L'AZZIMATO ZERBINOTTO

L'AZZIMATO ZERBINOTTO FIGURE CHE SCOMPAIONO L'AZZIMATO ZERBINOTTO Allorchè Adamo disse ad Eva: « Vedi, questa foglia di fico ? Anziché col picciolo all'insù, la preferirei col picciolo all'ingiù » inventò lo zerbinotto. Che si chiamò attraverso i tempi estetaellenista, campione d'amore, paladino, rimatore, e, via via, braccere, cicisbeo, cavalier servente, dandy e finalmente zerbinotto, o anche viveur. Per carità, non ci dite che il gagà è il continuatore di questa tradizione. Se mai, ne segna il decadimento, la fine, la vendita a prezzo unico. Questo giovincello che non ha soldi, che non ha idee, che non ha guizzi, che non aspira all'immortalità, che somiglia esteriormente e intimamente ai suoi pari, che si veste dallo 3tesso sarto, si fornisce dallo stesso calzolaio, prende a prestito le stesse idee di tutta la sua ganga (detta in francese coterie) non ha nulla a che vedere coi precedenti. Lo zerbinotto è un'altra cosa. Aveva idee, soldi per realizzarle, ambiente propizio e pronto all'applauso. Quand'egli, a metà spettacolo, (studiava la serata e l'ora opportuna) si affacciava al palchetto del Circolo al teatro d'opera, tutti lo notavano. Le signore col torso erto fra le stecche di balena e le signorine al primo ingresso in società sentivano un tuffo al cuore nel vedere quei baffetti, quel monocolo, quel gesto, e dicevano sommessamente fra loro: — Giorgio Benincasa è giunto adesso! Avevano un alone di notorietà e di mistero ad un tempo. Notorietà creata dalle cronache mondane, dai duelli, dalle stranezze sportive e dalle prenotazioni sui carnet di ballo conservati molto oltre, dopo la festa, dalle fanciulle demi-vieryes. Gli antenati dello zerbinotto furono Paride (che disse di si a Venere per cavalleria). Petronio, che inventò le pieghe alla toga e ispirò il grandissimo Nerone, Tristano che bevve il filtro d'amore, Guido Cavalcanti e il Guinizelli che fondarono l'accademia elegante del Trecento, il Bembo latinista edonista e petrarchista, il Casanova un po' cicisbeo, truffatore e pallonaro e finalmente quel Brummel all'insegna del quale si eressero in due vani a terreno templi di cravattaie e camiciaie per la gente scicchettona. Fino a qualche anno fa tu potevi vedere sulle riviste di moda 0 su quei figurini a quadro — che 1 sarti di barriera facevano incorniciare e appendevano in negozio — il figurino dell'uomo in giubba rossa colla caschetta di velluto nero, stivali alla scudiera coi risvolti gialli e guanti cuciti a mano. — Chi porta più questo abito? — vi chiedevate. — Non si porta, vi potevano rispondere. Si portava. Lo indossava lo zerbinotto. Oltre alla caccia alla volpe nella campagna romana i occupazione mattutina) egli trascorreva le sue ore (pomeridiane) alle aste degli antiquari o anche ai tè — i primi tè, signori miei, l'origine dell'istituzione — i primi tè nei salotti alla moda, dove la strana erba venuta d'Oriente ostentava ancora l'esotica acca e il rito aveva nome five-'o-clok. Quivi D'Annunzio, al tempo dell'Intermezzo e delle Cronache Bizantine conobbe forse quell'Andrea Sperelli che abitava alla Trinità de' Monti in quella casa che di fuori è fatta a cassa da morto, ma che dentro (oh, dentro!) pareva il tempio del più raffinato edonismo, con i suoi cuscini di antico sciamito, le coperte da letto fatte con piviali e dalmatiche, le tende con auvvi scritte latine o favole di Madonna Isaotta e il bidè costituito da un'arca bizantina per neonato. Solo gli antiquari di via del Babbuino ricordano quel beato tempo in cui riuscivano a far fuori tutti i ciar¬ pami della bottega: spinette senza ] corde, stipi bucherellati a schioppettate, teste romane di .scavo, broccati ròsi dalle tarme e tabacchiere settecentesche a doppio fondo con vignette pornografiche. Facevano anche fuori, allora, le stampe giapponesi a collezionisti che se ne servivano come di richiamo per attrarre le donne nella trappola della loro « casa secreta ». Le povere pecorelle (spesso assai esperte, pecore nere segnate nel branco) entravano, per anguste porticine dissimulate, nella casa dello zerbinotto che le attendeva in kimono, fumando sigarette russe, presso il camino, sul quale ardeva legno di ginepro a ravvivar la fiamma del quale, l'edonista versava poche gocce di cinnamomo o di benzoino. Giunte al lucore della fiamma, sedutesi ansimanti, posato il manicotto, esse sollevavano la veletta sul volto martoriato dall'ansia e dalla promessa del piacere. La donna, il grande amore dello zerbinotto portava il tupè e riceveva in casa in vestaglia a collo arricciato. Quando usciva in Victoria ostentava il cappellone dall'ampia tesa e il boa di struzzo che le si avvolgeva al corpo come il serpente al Laocoonte. Per i convegni d'amore invece andava a piedi e dimessa, alzando la gonna sulla polacchina a mostrare due dita di gamba (oh, Mimi! Oh, Puccini! «ella sgonnella e mostra la caviglia — con ! far compromettente e. lusinghie- | ro »). Portava allora il cappellino alla scozzese coi due nastri pen- j denti sulla schiena o anche la |piccola cloche con ai lati del capo j le due ali di gazza che l'assembravano al Mercurio delle Esposizioni Universali (Arte e Commercio) o anche alle Walkirie tanto care agli zerbinotti, che furono i primi wagneriani. Egli attendeva la donna dei suoi sogni leggendo Baudelaire e andava ad aprirle la segreta porticina con l'indice nel libro, a mo' di segno, proprio alla pagina che conteneva « La clnitte ». Codesti zerbinotti, lo si vede chiaro, erano fratelli del Gabriele d'Annunzio poco più che ventenne e romano, e stretti parenti di Oscar Wilde, amici più che fraterni di Paul Bourget, di Debussy e del superuomo di Nietsche. Lo abbiamo già visto all'Opera, lo zerbinotto. Egli non vi andava tanto per il melodramma quanto per il ballo che si svolgeva dopo, dessert saporito che seguiva un forse troppo pingue pranzo. Andava ad ammirare la prima ballerina, nel fumoso ballo Excelsior espressione visiva tangibile del prodigioso macchinismo, dell'elettricismo e della follìa inventiva che correva il mondo, (dal fonografo alla lampadina elettrica). Spesso al palco dell'Opera egli preferiva la barcaccia del circolo al cafè-cìiantant ove il french-cancan dava finalmente il tanto atteso brivido, con la spuma dei merletti e la trasparenza delle calze nere. Se la caccia alla volpe ricordava in lui l'ex-ufficiale di cavalleria (lo furono D'Annunzio e Luciano Zuccoli) un'aura di mondanità spirava dal resto della sua vita. Che dire dei pomeriggi trascorsi sulle piste di pattinaggio? Delle serate sul ghiaccio, fra i palloncini veneziani, ai braccio di una donna vestita come Anna Karenina, una donna che amava sentir nel bacio l'impercettibile pizzicorino dei baffetti maschili arricciati col piegabaffi >< Flex »? I due provavano il brivido di volare sul bianco specchio, roteando, piroettando e ripetendo ancora le figure dei languorosi valzer di Strauss e di Waldteufel, come la nota coppia immortalata dal noto cartellone, che scrive sul ghiaccio una sola memorabile parola: TOT. Ma ancora più degne di menzione erano lo serate. Serate di ballo, nei saloui o tra le foglie | ] ! | j di kameros dei giardini d'inverno. La polka era in pieno fulgore. Già stava per essere soppiantata dalla matchiche e già si profilava all'orizzonte l'allettante promessa della nuova danza folle, il tango, ballo che la Santa Sede avrebbe proibito e per le losche origini e per quella gonna spaccata da un lato, indispensabile per eseguire « el paso de los muchachos ». Al centro della serata, il clou era costituito dalla quadriglia o dai lancieri. Lo zerbinotto cedeva allora il passo al vecchio Zio» cinquantenne e brizzolato che sapeva comandate impeccabilmente tutte le figure del complicato cerimoniale: — Dames «• choisir! 1 Armeggìi, occhiate, offerte di gardenie, strappate agli occhielli e messe in caldo nello spacco di una scollatura degna di reclamizzare certe pillole sviluppanti e rassodanti. — Balancez!... Grande prumenade! Chevaliers à choisir! Così, tra una figura e l'altra nel salone, tra un sorbetto alla fragola o una coppa di sciampagna al buffet, lo zerbinotto | dava convegno alla sua dama per l'indomani: — Ci vedremo alle corse. Ci andava in dorsay e in tuba grigia sullo sleach del Circolo, | scappellandosi dall'imperiale alle signore in carrozza. Li dipin- : se Boldini, gloriosamente meravigliosamente, gli zerbinotti incamminati alle corse. E i suoi quadri, i suoi disegni ci danno la stessa nostalgia che i discendenti poveri nutrono verso gli j avi sperperatori e fastosi Sperperatori! Quella vita costava infatti un patrimonio. Saranno stati i pomeriggi al pattinaggio o alle corse, le serate | ai balli o all'opera, o non piuttosto i vezzi di perle alle canzonettiste e alle ballerine, le cenette in tète-à-tète nei rèservés. a base di caviale, insalata di tartufi e sciampagna? Un po' una cosa, un po' l'altra: il fatto si è che gli zerbinotti si mangiavano in due anni un patrimonio bastevole per sè e per i discendenti. Cosi nacque tutta una speciale letteratura. Lo zerbinotto, che conservava una sua agile dimestichezza con la penna nello scrivere versi per accompagnar fiori alle attrici, la usava poi per vergare lagrimevoli e supplici lettere allo zio ricchissimo, vecchio e duro a morire. Su questo zio si imperniava il loro credito, si basava la loro vita. Su questo zio poggiava il suo fido » l'u- -: ; ' Ii: | : suraio rapace, detentore di certe cambialette firmate all'indomani di un'orgia. Per l'orgia macabra e beffarda, nella quale dro- fondo agli ultimi resti del patrimonio, Io zerbinotto radunava gli amici: donnine, suoi pari, artisti e gazzettieri. — Giovanni, mio fido Gio- vanni! gridava al domestico che lo serviva fedele e rassegnato, stura l'ultima bottiglia di sciam- pagna! Nelly, fa passare le siga- rette che mi sono giunte da Pie troburgo! Dal portafogli di marocchino veniva fuori allora l'ultimo bi- ghetto da mille. Lo accendeva con la curiosità dell'annata, il primo fiammifero di una sca- tola di svedesi, e faceva girare quella cartamoneta stropicciata e fiammeggiante fra i commensali, ridendo calmo con un cinismo che strappava l'applauso. — Nelly, bella e perfida, questa fiama la dedico a te! Decadeva o invecchiava, lo zerbinotto. Non gli restava che un tiretto, chiuso gelosamente a chiave. Conteneva, quel tiretto segreto, biglietti d'amore, fiori secchi, giarrettiere e scarpine da ballo. Oggetti spesso dimenticati o donati dalle belle nell'andarsene al mattino. Amori, amarezze, rimpianti. Atmosfera, più che alla Baudelaire e alla d'Annunzio, stecchettiana di purissima lega. Giacomo Grosso la immortalò con un qua dro che andò distrutto • i. dalle -fiamme: <L'ultimo convegno di don Giovanni». Il quadro,, che : ebbe risonanza nazionale, fu di- ; strutto dal fuoco, così come il ' vero zerbinotto scomparve nel- l'immenso incendio che arse il in Francia e nei Pirenei Vichv 5 febbraio vichy, 5 tebbiaio. Una forte nevicata, accompa-mondo dal 1914 al 1918. Nizza e Morbelli Forti nevicate gnata da vento impetuoso ha càu-Iato gravi intralci al traffico a Parigi e nei dintorni. Particolar- mente serii sono i danni causati nel sobborgo di Saint Maur dove numerosi pali, telegrafici sono caduti su una linea ferroviaria, bloc cando vari treni merci. viaggiatori eI Anche nella zona di Vichy mol-ite strade sono bloccate dalla neve.: Notizie analoghe giungono da Nemr'enei la neve ha raggiuntol'altezza di quattro metri. T) iTrans.) ifiiiiiiitiiitiiiiiiiti L'AZZIMATO ZERBINOTTO FIGURE CHE SCOMPAIONO L'AZZIMATO ZERBINOTTO Allorchè Adamo disse ad Eva: « Vedi, questa foglia di fico ? Anziché col picciolo all'insù, la preferirei col picciolo all'ingiù » inventò lo zerbinotto. Che si chiamò attraverso i tempi estetaellenista, campione d'amore, paladino, rimatore, e, via via, braccere, cicisbeo, cavalier servente, dandy e finalmente zerbinotto, o anche viveur. Per carità, non ci dite che il gagà è il continuatore di questa tradizione. Se mai, ne segna il decadimento, la fine, la vendita a prezzo unico. Questo giovincello che non ha soldi, che non ha idee, che non ha guizzi, che non aspira all'immortalità, che somiglia esteriormente e intimamente ai suoi pari, che si veste dallo 3tesso sarto, si fornisce dallo stesso calzolaio, prende a prestito le stesse idee di tutta la sua ganga (detta in francese coterie) non ha nulla a che vedere coi precedenti. Lo zerbinotto è un'altra cosa. Aveva idee, soldi per realizzarle, ambiente propizio e pronto all'applauso. Quand'egli, a metà spettacolo, (studiava la serata e l'ora opportuna) si affacciava al palchetto del Circolo al teatro d'opera, tutti lo notavano. Le signore col torso erto fra le stecche di balena e le signorine al primo ingresso in società sentivano un tuffo al cuore nel vedere quei baffetti, quel monocolo, quel gesto, e dicevano sommessamente fra loro: — Giorgio Benincasa è giunto adesso! Avevano un alone di notorietà e di mistero ad un tempo. Notorietà creata dalle cronache mondane, dai duelli, dalle stranezze sportive e dalle prenotazioni sui carnet di ballo conservati molto oltre, dopo la festa, dalle fanciulle demi-vieryes. Gli antenati dello zerbinotto furono Paride (che disse di si a Venere per cavalleria). Petronio, che inventò le pieghe alla toga e ispirò il grandissimo Nerone, Tristano che bevve il filtro d'amore, Guido Cavalcanti e il Guinizelli che fondarono l'accademia elegante del Trecento, il Bembo latinista edonista e petrarchista, il Casanova un po' cicisbeo, truffatore e pallonaro e finalmente quel Brummel all'insegna del quale si eressero in due vani a terreno templi di cravattaie e camiciaie per la gente scicchettona. Fino a qualche anno fa tu potevi vedere sulle riviste di moda 0 su quei figurini a quadro — che 1 sarti di barriera facevano incorniciare e appendevano in negozio — il figurino dell'uomo in giubba rossa colla caschetta di velluto nero, stivali alla scudiera coi risvolti gialli e guanti cuciti a mano. — Chi porta più questo abito? — vi chiedevate. — Non si porta, vi potevano rispondere. Si portava. Lo indossava lo zerbinotto. Oltre alla caccia alla volpe nella campagna romana i occupazione mattutina) egli trascorreva le sue ore (pomeridiane) alle aste degli antiquari o anche ai tè — i primi tè, signori miei, l'origine dell'istituzione — i primi tè nei salotti alla moda, dove la strana erba venuta d'Oriente ostentava ancora l'esotica acca e il rito aveva nome five-'o-clok. Quivi D'Annunzio, al tempo dell'Intermezzo e delle Cronache Bizantine conobbe forse quell'Andrea Sperelli che abitava alla Trinità de' Monti in quella casa che di fuori è fatta a cassa da morto, ma che dentro (oh, dentro!) pareva il tempio del più raffinato edonismo, con i suoi cuscini di antico sciamito, le coperte da letto fatte con piviali e dalmatiche, le tende con auvvi scritte latine o favole di Madonna Isaotta e il bidè costituito da un'arca bizantina per neonato. Solo gli antiquari di via del Babbuino ricordano quel beato tempo in cui riuscivano a far fuori tutti i ciar¬ pami della bottega: spinette senza ] corde, stipi bucherellati a schioppettate, teste romane di .scavo, broccati ròsi dalle tarme e tabacchiere settecentesche a doppio fondo con vignette pornografiche. Facevano anche fuori, allora, le stampe giapponesi a collezionisti che se ne servivano come di richiamo per attrarre le donne nella trappola della loro « casa secreta ». Le povere pecorelle (spesso assai esperte, pecore nere segnate nel branco) entravano, per anguste porticine dissimulate, nella casa dello zerbinotto che le attendeva in kimono, fumando sigarette russe, presso il camino, sul quale ardeva legno di ginepro a ravvivar la fiamma del quale, l'edonista versava poche gocce di cinnamomo o di benzoino. Giunte al lucore della fiamma, sedutesi ansimanti, posato il manicotto, esse sollevavano la veletta sul volto martoriato dall'ansia e dalla promessa del piacere. La donna, il grande amore dello zerbinotto portava il tupè e riceveva in casa in vestaglia a collo arricciato. Quando usciva in Victoria ostentava il cappellone dall'ampia tesa e il boa di struzzo che le si avvolgeva al corpo come il serpente al Laocoonte. Per i convegni d'amore invece andava a piedi e dimessa, alzando la gonna sulla polacchina a mostrare due dita di gamba (oh, Mimi! Oh, Puccini! «ella sgonnella e mostra la caviglia — con ! far compromettente e. lusinghie- | ro »). Portava allora il cappellino alla scozzese coi due nastri pen- j denti sulla schiena o anche la |piccola cloche con ai lati del capo j le due ali di gazza che l'assembravano al Mercurio delle Esposizioni Universali (Arte e Commercio) o anche alle Walkirie tanto care agli zerbinotti, che furono i primi wagneriani. Egli attendeva la donna dei suoi sogni leggendo Baudelaire e andava ad aprirle la segreta porticina con l'indice nel libro, a mo' di segno, proprio alla pagina che conteneva « La clnitte ». Codesti zerbinotti, lo si vede chiaro, erano fratelli del Gabriele d'Annunzio poco più che ventenne e romano, e stretti parenti di Oscar Wilde, amici più che fraterni di Paul Bourget, di Debussy e del superuomo di Nietsche. Lo abbiamo già visto all'Opera, lo zerbinotto. Egli non vi andava tanto per il melodramma quanto per il ballo che si svolgeva dopo, dessert saporito che seguiva un forse troppo pingue pranzo. Andava ad ammirare la prima ballerina, nel fumoso ballo Excelsior espressione visiva tangibile del prodigioso macchinismo, dell'elettricismo e della follìa inventiva che correva il mondo, (dal fonografo alla lampadina elettrica). Spesso al palco dell'Opera egli preferiva la barcaccia del circolo al cafè-cìiantant ove il french-cancan dava finalmente il tanto atteso brivido, con la spuma dei merletti e la trasparenza delle calze nere. Se la caccia alla volpe ricordava in lui l'ex-ufficiale di cavalleria (lo furono D'Annunzio e Luciano Zuccoli) un'aura di mondanità spirava dal resto della sua vita. Che dire dei pomeriggi trascorsi sulle piste di pattinaggio? Delle serate sul ghiaccio, fra i palloncini veneziani, ai braccio di una donna vestita come Anna Karenina, una donna che amava sentir nel bacio l'impercettibile pizzicorino dei baffetti maschili arricciati col piegabaffi >< Flex »? I due provavano il brivido di volare sul bianco specchio, roteando, piroettando e ripetendo ancora le figure dei languorosi valzer di Strauss e di Waldteufel, come la nota coppia immortalata dal noto cartellone, che scrive sul ghiaccio una sola memorabile parola: TOT. Ma ancora più degne di menzione erano lo serate. Serate di ballo, nei saloui o tra le foglie | ] ! | j di kameros dei giardini d'inverno. La polka era in pieno fulgore. Già stava per essere soppiantata dalla matchiche e già si profilava all'orizzonte l'allettante promessa della nuova danza folle, il tango, ballo che la Santa Sede avrebbe proibito e per le losche origini e per quella gonna spaccata da un lato, indispensabile per eseguire « el paso de los muchachos ». Al centro della serata, il clou era costituito dalla quadriglia o dai lancieri. Lo zerbinotto cedeva allora il passo al vecchio Zio» cinquantenne e brizzolato che sapeva comandate impeccabilmente tutte le figure del complicato cerimoniale: — Dames «• choisir! 1 Armeggìi, occhiate, offerte di gardenie, strappate agli occhielli e messe in caldo nello spacco di una scollatura degna di reclamizzare certe pillole sviluppanti e rassodanti. — Balancez!... Grande prumenade! Chevaliers à choisir! Così, tra una figura e l'altra nel salone, tra un sorbetto alla fragola o una coppa di sciampagna al buffet, lo zerbinotto | dava convegno alla sua dama per l'indomani: — Ci vedremo alle corse. Ci andava in dorsay e in tuba grigia sullo sleach del Circolo, | scappellandosi dall'imperiale alle signore in carrozza. Li dipin- : se Boldini, gloriosamente meravigliosamente, gli zerbinotti incamminati alle corse. E i suoi quadri, i suoi disegni ci danno la stessa nostalgia che i discendenti poveri nutrono verso gli j avi sperperatori e fastosi Sperperatori! Quella vita costava infatti un patrimonio. Saranno stati i pomeriggi al pattinaggio o alle corse, le serate | ai balli o all'opera, o non piuttosto i vezzi di perle alle canzonettiste e alle ballerine, le cenette in tète-à-tète nei rèservés. a base di caviale, insalata di tartufi e sciampagna? Un po' una cosa, un po' l'altra: il fatto si è che gli zerbinotti si mangiavano in due anni un patrimonio bastevole per sè e per i discendenti. Cosi nacque tutta una speciale letteratura. Lo zerbinotto, che conservava una sua agile dimestichezza con la penna nello scrivere versi per accompagnar fiori alle attrici, la usava poi per vergare lagrimevoli e supplici lettere allo zio ricchissimo, vecchio e duro a morire. Su questo zio si imperniava il loro credito, si basava la loro vita. Su questo zio poggiava il suo fido » l'u- -: ; ' Ii: | : suraio rapace, detentore di certe cambialette firmate all'indomani di un'orgia. Per l'orgia macabra e beffarda, nella quale dro- fondo agli ultimi resti del patrimonio, Io zerbinotto radunava gli amici: donnine, suoi pari, artisti e gazzettieri. — Giovanni, mio fido Gio- vanni! gridava al domestico che lo serviva fedele e rassegnato, stura l'ultima bottiglia di sciam- pagna! Nelly, fa passare le siga- rette che mi sono giunte da Pie troburgo! Dal portafogli di marocchino veniva fuori allora l'ultimo bi- ghetto da mille. Lo accendeva con la curiosità dell'annata, il primo fiammifero di una sca- tola di svedesi, e faceva girare quella cartamoneta stropicciata e fiammeggiante fra i commensali, ridendo calmo con un cinismo che strappava l'applauso. — Nelly, bella e perfida, questa fiama la dedico a te! Decadeva o invecchiava, lo zerbinotto. Non gli restava che un tiretto, chiuso gelosamente a chiave. Conteneva, quel tiretto segreto, biglietti d'amore, fiori secchi, giarrettiere e scarpine da ballo. Oggetti spesso dimenticati o donati dalle belle nell'andarsene al mattino. Amori, amarezze, rimpianti. Atmosfera, più che alla Baudelaire e alla d'Annunzio, stecchettiana di purissima lega. Giacomo Grosso la immortalò con un qua dro che andò distrutto • i. dalle -fiamme: <L'ultimo convegno di don Giovanni». Il quadro,, che : ebbe risonanza nazionale, fu di- ; strutto dal fuoco, così come il ' vero zerbinotto scomparve nel- l'immenso incendio che arse il in Francia e nei Pirenei Vichv 5 febbraio vichy, 5 tebbiaio. Una forte nevicata, accompa-mondo dal 1914 al 1918. Nizza e Morbelli Forti nevicate gnata da vento impetuoso ha càu-Iato gravi intralci al traffico a Parigi e nei dintorni. Particolar- mente serii sono i danni causati nel sobborgo di Saint Maur dove numerosi pali, telegrafici sono caduti su una linea ferroviaria, bloc cando vari treni merci. viaggiatori eI Anche nella zona di Vichy mol-ite strade sono bloccate dalla neve.: Notizie analoghe giungono da Nemr'enei la neve ha raggiuntol'altezza di quattro metri. T) iTrans.) ifiiiiiiitiiitiiiiiiiti

Luoghi citati: Francia, Nizza, Parigi