L'AVVOCATO PRINCIPE

L'AVVOCATO PRINCIPE FIGURE CHE SCOMPAIONO L'AVVOCATO PRINCIPE niva cosi introdotto nell'antica- mera: un ambiente grave, con i mODj]j Il vecchio segretario giungendo, come ogni mattina poco prima delle nove allo studio, f.rovò seduto sul gradino un uomo ancor giovane, vestito di panni dimessi e gualciti, pallido in viso e stravolto. — Che fate qui? — Voglio parlare all'avvocato. — A quest'ora? L'avvocato non viene che verso le undici o anche dopo. Ripassate più tardi... — No no. lo aspetto. Dalle sette sono qui. Lo aspetterò finché verrà. — Ma insomma che volete ? — domandò il vecchio segretario, cominciando a impazientirsi. — Che voglio? Ho ammazzato un uomo ieri sera e pri.ua di anelare a costituirmi vorrei... vor- rei parlare... L'uomo pallido e stravolto veun attaccapanni, tre sedie scomode e repulsive, un divano duro e ostile da sala d'aspetto di seconda classe, una eassapanca di stile falso antico, un tavolinetto e una dantesca per il giovane di studio — con i mobili neri, massonici, falsi, nei quali il castagno verniciato a vecchio legno si sposava col ferro battuto ritorto, per segnare l'irrimediabile decadenza dello stile fiorentino di seconda mano. Nel piccolo ingresso, l'omicida stravolto e pallido rimaneva per ore in attesa dell'avvocato. L'avvocato! Non già il leguleio mediocre, l'azzeccagarbugli senza pretese. No no. L'avvocato principe, il grande, l'inarrivabile penalista, il mattatore del foro, l'attore di primo piano dei proce=si celebri; colui che commuoveva giurati e folle, che strappava le lagrime o l'indignazione, lo sdegno o l'applauso. L'ambiente coi mobili neri non era che l'anticamera del suo studio, non faceva che preparare all'ingresso nel saneta sanetorum Quivi lo stile grave e il sentore di scartoffie, di raccolte legali, di fascicoli, di incartamenti e di inchiostro ammuffito lasciavano il posto allo stile civettuolo, estroso, strano, geniale, al profumo di un ambiente che stava tra la mondanità e l'alta politica, tra il salottiero e il letterario. Quell'ambiente, quell'aria, quello scenario erano la cornice e lo sfondo su cui si muoveva, riceveva la gente, parlava, pensava, l'avvocato principe Un tavolo enorme, vasto come una piazza, un calamaio di bronzo enorme, alto come un monumento, una cartella di cuoio ampia eri elegante. Ma su quel tavolo l'avvocato non scriveva mai. Non vi poggiava che i gomiti per pensare. Nel calamaio non c'era inchiostro, la cartella non aveva mai contenuto una pratica, che diciamo, neppure un foglietto di appunti. Alle pareti due quadri d'autore, sui mobili ninnoli costosi, in un angolo tre poltrone in pelle intorno ad un tavolino con i fiori sempre freschi, per terra tappeti orientali veri e falsi, più falsi che veri. Nulla ricordava la legge, nulla ricordava neppure la scienza Ma, del resto, l'avvocato principe si era mai impicciato di questioni astnisamente giuridiche ri di problemi procedurali ? E a che gli sarebbe servito? Quando studiava un processo, si chiudeva a chiave nello studio. •< non c'era per nessuno » e leggeva silenzioso (i gomiti piantati sul tavolo, i pugni alle tempie) l'incartamento. Poi passava in anticamera, si infilava la pelliccia, si cacciava il cappello in capo, afferrava la mazza e usciva. Potevate ì vederlo camminare per 1" strade e pei viali della città con pas=c aggressivo o con fare distratto e lontano, a capo chino. Egli «studiava» il processo. Era un turbi nio di scene nel suo cervello, una sinfonia rli immagini, una cavalcata di sénsasir- ma fon a urlante ili idee, fra le quuli egli sec- glieva. spigolando gli effetti, fissando talune frasi scultorie e impressionanti, talune sequenze, di commozioni, di esaltazioni, rli singhiozzi, di uria, di risate, che poi al processo sfoderava con quella sua magnifica, facile, fluente, sorprendente maniera, giocando con le parole come uno schermitore. Era talvolta la sagace trovala, tal'altra il fulmineo colpo di scena, la sarcastica scudisciata, la bruciante invettiva; o ancora una successiva pittura di situazioni, narrate con cinese minuzia e quasi con sadica crudeltà, esasperate, gonfiate, martellanti, che non finivano se non quando su! ciglio ilei giurati spuntava il lucore della prima lagrima. L'avvocato principe aveva lutto, per questo. Era nato, cresciuto, vissuto, per questo: aveva studiato, letto, pensato, per questo. Era per lo più un uomo alto di persona, leggermente complesso e tuttavia agile. Aveva volto segnato, cui davano rilievo o la capigliatura prolissa, fluente e precocemente candida, o la barba accuratamente coltivata e perfettamente confacente alla sagoma del viso: a punta, a due punte, a mosca, a pizzo, alla nazarena, alla Cialrlini, alla Tito Speri. Gli serviva, quella capigliatura, per ravviarsela ad un tratto con gesto ampio nella foga del discorso o per arricciarsene una ciocca fra due dita ad un richiamo del Presidente; gli serviva, quella barba, per tirarsela, lisciarsela, in atteggiamento di perspicace attenzione o per arruffarsela, spettinarsela nell'impeto di balzar dalla serlia pei ■'. creare incidente ■>. All'udienza, male avvolto nella toga che gli cadeva da ogni parte, dalle spalle e sul dorso (come se quello straccio nero -cosi pesante a portarsi! — gli fosse a schifo), tuttavia tenuta sul petto con atteggiamento solenne e leale quasi ad attestare una perenne buona fede e sincerità d'intenti, l'avvocato principe ascoltava distrattamente la deposizione dell'imputato e con visibile fastidio e disprezzo quella dei testimoni a carico. Talvolta si agitava come un leone in gabbia. Per lo più però pareva distratto, assente, svagato. Ma. all'improvviso, eccolo che balzava battendo la sinistra sul tavolo e portando avanti l'indice della destra, come una freccia scagliata dall'arco i facciise!) e interveniva a mezzo della deposizione, investendo il misero teste chiamato alla sbarra, e già impressionato dall'appaiato della Giustizia, rial giuramento, dal gabbione, dal Crocifisso e dai carabinieri. Talvolta la sua domanda era invece composta, elegante, sagace. Era costituita da una sola interrogazione, tesa così come una trappola ai piedi dell'infelice teste, fatta così senza parere, melliflua e insidiosa. Il teste che rispondeva era interrotto appena ila fievoli « a verbale » e a un corto punto fatto tacere rli botto con voce d'effetto da un < mi basta, grazie ». che voleva dire: O uomo, sei mio! La causa è vinta! La vittoria è nelle mie mani >. Escussi i testi — talvolta trenta quaranta cinquanta — quando Pubblico Ministero e Parte Civile avevano parlato, veniva la volta della difesa: la scena inalile del dramma, la scena a mattatore, a protagonista unico, assoluto, definitivo. Se n'accorgevano il Primo Presidente, i consiglieri, i magistrati d'ogni grato e d'ogni ordine, i cancellieri, gli uscieri. L'aula delle Assise si if folla va come un teatro. Sul graveolente lezzo della folla, «tagliava a mezz'aria il profumo acuto. solleticante delle signore eleganti, che si erano scomodate a quell'ora mattutina, per sentire, bore, suggcie avidamente la eloquente arringa dell'avvocato principe. Quasi sempre il difensore non era unico. Si videro collegi di difesa composti da dieci avvocati. Quello che contava però era l'ultimo. La postrema arringa era il colpo d'ariete nel castello dell'accusa ». Nell'esordio, l'avvocato principe non mancava di complimentarsi cavallerescamente col Procuratore Generale che aveva portato nel processo la parola della legge .' chiara, profonda e perspicua ■ , ili compiacersi con il collega della Parte Civile di ben meritata fama per vastità rli studi e luminosa competenza giuridica ». Poi veniva l'arringa vera e propria. E' possibile descriverla? La penna trema nelle mani. La scorza dell'avvocato principe cadeva: veniva fuori l'attore, il mimo, il tenore. Tutto ciò che era spettacolo, evocazione, commedia, dramma, sanguinosa tragedia, gioco di prestigio, trovata, soggetto lazzo, veniva fuori. Nessuno si salvava dall'invettiva. Era talvolta l'avvocato avversario, talvolta un teste e perfino l'accusato stesso, che il difensore fletteva con l'insulto, col disprezzo, con la vergogna lanciati a piene mani per far scattare nell'animo dei giurati la molla della compassione. Un famoso penalista disse di un teste, giovane distinto e laureato: Ha preso la laurea sulle giarrettiere della sorella ». Questi giochi di battuta, come gli aforismi, i sillogismi e altre cabalette, erano 1' ineguagliabile risorsa dell'avvocato principe. Ad essi egli ricorreva poco dopo l'esordio. Ma poi veniva l'argomento centrale, il nocciolo dell'arringa: il gioco dell'emozione, la descrizione del dramma. Il quadro era dipinto con i più foschi colori, macinati col tormento, impastati con le lagrime, stesi sull'enorme tela da quadro storico con il pennello della fantasia più arruffata ed estrosa. Fino alle lagrime. Le lagrime doreremo uscire. A volta a volta, l'avvocato prin • cipe. discinto e scarmigliato, usciva da dietro il banco della difesa e si avvicinava a quello uei giurati per mormorare minacce- o supplici evocatrici parole. Si rivolgeva poscia, a seconda dei casi, al Presidente, all'accusa, al pubblico, all'omicida, ai vivi, ai morti, ai carabinieri o al Cristo di gesso pendente dalla croce verniciata a lucido. Ricostruiva la scena del fosco dramma, sostenendo a tratti la parte dell'uccisore, a tratti quella della vittima. Zacconi nella Morte civile o negli Spettri, Chiantoni in Mister Wit sono poveri e scialbi giullari vicino all'avvocato principe di un tempo, aggirantesi nell'aula, magnitìico, grandioso, impressionante. Tutto serviva allo scopo: la Filosofia, la Letteratura, la Religione, la Patria, l'Onore, la Verità. l'Amore paterno, materno, figliale. Perfino la Storia. Il padre che aveva ucciso la figlia era paragonato con tracotante sicumera ari Agamennone sgozzante Ifigenia, la cortigiana accusata di veneficio, a Maria di Magdala piangente e adorante ai piedi di Cristo. Nulla ora risparmiato: c'era un po' di Hugo, un po' di Zola, un po' di Eugenio Sue e un po' di Montépin, nell'arringa dell'avvocato principe. Ma i paragoni di maggior efficacia, i paragoni lagrimogeni erano attinti al Vangelo. Anche l'avvocato radicale, massone, socialista o anarchico, non esitava a ricercare i suoi effetti in un episodio del i granile dramma cristiano ». Cristo, la Maddalena, la Vergine ai piedi dciia Croce o Giuda, a seconda dei casi e delle situazioni, venivano sfoderati, impugnati, scossi come fantocci sotto gli occhi dei giurati, gettati sul banco ridia difesa, squartati, vivisezionati, risuppliziati, nella foga orato- , • !_«u _i4..__. m nche da inverosimili altezze di |ctono passava al lagrimoso mormorio, alle fievoli frasi appena sussurrate, per riscagliarsi ancora e crescere, gonfiarsi, iperbolizzarsi, esasperarsi, in un ri ssiniano impeto lirico, a strappare le lagrime dei giurati, l'applauso incontenibile del pubblico e l'indignazione del Presidente che, severo, compreso, scampanellante, esclamava indignato: — Andiamo, andiamo, signori. MltctptveaclaIdI mnon siamo a teatro Cosi l'accusata, che attraverso mle cronache dei giornali, le voci I sdelle persone benpensanti, il ci- 1 caleccio delle portinaie c delle | comari, si era ci eato tale alone di antipatia che la folla accompagnava il carrozzone cellulare fino al palazzo di giustizia urlando « A morte, a morto! », attraverso la parola dell'avvocato principe diventava una martire. Si vide in Assise, nei grandi processi del vecchio tempo, il pubblico prima ostile e quasi minacciante il linciaggio, irrompere nell'aula, avvicinarsi al gabbione e scuoterne le sbarre, come per divellerle e liberare la vittima innocente. Si chiamarono nel Settentrione, Tomaso Villa. Carlo Nasi i sapienza giuridica, umanità), Romualdo Palberti. Enrico Ferri (logica, freddezza e calore, inflessibilità e cordiale, toccante pietà), Carlo Felice Roggeri (umanità. sarcasmo, ironia, commozione). Si chiamarono nel Meridione. Colosimo, GUardi, Manfredi, Marciano e Porzio (gilè I bianco, foga, foga, foga). L'avvocato Colosimo, deputato al Parlamento, fu prescelto, non ] ricordiamo da quale Presidente del Consiglio, a ricoprire la carica di Ministro delle Colonie. Si racconta che chiamasse il giovane di studio : — Gennariè, portami l'atlan- ! te. Voglio vedere dove sono queSte benedette colonie. Ogni avvocato principe ebbe un ì suo stil'?, una sua maniera, un j suo pubblico. Ognuno ebbe molti : applausi a scena aperta e a sipario calato. Tutti ebbero quat- ' trini e onori; onori che portarono dimessamente o alteramente a vmgtssjnseconda dello stile, quattrini che | 'spesero a piene mani con quella estrosità, estemporaneità, genialità, caratteristiche ■ perspicue » della loro personalità. I protagonisti rli questo teatro della giustizia, che mutavano l'aula ili Temi nella baracca di Melpomene e di Talia, spesso avvocati soltanto e talora, più che avvocati, politicanti rli na- zionale rinomanza che vantavano |dietro le spalle la forza di un collegio o rli un dicastero, facevano parlar di se. prima durante e dopo i processi, dall'intera folla. Erano segnati a dito per via, a teatro, nei caffè. Osservati, vezzeggiati, applauditi. Con le donne avevano un successo folle. Il toro fascino era irresistibile. Ai banchetti, ai pranzi, per battesimi, nozze, funerali, addii e fondazioni, erano di botto acclamati oratori ufficiali. Nei pranzi si alzavano allo spumante a far fluire la loro facile parola, a servire caldo un discorso imptovvisato, fatto di nulla e di tutto, di frasi, di rettorica, di motti di spirito o di espressioni commosse e commoventi. Dopo l'antipasto, i cappelletti in brodo, la finanziera, il pollo arrosto con insalatina novella, la frutta-, il formaggio, il dolce, il vino a volontà e lo spumante, nel menù poteva figurare tranquillamente t'ultima voce: ,< Discorso dell'avvocato principe ■.. Discorso che gli orecchi, ronzanti per il trop- po cibo e per il troppo vino, male ascoltavano: che i cervelli annebbiati mal digerivano e che le accondiscendenti mani applaudivano a non finite. V'erano perfino richieste di bis. Nizza e Morbelli L'AVVOCATO PRINCIPE FIGURE CHE SCOMPAIONO L'AVVOCATO PRINCIPE niva cosi introdotto nell'antica- mera: un ambiente grave, con i mODj]j Il vecchio segretario giungendo, come ogni mattina poco prima delle nove allo studio, f.rovò seduto sul gradino un uomo ancor giovane, vestito di panni dimessi e gualciti, pallido in viso e stravolto. — Che fate qui? — Voglio parlare all'avvocato. — A quest'ora? L'avvocato non viene che verso le undici o anche dopo. Ripassate più tardi... — No no. lo aspetto. Dalle sette sono qui. Lo aspetterò finché verrà. — Ma insomma che volete ? — domandò il vecchio segretario, cominciando a impazientirsi. — Che voglio? Ho ammazzato un uomo ieri sera e pri.ua di anelare a costituirmi vorrei... vor- rei parlare... L'uomo pallido e stravolto veun attaccapanni, tre sedie scomode e repulsive, un divano duro e ostile da sala d'aspetto di seconda classe, una eassapanca di stile falso antico, un tavolinetto e una dantesca per il giovane di studio — con i mobili neri, massonici, falsi, nei quali il castagno verniciato a vecchio legno si sposava col ferro battuto ritorto, per segnare l'irrimediabile decadenza dello stile fiorentino di seconda mano. Nel piccolo ingresso, l'omicida stravolto e pallido rimaneva per ore in attesa dell'avvocato. L'avvocato! Non già il leguleio mediocre, l'azzeccagarbugli senza pretese. No no. L'avvocato principe, il grande, l'inarrivabile penalista, il mattatore del foro, l'attore di primo piano dei proce=si celebri; colui che commuoveva giurati e folle, che strappava le lagrime o l'indignazione, lo sdegno o l'applauso. L'ambiente coi mobili neri non era che l'anticamera del suo studio, non faceva che preparare all'ingresso nel saneta sanetorum Quivi lo stile grave e il sentore di scartoffie, di raccolte legali, di fascicoli, di incartamenti e di inchiostro ammuffito lasciavano il posto allo stile civettuolo, estroso, strano, geniale, al profumo di un ambiente che stava tra la mondanità e l'alta politica, tra il salottiero e il letterario. Quell'ambiente, quell'aria, quello scenario erano la cornice e lo sfondo su cui si muoveva, riceveva la gente, parlava, pensava, l'avvocato principe Un tavolo enorme, vasto come una piazza, un calamaio di bronzo enorme, alto come un monumento, una cartella di cuoio ampia eri elegante. Ma su quel tavolo l'avvocato non scriveva mai. Non vi poggiava che i gomiti per pensare. Nel calamaio non c'era inchiostro, la cartella non aveva mai contenuto una pratica, che diciamo, neppure un foglietto di appunti. Alle pareti due quadri d'autore, sui mobili ninnoli costosi, in un angolo tre poltrone in pelle intorno ad un tavolino con i fiori sempre freschi, per terra tappeti orientali veri e falsi, più falsi che veri. Nulla ricordava la legge, nulla ricordava neppure la scienza Ma, del resto, l'avvocato principe si era mai impicciato di questioni astnisamente giuridiche ri di problemi procedurali ? E a che gli sarebbe servito? Quando studiava un processo, si chiudeva a chiave nello studio. •< non c'era per nessuno » e leggeva silenzioso (i gomiti piantati sul tavolo, i pugni alle tempie) l'incartamento. Poi passava in anticamera, si infilava la pelliccia, si cacciava il cappello in capo, afferrava la mazza e usciva. Potevate ì vederlo camminare per 1" strade e pei viali della città con pas=c aggressivo o con fare distratto e lontano, a capo chino. Egli «studiava» il processo. Era un turbi nio di scene nel suo cervello, una sinfonia rli immagini, una cavalcata di sénsasir- ma fon a urlante ili idee, fra le quuli egli sec- glieva. spigolando gli effetti, fissando talune frasi scultorie e impressionanti, talune sequenze, di commozioni, di esaltazioni, rli singhiozzi, di uria, di risate, che poi al processo sfoderava con quella sua magnifica, facile, fluente, sorprendente maniera, giocando con le parole come uno schermitore. Era talvolta la sagace trovala, tal'altra il fulmineo colpo di scena, la sarcastica scudisciata, la bruciante invettiva; o ancora una successiva pittura di situazioni, narrate con cinese minuzia e quasi con sadica crudeltà, esasperate, gonfiate, martellanti, che non finivano se non quando su! ciglio ilei giurati spuntava il lucore della prima lagrima. L'avvocato principe aveva lutto, per questo. Era nato, cresciuto, vissuto, per questo: aveva studiato, letto, pensato, per questo. Era per lo più un uomo alto di persona, leggermente complesso e tuttavia agile. Aveva volto segnato, cui davano rilievo o la capigliatura prolissa, fluente e precocemente candida, o la barba accuratamente coltivata e perfettamente confacente alla sagoma del viso: a punta, a due punte, a mosca, a pizzo, alla nazarena, alla Cialrlini, alla Tito Speri. Gli serviva, quella capigliatura, per ravviarsela ad un tratto con gesto ampio nella foga del discorso o per arricciarsene una ciocca fra due dita ad un richiamo del Presidente; gli serviva, quella barba, per tirarsela, lisciarsela, in atteggiamento di perspicace attenzione o per arruffarsela, spettinarsela nell'impeto di balzar dalla serlia pei ■'. creare incidente ■>. All'udienza, male avvolto nella toga che gli cadeva da ogni parte, dalle spalle e sul dorso (come se quello straccio nero -cosi pesante a portarsi! — gli fosse a schifo), tuttavia tenuta sul petto con atteggiamento solenne e leale quasi ad attestare una perenne buona fede e sincerità d'intenti, l'avvocato principe ascoltava distrattamente la deposizione dell'imputato e con visibile fastidio e disprezzo quella dei testimoni a carico. Talvolta si agitava come un leone in gabbia. Per lo più però pareva distratto, assente, svagato. Ma. all'improvviso, eccolo che balzava battendo la sinistra sul tavolo e portando avanti l'indice della destra, come una freccia scagliata dall'arco i facciise!) e interveniva a mezzo della deposizione, investendo il misero teste chiamato alla sbarra, e già impressionato dall'appaiato della Giustizia, rial giuramento, dal gabbione, dal Crocifisso e dai carabinieri. Talvolta la sua domanda era invece composta, elegante, sagace. Era costituita da una sola interrogazione, tesa così come una trappola ai piedi dell'infelice teste, fatta così senza parere, melliflua e insidiosa. Il teste che rispondeva era interrotto appena ila fievoli « a verbale » e a un corto punto fatto tacere rli botto con voce d'effetto da un < mi basta, grazie ». che voleva dire: O uomo, sei mio! La causa è vinta! La vittoria è nelle mie mani >. Escussi i testi — talvolta trenta quaranta cinquanta — quando Pubblico Ministero e Parte Civile avevano parlato, veniva la volta della difesa: la scena inalile del dramma, la scena a mattatore, a protagonista unico, assoluto, definitivo. Se n'accorgevano il Primo Presidente, i consiglieri, i magistrati d'ogni grato e d'ogni ordine, i cancellieri, gli uscieri. L'aula delle Assise si if folla va come un teatro. Sul graveolente lezzo della folla, «tagliava a mezz'aria il profumo acuto. solleticante delle signore eleganti, che si erano scomodate a quell'ora mattutina, per sentire, bore, suggcie avidamente la eloquente arringa dell'avvocato principe. Quasi sempre il difensore non era unico. Si videro collegi di difesa composti da dieci avvocati. Quello che contava però era l'ultimo. La postrema arringa era il colpo d'ariete nel castello dell'accusa ». Nell'esordio, l'avvocato principe non mancava di complimentarsi cavallerescamente col Procuratore Generale che aveva portato nel processo la parola della legge .' chiara, profonda e perspicua ■ , ili compiacersi con il collega della Parte Civile di ben meritata fama per vastità rli studi e luminosa competenza giuridica ». Poi veniva l'arringa vera e propria. E' possibile descriverla? La penna trema nelle mani. La scorza dell'avvocato principe cadeva: veniva fuori l'attore, il mimo, il tenore. Tutto ciò che era spettacolo, evocazione, commedia, dramma, sanguinosa tragedia, gioco di prestigio, trovata, soggetto lazzo, veniva fuori. Nessuno si salvava dall'invettiva. Era talvolta l'avvocato avversario, talvolta un teste e perfino l'accusato stesso, che il difensore fletteva con l'insulto, col disprezzo, con la vergogna lanciati a piene mani per far scattare nell'animo dei giurati la molla della compassione. Un famoso penalista disse di un teste, giovane distinto e laureato: Ha preso la laurea sulle giarrettiere della sorella ». Questi giochi di battuta, come gli aforismi, i sillogismi e altre cabalette, erano 1' ineguagliabile risorsa dell'avvocato principe. Ad essi egli ricorreva poco dopo l'esordio. Ma poi veniva l'argomento centrale, il nocciolo dell'arringa: il gioco dell'emozione, la descrizione del dramma. Il quadro era dipinto con i più foschi colori, macinati col tormento, impastati con le lagrime, stesi sull'enorme tela da quadro storico con il pennello della fantasia più arruffata ed estrosa. Fino alle lagrime. Le lagrime doreremo uscire. A volta a volta, l'avvocato prin • cipe. discinto e scarmigliato, usciva da dietro il banco della difesa e si avvicinava a quello uei giurati per mormorare minacce- o supplici evocatrici parole. Si rivolgeva poscia, a seconda dei casi, al Presidente, all'accusa, al pubblico, all'omicida, ai vivi, ai morti, ai carabinieri o al Cristo di gesso pendente dalla croce verniciata a lucido. Ricostruiva la scena del fosco dramma, sostenendo a tratti la parte dell'uccisore, a tratti quella della vittima. Zacconi nella Morte civile o negli Spettri, Chiantoni in Mister Wit sono poveri e scialbi giullari vicino all'avvocato principe di un tempo, aggirantesi nell'aula, magnitìico, grandioso, impressionante. Tutto serviva allo scopo: la Filosofia, la Letteratura, la Religione, la Patria, l'Onore, la Verità. l'Amore paterno, materno, figliale. Perfino la Storia. Il padre che aveva ucciso la figlia era paragonato con tracotante sicumera ari Agamennone sgozzante Ifigenia, la cortigiana accusata di veneficio, a Maria di Magdala piangente e adorante ai piedi di Cristo. Nulla ora risparmiato: c'era un po' di Hugo, un po' di Zola, un po' di Eugenio Sue e un po' di Montépin, nell'arringa dell'avvocato principe. Ma i paragoni di maggior efficacia, i paragoni lagrimogeni erano attinti al Vangelo. Anche l'avvocato radicale, massone, socialista o anarchico, non esitava a ricercare i suoi effetti in un episodio del i granile dramma cristiano ». Cristo, la Maddalena, la Vergine ai piedi dciia Croce o Giuda, a seconda dei casi e delle situazioni, venivano sfoderati, impugnati, scossi come fantocci sotto gli occhi dei giurati, gettati sul banco ridia difesa, squartati, vivisezionati, risuppliziati, nella foga orato- , • !_«u _i4..__. m nche da inverosimili altezze di |ctono passava al lagrimoso mormorio, alle fievoli frasi appena sussurrate, per riscagliarsi ancora e crescere, gonfiarsi, iperbolizzarsi, esasperarsi, in un ri ssiniano impeto lirico, a strappare le lagrime dei giurati, l'applauso incontenibile del pubblico e l'indignazione del Presidente che, severo, compreso, scampanellante, esclamava indignato: — Andiamo, andiamo, signori. MltctptveaclaIdI mnon siamo a teatro Cosi l'accusata, che attraverso mle cronache dei giornali, le voci I sdelle persone benpensanti, il ci- 1 caleccio delle portinaie c delle | comari, si era ci eato tale alone di antipatia che la folla accompagnava il carrozzone cellulare fino al palazzo di giustizia urlando « A morte, a morto! », attraverso la parola dell'avvocato principe diventava una martire. Si vide in Assise, nei grandi processi del vecchio tempo, il pubblico prima ostile e quasi minacciante il linciaggio, irrompere nell'aula, avvicinarsi al gabbione e scuoterne le sbarre, come per divellerle e liberare la vittima innocente. Si chiamarono nel Settentrione, Tomaso Villa. Carlo Nasi i sapienza giuridica, umanità), Romualdo Palberti. Enrico Ferri (logica, freddezza e calore, inflessibilità e cordiale, toccante pietà), Carlo Felice Roggeri (umanità. sarcasmo, ironia, commozione). Si chiamarono nel Meridione. Colosimo, GUardi, Manfredi, Marciano e Porzio (gilè I bianco, foga, foga, foga). L'avvocato Colosimo, deputato al Parlamento, fu prescelto, non ] ricordiamo da quale Presidente del Consiglio, a ricoprire la carica di Ministro delle Colonie. Si racconta che chiamasse il giovane di studio : — Gennariè, portami l'atlan- ! te. Voglio vedere dove sono queSte benedette colonie. Ogni avvocato principe ebbe un ì suo stil'?, una sua maniera, un j suo pubblico. Ognuno ebbe molti : applausi a scena aperta e a sipario calato. Tutti ebbero quat- ' trini e onori; onori che portarono dimessamente o alteramente a vmgtssjnseconda dello stile, quattrini che | 'spesero a piene mani con quella estrosità, estemporaneità, genialità, caratteristiche ■ perspicue » della loro personalità. I protagonisti rli questo teatro della giustizia, che mutavano l'aula ili Temi nella baracca di Melpomene e di Talia, spesso avvocati soltanto e talora, più che avvocati, politicanti rli na- zionale rinomanza che vantavano |dietro le spalle la forza di un collegio o rli un dicastero, facevano parlar di se. prima durante e dopo i processi, dall'intera folla. Erano segnati a dito per via, a teatro, nei caffè. Osservati, vezzeggiati, applauditi. Con le donne avevano un successo folle. Il toro fascino era irresistibile. Ai banchetti, ai pranzi, per battesimi, nozze, funerali, addii e fondazioni, erano di botto acclamati oratori ufficiali. Nei pranzi si alzavano allo spumante a far fluire la loro facile parola, a servire caldo un discorso imptovvisato, fatto di nulla e di tutto, di frasi, di rettorica, di motti di spirito o di espressioni commosse e commoventi. Dopo l'antipasto, i cappelletti in brodo, la finanziera, il pollo arrosto con insalatina novella, la frutta-, il formaggio, il dolce, il vino a volontà e lo spumante, nel menù poteva figurare tranquillamente t'ultima voce: ,< Discorso dell'avvocato principe ■.. Discorso che gli orecchi, ronzanti per il trop- po cibo e per il troppo vino, male ascoltavano: che i cervelli annebbiati mal digerivano e che le accondiscendenti mani applaudivano a non finite. V'erano perfino richieste di bis. Nizza e Morbelli

Luoghi citati: La Maddalena, Nizza, Spettri