RICORDI PERSONALI

RICORDI PERSONALI RICORDI PERSONALI Sono pochi, oramai, i superstiti che possono sentirsi confortati dal ricordo di aver avvicinato con qualche frequenza Giuseppe Verdi: d'aver avuto seco Lui intellettuale corrispondenza, di aver meritato la sua attenzione e di essersi intrattenuti più volte nella sua dimora, tanto a S. Agata che a Genova ed a Milano. Fra quei pochi — se pur degli ultinii — può trovar posto quegli il quale — con animo commosso detta queste memorie. Con animo commosso ripeto, an-che perchè, contro ogni mio me-1 rito, fu Lui il primo a cercarmi. Al « Minestron» di Ferravilla L'invio di una pubblicazione di carattere storico-musicale lo decise ad indirizzare al giovane poco più che trentenne — quale mi trovavo ad essere allora, mentre operavo in una limitata cerchia dedicandomi alla resurrezione della antica polifonia vocale — una prima lettera di elogio e di incoraggiamento. Per me un raggio di sole nel tenebrore di una vita quotidianamente faticosa, e per buona parte incompresa. Si era ai primi del 1896. Verdi, in quei giorni, pensava alla composizione dello Stabat Mater e del Te J>sit»i destinati ai Concerti dell'Opera di Parigi. Abbisognando di schiarimenti, di delucidazioni e di spiegazioni intorno al modo di interpretare e di trattare il testo di Jacopone da Todi e dell'Inno Ambrosiano, ricorse a me che per l'ufficio che rivestivo ero in grado di soddisfare il di Lui desiderio: quello di conoscere alcuni Te Deum di antichi maestri sui quali Egli affermava avere studiato da giovane. Per tal modo la nostra corrispondenza, da quel momento, divenne abbastanza assidua. Verdi! Con un desiderio ed un presentimento indistinti nell'animo l'aveva veduto per le prime volte a Milano nel!' inverno del 1884 nelle ore meridiane, quando stava per accedere alla Scala alle prove del Don Carlos presentato in seconda edizione. Ero studente al Conservatorio, e per soddisfare la febbrile ansia di arrivare a vedere il Maestro, con altri compagni, da più giorni salavo — come si dice in gergo scolastico — le lezioni letterarie meritandomi i rabbuffi del sig. Ispettore. Ma quale gioia in compenso, la soddisfazione di averLo finalmente veduto. Al momento del suo passaggio, come al passaggio del Re od innanzi al vessillo della Patria, io, ed i circostanti, levavamo il cappello in alto mirando alla sua imponente figura che si inoltrava verso l'entrata al palcoscenico. Poi alla prima di Don Carlos, dall'alto del loggione, quante volte evocato alla ribalta tra l'entusiasmo del pubblico e... nostro. Per una strana coincidenza, in una serata invernale di bufera — fra vento e neve — passo innanzi al Teatro Milanese situato in Corso V. E. all'Owi: de preja. Mi accorgo che Verdi e Boito scendono da una carrozza chiusa e che si inoltrano nel corridoio d'accesso al teatro stesso dove Edoardo Ferravilla, co' suoi spassosi compagni, si appresta a rappresentare Mine- i l n a e li stron, cioè a dire la caricatura dell Trovatore. Entro in teatro anch'io ed as-! Sisto allo spettacolo che desta ilarità irrefrenabile, specie quando! gli spettatori si accorgono della1 presenza del Maestro in un palchetto di prima fila. Passano oltre due anni da quell'episodio. Per la stagione 1886-87, alla Scala, è annunciata la prima li Idi Otello. A novembre, al popolare, o teatro Fossati di corso Garibaldi, — il Teatro riservato all'operetta n-— l'attore Ettore Paladini (e nese-|suno indovina il perchè) mette in 1 scena l'Otello di Shakespeare. Dopo due o tre riprese il pubblico del Boccaccio e delle Campane di Cor i. a di io oea igdi a i, el i i di r o : e i a a o, n e el o e n al a e a e ni fi a di oal so a al s, e an — zi rco si al ai, e- neville diserta il teatro. E Paladini continua a dare Otello. Al Fossati? Perchè mai? In un palco ogni sera in atto di studiare attentamente il personaggio, per coglierne i moti dell'anima, vi assiste Francesco Tamagno, il celebre tenore designato a primo interprete protagonista della nuova opera di Verdi. E Luigi Illica, con la sua penetrante facondia, gli fa da guida e da mentore. Lontano da Milano non mi è dato di poter assistere alla prima dell'Otello verdiano che leggo avidamente al piano, mentre con la fantasia e col desiderio mi indugio ad accarezzare il proposito di riuscire ad avvicinare il grande Maestro, di poterlo conoscere, di potergli parlare. Ma passano altri otto anni; solcati però dal raggio giocondo che si sprigiona dalla deliziosa partitura di Falstaff. Quando... inattesa... improvvisa, in data 21 giugno 1894 mi perviene richiesta da Giulio Ricordi di volergli fornire spunti di Canzoni e Danze popolari greco-veneziane del 1400-1600». «Farebbe un vero', favore al M" Verdi » mi scrive l'illustre editore. Da quel momento mi sento infervorato e fiducioso, e da questo primo indiretto accostamento — come ho ricordato più sopra — indotto ad inviare al Maestro un mio volume di storia della Cappella Antoniana di Padova. Egli mi ringrazia benevolmente: troppo benevolmente. Così si inizia la nostra corrispondenza. Vederlo, avvicinarlo Ma il sogno mio assillante, era quello di riuscire ad avvicinarlo. Nel maggio 1897, in una radiosa giornata primaverile lo incontro in Galleria Mazzini a Genova. Malgrado mi dovessi sentire incoraggiato dalla relazione epistolare con Lui già avviata, non ho l'ardire di dichiararmi. Lo seguo sino a Palazzo Doria. Salgo trepidante l'ampio scalone; mi accosto all'ap-, fartamento, suono il campanello, i 1 cameriere si rifiuta di annun-j ciarmi, cosi di accettare la miai carta da visita; ma il portinaio, i meno cerbero, si incarica di questo. Il Maestro — ricevuto il mio biglietto, ignaro dell'accaduto, immediatamente mi scrive: « E mi spìacque che Ella passando da Genova non si sia degnato di salire le scale del Doria ». Può immaginare chi mi legge quale impressione ricevessi da questa breve letterina che mi raggiungeva dopo le altre, tutte im¬ sMvsm«q , prontate alla più aperta benevolenza. Dovetti scusarmi e spiegare l'incidente occorsomi. Qualche mese appresso, e precisamente il 12 ottobre, mi scrive di varie cose concludendo la sua lettera con queste precise parole: « Spero che passando da Genova non mi sfuggirà come ultra volta e che mi onorerà di una sua visita ». Lusingato prendo occasione da questo invito per telegrafargli che dovendo transitare da Bologna a Milano mi sarei permesso di arrivare a S. Agata a fargli visita. Mi risponde con lo stesso mezzo avvertendomi di scendere a Firenzuola, di chiederà d'un vetturale che nominava, il quale avrebbe avuto istruzioni in proposito. E percorsi la via passando da Villanova d'Arda — il piccolo Comune da Verdi beneficato — col tumulto nell'anima. Gli alti pioppi ed i platani del parco, ondulanti alla brezza vespertina, in quel sorridente pomeriggio autunnale, a mano a mano si disegnavano a' miei occhi con alterno ritmo verso l'azzurro del l'ampio orizzonte che segue la linea del Po sino a Cremona. Credetti sognare. « Ma è vero questo che mi accade? domandavo a me stesso. Ed eccomi al muro \ di cinta della Villa: eccomi innanzi al cancello. La carrozza, come per abitudine, si inoltra. Mi viene incontro l'inflessibile cameriere di Genova. Mi guarda: mi riconosce, sorride! Gli dico: « Sì, quello di sei mesi fa a Palazzo Doria ». — Ma che vuole — mi risponde — vien tanta gente che alle volte non si sa come regolarsi. — S'accomodi ». «Perchè farmi dare gli esami?» E mi conduce nel primo salotto, quello del bigliardo. « Vado ad avvertire il Maestro ». Per pochi momenti nella sala di passaggio aperta sullo sfondo e dalla quale scorgo altre più piccole sale, rimango solo. Quasi contuso mi guardo attorno. In realtà nulla che più specialmente attesti di Lui, sebbene tutto, ivi, dì Lui mi parli. Ad un tratto sento come un lieve ed affrettato calpestìo avanzarsi sul soffice tappeto. Il Maestro! La zazzera bianca spiovente sulla fronte ed in quella sua mise caratteristica: giacca di velluto nero, cravatta svolazzante. Mi viene incontro con fare amichevole e confidenziale. Gli bacio la bianca fredda mano con devoto trasporto. Si allieta di potermi conoscere di persona, tanto più — mi soggiunge — dopo l'incidente di Genova. E mi conduce nella sua ampia stanza terrena — da studio e da letto — dai panneggiamenti di giallo damasco. E' mezz'ottobre, ma il francklin è di già acceso. Mi fa sedere lì innanzi, collocandomi alla sua sinistra. La nostra conversazione — come ognuno può immaginare — in quella per me trepida ora di intima gioia, si aggira su vari argomenti di indole musicale. Incidentalmente anche sul fatto — ormai storico — della sua mancata ammissione al Conservatorio di Milano. Allora non conoscevo il documento pubblicato da Lodovico Corio nel 1908, cioè a dire il rapporto sul conto di Verdi inviato dal Censore del Conservatorio Francesco Basily, al conte Giuseppe Sorniani direttore del medesimo, niente affatto sfavorevole al giovane aspirante — come si volle asserire — se non per le riserve affacciate dal professore Angeleri intorno al modo con cui Verdi tenera la mano al pianoforte. Esso esattamente suona in questi termini: « in quanto alle composizioni che presentò come sue, sono I perfettamente d'accordo col sig. iPiantanida Maestro di contrappunto e vice Censore, che applicandosi esso con attenzione e pa¬ zienza alla cognizione delle regoledel contrappunto, potrà dirigere la propria fantasia che mostra di a vere, e quindi riuscire plausibilmente nella composizione ». Come ho già detto, ignorando l'esistenza di questo documento non potei che deplorare l'accadu-I to, non nuovo negli annali scola-Istici 1 Dissero — mi osservò il Mae- stro — che non mi poterono ammettere perchè straniero, cioè non cittadino lombardo-veneto. Ed allora perchè farmi sostenere l'esame? ». In questo, al certo, il Maestro aveva ragione. Resta però che all'onesta figura di Francesco Basily uomo ed artista, non si può attribuire la colpa di avere respinto Giuseppe Verdi dal Conservatorio o di non averne intuite le qualità superiori anche perchè le sue prime composizioni — checché ne dicano a posteriori taluni giudici — non rivelano nulla. Altrove, di recente, ho avuto occasione di ricordare che il libretto di Tosca creato da Giuseppe Giacosa e da Luigi Illica, in un primo tempo, era stato destinato ad Alberto Franchetti verso il quale Verdi — dopo il Colombo — si sentiva particolarmente incline. A Genova a Palazzo Doria ha luogo appunto la prima lettura del libretto da parte di Luigi Illica presenti Franchetti, Giacosa e Giulio Ricordi. Giunti alla scena ultima di Cavaradossi sulla spianata idei fortilizio di Castel Sant'Ange \ lo, alle parole « e lucevan le stelle », Verdi appare commosso; toglie di mano ad Illica il copione e rilegge silenziosamente quasi lacrimando. Franchetti in quel momento gli si accosta per domandargli « Lei Maestro, qui, ci farebbe una romanza? ». E Verdi restituendo il copione risponde: « Ci farei della mùsica! ». (Anche parlando italiano usava sempre l'ù lombardo). Di fare della musica si sarebbe egli preoccupato. Non disse forse un giorno al conte Arrivabene: « Nella musica vi è qualche cesa di più della melodìa.: qualche cosa di più dell'armonìa: dì è la musica! ». Il 2 giugno e l'8 dicembre 1898 al Conservatorio di Parma per gli alunni e... per il pubblico... ben disposto, organizzo due Esercitazioni eseguendo antiche musiche italiane. Dopo la seconda, ricevendo il programma, il Maestro mi scrive da Milano: «Grazie! Mi rallegro che in un'esercitazione musicale d'un Conservatorio italiano siasi eseguita musica italiana! E' una meraviglia! ». A Busseto Infatti; in quali scuole si pensava allora a siffatte esumazioni in senso diciamo così, nazionalista, culturale, ma soprattutto col proposito di rendere viva e vitale l'arte dei maggiori maestri del passato rivelandone i moti dell'anima e le recondite virtù spirituali? Per la fine di ottobre del 1900 dispongo onde l'orchestra del Conservatorio (47 alunni oltre alcuni professori ed ex-alunni) — un complesso di eccezione, come disse recentemente, ricordando, il Corriere Emiliano — abbia a recarsi a Busseto per un Concerto verdiano di beneficenza. Al mattino di quella domenica 28 ottobre che si annunciava lietissima e piena di sole, giungemmo alle Roncole ove, con reverenza, visitammo la poverissima Casa natale di Lui. Nel pomeriggio invitati da un biglietto del Maestro recapitatomi alle Roncole fin dal mattino, ci recammo tutti a S. Agata. Egli ci attendeva accogliendoci con la più schietta cordialità. Alla sera in teatro fra segni costanti e manifesti di entusiasmo (■ì bisl si svolse l'annunciato pro¬ , scopo di ringraziare il Maestro | della benevola accoglienza fatta a srramma iniziato con 1 sinfonia 3 fJÀ^ » £ ? °?n» sintonia dell'Oberto Conte di San Bum fa-rin e chiusa rnn nneiia ,ii i nini Miller q Interessante a ricordare: Ilde-Conte di San Botti/a-chiusa con quella di lattea a ricordare: Ildebrando Pizzetti alunno del Conservatorio diresse il preludio della Tnii'iufu e le Danze dei Vespri siciliani. Due settimane dopo il Concerto, vado di nuovo a S. Agata allo noi ed agli alunni medesimi in occasione della nostra gita a Busseto. Fu cltremodo cordiale ed espansivo in quel giorno che, pul¬ j troppo doveva essere l'ultimo in 1cui mi fosse concesso di avvici 1 narlo. Giovanni Tebaldini I iI I ii calco della mano del Maestro. RICORDI PERSONALI RICORDI PERSONALI Sono pochi, oramai, i superstiti che possono sentirsi confortati dal ricordo di aver avvicinato con qualche frequenza Giuseppe Verdi: d'aver avuto seco Lui intellettuale corrispondenza, di aver meritato la sua attenzione e di essersi intrattenuti più volte nella sua dimora, tanto a S. Agata che a Genova ed a Milano. Fra quei pochi — se pur degli ultinii — può trovar posto quegli il quale — con animo commosso detta queste memorie. Con animo commosso ripeto, an-che perchè, contro ogni mio me-1 rito, fu Lui il primo a cercarmi. Al « Minestron» di Ferravilla L'invio di una pubblicazione di carattere storico-musicale lo decise ad indirizzare al giovane poco più che trentenne — quale mi trovavo ad essere allora, mentre operavo in una limitata cerchia dedicandomi alla resurrezione della antica polifonia vocale — una prima lettera di elogio e di incoraggiamento. Per me un raggio di sole nel tenebrore di una vita quotidianamente faticosa, e per buona parte incompresa. Si era ai primi del 1896. Verdi, in quei giorni, pensava alla composizione dello Stabat Mater e del Te J>sit»i destinati ai Concerti dell'Opera di Parigi. Abbisognando di schiarimenti, di delucidazioni e di spiegazioni intorno al modo di interpretare e di trattare il testo di Jacopone da Todi e dell'Inno Ambrosiano, ricorse a me che per l'ufficio che rivestivo ero in grado di soddisfare il di Lui desiderio: quello di conoscere alcuni Te Deum di antichi maestri sui quali Egli affermava avere studiato da giovane. Per tal modo la nostra corrispondenza, da quel momento, divenne abbastanza assidua. Verdi! Con un desiderio ed un presentimento indistinti nell'animo l'aveva veduto per le prime volte a Milano nel!' inverno del 1884 nelle ore meridiane, quando stava per accedere alla Scala alle prove del Don Carlos presentato in seconda edizione. Ero studente al Conservatorio, e per soddisfare la febbrile ansia di arrivare a vedere il Maestro, con altri compagni, da più giorni salavo — come si dice in gergo scolastico — le lezioni letterarie meritandomi i rabbuffi del sig. Ispettore. Ma quale gioia in compenso, la soddisfazione di averLo finalmente veduto. Al momento del suo passaggio, come al passaggio del Re od innanzi al vessillo della Patria, io, ed i circostanti, levavamo il cappello in alto mirando alla sua imponente figura che si inoltrava verso l'entrata al palcoscenico. Poi alla prima di Don Carlos, dall'alto del loggione, quante volte evocato alla ribalta tra l'entusiasmo del pubblico e... nostro. Per una strana coincidenza, in una serata invernale di bufera — fra vento e neve — passo innanzi al Teatro Milanese situato in Corso V. E. all'Owi: de preja. Mi accorgo che Verdi e Boito scendono da una carrozza chiusa e che si inoltrano nel corridoio d'accesso al teatro stesso dove Edoardo Ferravilla, co' suoi spassosi compagni, si appresta a rappresentare Mine- i l n a e li stron, cioè a dire la caricatura dell Trovatore. Entro in teatro anch'io ed as-! Sisto allo spettacolo che desta ilarità irrefrenabile, specie quando! gli spettatori si accorgono della1 presenza del Maestro in un palchetto di prima fila. Passano oltre due anni da quell'episodio. Per la stagione 1886-87, alla Scala, è annunciata la prima li Idi Otello. A novembre, al popolare, o teatro Fossati di corso Garibaldi, — il Teatro riservato all'operetta n-— l'attore Ettore Paladini (e nese-|suno indovina il perchè) mette in 1 scena l'Otello di Shakespeare. Dopo due o tre riprese il pubblico del Boccaccio e delle Campane di Cor i. a di io oea igdi a i, el i i di r o : e i a a o, n e el o e n al a e a e ni fi a di oal so a al s, e an — zi rco si al ai, e- neville diserta il teatro. E Paladini continua a dare Otello. Al Fossati? Perchè mai? In un palco ogni sera in atto di studiare attentamente il personaggio, per coglierne i moti dell'anima, vi assiste Francesco Tamagno, il celebre tenore designato a primo interprete protagonista della nuova opera di Verdi. E Luigi Illica, con la sua penetrante facondia, gli fa da guida e da mentore. Lontano da Milano non mi è dato di poter assistere alla prima dell'Otello verdiano che leggo avidamente al piano, mentre con la fantasia e col desiderio mi indugio ad accarezzare il proposito di riuscire ad avvicinare il grande Maestro, di poterlo conoscere, di potergli parlare. Ma passano altri otto anni; solcati però dal raggio giocondo che si sprigiona dalla deliziosa partitura di Falstaff. Quando... inattesa... improvvisa, in data 21 giugno 1894 mi perviene richiesta da Giulio Ricordi di volergli fornire spunti di Canzoni e Danze popolari greco-veneziane del 1400-1600». «Farebbe un vero', favore al M" Verdi » mi scrive l'illustre editore. Da quel momento mi sento infervorato e fiducioso, e da questo primo indiretto accostamento — come ho ricordato più sopra — indotto ad inviare al Maestro un mio volume di storia della Cappella Antoniana di Padova. Egli mi ringrazia benevolmente: troppo benevolmente. Così si inizia la nostra corrispondenza. Vederlo, avvicinarlo Ma il sogno mio assillante, era quello di riuscire ad avvicinarlo. Nel maggio 1897, in una radiosa giornata primaverile lo incontro in Galleria Mazzini a Genova. Malgrado mi dovessi sentire incoraggiato dalla relazione epistolare con Lui già avviata, non ho l'ardire di dichiararmi. Lo seguo sino a Palazzo Doria. Salgo trepidante l'ampio scalone; mi accosto all'ap-, fartamento, suono il campanello, i 1 cameriere si rifiuta di annun-j ciarmi, cosi di accettare la miai carta da visita; ma il portinaio, i meno cerbero, si incarica di questo. Il Maestro — ricevuto il mio biglietto, ignaro dell'accaduto, immediatamente mi scrive: « E mi spìacque che Ella passando da Genova non si sia degnato di salire le scale del Doria ». Può immaginare chi mi legge quale impressione ricevessi da questa breve letterina che mi raggiungeva dopo le altre, tutte im¬ sMvsm«q , prontate alla più aperta benevolenza. Dovetti scusarmi e spiegare l'incidente occorsomi. Qualche mese appresso, e precisamente il 12 ottobre, mi scrive di varie cose concludendo la sua lettera con queste precise parole: « Spero che passando da Genova non mi sfuggirà come ultra volta e che mi onorerà di una sua visita ». Lusingato prendo occasione da questo invito per telegrafargli che dovendo transitare da Bologna a Milano mi sarei permesso di arrivare a S. Agata a fargli visita. Mi risponde con lo stesso mezzo avvertendomi di scendere a Firenzuola, di chiederà d'un vetturale che nominava, il quale avrebbe avuto istruzioni in proposito. E percorsi la via passando da Villanova d'Arda — il piccolo Comune da Verdi beneficato — col tumulto nell'anima. Gli alti pioppi ed i platani del parco, ondulanti alla brezza vespertina, in quel sorridente pomeriggio autunnale, a mano a mano si disegnavano a' miei occhi con alterno ritmo verso l'azzurro del l'ampio orizzonte che segue la linea del Po sino a Cremona. Credetti sognare. « Ma è vero questo che mi accade? domandavo a me stesso. Ed eccomi al muro \ di cinta della Villa: eccomi innanzi al cancello. La carrozza, come per abitudine, si inoltra. Mi viene incontro l'inflessibile cameriere di Genova. Mi guarda: mi riconosce, sorride! Gli dico: « Sì, quello di sei mesi fa a Palazzo Doria ». — Ma che vuole — mi risponde — vien tanta gente che alle volte non si sa come regolarsi. — S'accomodi ». «Perchè farmi dare gli esami?» E mi conduce nel primo salotto, quello del bigliardo. « Vado ad avvertire il Maestro ». Per pochi momenti nella sala di passaggio aperta sullo sfondo e dalla quale scorgo altre più piccole sale, rimango solo. Quasi contuso mi guardo attorno. In realtà nulla che più specialmente attesti di Lui, sebbene tutto, ivi, dì Lui mi parli. Ad un tratto sento come un lieve ed affrettato calpestìo avanzarsi sul soffice tappeto. Il Maestro! La zazzera bianca spiovente sulla fronte ed in quella sua mise caratteristica: giacca di velluto nero, cravatta svolazzante. Mi viene incontro con fare amichevole e confidenziale. Gli bacio la bianca fredda mano con devoto trasporto. Si allieta di potermi conoscere di persona, tanto più — mi soggiunge — dopo l'incidente di Genova. E mi conduce nella sua ampia stanza terrena — da studio e da letto — dai panneggiamenti di giallo damasco. E' mezz'ottobre, ma il francklin è di già acceso. Mi fa sedere lì innanzi, collocandomi alla sua sinistra. La nostra conversazione — come ognuno può immaginare — in quella per me trepida ora di intima gioia, si aggira su vari argomenti di indole musicale. Incidentalmente anche sul fatto — ormai storico — della sua mancata ammissione al Conservatorio di Milano. Allora non conoscevo il documento pubblicato da Lodovico Corio nel 1908, cioè a dire il rapporto sul conto di Verdi inviato dal Censore del Conservatorio Francesco Basily, al conte Giuseppe Sorniani direttore del medesimo, niente affatto sfavorevole al giovane aspirante — come si volle asserire — se non per le riserve affacciate dal professore Angeleri intorno al modo con cui Verdi tenera la mano al pianoforte. Esso esattamente suona in questi termini: « in quanto alle composizioni che presentò come sue, sono I perfettamente d'accordo col sig. iPiantanida Maestro di contrappunto e vice Censore, che applicandosi esso con attenzione e pa¬ zienza alla cognizione delle regoledel contrappunto, potrà dirigere la propria fantasia che mostra di a vere, e quindi riuscire plausibilmente nella composizione ». Come ho già detto, ignorando l'esistenza di questo documento non potei che deplorare l'accadu-I to, non nuovo negli annali scola-Istici 1 Dissero — mi osservò il Mae- stro — che non mi poterono ammettere perchè straniero, cioè non cittadino lombardo-veneto. Ed allora perchè farmi sostenere l'esame? ». In questo, al certo, il Maestro aveva ragione. Resta però che all'onesta figura di Francesco Basily uomo ed artista, non si può attribuire la colpa di avere respinto Giuseppe Verdi dal Conservatorio o di non averne intuite le qualità superiori anche perchè le sue prime composizioni — checché ne dicano a posteriori taluni giudici — non rivelano nulla. Altrove, di recente, ho avuto occasione di ricordare che il libretto di Tosca creato da Giuseppe Giacosa e da Luigi Illica, in un primo tempo, era stato destinato ad Alberto Franchetti verso il quale Verdi — dopo il Colombo — si sentiva particolarmente incline. A Genova a Palazzo Doria ha luogo appunto la prima lettura del libretto da parte di Luigi Illica presenti Franchetti, Giacosa e Giulio Ricordi. Giunti alla scena ultima di Cavaradossi sulla spianata idei fortilizio di Castel Sant'Ange \ lo, alle parole « e lucevan le stelle », Verdi appare commosso; toglie di mano ad Illica il copione e rilegge silenziosamente quasi lacrimando. Franchetti in quel momento gli si accosta per domandargli « Lei Maestro, qui, ci farebbe una romanza? ». E Verdi restituendo il copione risponde: « Ci farei della mùsica! ». (Anche parlando italiano usava sempre l'ù lombardo). Di fare della musica si sarebbe egli preoccupato. Non disse forse un giorno al conte Arrivabene: « Nella musica vi è qualche cesa di più della melodìa.: qualche cosa di più dell'armonìa: dì è la musica! ». Il 2 giugno e l'8 dicembre 1898 al Conservatorio di Parma per gli alunni e... per il pubblico... ben disposto, organizzo due Esercitazioni eseguendo antiche musiche italiane. Dopo la seconda, ricevendo il programma, il Maestro mi scrive da Milano: «Grazie! Mi rallegro che in un'esercitazione musicale d'un Conservatorio italiano siasi eseguita musica italiana! E' una meraviglia! ». A Busseto Infatti; in quali scuole si pensava allora a siffatte esumazioni in senso diciamo così, nazionalista, culturale, ma soprattutto col proposito di rendere viva e vitale l'arte dei maggiori maestri del passato rivelandone i moti dell'anima e le recondite virtù spirituali? Per la fine di ottobre del 1900 dispongo onde l'orchestra del Conservatorio (47 alunni oltre alcuni professori ed ex-alunni) — un complesso di eccezione, come disse recentemente, ricordando, il Corriere Emiliano — abbia a recarsi a Busseto per un Concerto verdiano di beneficenza. Al mattino di quella domenica 28 ottobre che si annunciava lietissima e piena di sole, giungemmo alle Roncole ove, con reverenza, visitammo la poverissima Casa natale di Lui. Nel pomeriggio invitati da un biglietto del Maestro recapitatomi alle Roncole fin dal mattino, ci recammo tutti a S. Agata. Egli ci attendeva accogliendoci con la più schietta cordialità. Alla sera in teatro fra segni costanti e manifesti di entusiasmo (■ì bisl si svolse l'annunciato pro¬ , scopo di ringraziare il Maestro | della benevola accoglienza fatta a srramma iniziato con 1 sinfonia 3 fJÀ^ » £ ? °?n» sintonia dell'Oberto Conte di San Bum fa-rin e chiusa rnn nneiia ,ii i nini Miller q Interessante a ricordare: Ilde-Conte di San Botti/a-chiusa con quella di lattea a ricordare: Ildebrando Pizzetti alunno del Conservatorio diresse il preludio della Tnii'iufu e le Danze dei Vespri siciliani. Due settimane dopo il Concerto, vado di nuovo a S. Agata allo noi ed agli alunni medesimi in occasione della nostra gita a Busseto. Fu cltremodo cordiale ed espansivo in quel giorno che, pul¬ j troppo doveva essere l'ultimo in 1cui mi fosse concesso di avvici 1 narlo. Giovanni Tebaldini I iI I ii calco della mano del Maestro.