I sommergibili italiani nei mari preartici

I sommergibili italiani nei mari preartici Grossa sorpresa per la marina inglese I sommergibili italiani nei mari preartici L'affondamento di una petroliera e di un incrociatore ausiliario nel racconto di un marinaio reduce da quelle gelide acque e da quelle imprese (da uno dei nostri inviati) Gruppo sommergibili Y, gennaio. Con le operazioni di cui un laconico recente comunicato Stefani ha dato sobriamente conto, la flotta sottomarina italiana ha aggiunto un altro stupendo primato alla propria formidabile efficienza. I nostri sommergibili della squadra oceanica che combattono sincronizzati con le eroiche unità subacquee tedesche, si sono spinti ad intercettare il traffico inglese sino alle estreme zone preartiche dell'Atlantico, a latitudini non ancora toccate da nessun altro sommergibile del mondo, e su rotte gelate e tremende dove i commodori dei convogli nemici non pensavano certo di dover aggiungere, a quelli di una navigazione difficile, i rischi mortali degli agguati che han già dato più d'una vittoria ai sommergibilisti italiani. Le sorprese del Mar Rosso Un giorno io ho scritto la cronaca delle sublimi avventure dei nostri sommergibili operanti in Mar Rosso: dove gli Ammiragliati inglese e francese in perfetta sintonia avevano escluso ogni possibilità di impiego per le unità subacquee, traendone le relative conseguenze, i nostri sommergibilisti si sono prodigati in missioni di cui tutta l'insanguinata grandezza si potrà sapere soltanto a guerra finita. In Mar Rosso, i nostri sommergibili hanno silurato due navi da guerra, hanno affondato circa trentamila tonnellate di naviglio mercantile: cifre che non fanno colpo sui superficiali, sugli strateghi da ora del chilo; ma in quell'inferno liquido dove le temperature più pazze, l'idrografia più insidiosa, l'aria bollente, sono tormenti di tutti i giorni, di tutte le ore, di tutti i minuti, i nostri sommergibili hanno raggiunto vittorie altrettanto sostanziali di quelle espresse nelle cifre brillanti degli affondamenti. In Mar Rosso, e l'altra volta omisi questo dato, l'Ammiragliato inglese ha dovuto rifare tutti i suoi calcoli, capovolgere addirittura il suo piano tattico, imbottire di unità da guerra — fatte affannosamente accorrere dal Mare del Nord — le sue basi kadramutine: perchè sino al giorno che una coppia di siluri non spaccò in due una grossa petroliera della ShellLine, gli strateghi della Great Fleet non avevano dato importanza alla presenza dei soìnmergibili italiani su quelle rotte. Ne è divenuto che gli inglesi credevano di poter avere in Mar Rosso libero e fluido traffico, ed invece sono stati costretti a ricorrere anche laggiù al sistema dei coninogli, più lento, più costoso, e che richiede l'usura di navi facilmente usurabili come sono i cacciatoi pedinicre. Credevano inoltre gli inglesi di poter devolvere a proprio profitto quella flotta torbida di velieri, di sciabecchi, veterana di tutti i traffici loschi, di tutti i più orribili contrabbandi, navi senza bandiera e senza nome che avevano conosciuto la piccola sanguinosa pirateria, e lo stivamentò della carne umana razziata nell'Etiopia del Negus e portata a vendere sui mercati arabi di schiavi; l'Ammiraglio di Aden aveva fatto conto su questi ignobili alleati mercenari, per assolvere alle esigenze del piccolo traffico costiero. Ed invece è bastato che un paio di queste /uste sinistre fosse sventrato ed inabissato, fra il tripudio osceno dei pescecani, dalle cannonate dei nostri sommergibili, perchè le ciurme vieticele, more, e levantine (quanti greci al timone di quelle navi da delitto!), si rifiutassero ad un cabotaggio così pericoloso, oppure in casi sporadici lo accettassero ma a prezzi favolosi di noleggio. Così, gli inglesi avevano pensato che i loro incrociatori avrebbero potuto andare su e giù lungo le nostre coste somale ed eritree, facilmente, irrorandole di cannonate dalle loro torri trinate. Le navi di superficie italiane che si fossero opposte a queste scorrerie sarebbero state sopraffatte. Ma quando — secondo la precisa enunciazione dei nostri bollettini e le stesse ammissioni di Londra — i nostri sommergibili si sono buttati allo sbaraglio a bloccare queste incursioni ed hanno silurato due incrociatori nel giro di un mese, anche questo impiego delle unità inglesi si è rarefatto, è diventato cauteloso, ha richiesto l'orlatura di scorte preziose su, altri fronti marini... Ed ora, lassù, ne! Nord Bisognerà tener calcolo di tutto questo, in sede di bilancio storico della guerra. E adesso, i sommergibili italiani, fantasticamente, e — pensate! — in pieno inverno, han lambito con la loro offesa mortale i mari ghiacciati del Nord: sconquassando ancora una volta i piani dell'Ammiragliato nemico, che aveva sempre avviato su. quella rotta — ritenuta la più quieta e la meno insidiata da minacele belliche —■ carichi particolarmente preziosi, senza troppo dispendio di scorte, di convogli, di rastrellamenti. Questo debutto delle nostre eroiche unità subacquee in una zona inedita nella storia della guerra sottomarina, difficilmente, almeno durante questa stagione, darà ai nostri bollettini qnotitlìani cifre entusiasmanti: ma ha già toccato una (/rande efficace vittoria, poiché certo ha costretto la spola inglese fra Stati Uniti e l'isola britannica, a. dirottare, a navigare descrivendo curve invece che rette, a proteggersi, a scortarsi, moltiplicando così i costi, c quel che più importa raddoppiando i tempi della navigazione. E', poi, un'altra zona passata al presidio del blocco anti-inglese dell'Asse. Queste considerazioni mi sono state suggerite dai racconti che m'ha fatto un marinaio stasera (eravamo seduti su un vagoncino della ferrovietta dei siluri, sulla banchina, e ai barlumi di un chiarore lattiginoso vedevamo il mio bel sommergibile dondolarsi con la frequenza dì un pendolo), dai racconti semplici — ma un po' emozionanti, — delle missioni compiute in Oceano a bordo della sua unità. Un personaggio straordinario, chi raccontava: il marinaio siturista Alfonso D'Ambrosio; venuto in licenza dalla sua base atlantica, proprio oggi per la prima volta s'era fatto cucire sul petto il nastrino d'una medaglia al valore. Era così felice, da parere che gli avessero cucito sul cuore un lembo di cielo e non un pezzetto di seta azzurra. Con noi c'erano altri due marinai di quel sommergibile, unch'essi venuti in licenza; anch'essi che sottraevano alla famiglia, agli svaghi, all'innamorata, qualche ora, per passarla qui, sulla pietra unta della banchina, nella sera fredda e secca. Gli è che da questa banchina, proprio da questo punto d'ormeggio numero 8, essi sono partiti un giorno di settembre per la grande avventura che fu il forzamento del munitissìmo Stretto di Gibilterra. Raramente uomo di guerra è salpato così, verso l'ignoto d'una intrepida impresa, come quel (/ionio i marinili del sommergibile D., che cantavano. In coro. Con una solennità che era nello stesso tempo mistica e festosa, mentre gli ordini di manovra del comandante erano come brividi nella piana melodia di quel canto. Da bordo delle grandi navi, dalla nostra banchina, dai moli, scoppiò un applauso frenetico, attraversa- to dai fischi lunghi dei nostro mi, e noi gridavamo a Arriveder-ci, arrivederci! v>, con fede infini- la, indugiando con lo sguardo su ogni loro volto, e come un lami .• ci sgorgava dal cuore una grande preghiera, che il Signore desse loro la grazia della Vittoria e del ritorno!... E stasera, il marinalo sili/rista D'Ambrosio, racconta... Con casta modestia, non le proprie prodezze, ma quelle del suo comandante, ma appunto l'impresa del sommergibile battezzato col nome glorioso d'un Doge, l'impresa nel mare gelato, su a nord, a nord, verso l'Islanda, sopra'i «.meridiani candidi », nei mari di ghiaccio, paurosi e segreti. Il nostro bollettino ha dato conto a suo tempo delle ventimila tonnellate di unvtgllo nemico affondate da questo sommergibile comandato dal capitano di corvetta R. B., torinese. Io stesso compresi le sue vittorie in una di queste mie cronache della guerra sottomarina. Ma stasera, che altro gusto, che potente efficacia ha il racconto raccolto dalla x'oce viva del protagonisti, ed ingigantito dal particolare inedito che i vittoriosi azzardi sono stati realizzati in quei mari tremendi che soltanto oi/r/i gli italiani sanno essere solcati dai nostri sommergibili. Fu a mezzanotte e un quarto — Alle due dopo mezzanotte... Il marinalo D'Ambrosio racconta. Ma le voci dei suoi due compagni sorgono dal buio a protestare: — Prima la petroliera. Racconta il fatto della petroliera... — E allora il fatto della pctroleira — accetta docile D'Ambrosio — fu a mezzanotte menò un quarto... Una sera, il sommergibile D. era in emersione, dalla torretta le vedette segnalarono qualcosa in vista, molto lontano. Da quel momento quel «qualcosa» fu afferrato nel campo dei binoccoli, non fu « mollato » più. Un freddo tragico. Gli uomini sulla torretta avevano i cappotti di triplice spessore: pelle, panno, vello di pecora non sgrassato; un indumeni li telligente e prezioso studiato i >>positumente (dal servizio di commissariato del comando in capo dei sommergibili) per la guerra sottomarina a quelle latitudini. Ogni tanto un sorso di caffè e riunii bollente. Ogni tanto una giràndola delle braccia, una ginnastica violenta e grottesca. Colpi di mare. E ghiacci alla deriva.' Non ne videro, ma ci potevano essere sulla rotta anche quelle perfide « mine fredde » che sono in quei mari i ghiacci alla deriva. E le labbra erano secche e dure come pezzi di suola. E le mani pur nei guantoni di pelo erano grevi: pezzi di piombo. A borda, in via sperimentale, erano state poste in opera mille piccole provvidenze. Doie nessuno al mondo credeva che i sommergibili avrebbero potuto resistere alla pratica di guerra In Mai Rosso, quelli italiani avevano resistito. Occorreva far vedere che i sommergibili italiani avrebbero resistito ad un linptcìin efficucc anche lassù dove soltanto puntai* in pattuglia di arditissime unità tedesche erano arrivate a far la guerra d'agguato. Alle 23,25, quel « qualcosa » sembrò accostare in rotta di collisione. Dopo pochi minuti, l'ombra aveva stagliato i suoi contorni, s'era rivelata per una grossa petroliera, di dodicimila tonnellate, carica, armata. La sua navigazione non era penosa: chi sa clic bel caldo nelle confortevoli cabine degli inglesi! A mezzanotte meno un quarto, il comandante con prodigio di ma- inovra era arrivato senza essere scorto ad 800 metri dalla nave ne mica. — Fuori il N. 8! — ordinò il coni itudiinte all'interfonico. — Fuori il N. 8 — ripetettero da prua. Il siluro da S33 guizzò argenteo nel mare. Pochi istanti. Poi il rombo, un crepitio di schianti, tanto fumo, tanto fumo... L'equipaggio della petroliera aveva messo le barche di salva taggio a mare - si vedevano gli uomini che si calavano giù con cavi dalla nave che sprofondava. Sarebbe stato facile ai sommergibi listi falciare con le mitragliatrici quei gruppi di nomini terrorizzati che urlavano, scomposti al remo sbigottiti d'aver incontrato un sommergibile dove era fama nella marina di sua maestà britannica che sommergibili non si potes sera incontrare. Un lampo, la luce d'una lam pada ad accumulatore proiettata sulla bandiera di combattimento vedessero che gli affondatoti erano italiani. Dopo dieci minuti il mure ingoiò anche le soprastrutture della petroliera, il gorgo si avvitò su se stesso. Ed era finita. Gli scampati arrancavano verso sud: una spiaggia, non era tanto lontana che non potessero raggiungerla. — Alle due dopo mezzanotte — ridisse D'Ambrosio, e questa volta i compagni non lo interruppero. Due giorni dopo, il secondo colpo Alle due d»po mezzanotte, pochi giorni dopo, il sommergibile D. « incocciò» un piroscafo armato di circa 8 mila tonnellate. Era un incrociatore ausiliario: veniva di prora a dritta. Tanto vicino, quando fu scorto nella notte gelida, che si potevano contare benissimo b pezzi a prua ed altrettanti a poppa, ma leggeri: artiglieria da 75 millimetri. Questa volta toccò al tubo N. 4 avventare il siluro. I marinai, avevano avuto cure infinite per tutti i loro congegni: a quella latitudine, con quelle temperature prepolari, occorreva vigilare assiduanidite la lubrificazione, gli snodamenti, la manutenzione dei coli¬ 1gémi, \ Siluro da 533 del tubo Nr li. Sel l cento metri di distaila»; entusia smunte! Sultarono in aria le caldaie dei grosso piroscafo, sùbito. Si inabissò in pochi secondi: il mare Ingoiò le due metà nelle quali s'era spaccato, Ingoiò l'incendio colossale che lo divorava. Istanti. E niente rimase sili mare, niente, nemmeno un salvagente. Gli uomini di quel piroscafo era no casi sicuri su quel mare di ghiaccio fuso, che probabilmente non avevano attivati i turni di guardia-, e a bordò tenevano persino un fanale acceso. Un curioso fanale dalla luce livida, gialla, pareva un lampione, a poppa: seguitò a restare acceso sino all'ultimo anche quando era evidènte "chèormai il piroscafo non era più c«enna immensa bara incandescente, — Poi un giorno siamo ritornati atto base lontana, abbiamo fatto un'ultra missione. Adesso ci hanno mandati in licenza — ha concluso D'Ambrosio. ■— Quando ritorneremo <•< là » faremo qualche altra cosa importante — ha detto uno dei due suoi compaejni. — Ma adesso è tardi, andiamo a casa — ha soggiunto. D'Ambrosio volle aggiungere un altro particolare: — Ah, quella notte, la notte del piroscafo, la bandiera in torretta il gelo l'aveva indurita, faTta diventare come di latta Buona notte, arrivederci domani! Cominciava a piovere, io rientravo svelto nella casermetta, i loro passi si morzarono nel buio oltre le garitte delle sentinelle. Attilio Crepas I sommergibili italiani nei mari preartici Grossa sorpresa per la marina inglese I sommergibili italiani nei mari preartici L'affondamento di una petroliera e di un incrociatore ausiliario nel racconto di un marinaio reduce da quelle gelide acque e da quelle imprese (da uno dei nostri inviati) Gruppo sommergibili Y, gennaio. Con le operazioni di cui un laconico recente comunicato Stefani ha dato sobriamente conto, la flotta sottomarina italiana ha aggiunto un altro stupendo primato alla propria formidabile efficienza. I nostri sommergibili della squadra oceanica che combattono sincronizzati con le eroiche unità subacquee tedesche, si sono spinti ad intercettare il traffico inglese sino alle estreme zone preartiche dell'Atlantico, a latitudini non ancora toccate da nessun altro sommergibile del mondo, e su rotte gelate e tremende dove i commodori dei convogli nemici non pensavano certo di dover aggiungere, a quelli di una navigazione difficile, i rischi mortali degli agguati che han già dato più d'una vittoria ai sommergibilisti italiani. Le sorprese del Mar Rosso Un giorno io ho scritto la cronaca delle sublimi avventure dei nostri sommergibili operanti in Mar Rosso: dove gli Ammiragliati inglese e francese in perfetta sintonia avevano escluso ogni possibilità di impiego per le unità subacquee, traendone le relative conseguenze, i nostri sommergibilisti si sono prodigati in missioni di cui tutta l'insanguinata grandezza si potrà sapere soltanto a guerra finita. In Mar Rosso, i nostri sommergibili hanno silurato due navi da guerra, hanno affondato circa trentamila tonnellate di naviglio mercantile: cifre che non fanno colpo sui superficiali, sugli strateghi da ora del chilo; ma in quell'inferno liquido dove le temperature più pazze, l'idrografia più insidiosa, l'aria bollente, sono tormenti di tutti i giorni, di tutte le ore, di tutti i minuti, i nostri sommergibili hanno raggiunto vittorie altrettanto sostanziali di quelle espresse nelle cifre brillanti degli affondamenti. In Mar Rosso, e l'altra volta omisi questo dato, l'Ammiragliato inglese ha dovuto rifare tutti i suoi calcoli, capovolgere addirittura il suo piano tattico, imbottire di unità da guerra — fatte affannosamente accorrere dal Mare del Nord — le sue basi kadramutine: perchè sino al giorno che una coppia di siluri non spaccò in due una grossa petroliera della ShellLine, gli strateghi della Great Fleet non avevano dato importanza alla presenza dei soìnmergibili italiani su quelle rotte. Ne è divenuto che gli inglesi credevano di poter avere in Mar Rosso libero e fluido traffico, ed invece sono stati costretti a ricorrere anche laggiù al sistema dei coninogli, più lento, più costoso, e che richiede l'usura di navi facilmente usurabili come sono i cacciatoi pedinicre. Credevano inoltre gli inglesi di poter devolvere a proprio profitto quella flotta torbida di velieri, di sciabecchi, veterana di tutti i traffici loschi, di tutti i più orribili contrabbandi, navi senza bandiera e senza nome che avevano conosciuto la piccola sanguinosa pirateria, e lo stivamentò della carne umana razziata nell'Etiopia del Negus e portata a vendere sui mercati arabi di schiavi; l'Ammiraglio di Aden aveva fatto conto su questi ignobili alleati mercenari, per assolvere alle esigenze del piccolo traffico costiero. Ed invece è bastato che un paio di queste /uste sinistre fosse sventrato ed inabissato, fra il tripudio osceno dei pescecani, dalle cannonate dei nostri sommergibili, perchè le ciurme vieticele, more, e levantine (quanti greci al timone di quelle navi da delitto!), si rifiutassero ad un cabotaggio così pericoloso, oppure in casi sporadici lo accettassero ma a prezzi favolosi di noleggio. Così, gli inglesi avevano pensato che i loro incrociatori avrebbero potuto andare su e giù lungo le nostre coste somale ed eritree, facilmente, irrorandole di cannonate dalle loro torri trinate. Le navi di superficie italiane che si fossero opposte a queste scorrerie sarebbero state sopraffatte. Ma quando — secondo la precisa enunciazione dei nostri bollettini e le stesse ammissioni di Londra — i nostri sommergibili si sono buttati allo sbaraglio a bloccare queste incursioni ed hanno silurato due incrociatori nel giro di un mese, anche questo impiego delle unità inglesi si è rarefatto, è diventato cauteloso, ha richiesto l'orlatura di scorte preziose su, altri fronti marini... Ed ora, lassù, ne! Nord Bisognerà tener calcolo di tutto questo, in sede di bilancio storico della guerra. E adesso, i sommergibili italiani, fantasticamente, e — pensate! — in pieno inverno, han lambito con la loro offesa mortale i mari ghiacciati del Nord: sconquassando ancora una volta i piani dell'Ammiragliato nemico, che aveva sempre avviato su. quella rotta — ritenuta la più quieta e la meno insidiata da minacele belliche —■ carichi particolarmente preziosi, senza troppo dispendio di scorte, di convogli, di rastrellamenti. Questo debutto delle nostre eroiche unità subacquee in una zona inedita nella storia della guerra sottomarina, difficilmente, almeno durante questa stagione, darà ai nostri bollettini qnotitlìani cifre entusiasmanti: ma ha già toccato una (/rande efficace vittoria, poiché certo ha costretto la spola inglese fra Stati Uniti e l'isola britannica, a. dirottare, a navigare descrivendo curve invece che rette, a proteggersi, a scortarsi, moltiplicando così i costi, c quel che più importa raddoppiando i tempi della navigazione. E', poi, un'altra zona passata al presidio del blocco anti-inglese dell'Asse. Queste considerazioni mi sono state suggerite dai racconti che m'ha fatto un marinaio stasera (eravamo seduti su un vagoncino della ferrovietta dei siluri, sulla banchina, e ai barlumi di un chiarore lattiginoso vedevamo il mio bel sommergibile dondolarsi con la frequenza dì un pendolo), dai racconti semplici — ma un po' emozionanti, — delle missioni compiute in Oceano a bordo della sua unità. Un personaggio straordinario, chi raccontava: il marinaio siturista Alfonso D'Ambrosio; venuto in licenza dalla sua base atlantica, proprio oggi per la prima volta s'era fatto cucire sul petto il nastrino d'una medaglia al valore. Era così felice, da parere che gli avessero cucito sul cuore un lembo di cielo e non un pezzetto di seta azzurra. Con noi c'erano altri due marinai di quel sommergibile, unch'essi venuti in licenza; anch'essi che sottraevano alla famiglia, agli svaghi, all'innamorata, qualche ora, per passarla qui, sulla pietra unta della banchina, nella sera fredda e secca. Gli è che da questa banchina, proprio da questo punto d'ormeggio numero 8, essi sono partiti un giorno di settembre per la grande avventura che fu il forzamento del munitissìmo Stretto di Gibilterra. Raramente uomo di guerra è salpato così, verso l'ignoto d'una intrepida impresa, come quel (/ionio i marinili del sommergibile D., che cantavano. In coro. Con una solennità che era nello stesso tempo mistica e festosa, mentre gli ordini di manovra del comandante erano come brividi nella piana melodia di quel canto. Da bordo delle grandi navi, dalla nostra banchina, dai moli, scoppiò un applauso frenetico, attraversa- to dai fischi lunghi dei nostro mi, e noi gridavamo a Arriveder-ci, arrivederci! v>, con fede infini- la, indugiando con lo sguardo su ogni loro volto, e come un lami .• ci sgorgava dal cuore una grande preghiera, che il Signore desse loro la grazia della Vittoria e del ritorno!... E stasera, il marinalo sili/rista D'Ambrosio, racconta... Con casta modestia, non le proprie prodezze, ma quelle del suo comandante, ma appunto l'impresa del sommergibile battezzato col nome glorioso d'un Doge, l'impresa nel mare gelato, su a nord, a nord, verso l'Islanda, sopra'i «.meridiani candidi », nei mari di ghiaccio, paurosi e segreti. Il nostro bollettino ha dato conto a suo tempo delle ventimila tonnellate di unvtgllo nemico affondate da questo sommergibile comandato dal capitano di corvetta R. B., torinese. Io stesso compresi le sue vittorie in una di queste mie cronache della guerra sottomarina. Ma stasera, che altro gusto, che potente efficacia ha il racconto raccolto dalla x'oce viva del protagonisti, ed ingigantito dal particolare inedito che i vittoriosi azzardi sono stati realizzati in quei mari tremendi che soltanto oi/r/i gli italiani sanno essere solcati dai nostri sommergibili. Fu a mezzanotte e un quarto — Alle due dopo mezzanotte... Il marinalo D'Ambrosio racconta. Ma le voci dei suoi due compagni sorgono dal buio a protestare: — Prima la petroliera. Racconta il fatto della petroliera... — E allora il fatto della pctroleira — accetta docile D'Ambrosio — fu a mezzanotte menò un quarto... Una sera, il sommergibile D. era in emersione, dalla torretta le vedette segnalarono qualcosa in vista, molto lontano. Da quel momento quel «qualcosa» fu afferrato nel campo dei binoccoli, non fu « mollato » più. Un freddo tragico. Gli uomini sulla torretta avevano i cappotti di triplice spessore: pelle, panno, vello di pecora non sgrassato; un indumeni li telligente e prezioso studiato i >>positumente (dal servizio di commissariato del comando in capo dei sommergibili) per la guerra sottomarina a quelle latitudini. Ogni tanto un sorso di caffè e riunii bollente. Ogni tanto una giràndola delle braccia, una ginnastica violenta e grottesca. Colpi di mare. E ghiacci alla deriva.' Non ne videro, ma ci potevano essere sulla rotta anche quelle perfide « mine fredde » che sono in quei mari i ghiacci alla deriva. E le labbra erano secche e dure come pezzi di suola. E le mani pur nei guantoni di pelo erano grevi: pezzi di piombo. A borda, in via sperimentale, erano state poste in opera mille piccole provvidenze. Doie nessuno al mondo credeva che i sommergibili avrebbero potuto resistere alla pratica di guerra In Mai Rosso, quelli italiani avevano resistito. Occorreva far vedere che i sommergibili italiani avrebbero resistito ad un linptcìin efficucc anche lassù dove soltanto puntai* in pattuglia di arditissime unità tedesche erano arrivate a far la guerra d'agguato. Alle 23,25, quel « qualcosa » sembrò accostare in rotta di collisione. Dopo pochi minuti, l'ombra aveva stagliato i suoi contorni, s'era rivelata per una grossa petroliera, di dodicimila tonnellate, carica, armata. La sua navigazione non era penosa: chi sa clic bel caldo nelle confortevoli cabine degli inglesi! A mezzanotte meno un quarto, il comandante con prodigio di ma- inovra era arrivato senza essere scorto ad 800 metri dalla nave ne mica. — Fuori il N. 8! — ordinò il coni itudiinte all'interfonico. — Fuori il N. 8 — ripetettero da prua. Il siluro da S33 guizzò argenteo nel mare. Pochi istanti. Poi il rombo, un crepitio di schianti, tanto fumo, tanto fumo... L'equipaggio della petroliera aveva messo le barche di salva taggio a mare - si vedevano gli uomini che si calavano giù con cavi dalla nave che sprofondava. Sarebbe stato facile ai sommergibi listi falciare con le mitragliatrici quei gruppi di nomini terrorizzati che urlavano, scomposti al remo sbigottiti d'aver incontrato un sommergibile dove era fama nella marina di sua maestà britannica che sommergibili non si potes sera incontrare. Un lampo, la luce d'una lam pada ad accumulatore proiettata sulla bandiera di combattimento vedessero che gli affondatoti erano italiani. Dopo dieci minuti il mure ingoiò anche le soprastrutture della petroliera, il gorgo si avvitò su se stesso. Ed era finita. Gli scampati arrancavano verso sud: una spiaggia, non era tanto lontana che non potessero raggiungerla. — Alle due dopo mezzanotte — ridisse D'Ambrosio, e questa volta i compagni non lo interruppero. Due giorni dopo, il secondo colpo Alle due d»po mezzanotte, pochi giorni dopo, il sommergibile D. « incocciò» un piroscafo armato di circa 8 mila tonnellate. Era un incrociatore ausiliario: veniva di prora a dritta. Tanto vicino, quando fu scorto nella notte gelida, che si potevano contare benissimo b pezzi a prua ed altrettanti a poppa, ma leggeri: artiglieria da 75 millimetri. Questa volta toccò al tubo N. 4 avventare il siluro. I marinai, avevano avuto cure infinite per tutti i loro congegni: a quella latitudine, con quelle temperature prepolari, occorreva vigilare assiduanidite la lubrificazione, gli snodamenti, la manutenzione dei coli¬ 1gémi, \ Siluro da 533 del tubo Nr li. Sel l cento metri di distaila»; entusia smunte! Sultarono in aria le caldaie dei grosso piroscafo, sùbito. Si inabissò in pochi secondi: il mare Ingoiò le due metà nelle quali s'era spaccato, Ingoiò l'incendio colossale che lo divorava. Istanti. E niente rimase sili mare, niente, nemmeno un salvagente. Gli uomini di quel piroscafo era no casi sicuri su quel mare di ghiaccio fuso, che probabilmente non avevano attivati i turni di guardia-, e a bordò tenevano persino un fanale acceso. Un curioso fanale dalla luce livida, gialla, pareva un lampione, a poppa: seguitò a restare acceso sino all'ultimo anche quando era evidènte "chèormai il piroscafo non era più c«enna immensa bara incandescente, — Poi un giorno siamo ritornati atto base lontana, abbiamo fatto un'ultra missione. Adesso ci hanno mandati in licenza — ha concluso D'Ambrosio. ■— Quando ritorneremo <•< là » faremo qualche altra cosa importante — ha detto uno dei due suoi compaejni. — Ma adesso è tardi, andiamo a casa — ha soggiunto. D'Ambrosio volle aggiungere un altro particolare: — Ah, quella notte, la notte del piroscafo, la bandiera in torretta il gelo l'aveva indurita, faTta diventare come di latta Buona notte, arrivederci domani! Cominciava a piovere, io rientravo svelto nella casermetta, i loro passi si morzarono nel buio oltre le garitte delle sentinelle. Attilio Crepas

Persone citate: Alfonso D'ambrosio, Attilio Crepas, D'ambrosio, Negus

Luoghi citati: Aden, Etiopia, Gibilterra, Islanda, Londra, Stati Uniti