Verdi e Cavour di Angelo Nizza

Verdi e Cavour Verdi e Cavour II più intenso periodo di contatti fra il Maestro e la nostra città - Membro del primo Parlamento italiano - I suoi rapporti con il Ministro a i d e d o , i l l . Nel 40° anniversario della morte di Giuseppe Verdi, fra tutto un rifiorire di note biografiche, studi, ricordi, aneddoti intorno all'immortale musico, non è fuor di luogo ricordare i suoi rapporti con Torino, rapporti che furono frequenti, specialissimi e non solo derivanti dalla sua attività di compositore, bensì dalla sua qualità di rappresentante del popolo in quel primo Parlamento unitario che veramente segnò l'indipendenza della Patria e ne guidò le prime sor/i, ancora sotto la sapiente mano di Cavour. Specialmente di questa attività e di questi viaggi di Verdi a Torino vogliamo qui parlare, lasciando ad altri ben più autorevoli per sapienza e per acume, di trattare dei rapporti artistici del Maestro con la nostra città, anch'essi di non trascurabile importanza. Tratteremo quindi dì quel periodo della sua vita che va dal '59 al '62 o — per segnare la vita dell'Artista, più che con fredde date, con le tappe ben più rilevanti delle sue opere — quel periodo che sta tra le « prime » del Ballo in maschera e della Forza del destino. Le nozze in Savola Il 2.9 aprile 1859, Verdi sposava colei ch'era stata sua compagna fedele e indivisibile per 17 unni, la famosa cantante Giuseppina Strepponi. E, per essere lon 'ano dalle chiacchiere e dal pettegolezzo dei curiosi, cercava un angolo tranquillo. Dovei In Savoia, allora ancora terra piemontese, a Collange, ove, ottenuta la dispensa dalle pubblicazioni, si univa alla sua donna in matrimonio religioso, benedetto da monsignor Mermillod. Gli sposi, celclnato il rito, transitarono per Torino facendo subito ritorno a S. Agata in cerca di quiete. Ma la luna di miele, se non fu turbata, certo non ebbe il suo calmo corso. Era scoppiata infatti la guerra. E Verdi scriveva il 5 giugno: «La quiete sarebbe profonda e completa se non venisse turbata dalla tenibile musica del cannone, che quasi giornalmente si sente a 30 miglia di distanza ». Si sa quale patriota fosse Verdi. Con un sospiro di sollievo vide lo straniero, battuto a Melegnano, ritirarsi sgombrando Parma e IHacenza. Scrisse in quei giorni: « Finalmente se ne sono andati! Vadano a godersi il loro clima e il loro cielo ». Si adirò e scrisse lettere sdegnate dopo Viila)ranca e, allorché Vittorio Emanuele ritirò da Parma il suo commissario e i municipi dell'exducato decisero l'elezione dei rappresentanti all'Assemblea delle province parmensi, egli accettò di rappresentare Busseto. Era presente nella, sua mente il pensiero che solo con l'annessione al Pie monte (scriveva il 5 settembre 1859) era garantita « la futura grandezza e rigenerazione della Patria comune ». Dopo aver partecipato ai lavori dell'Assemblea, accettò con entusiasmo di far par te della Commissione incaricata di presentare al Re in Torino i i26 mila voti del Plebiscito emi tiano per l'annessione dell'Alta Italia. E il 15 settembre venne a Torino per compire la missione e ascoltò i ringraziamenti e le parole di fiduciosa speranza del Sovrano. Il popolo torinese, in quell'occasione, improvvisò una dimostrazione al Maestro, acclamandolo davanti all'albergo Trombetta, ov'egll soggiornava. Verdi non osava mostrarsi. Il patriota e poeta Jacopo Sanvìtale lo trasse per forza al balcone e lo presentò de clamando un distico: « Ecco il legato della patria mia, ecco il re dell'italica armonia! L'invito di Cavour Scrosciò l'applauso del nostro buon popolo, ovazione all'artista, ma ben più, nel calore degli animi, al patriota. Durante quel suo soggiorno Verdi colse l'occasione di conoscere Cavour. E il grande Ministro, che si era ritirato per qualche giorno nella fattoria di Lert, presso Livorno Vercellese, lo accolse a braccia aperte, con schietta cor dialità. Verdi lasciò Torino commosso e scrisse ad un amico che, pur riconoscendosi non « altro merito se non quello di amare e di aver amato sempre il proprio Paese », aveva stretto la mano al « Prometeo della nostra nazionalità », a colui «che ogni italiano dovrà chiamare padre della Patria ». Il 10 gennaio 1861 giungeva a Busseto una lettera: « Preg. Sig. Cavaliere, i comizi! elettorali stanno per riunirsi dall'Alpi all'Etna. Da essi dipende, non già la sorte del ministero, ma bensì il fato dell'Italia. Guai a noi se dalle loro operazioni fosse per riuscire una Camera in cui prevalessero le opinioni superlative, le idee avventate, i propositi rivoluzionari. L'opera mirabile del nostro risorgimento, vicina a compiersi, rovinerebbe, e forse per secoli. Io reputo quindi dovere di ogni buon cittadino in queste circostanze il fare sacrificio d'ogni particolare riguardo, l'andare incontro ai maggiori sacrìfizii per cooperare alla comune salvezza. Egli è da questi riflessi confortato ch'io mi fo lecito rivolgermi direttamente alla S. V., quantunque non abbia titoli particolari per farlo, onde animarla a volere accettare il mandato che i suoi concittadini intendono conferirle. « So che le chiedo cosa per Lei grave e molesta. Se ciò malgrado insisto, si è perchè reputo la sua presenza alla Camera utilissima. Essa contribuirà al decoru del Parlamento dentro c fuori d'Italia, essa darà credilo al gran partito nazionale che vuole costituire la Nazione sulle solide busi della libertà e dell'ordine, ne imporrà ai nòstri imaginosi colleglli della a pUr(e meridionale d'Italia, suscct " libili di subire l'influenza del genio artistico più assai di noi abitatori della fredda valle del Po. si Nella speranza ch'Ella si arrenderà alle mie preghiere e che perciò potrò fra breve stringerle la mano a Torino, me le professo con simpatica stima suo dev. Camillo Cavour». Verdi partì subito per Torino. E scrisse al suo amico maestro Mariani il motivo di quel sollecito viaggio: «Per non essere deputato- Altri brigano per esserlo, io faccio tutto il possibile per non esserlo... ». Il 17 fu ricevuto da Cavour. Egli fece al Ministro un discorsétto che si era preparato e che fu ascollato con la più grande ai e o . a a a a n a e o a, a, e ttlseuscscMtcsmsdntSadVddsdbrvttlosanprgHsttblvaqcDddsdtra(asSe«leCqsdsmspdnmBnlsvsacsmavvddusn i o l e a à a e e o tenzionc. Descrisse la stia inettitudine alla v.ita politica, previde la sua impazienza ai lunghi discorsi e parlò con rosi bizzarra efficacia die Cuvour scoppiò in una sonora risata. Verdi pensò fra sè: « Bene! Sono riuscito! ». Invece il Ministro cominciò a controbattere ad una ad una le sue ragioni e ne aggiunse altre che finirono per convincere il Maestro. — Ebbene, signor conte, accetto — concluse Verdi —, ma alla condizione che dopo qualche mese io durò la mia dimissione. — .Sia — ribattè Cavour —, ma me ne farete prima cenno. E il Maestro se ne tornò a Busseto, già prevedendo le molte noie della politica. Noie che cominciarono subito, poiché si trovò di fronte, nel collegio elettorale di Borgo San Donnino, un rivale il quale, avendo già presentalo la sua candidatura, non poteva ritirarsi. Verdi ebbe una lunga corrispondenza con il suo competitore prima delle elezioni. Nelle quali il Maestro raccolse 298 voti contro 185 dell'avversario e riuscì eletto nel ballottaggio il 6 febbraio 1861. Il Maestro aveva allora a Torino due cari amici, il conte Silvio Arrìvabene, senatore e redattore politico deifOpinione, e il conte Opprandino, collaboratore dello stesso giornale. E' interessante spigolare fra le lettere di Verdi ai due amici per ritrovare curiose note della sua vita torinese. Appena deputato, egli scrisse all'Arrìvabene incaricandolo di fissargli un appartamentino al solito Hotel Trombetta, dove contava di scendere « se i prezzi saranno artistici », perchè allora era ben lontano dalla ricchezza. Il vecchio albergo torinese seppe conquistarsi le simpatie del Maestro, il quale vi soggiornò, in ogni sua venuta a Torino, fino al settembre 1865, quando declinò assolutamente l'incarico di deputato. Discussioni... qua! perditempo! Nello stesso febbraio 1861 Verdi venne a Torino per l'apertura del Parlamento.E per mesi fu assiduo alle sedute, si interessò ai discorsi e alle discussioni. Durante gli intervalli sbrigava la corrispondenza. Si sfogava con gli amici. « Sono qui alla Camera (scriveva al Mariani) in mezzo alle discussioni. Quante belle cose dicono! Ma qual perditempo! » Sedeva in Parlamento fra Piroli e Quintino Sella, che giudicava « una lesta e un carattere ». Con luì spesso scambiava impressioni e parlava di musica e d'arte. Con Cavour discusse lungamente la questione dell'insegnamento mu s:cale. Furono « perfettamente d'accordo sull'orchestra e cori fissi, stipendiati dal Governo e dai municipi pei teatri d'Italia ». Nelle votazioni l'on. Verdi fu sempre favorevole a tutte le proposte di Cavour. « Sono sicuro — diceva — di non sbagliare». Ma egli era impaziente di ritornarsene a Éusseto. Quando la Camera, discusso l'ordine del giorno Boncompagni, votò il 27 marzo, la necessità di Roma capitale d'Italia, gli parve di aver esaurito la sua missione parlamentare. Si avvicinò al banco del Governo e disse a Cavour: — Ora mi pare tempo di dare un addio a questi banchi! — No — rispose il Ministro —, aspettate finché andremo a Roma. — Ci andremo? — Sì. — Quando? — Oh, quando, quando!! — Intanto io me ne vado in campagna... — Addio, state bene, addio... Queste furono le ultime parole scambiate fra i due grandi uomini. Solo due mesi dopo, giungeva a Busseto la notizia che costeinava l'Italia. Il 6 giugno, Verdi scriveva: « Quale sventura! Quale abisso di guai!». Gli scoppiava il cuore di venire a Torino. Rimase a Busseto e ordinò che sì celebrassero uffici funebri di suffragio. Scrisse della cosa all'Arrìvabene: «Io non potei trattenere le lagrime e piansi come un ragazzo. Povero Cavour e poveri noi!... ». Verdi si era congedato dal grande Ministro dicendogli: « Vado in campagna ». Andava a lavorare alla Forza del destino. Il Teatro Imperiale di Pietroburgo lo aveva invitato a comporre un'opera. Ed egli aveva scelto appunto tale libretto. Un cuore gentile Andando nella capitale russa per dirigere la nuova opera, Verdi sostò ancora a Torino. E qui appiatto avvenne un episodio molto significativo che dimostra di quanto affetto fosse circondato il grande artista da parte anche dei suoi più umili intimi. Luigi, il suo cameriere che lo seguiva quando egli veniva a Torino per le faccende della politica, era ritornato per suo ordine a Busseto, Verdi gli scrisse di fermarsi colà, essendo imminente il suo viaggio in Russia. Proprio il giorno dellu partenza, mentre Verdi passeggiava con alcuni amici sotto i portici di piazza Castello, ecco corrergli incontro Luigi, affannato e sudato- Fra padrone e servo si svolse un breve dialogo. Il secondo si dichiarò deciso a seguire il Maestro a Pietroburgo. Disse di aver già provveduto per il proprio passaporto e per il bagaglio. Mostrò infatti un fagottino: un po' di roba a- >olta in un fazzoleltone, e dichiarò che, quanto al freddo, lo avrebbe combattuto con il rum. Ma Verdi volle provvederlo di una pelliccia che acquistò senz'altro in un negozio vicino. Il Maestro e il fedele domestico giunsero alla stazione appena in tempo per il treno. Giuseppe Verdi fu. di poi, alcune altre volte a Torino per la sua attività artistica. Quello che abbiamo ricordato fu però il periodo di più intensi rapporti con la nostra città, che egli amava e ricordava spesso, agli amici carissimi che qui risiedevano, con espressioni di accorata nostalgia. Angelo Nizza LggmnerdvppmcsimqmaasevuatttsnsrIsgasmfpdstrsdtndncrpdfnA Verdi e Cavour Verdi e Cavour II più intenso periodo di contatti fra il Maestro e la nostra città - Membro del primo Parlamento italiano - I suoi rapporti con il Ministro a i d e d o , i l l . Nel 40° anniversario della morte di Giuseppe Verdi, fra tutto un rifiorire di note biografiche, studi, ricordi, aneddoti intorno all'immortale musico, non è fuor di luogo ricordare i suoi rapporti con Torino, rapporti che furono frequenti, specialissimi e non solo derivanti dalla sua attività di compositore, bensì dalla sua qualità di rappresentante del popolo in quel primo Parlamento unitario che veramente segnò l'indipendenza della Patria e ne guidò le prime sor/i, ancora sotto la sapiente mano di Cavour. Specialmente di questa attività e di questi viaggi di Verdi a Torino vogliamo qui parlare, lasciando ad altri ben più autorevoli per sapienza e per acume, di trattare dei rapporti artistici del Maestro con la nostra città, anch'essi di non trascurabile importanza. Tratteremo quindi dì quel periodo della sua vita che va dal '59 al '62 o — per segnare la vita dell'Artista, più che con fredde date, con le tappe ben più rilevanti delle sue opere — quel periodo che sta tra le « prime » del Ballo in maschera e della Forza del destino. Le nozze in Savola Il 2.9 aprile 1859, Verdi sposava colei ch'era stata sua compagna fedele e indivisibile per 17 unni, la famosa cantante Giuseppina Strepponi. E, per essere lon 'ano dalle chiacchiere e dal pettegolezzo dei curiosi, cercava un angolo tranquillo. Dovei In Savoia, allora ancora terra piemontese, a Collange, ove, ottenuta la dispensa dalle pubblicazioni, si univa alla sua donna in matrimonio religioso, benedetto da monsignor Mermillod. Gli sposi, celclnato il rito, transitarono per Torino facendo subito ritorno a S. Agata in cerca di quiete. Ma la luna di miele, se non fu turbata, certo non ebbe il suo calmo corso. Era scoppiata infatti la guerra. E Verdi scriveva il 5 giugno: «La quiete sarebbe profonda e completa se non venisse turbata dalla tenibile musica del cannone, che quasi giornalmente si sente a 30 miglia di distanza ». Si sa quale patriota fosse Verdi. Con un sospiro di sollievo vide lo straniero, battuto a Melegnano, ritirarsi sgombrando Parma e IHacenza. Scrisse in quei giorni: « Finalmente se ne sono andati! Vadano a godersi il loro clima e il loro cielo ». Si adirò e scrisse lettere sdegnate dopo Viila)ranca e, allorché Vittorio Emanuele ritirò da Parma il suo commissario e i municipi dell'exducato decisero l'elezione dei rappresentanti all'Assemblea delle province parmensi, egli accettò di rappresentare Busseto. Era presente nella, sua mente il pensiero che solo con l'annessione al Pie monte (scriveva il 5 settembre 1859) era garantita « la futura grandezza e rigenerazione della Patria comune ». Dopo aver partecipato ai lavori dell'Assemblea, accettò con entusiasmo di far par te della Commissione incaricata di presentare al Re in Torino i i26 mila voti del Plebiscito emi tiano per l'annessione dell'Alta Italia. E il 15 settembre venne a Torino per compire la missione e ascoltò i ringraziamenti e le parole di fiduciosa speranza del Sovrano. Il popolo torinese, in quell'occasione, improvvisò una dimostrazione al Maestro, acclamandolo davanti all'albergo Trombetta, ov'egll soggiornava. Verdi non osava mostrarsi. Il patriota e poeta Jacopo Sanvìtale lo trasse per forza al balcone e lo presentò de clamando un distico: « Ecco il legato della patria mia, ecco il re dell'italica armonia! L'invito di Cavour Scrosciò l'applauso del nostro buon popolo, ovazione all'artista, ma ben più, nel calore degli animi, al patriota. Durante quel suo soggiorno Verdi colse l'occasione di conoscere Cavour. E il grande Ministro, che si era ritirato per qualche giorno nella fattoria di Lert, presso Livorno Vercellese, lo accolse a braccia aperte, con schietta cor dialità. Verdi lasciò Torino commosso e scrisse ad un amico che, pur riconoscendosi non « altro merito se non quello di amare e di aver amato sempre il proprio Paese », aveva stretto la mano al « Prometeo della nostra nazionalità », a colui «che ogni italiano dovrà chiamare padre della Patria ». Il 10 gennaio 1861 giungeva a Busseto una lettera: « Preg. Sig. Cavaliere, i comizi! elettorali stanno per riunirsi dall'Alpi all'Etna. Da essi dipende, non già la sorte del ministero, ma bensì il fato dell'Italia. Guai a noi se dalle loro operazioni fosse per riuscire una Camera in cui prevalessero le opinioni superlative, le idee avventate, i propositi rivoluzionari. L'opera mirabile del nostro risorgimento, vicina a compiersi, rovinerebbe, e forse per secoli. Io reputo quindi dovere di ogni buon cittadino in queste circostanze il fare sacrificio d'ogni particolare riguardo, l'andare incontro ai maggiori sacrìfizii per cooperare alla comune salvezza. Egli è da questi riflessi confortato ch'io mi fo lecito rivolgermi direttamente alla S. V., quantunque non abbia titoli particolari per farlo, onde animarla a volere accettare il mandato che i suoi concittadini intendono conferirle. « So che le chiedo cosa per Lei grave e molesta. Se ciò malgrado insisto, si è perchè reputo la sua presenza alla Camera utilissima. Essa contribuirà al decoru del Parlamento dentro c fuori d'Italia, essa darà credilo al gran partito nazionale che vuole costituire la Nazione sulle solide busi della libertà e dell'ordine, ne imporrà ai nòstri imaginosi colleglli della a pUr(e meridionale d'Italia, suscct " libili di subire l'influenza del genio artistico più assai di noi abitatori della fredda valle del Po. si Nella speranza ch'Ella si arrenderà alle mie preghiere e che perciò potrò fra breve stringerle la mano a Torino, me le professo con simpatica stima suo dev. Camillo Cavour». Verdi partì subito per Torino. E scrisse al suo amico maestro Mariani il motivo di quel sollecito viaggio: «Per non essere deputato- Altri brigano per esserlo, io faccio tutto il possibile per non esserlo... ». Il 17 fu ricevuto da Cavour. Egli fece al Ministro un discorsétto che si era preparato e che fu ascollato con la più grande ai e o . a a a a n a e o a, a, e ttlseuscscMtcsmsdntSadVddsdbrvttlosanprgHsttblvaqcDddsdtra(asSe«leCqsdsmspdnmBnlsvsacsmavvddusn i o l e a à a e e o tenzionc. Descrisse la stia inettitudine alla v.ita politica, previde la sua impazienza ai lunghi discorsi e parlò con rosi bizzarra efficacia die Cuvour scoppiò in una sonora risata. Verdi pensò fra sè: « Bene! Sono riuscito! ». Invece il Ministro cominciò a controbattere ad una ad una le sue ragioni e ne aggiunse altre che finirono per convincere il Maestro. — Ebbene, signor conte, accetto — concluse Verdi —, ma alla condizione che dopo qualche mese io durò la mia dimissione. — .Sia — ribattè Cavour —, ma me ne farete prima cenno. E il Maestro se ne tornò a Busseto, già prevedendo le molte noie della politica. Noie che cominciarono subito, poiché si trovò di fronte, nel collegio elettorale di Borgo San Donnino, un rivale il quale, avendo già presentalo la sua candidatura, non poteva ritirarsi. Verdi ebbe una lunga corrispondenza con il suo competitore prima delle elezioni. Nelle quali il Maestro raccolse 298 voti contro 185 dell'avversario e riuscì eletto nel ballottaggio il 6 febbraio 1861. Il Maestro aveva allora a Torino due cari amici, il conte Silvio Arrìvabene, senatore e redattore politico deifOpinione, e il conte Opprandino, collaboratore dello stesso giornale. E' interessante spigolare fra le lettere di Verdi ai due amici per ritrovare curiose note della sua vita torinese. Appena deputato, egli scrisse all'Arrìvabene incaricandolo di fissargli un appartamentino al solito Hotel Trombetta, dove contava di scendere « se i prezzi saranno artistici », perchè allora era ben lontano dalla ricchezza. Il vecchio albergo torinese seppe conquistarsi le simpatie del Maestro, il quale vi soggiornò, in ogni sua venuta a Torino, fino al settembre 1865, quando declinò assolutamente l'incarico di deputato. Discussioni... qua! perditempo! Nello stesso febbraio 1861 Verdi venne a Torino per l'apertura del Parlamento.E per mesi fu assiduo alle sedute, si interessò ai discorsi e alle discussioni. Durante gli intervalli sbrigava la corrispondenza. Si sfogava con gli amici. « Sono qui alla Camera (scriveva al Mariani) in mezzo alle discussioni. Quante belle cose dicono! Ma qual perditempo! » Sedeva in Parlamento fra Piroli e Quintino Sella, che giudicava « una lesta e un carattere ». Con luì spesso scambiava impressioni e parlava di musica e d'arte. Con Cavour discusse lungamente la questione dell'insegnamento mu s:cale. Furono « perfettamente d'accordo sull'orchestra e cori fissi, stipendiati dal Governo e dai municipi pei teatri d'Italia ». Nelle votazioni l'on. Verdi fu sempre favorevole a tutte le proposte di Cavour. « Sono sicuro — diceva — di non sbagliare». Ma egli era impaziente di ritornarsene a Éusseto. Quando la Camera, discusso l'ordine del giorno Boncompagni, votò il 27 marzo, la necessità di Roma capitale d'Italia, gli parve di aver esaurito la sua missione parlamentare. Si avvicinò al banco del Governo e disse a Cavour: — Ora mi pare tempo di dare un addio a questi banchi! — No — rispose il Ministro —, aspettate finché andremo a Roma. — Ci andremo? — Sì. — Quando? — Oh, quando, quando!! — Intanto io me ne vado in campagna... — Addio, state bene, addio... Queste furono le ultime parole scambiate fra i due grandi uomini. Solo due mesi dopo, giungeva a Busseto la notizia che costeinava l'Italia. Il 6 giugno, Verdi scriveva: « Quale sventura! Quale abisso di guai!». Gli scoppiava il cuore di venire a Torino. Rimase a Busseto e ordinò che sì celebrassero uffici funebri di suffragio. Scrisse della cosa all'Arrìvabene: «Io non potei trattenere le lagrime e piansi come un ragazzo. Povero Cavour e poveri noi!... ». Verdi si era congedato dal grande Ministro dicendogli: « Vado in campagna ». Andava a lavorare alla Forza del destino. Il Teatro Imperiale di Pietroburgo lo aveva invitato a comporre un'opera. Ed egli aveva scelto appunto tale libretto. Un cuore gentile Andando nella capitale russa per dirigere la nuova opera, Verdi sostò ancora a Torino. E qui appiatto avvenne un episodio molto significativo che dimostra di quanto affetto fosse circondato il grande artista da parte anche dei suoi più umili intimi. Luigi, il suo cameriere che lo seguiva quando egli veniva a Torino per le faccende della politica, era ritornato per suo ordine a Busseto, Verdi gli scrisse di fermarsi colà, essendo imminente il suo viaggio in Russia. Proprio il giorno dellu partenza, mentre Verdi passeggiava con alcuni amici sotto i portici di piazza Castello, ecco corrergli incontro Luigi, affannato e sudato- Fra padrone e servo si svolse un breve dialogo. Il secondo si dichiarò deciso a seguire il Maestro a Pietroburgo. Disse di aver già provveduto per il proprio passaporto e per il bagaglio. Mostrò infatti un fagottino: un po' di roba a- >olta in un fazzoleltone, e dichiarò che, quanto al freddo, lo avrebbe combattuto con il rum. Ma Verdi volle provvederlo di una pelliccia che acquistò senz'altro in un negozio vicino. Il Maestro e il fedele domestico giunsero alla stazione appena in tempo per il treno. Giuseppe Verdi fu. di poi, alcune altre volte a Torino per la sua attività artistica. Quello che abbiamo ricordato fu però il periodo di più intensi rapporti con la nostra città, che egli amava e ricordava spesso, agli amici carissimi che qui risiedevano, con espressioni di accorata nostalgia. Angelo Nizza LggmnerdvppmcsimqmaasevuatttsnsrIsgasmfpdstrsdtndncrpdfnA