viaggiatori che sono arrivati ora da Salonicco e da Atene, è pietoso. Le strade sono deserte, i negozi vuoti ma pavesati da bandiere britanniche: la nazione greca è scomparsa sotto il vessillo di Londra. Ai cittadini è vietato sostare a gruppi di più di tre, è vietato parlare con stranieri che potrebbero aprire loro gli occhi, le strade sono corse dai poliziotti di Magnadakis bastone è rivoltella alla mano. Ma poi, la sera, Radio Atene lancia il comunicato: « Calma nel paese ». I muti non parlano ed i morti nemmeno. Alfio Russo Echi dalla Grecia Echi dalla Grecia Un'impalcatura di menzogne e di violenze sul baratro della stanchezza e della fame (DAL NOSTRO INVIATO) Bitolj, 6 febbraio. E ora andiamo a cercare i campi di concenti-amento descritti dagli scribi della stampa anglosassone, andiamo a vedere le « migliaia di disertori italiani e albanesi » che rifiutando di combattere sono passati nell'ospitale terra jugoslava. Delle menzogne questa è stata la più strampalata e la più vigliacca: nella Serbia Meridionale, da Skoplje a Bitolj, da Veles a Gevgelia a Derida, non c'è campo di concentramento di nessuna specie ma c'è aperta qualche prigione per i prezzolati della propaganda britannica. Calunniose invenzioni Durante tre mesi di guerra, solamente una ventina di italiani e di albanesi sono sconfinati in Jugoslavia, soldati dei posti di frontiera che essi hanno tenuto fino all'ultimo minuto; perduti nella tempesta di neve, essi sbagliarono cammino: ceco tutto. Il loro dolore e la loro dignità sono stati sempre ammirati dalla gente jugoslava. I giornalisti d'oltre Oceano, infallibili tiratori della notizia falsa, telegrafarono da Atene e da Belgrado la più fantastica delle notizie false, che gli alpini, due battaglioni intieri, ed i carristi erano passati in Jugoslavia gettando le armi sul confine. La centrale di tiro dei giornalisti americani è a Skoplje. Tengono il bordone agli inelesi colti più volte con le mani ne, sacco. Vi fu un giorno, infatti, che la Legazione d'Inghilterra a Belgrado chiese al Ministero degli esteri di accreditare quale console a Skoplje certo Parker che, falso giornalista e vera spia, era stato costretto a sospendere la sua attività dopo le reiterate protoste del Governo jugoslavo. Il Parker era noto per avere assolto compiti di spionaggio a Praga come aggregato alla missione Runciman. Passato in Jugoslavia, agli stipendi occulti della Legazione d'Inghilterra aggiungeva quelli palesi di un giornalista americano e di un altro britannico; raccoglieva nei rivoli del bassofondo belgradese manciate di porcherie quando non era lui stesso a fabbricarle, e le portava ai suoi principali che le telegrafavano in bella copia ai giornali. Parker ed i suoi due complici sono stati autori del panico jugoslavo del mese di maggio e giu- pspderGcDecpddsvnlidpnidsgdcLstspmgno quando annunciavano ognil settimana la marcia degli italiani sulla Slovenia, lo sbarco a Spalato, il bombardamento di Ragusa e di Sebenico. Chi scrive, fu svegliato una notte da uno di questi signori per sentirsi dire che gli italiani marciavano già in Slovenia e che era ora di fare le valige. Pregati tutti e tre di smetterla, li Parker divenne appunto console e gli altri due passarono in Romania e poi in Grecia. Ma il falso console fece stampare carte geografiche dell'Albania fingendole italiane, dove i confini apparivano allargati fino a Skoplje; queste carte egli diffuse in tutta la Jugoslavia con la spiegazione che gii italiani rivendicavano la Macedonia, che appunto non c'era da fidarsi dell'amicizia di Roma e che gli jugoslavi avrebbero fatto proprio il loro affare prendendo il vantaggio dell'iniziativa. Non contento di questo colpo di mano truffaldino, il Parker mandò informazioni al suo amico americano sulle condizioni delle popolazioni macedoni e albanesi della Serbia Meridionale minacciata appunto dall'imminente attacco italiano; l'allarme, diceva, era vastissimo; poteva credersi che il Governo di Belgrado, sopraffatto dall'ira di quelle popolazioni, avrebbe preso misure decise. Il Neiv York Times stampò tutto questo; fu punito, è vero, da una dura lezione della stampa italiana ma ebbe egualmente il successo di don Basilio. Chi ci .imise il posto fu il Parker che gli jugoslavi pregarono infine di far vela al più pie sto. Ma egli ha lasciato i suol adepti segreti, ha visto crescere l'erba velenosa della quale aveva sparso la semenza. In tutta la Jugoslavia non vi sono dunque campi di concentramento per gli sconfinati e disertori italiani; c'è soltanto una ventina di soldati che hanno passato il confine perchè non conoscevano la strada; sono pochissimi e sanno mostrare la dignità della quale il Popolo italiano è signore assai ricco. Sono false le informazioni della stampa anglo-sassone, della Radio Atene e della Radio Londra, sono false le dicerie, le voci sussurrate dagli zelatori jugoslavi. I disertori sono greci Del resto, basta venire quaggiù per sapere la verità. Gli italiani hanno mai detto che l'esercito greco non si batte, che perde per vigliaccheria i suoi uomini? Forse, allora, una reazione sarebbe stata almeno logica. Eppure nói sappiamo che i soldati greci hanno disertato a migliaia, che persino ufficiali hanno gettato le armi abbandonando gli uomini ed 1 posti. Hanno disertato i cuzo-valac.chi, i macedoni, gli albanesi dell'Epiio, hanno disertato gli isolani di Creta e di Itaca, hanno disertato insomma quelli che hanno potuto sfuggire alla fitta maglia della disciplina e agli occhi d'Argo della polizia. I vuoti delle diserzioni e delle renitenze sono stati colmati dagli incessanti ri chiami dei riservisti. Venti classi sono state ingoiate dalla guerra in meno di tre mesi. I ragazzi di diciassette anni so no stati chiamati alle armi, gli invalidi — invece di essere curati sono stati adibiti alla difesa in terna, messi nelle fabbriche e negli uffici. Non v'è più in Grecia un uomo che non sia vecchio che possa badare ai campi ed alle greggi. Quest'anno, appunto, le semine sono andate perse e la fame che è già cruda aprirà spietatamente le sue immense fauci nell'imminente primavera. Ma più che d'uomini, più che di soldati, la Grecia ha bisogno di pane. Le richieste greche a Londra sono sempre le stesse: viveri, e poi medicamenti, bende per i feriti, letti d'ospedale e infine armi. Gli Inglesi danno soltanto armi, cannoni, mitragliatrici, aeroplani. Della popolazione che soffre, che essi con le male arti della oligarchia ateniese e gli scagnozzi della polizia, tengono, non si curano; dei malati, dei feriti che sono caduti per loro non hanno alcun pensiero, alcuna preoccupazione. Non vogliono nemmeno che i feriti siano trasportati nelle città, perchè le popolazióni potrebbero reagire impressionate dal gran numero e dal tristo stato. Muoiano sul campo stesso dove sono caduti, tanto non servono più. Lo stato delle città, raccontano i viaggiatori che sono arrivati ora da Salonicco e da Atene, è pietoso. Le strade sono deserte, i negozi vuoti ma pavesati da bandiere britanniche: la nazione greca è scomparsa sotto il vessillo di Londra. Ai cittadini è vietato sostare a gruppi di più di tre, è vietato parlare con stranieri che potrebbero aprire loro gli occhi, le strade sono corse dai poliziotti di Magnadakis bastone è rivoltella alla mano. Ma poi, la sera, Radio Atene lancia il comunicato: « Calma nel paese ». I muti non parlano ed i morti nemmeno. Alfio Russo

Persone citate: Durante, Runciman