AMANTI

AMANTI AMANTI Fu al tempo del «Segantini»; voglio dire che questo incontro l'ebbi mentre scrivevo il libro Segantini romanza della montagna. Impiegai parecchi musi della primavera, dell'estate, e dell'autunno millenovecentotrenta per seguire, sulle traccie di bio-lgrafie di Segantini, la storia del- | la sua vita e della sua arte. I luo ghi dove egli dimorò, in Ttalia e in Svizzera, furono le soste del mio pellegrinaggio. Poiché ancora viveva qualche vecchio che «lo» aveva conosciuto, che «lo» aveva visto mi affrettavo a interrogarli: gli aspetti delle montagne, dei villaggi, delle malghe erano rimasti immutati. I sentimenti degli uomini e gli istinti degli animali erano ancora quelli che avevano commosso la sua pia anima di poeta della natura. All'» Osteria Vecchia » del Maloia mi ritrovai per diverso sere col pittore Giacomelli che era stato compagno del caposcuola divisionista e, con altri fedeli, ne aveva portata la bara al cimitero. Giacomelli aveva vegliato la salma del pittore e ne aveva ritratto le sembianze mentre essa era distesa sul pavimento della chiesetta del Maloja. Mi descriveva quella imponente e ieratica faccia barbuta alla quale la morte aveva attribito un'aureola di santità e di eroismo; mi raccontava come egli lo aveva accompagnato varie volte sui monti nei mesi precedenti la sua fine, quando lavorava con maggior accanimento al famoso « Trittico » destinato alla Esposizione Universale di Parigi del millenovecento Una,seduto sulla soglia del Ri- Jfera, fugio « Ultima Glusch. » (lo de finisco così col linguaggio romancio, ma, sulle carte topografiche è indicato con un altro nome) Segantini aveva esposto a Giacomelli tutto un suo programma di lavoro e spiegato, certe sue idee politiche e sociali, che risentivano di Max Nordau e di Tolstoi : una sintesi che doveva poi rimanere come il suo testamento ideale. Dal Maloia al Rifugio « Ultima Glusch » la strada è facile e vi si può salire senza guida; dall' « Ultima Glusch » alla vetta del Corvatsch ci sono ancora quattro ore di salita aspra e, nel l'inverno pericolosa per la caduta delle valanghe ed è più dente farsi accompagnare da una guida. Ai fini « utilitari » della mia ricostruzione segantiniana la sosta all'» Ultima Glusch » era sufficiente. Vi andai infatti circa un mese dopo quei colloqui col Giacomelli, ai primi di novembre, di ritorno dalla peregrinazione che aveva avuto per méta Savognino, Coirà, St. Moritz, lo Schafberg, il Muottas Muraigh, il Bernina. La stagione era assai avanzata per una gita che si svolgeva tra i duemila e i duemilacinqutconto metri; ma il tempo era singolarmente dolce. Era caduta pochissima neve, le montagne dell'Engadina erano verdi e dorate, i laghi rag gelati e cerulei. Mi feci dare le chiavi del Rifugio « Ultima Glusch » da un noleggiatore di ski del Maloia che ue è il detentore e la guida ; e, mettendo nello zaino due scatole di carne in conserva, un termos col caffè, un pacchetto di alcool solido e una lanterna a candela mi avviai II sentiero era nettamente segnato e visibilissimo, e a salita abbastanza còmoda e facile : ma il silenzio della montagna immobilizzata dal gelo appariva funèreo e quel paesaggio di roccie, sei) za fischi di marmotte, senza canti di francolini, senza sussurro d'acque, aveva un volto spettrale. La montagna, tra l'ultimo fieno e la prima neve, ha l'aspetto di una cosa morta. Il timor panico emerge da questa catalessi della natura. Niente; né un grido, né uno scalpiccio né un pensiero riesce a liberarsi da questo « senso di morte ». La paura dell'ignoto è la più forte perchè non ha limiti né confronti. Sentite battere il vostro cuore e gli occhi hanno allucinazioni indefinite. Quando, improvvisamente, mi trovai di fronte al Rifugio che giganteschi lastroni occultano fino all'ultimo momento, mi parve di aver la spiegazione dello «spavento» che mi aveva acompagnato nell'ultima parte della salita. Il rifugio in muratura, coperto da scheggie di béora trattenute dal peso di sassi disposti sui lati del tetto, era tagliato in una gradinata della parete che scendeva a picco por circa trecento metri; pareva inchiodato dalla vertigine alla montagna. Apersi la porta e vi entrai ; c'era quel caratteristico odore di sonno, di pa gliericcio, di fumo che dopo la sosta di una notte impregnerà anche i vostri abiti. Era disabitato ; gli ultimi ospiti avevano lasciato la loro firma e la data sul libro dei visitatori rimasto aperto sulla tavola. Spalancai le finestrette del piano terreno e quelle del primo piano dove si saliva per una sca la di legno e dove erano due camere da letto. Una terza camera era al piano terreno, vicino alla cucina e aveva il vantaggio di ricevere il tepore dei fornelli e del caminetto. Ma io non avrei acceso il fuoco e, per passare la notte, scelsi la camera del piano superiore; mi pareva dopotutto, r;ù riparata e meno mclanconi ca. Per scacciare c^uel fluido di si qualche appunto, tracciai per fj_ii>_j:k_.-ì. i- .1; yijnprovvÌ8afcà cena mi screiiità. Accesi l'alcole malinconia richiamavo ogni tanto al mio pensiero la ragione che mi aveva spinto a compiere quella gita, ricordavo le parole del Giacomelli, ricostruivo la scena e il dialogo segantiiiiano che avrei descritto nel mio romanzo. Presi ino la pianta dell'edificio, la di stribuzione dei locali e, come il tempo non passava, decisi di spingermi più in alto per il sentiero che porta al ghiacciaio del Cor vatsch e poi alla vetta. Volevo, come si flice in gergo letterario, «ambientarmi». In poche ore si era addensata sulle cime della Julier, sulle cime del Bernina sul Muottas Muraigh, una livida nuvolaglia, qua e là rarefatta da un colore di amianto e da un lucore metallico: stagnava nel cielo il peso opaco «visibile», del Fred do intenso e della neve. Se non mi fossi lascialo raggiungere dal la nebbia e dalla stanchezza sarei sceso subito al Maloia. Ritornai sui miei passi e frettolosamente rifeci la parte del sentiero che conduce dal ghiacciaio al Rifugio. E vi giunsi che era proprio F ultima glusch, V ultima luce. Sbarrai le finestre del rifugio, chiusi la porta senza dare il catenaccio; memoro di drammatiche prigionìe e di sinistre valanghe. Poi mi disposi a cenare. Come altre volte, in trincea, con poveri pranzi freddi e « viveri di conforto» portati dalla corvée avevo ritrovato la serenità e l'audacia che è legata allo spirito ; ma anche alle calorie che uno si caccia in corpo, così quella sera ridiede la solido, ri¬ scaldai con avanzi di lardo la carne contenuta nelle scatolette, disposi sui piatti di ferro smaltato due biscotti e un po' di marmellata, sorseggiai il caffè del termos, il cognac della borraccia, accesi una sigaretta e completai gli appunti con alcune «sensazioni» di alta montagna, «utilitariamente» concepite e trascritte pei i fini del romanzo. Mentre stavo per addormentarmi udii intorno al rifugio un fruscio, 1111 crepitìo leggeri e aerei ai quali si unì poco a poco un rigocciolìo timido di acqua dalle grondaie. Nevicava; era un adagiarsi soffice di falde, un turbi nare di bioccoli. Buona «sensa zione» per il «Segantini», avrei potuto attribuire quell'emozione, quella visione, al «pittore della neve», a colui che sulla bianchezza della neve engadillese ha immaginato i fantasmi delle « Cattive madri ». L'indomani mattina per tempo mi sarei messo in cammino e sarei tornato al Maloia: non mi pareva possibile che, in casi poche ore, la neve riuscisse a bloccarmi nel rifugio; in ogni caso la guida sarebbe salita a prendermi. Ma ecco, a una certa ora della notte, mi parve di udir sbattere violentemente le imposte e la por ta e, destatomi, vidi una lunga e sottile striscia di luce filtrare dalla fessura esistente tra le tavole di legno del pavimento. Non ricordavo di aver lasciata accesa la lampada nella camera del piano terreno e mi domandai chi poteva averla accesa. Temetti un momento che la fiammella dell'alcole avesse sprigionato qualche favilla fi che questa avesse incendiato l'impiantito. Mi alzai e, sdraiandomi bocconi, spiai attraverso la fessura nella camera sottostante. Non era il tinello, era la camera da letto: il letto, chiamarlo letto è eccessivo, il già ciglio, stava sotto il mio sguardo. Così vidi, vidi benissimo, due amanti abbracciati. Dormivano profondamente nel sicuro e sereno abbandono proprii della giovinezza. L'uomo era forte, atletico, a giudicare dalle spalle, dal braccio che circondava la compagna; la donna era rannicchiata nel cavo della sua persona e vi aderiva proprio come 6e fosse modellata nella stessa materia umana. La fronte di lei arrivava alla bocca dell'uomo e pareva che egli, respirando, ne scostasse leggermente i capelli biondi. Respiravano con lo stesso ritmo in una felicità appagata e carnale che avvolgeva i loro corpi come un mantello. La mano nocchiuta dell'uomo, mano da piccozze e da alpcnstock, pareva annidata sotto l'ascella di lei, diretta verso il suo seno e il suo cuore. Un alone di purezza primitiva circondava quell'abbraccio a duemila metri nel silenzio immenso della montagna e dell'inverno. Il volto femminile, del quale scorgevo il pallore tra la bocca e la fronte, fino alla nuca, era percorso da un sorriso amoroso. La lampada pendeva sopra di loro e, oscillando lentamente, spostava ritmicamente le ombre e le luci, ravvivando il contorno dell'orecchio roseo e poi immergendolo in una chiazza bruna; le labbra erano un momento rosee un momento livide, più vive meno vive. Il sonno degli amanti era santo e voluttuoso al tempo stesso come l'amore, e incuteva una specie di rispetto per cui non mi saziavo di contemplarlo e pur sentivo vergogna di spiare una intimità abbandonata e incosciente. L'uomo non sorrideva, la bocca era tenacemente chiusa e le sopracciglia aggrottate Rialzandomi dal pavimento e. 'prima aucora di chiedermi come i due erano giunti lassù, nei cuore della notte, e come io non li avevo uditi ripensavo certe immagini pittoriche, quella di Ilodici- il pittore svizzero della notte che, nel suo grande quadro, ha rappresentato il sonno degli sposi. Evidentemente calcolavano di riprendere l'ascensione del Corvatsch avanti l'alba per essere nelle prime ore del mi'ttino in cima al monte e per rientrare al Maloia in giornata; non avevo osservato se erano scalzi o se le loro scarpe erano bagnate dalla neve. Guardai ancora; questa volta vidi entrare nella camera la guida, lo stesso noleggiatore di ski che mi aveva dato le chiavi : lo riconobbi benissimo perchè levò il braccio per alzare il lucignolo della lampada, e vidi i suoi occhi grigi e il mozzicone di pipa he teneva, spenta, tra le labbra, sominascoste dai baffoni rossastri. Non disse parola, fece poi un curioso cenno di intesa, come di chi si avvia, e gli amanti, attaccati a quel sonno felice e sicuro come a una corda che penzoli innanzi e indietro 911 uno strapiombo di roccia, non si mossero, non batterono ciglio. Quando, un poco più tardi, mi risvegliai, la luce della fessura era spenta ; scesi la scaletta di legno e mi diressi alla camera delle guide. Il noleggiatore di ski era sparito e sparita era anche la coppia degli amanti. Il tempo era peggiorato ; la neve si era mutata in tormenta e il vento fischiava urtando con le 6ue folate contro gli spigoli del rifugio o stracciandosi nelle creste della roccia. Lamentosi gridi e ululati lugubri si mescolavano a slittamenti soffici di slavine e a rotolìi di massi. I due alpinisti e la guida erano partiti di furia senza nemmeno scuoter di dosso la neve, senza sbriciolare una pagnotta, senza riaccendere la lampada. Che fretta! E che imprudenza! Probabilmente si erano già pentiti di quella sortita notturna! Accesi una lampada di sicurezza e la posi sulla finestra in modo che la luce fosse visibile dal di fuori e segnalasse il rifugio se la coppia di alpinisti e la guida pensassero di ritornarvi e fosse ro incerti sul cammino da percorrere. Molte volle, dopo quella apparizione, io pensai che l'amore come la morte ha in sè qualcosa di bestiale e di divino, di immediato e di eterno: ricordai quegli amanti, schiacciati dal sonno, in ogni particolare del loro abito, del loro viso, della loro figura. Ma, quella notte, ebbe in me il sopravvento la parte pittoresca, aneddotica direi, dell'incontro e poi prevalse l'istinto di conservazione che mi spingeva ad abbandonare al più presto il rifugio «Ultima Glusch» per ridiscendere al Maloia. Mi rivestii completamente, accesi il fuoco nel caminetto: mi rifocillai con gli avanzi della cena precedente. Poi aspettai l'alba. E nella inquietudine di quella attesa mi aggiravo da una camera all'altra ritornando a quella dove avevo visto gli amanti e dove niente indicava il loro passaggio. Era un szddsgiaciglio duro e uguagliato, coperto da una lana bigiognola; te|pareti di legno e il soffitto, pure di legno, odoravano di resina e di muschio. Nessun palpito umano vinceva quel respiro di fore sta o l'aveva intaccato; le assi, tagliate nei tronchi degli antichi alberi, portavano la stessa doratura rossiccia e avevano lo stesso contorno che si erano specchiati nel corrente rigagnolo della segherìa. Le s'enature erano visibili come nelle pareti di una bara e le corteccie, rimaste qua e là sul profilo delle assi, portavano ancora minuscole orme dei denti degli scoiattoli e le puntute forature dei piccini. Univo mentalmente quei frammenti, quelle reliq evocaz uie di" foresta nella t>6eticalizione della lunsra strada che era stata percorsa dalla bara di\Giovanni Segantini prima di rag-' giungere il cimitero del Maloia. E poi scacciavo quelle immagini funebri come se mi dovessero portare disgrazia e fischiettavo un IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII motivo o tamburellavo nervosamente con le dita sulle tavole di legno sonoro. E sonnecchiavo. — Ora — mi dicevo — ora torneranno. — E alludevo ai due amanti curioso di vederli in piedi, di misurarli, perchè li avevo visti sdraiati e dall'alto, e non sapevo figurarmi le loro proporzioni, la loro umanità. Finalmente, come Dio volle, la notte finì; vidi una screziatura rossa, quasi purpurea, penetrare dalla base dell'imposta e diffondersi a raggiera sul pavimentolnell'interno della camera e io|stesso, affacciatomi sulla soglia! fui investito da una vampata di j fucina, II sole sorgeva proprio'di froule all'» Ultima Glusch » e■ a tempesta era finita. Quasi un|metro di neve era caduto nella notte e la tormenta aveva, in quelle poche ore, accumulato qua e là montagnole di neve che si smaltavano di azzurro e di rosa: i colori che invadevano poco a poco tutta l'Engadina, dalle cime sfaccettate come diamanti e zaffiri fino alla incrostazione dei laghi e dei ghiacciai che trasparivano come scheggie di smeraldo!e di berillo. Un'aria netta, ta-jgliente, sfiorava i crinali dei mon-jti circondandoli di fumacèe can-!dide e di rifoli iridescenti. Laivita era una gioia di colori, un lEmpireo di luci; respiravo a pie-1■ftiiiiiiiTiMiiiiiii(iiri<n ii(iiiMiiiiitiiiiiiiiiiafi so la la rosi ne andarono come le le folate; l'aria che : vallata rattizzava in gie come se avesse 1 pellet ranni, rii libera i nervi, il cervello r che li inceppavano. Ero quasi giunto ali ni polmoni fregandomi ogni tan-[lo il naso e le orecchie. Quindici sotto zero! Invidiavo i due alpi-I nist i che erano saliti al C'or-|vatsch e dovevano esservi giunti all'alba. Avrei dovuto unirmi ajloro e approfittare della guida.pSe non avessi pensato che pote-lvailo ritornare al Maloia per [un'altra via li avrei aspettati Senza che io osassi confessarmelo desideravo veder bene quella don- na che. rapita dal sonno, mi era sembrata bellissima. Deluso, ver- mi misi in cammino: Ineve era farinosa e leggera ejdiscesa facile; i ricordi pan-|e voluttuosi la notte se nebbie, con spazzava la me le ener- a virtù di re le vene, lalle scorici e rare baitelpochi passi da me mi salutò; era!il guardiano del rifugio. Non por-1che formano il villaggio di Ma-|loia, e dal vialetto che conduceialla chiesa mi venne incontro un umi) o tozzo, tarchiato che mi pa-jreva di conoscere. Quando fu ajtava il passamontagne della not te, ma un feltro con una penna di gallo cedrone infilata nel naatro. Mentre egli stava per parlare io gli misi una mano sulla 1 iiiiiiiitiiMiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiii>iiiiiMiiiiiiriii(iiiriiiii [spalla e gli chiesi eonfìdenzial mente come era sceso dal CorI vatsch e dove erano andati i |diie alpinisti che egli aveva con dotto al rifugio «Ultima Glusch» jnella notte. Mi guardò stralupiato e irritato per quelle domanlde che dovevano parergli intfin [pesti ve o offensive e proseguì la sua strada mugolando. Se non mi avesse detto, volgendosi indietro qualche passo più in. là, di la sciare le chiavi del rifugio ai l'« Osteria Vecchia» avrei pensa- Ito di essermi sbagliato sulla id en- jtità della sua persona. In queste |valli di alta montagna la somi- glianza tra coetane sima e frequente. Uscivano dalla lontanavano nell'ombra violacea delle strade tutte in ombra, ca pannelli rii montanari; le donne i tenevano come appesi alle sottane marmocchi infagottati. 1 più lgrandicelli sostavano a tirar pai- grandi»- |Illesa e si al-I!vatsch. Seppi che le saline 1orano state ritrovate e che |]e di neve. Sulla porta della chieiSB si invocavano pace e preghiere per due coniugi e una guida trajvolti da una valanga due anni jinnaiizi sul ghiacciaio del Cor- nou co 1 Raffaele Calzini iiiii]iPiiiiii iiriiiitiiaini ìiiiiiiiiiiiimiiii iii< nmgi erano in viaggio di nozze, «Ultima Glusch» in romancio I vuol dire: «Ultima luce». i( Jiife Malgrado la guerra, le officine tedeoche non trascurano la produzione destinata all'esportazione: ecco alcuni trattori, fabbricati in serie, pronti ad essere consegnati AMANTI AMANTI Fu al tempo del «Segantini»; voglio dire che questo incontro l'ebbi mentre scrivevo il libro Segantini romanza della montagna. Impiegai parecchi musi della primavera, dell'estate, e dell'autunno millenovecentotrenta per seguire, sulle traccie di bio-lgrafie di Segantini, la storia del- | la sua vita e della sua arte. I luo ghi dove egli dimorò, in Ttalia e in Svizzera, furono le soste del mio pellegrinaggio. Poiché ancora viveva qualche vecchio che «lo» aveva conosciuto, che «lo» aveva visto mi affrettavo a interrogarli: gli aspetti delle montagne, dei villaggi, delle malghe erano rimasti immutati. I sentimenti degli uomini e gli istinti degli animali erano ancora quelli che avevano commosso la sua pia anima di poeta della natura. All'» Osteria Vecchia » del Maloia mi ritrovai per diverso sere col pittore Giacomelli che era stato compagno del caposcuola divisionista e, con altri fedeli, ne aveva portata la bara al cimitero. Giacomelli aveva vegliato la salma del pittore e ne aveva ritratto le sembianze mentre essa era distesa sul pavimento della chiesetta del Maloja. Mi descriveva quella imponente e ieratica faccia barbuta alla quale la morte aveva attribito un'aureola di santità e di eroismo; mi raccontava come egli lo aveva accompagnato varie volte sui monti nei mesi precedenti la sua fine, quando lavorava con maggior accanimento al famoso « Trittico » destinato alla Esposizione Universale di Parigi del millenovecento Una,seduto sulla soglia del Ri- Jfera, fugio « Ultima Glusch. » (lo de finisco così col linguaggio romancio, ma, sulle carte topografiche è indicato con un altro nome) Segantini aveva esposto a Giacomelli tutto un suo programma di lavoro e spiegato, certe sue idee politiche e sociali, che risentivano di Max Nordau e di Tolstoi : una sintesi che doveva poi rimanere come il suo testamento ideale. Dal Maloia al Rifugio « Ultima Glusch » la strada è facile e vi si può salire senza guida; dall' « Ultima Glusch » alla vetta del Corvatsch ci sono ancora quattro ore di salita aspra e, nel l'inverno pericolosa per la caduta delle valanghe ed è più dente farsi accompagnare da una guida. Ai fini « utilitari » della mia ricostruzione segantiniana la sosta all'» Ultima Glusch » era sufficiente. Vi andai infatti circa un mese dopo quei colloqui col Giacomelli, ai primi di novembre, di ritorno dalla peregrinazione che aveva avuto per méta Savognino, Coirà, St. Moritz, lo Schafberg, il Muottas Muraigh, il Bernina. La stagione era assai avanzata per una gita che si svolgeva tra i duemila e i duemilacinqutconto metri; ma il tempo era singolarmente dolce. Era caduta pochissima neve, le montagne dell'Engadina erano verdi e dorate, i laghi rag gelati e cerulei. Mi feci dare le chiavi del Rifugio « Ultima Glusch » da un noleggiatore di ski del Maloia che ue è il detentore e la guida ; e, mettendo nello zaino due scatole di carne in conserva, un termos col caffè, un pacchetto di alcool solido e una lanterna a candela mi avviai II sentiero era nettamente segnato e visibilissimo, e a salita abbastanza còmoda e facile : ma il silenzio della montagna immobilizzata dal gelo appariva funèreo e quel paesaggio di roccie, sei) za fischi di marmotte, senza canti di francolini, senza sussurro d'acque, aveva un volto spettrale. La montagna, tra l'ultimo fieno e la prima neve, ha l'aspetto di una cosa morta. Il timor panico emerge da questa catalessi della natura. Niente; né un grido, né uno scalpiccio né un pensiero riesce a liberarsi da questo « senso di morte ». La paura dell'ignoto è la più forte perchè non ha limiti né confronti. Sentite battere il vostro cuore e gli occhi hanno allucinazioni indefinite. Quando, improvvisamente, mi trovai di fronte al Rifugio che giganteschi lastroni occultano fino all'ultimo momento, mi parve di aver la spiegazione dello «spavento» che mi aveva acompagnato nell'ultima parte della salita. Il rifugio in muratura, coperto da scheggie di béora trattenute dal peso di sassi disposti sui lati del tetto, era tagliato in una gradinata della parete che scendeva a picco por circa trecento metri; pareva inchiodato dalla vertigine alla montagna. Apersi la porta e vi entrai ; c'era quel caratteristico odore di sonno, di pa gliericcio, di fumo che dopo la sosta di una notte impregnerà anche i vostri abiti. Era disabitato ; gli ultimi ospiti avevano lasciato la loro firma e la data sul libro dei visitatori rimasto aperto sulla tavola. Spalancai le finestrette del piano terreno e quelle del primo piano dove si saliva per una sca la di legno e dove erano due camere da letto. Una terza camera era al piano terreno, vicino alla cucina e aveva il vantaggio di ricevere il tepore dei fornelli e del caminetto. Ma io non avrei acceso il fuoco e, per passare la notte, scelsi la camera del piano superiore; mi pareva dopotutto, r;ù riparata e meno mclanconi ca. Per scacciare c^uel fluido di si qualche appunto, tracciai per fj_ii>_j:k_.-ì. i- .1; yijnprovvÌ8afcà cena mi screiiità. Accesi l'alcole malinconia richiamavo ogni tanto al mio pensiero la ragione che mi aveva spinto a compiere quella gita, ricordavo le parole del Giacomelli, ricostruivo la scena e il dialogo segantiiiiano che avrei descritto nel mio romanzo. Presi ino la pianta dell'edificio, la di stribuzione dei locali e, come il tempo non passava, decisi di spingermi più in alto per il sentiero che porta al ghiacciaio del Cor vatsch e poi alla vetta. Volevo, come si flice in gergo letterario, «ambientarmi». In poche ore si era addensata sulle cime della Julier, sulle cime del Bernina sul Muottas Muraigh, una livida nuvolaglia, qua e là rarefatta da un colore di amianto e da un lucore metallico: stagnava nel cielo il peso opaco «visibile», del Fred do intenso e della neve. Se non mi fossi lascialo raggiungere dal la nebbia e dalla stanchezza sarei sceso subito al Maloia. Ritornai sui miei passi e frettolosamente rifeci la parte del sentiero che conduce dal ghiacciaio al Rifugio. E vi giunsi che era proprio F ultima glusch, V ultima luce. Sbarrai le finestre del rifugio, chiusi la porta senza dare il catenaccio; memoro di drammatiche prigionìe e di sinistre valanghe. Poi mi disposi a cenare. Come altre volte, in trincea, con poveri pranzi freddi e « viveri di conforto» portati dalla corvée avevo ritrovato la serenità e l'audacia che è legata allo spirito ; ma anche alle calorie che uno si caccia in corpo, così quella sera ridiede la solido, ri¬ scaldai con avanzi di lardo la carne contenuta nelle scatolette, disposi sui piatti di ferro smaltato due biscotti e un po' di marmellata, sorseggiai il caffè del termos, il cognac della borraccia, accesi una sigaretta e completai gli appunti con alcune «sensazioni» di alta montagna, «utilitariamente» concepite e trascritte pei i fini del romanzo. Mentre stavo per addormentarmi udii intorno al rifugio un fruscio, 1111 crepitìo leggeri e aerei ai quali si unì poco a poco un rigocciolìo timido di acqua dalle grondaie. Nevicava; era un adagiarsi soffice di falde, un turbi nare di bioccoli. Buona «sensa zione» per il «Segantini», avrei potuto attribuire quell'emozione, quella visione, al «pittore della neve», a colui che sulla bianchezza della neve engadillese ha immaginato i fantasmi delle « Cattive madri ». L'indomani mattina per tempo mi sarei messo in cammino e sarei tornato al Maloia: non mi pareva possibile che, in casi poche ore, la neve riuscisse a bloccarmi nel rifugio; in ogni caso la guida sarebbe salita a prendermi. Ma ecco, a una certa ora della notte, mi parve di udir sbattere violentemente le imposte e la por ta e, destatomi, vidi una lunga e sottile striscia di luce filtrare dalla fessura esistente tra le tavole di legno del pavimento. Non ricordavo di aver lasciata accesa la lampada nella camera del piano terreno e mi domandai chi poteva averla accesa. Temetti un momento che la fiammella dell'alcole avesse sprigionato qualche favilla fi che questa avesse incendiato l'impiantito. Mi alzai e, sdraiandomi bocconi, spiai attraverso la fessura nella camera sottostante. Non era il tinello, era la camera da letto: il letto, chiamarlo letto è eccessivo, il già ciglio, stava sotto il mio sguardo. Così vidi, vidi benissimo, due amanti abbracciati. Dormivano profondamente nel sicuro e sereno abbandono proprii della giovinezza. L'uomo era forte, atletico, a giudicare dalle spalle, dal braccio che circondava la compagna; la donna era rannicchiata nel cavo della sua persona e vi aderiva proprio come 6e fosse modellata nella stessa materia umana. La fronte di lei arrivava alla bocca dell'uomo e pareva che egli, respirando, ne scostasse leggermente i capelli biondi. Respiravano con lo stesso ritmo in una felicità appagata e carnale che avvolgeva i loro corpi come un mantello. La mano nocchiuta dell'uomo, mano da piccozze e da alpcnstock, pareva annidata sotto l'ascella di lei, diretta verso il suo seno e il suo cuore. Un alone di purezza primitiva circondava quell'abbraccio a duemila metri nel silenzio immenso della montagna e dell'inverno. Il volto femminile, del quale scorgevo il pallore tra la bocca e la fronte, fino alla nuca, era percorso da un sorriso amoroso. La lampada pendeva sopra di loro e, oscillando lentamente, spostava ritmicamente le ombre e le luci, ravvivando il contorno dell'orecchio roseo e poi immergendolo in una chiazza bruna; le labbra erano un momento rosee un momento livide, più vive meno vive. Il sonno degli amanti era santo e voluttuoso al tempo stesso come l'amore, e incuteva una specie di rispetto per cui non mi saziavo di contemplarlo e pur sentivo vergogna di spiare una intimità abbandonata e incosciente. L'uomo non sorrideva, la bocca era tenacemente chiusa e le sopracciglia aggrottate Rialzandomi dal pavimento e. 'prima aucora di chiedermi come i due erano giunti lassù, nei cuore della notte, e come io non li avevo uditi ripensavo certe immagini pittoriche, quella di Ilodici- il pittore svizzero della notte che, nel suo grande quadro, ha rappresentato il sonno degli sposi. Evidentemente calcolavano di riprendere l'ascensione del Corvatsch avanti l'alba per essere nelle prime ore del mi'ttino in cima al monte e per rientrare al Maloia in giornata; non avevo osservato se erano scalzi o se le loro scarpe erano bagnate dalla neve. Guardai ancora; questa volta vidi entrare nella camera la guida, lo stesso noleggiatore di ski che mi aveva dato le chiavi : lo riconobbi benissimo perchè levò il braccio per alzare il lucignolo della lampada, e vidi i suoi occhi grigi e il mozzicone di pipa he teneva, spenta, tra le labbra, sominascoste dai baffoni rossastri. Non disse parola, fece poi un curioso cenno di intesa, come di chi si avvia, e gli amanti, attaccati a quel sonno felice e sicuro come a una corda che penzoli innanzi e indietro 911 uno strapiombo di roccia, non si mossero, non batterono ciglio. Quando, un poco più tardi, mi risvegliai, la luce della fessura era spenta ; scesi la scaletta di legno e mi diressi alla camera delle guide. Il noleggiatore di ski era sparito e sparita era anche la coppia degli amanti. Il tempo era peggiorato ; la neve si era mutata in tormenta e il vento fischiava urtando con le 6ue folate contro gli spigoli del rifugio o stracciandosi nelle creste della roccia. Lamentosi gridi e ululati lugubri si mescolavano a slittamenti soffici di slavine e a rotolìi di massi. I due alpinisti e la guida erano partiti di furia senza nemmeno scuoter di dosso la neve, senza sbriciolare una pagnotta, senza riaccendere la lampada. Che fretta! E che imprudenza! Probabilmente si erano già pentiti di quella sortita notturna! Accesi una lampada di sicurezza e la posi sulla finestra in modo che la luce fosse visibile dal di fuori e segnalasse il rifugio se la coppia di alpinisti e la guida pensassero di ritornarvi e fosse ro incerti sul cammino da percorrere. Molte volle, dopo quella apparizione, io pensai che l'amore come la morte ha in sè qualcosa di bestiale e di divino, di immediato e di eterno: ricordai quegli amanti, schiacciati dal sonno, in ogni particolare del loro abito, del loro viso, della loro figura. Ma, quella notte, ebbe in me il sopravvento la parte pittoresca, aneddotica direi, dell'incontro e poi prevalse l'istinto di conservazione che mi spingeva ad abbandonare al più presto il rifugio «Ultima Glusch» per ridiscendere al Maloia. Mi rivestii completamente, accesi il fuoco nel caminetto: mi rifocillai con gli avanzi della cena precedente. Poi aspettai l'alba. E nella inquietudine di quella attesa mi aggiravo da una camera all'altra ritornando a quella dove avevo visto gli amanti e dove niente indicava il loro passaggio. Era un szddsgiaciglio duro e uguagliato, coperto da una lana bigiognola; te|pareti di legno e il soffitto, pure di legno, odoravano di resina e di muschio. Nessun palpito umano vinceva quel respiro di fore sta o l'aveva intaccato; le assi, tagliate nei tronchi degli antichi alberi, portavano la stessa doratura rossiccia e avevano lo stesso contorno che si erano specchiati nel corrente rigagnolo della segherìa. Le s'enature erano visibili come nelle pareti di una bara e le corteccie, rimaste qua e là sul profilo delle assi, portavano ancora minuscole orme dei denti degli scoiattoli e le puntute forature dei piccini. Univo mentalmente quei frammenti, quelle reliq evocaz uie di" foresta nella t>6eticalizione della lunsra strada che era stata percorsa dalla bara di\Giovanni Segantini prima di rag-' giungere il cimitero del Maloia. E poi scacciavo quelle immagini funebri come se mi dovessero portare disgrazia e fischiettavo un IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII motivo o tamburellavo nervosamente con le dita sulle tavole di legno sonoro. E sonnecchiavo. — Ora — mi dicevo — ora torneranno. — E alludevo ai due amanti curioso di vederli in piedi, di misurarli, perchè li avevo visti sdraiati e dall'alto, e non sapevo figurarmi le loro proporzioni, la loro umanità. Finalmente, come Dio volle, la notte finì; vidi una screziatura rossa, quasi purpurea, penetrare dalla base dell'imposta e diffondersi a raggiera sul pavimentolnell'interno della camera e io|stesso, affacciatomi sulla soglia! fui investito da una vampata di j fucina, II sole sorgeva proprio'di froule all'» Ultima Glusch » e■ a tempesta era finita. Quasi un|metro di neve era caduto nella notte e la tormenta aveva, in quelle poche ore, accumulato qua e là montagnole di neve che si smaltavano di azzurro e di rosa: i colori che invadevano poco a poco tutta l'Engadina, dalle cime sfaccettate come diamanti e zaffiri fino alla incrostazione dei laghi e dei ghiacciai che trasparivano come scheggie di smeraldo!e di berillo. Un'aria netta, ta-jgliente, sfiorava i crinali dei mon-jti circondandoli di fumacèe can-!dide e di rifoli iridescenti. Laivita era una gioia di colori, un lEmpireo di luci; respiravo a pie-1■ftiiiiiiiTiMiiiiiii(iiri<n ii(iiiMiiiiitiiiiiiiiiiafi so la la rosi ne andarono come le le folate; l'aria che : vallata rattizzava in gie come se avesse 1 pellet ranni, rii libera i nervi, il cervello r che li inceppavano. Ero quasi giunto ali ni polmoni fregandomi ogni tan-[lo il naso e le orecchie. Quindici sotto zero! Invidiavo i due alpi-I nist i che erano saliti al C'or-|vatsch e dovevano esservi giunti all'alba. Avrei dovuto unirmi ajloro e approfittare della guida.pSe non avessi pensato che pote-lvailo ritornare al Maloia per [un'altra via li avrei aspettati Senza che io osassi confessarmelo desideravo veder bene quella don- na che. rapita dal sonno, mi era sembrata bellissima. Deluso, ver- mi misi in cammino: Ineve era farinosa e leggera ejdiscesa facile; i ricordi pan-|e voluttuosi la notte se nebbie, con spazzava la me le ener- a virtù di re le vene, lalle scorici e rare baitelpochi passi da me mi salutò; era!il guardiano del rifugio. Non por-1che formano il villaggio di Ma-|loia, e dal vialetto che conduceialla chiesa mi venne incontro un umi) o tozzo, tarchiato che mi pa-jreva di conoscere. Quando fu ajtava il passamontagne della not te, ma un feltro con una penna di gallo cedrone infilata nel naatro. Mentre egli stava per parlare io gli misi una mano sulla 1 iiiiiiiitiiMiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiii>iiiiiMiiiiiiriii(iiiriiiii [spalla e gli chiesi eonfìdenzial mente come era sceso dal CorI vatsch e dove erano andati i |diie alpinisti che egli aveva con dotto al rifugio «Ultima Glusch» jnella notte. Mi guardò stralupiato e irritato per quelle domanlde che dovevano parergli intfin [pesti ve o offensive e proseguì la sua strada mugolando. Se non mi avesse detto, volgendosi indietro qualche passo più in. là, di la sciare le chiavi del rifugio ai l'« Osteria Vecchia» avrei pensa- Ito di essermi sbagliato sulla id en- jtità della sua persona. In queste |valli di alta montagna la somi- glianza tra coetane sima e frequente. Uscivano dalla lontanavano nell'ombra violacea delle strade tutte in ombra, ca pannelli rii montanari; le donne i tenevano come appesi alle sottane marmocchi infagottati. 1 più lgrandicelli sostavano a tirar pai- grandi»- |Illesa e si al-I!vatsch. Seppi che le saline 1orano state ritrovate e che |]e di neve. Sulla porta della chieiSB si invocavano pace e preghiere per due coniugi e una guida trajvolti da una valanga due anni jinnaiizi sul ghiacciaio del Cor- nou co 1 Raffaele Calzini iiiii]iPiiiiii iiriiiitiiaini ìiiiiiiiiiiiimiiii iii< nmgi erano in viaggio di nozze, «Ultima Glusch» in romancio I vuol dire: «Ultima luce». i( Jiife Malgrado la guerra, le officine tedeoche non trascurano la produzione destinata all'esportazione: ecco alcuni trattori, fabbricati in serie, pronti ad essere consegnati

Luoghi citati: Parigi, Svizzera