Il gesto di un alpino per vendicare il fratello ferito

Il gesto di un alpino per vendicare il fratello ferito Vito eroico sul fronte greco Il gesto di un alpino per vendicare il fratello ferito (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Dal fronte greco, gennaio. Ci volle del bello e del buono per arrivare fin lassù. Mi avevano detto al Comando di Divisione: « in quattro ore, al seguito della salmeria ci arrivi di sicuro ». Ma s'eran dimenticati che la salmeria seguiva la mulattiera e non la strada, che sulla mulattiera c'era la neve alta e con un metro e più di neve il camminare è faticoso e capita spesso di fare un passo avanti e due indietro, specialmente a me male attrezzato per un cammino di tal genere. Mi consolai vedendo gli alpini della salmeria che provavano le stesse mie difficolta, ma fu consolazione magra, Poiché la fatica incominciava a farsi sentire, il vento gelido tagliava la faccia, sentivo il bisogno prepotente di ingollare qualcosa di alcolico che mi rinfrancasse un po'. Di tale mio stato dovette accorgersi un alpino, un massiccio portatore valdostano che mi offerse di bere un certo liquido molto forte che aveva nella borraccia e la coda del mulo perchè mi ci attaccassi. Liquido e coda sortirono un effetto prodigioso e la marcia continuo con maggiore speditezza. Uomini di poche parole Gli alpini sono gente poco loquace, specialmente quando hanno a che fare con militari di altre armi. Per loro sono soldati soltan' to quelli che hanno la penna nera sul cappello. Gli altri sono signori che hanno bisogno di troppe cose. A loro basta il mulo, per gli altri ci vogliono le automoDili. Il soldato migliore è quello che si sa meglio « arrangiare », e in questo gli alpini sono maestri. Il loro reparto può non ricevere il rancio per tre giorni e questo, in montagna, accade specialmente se c'è di mezzo la neve e l'artiglieria nemica, ma gli alpini trovano sempre da arrangiarsi anche a costo di sostenere un combattimento per andarsi a rifornire in territorio nemico. Durante tutto il tempo, e furono parecchie ore, che camminammo insieme per la mulattiera gelata, il conducente valdostano avrà detto si e no dieci parole. Come Dio volle, col cuore in gola e le gambe un po' cionche, giunsi al comando del reggimento che a vevo in animo di visitare, un bel reggimento di artiglieria divisto' naie col quale ero stato, prima della sua partenza verso le linee avanzate. Come abbiano fatto a trascinare fin lassù i cannoni non me lo diranno mal, ma è certo che la fatica deve essere stata ben dura anche se metà del cammino fu compiuto per la strada e non sulla mulattiera. Nella baracchetta, sede del Comando, costruita ih una località defilata dal fuoco del nemico, trovai un po' di f joco e un bel bicchiere di grappa che mi fecero dimenticare il freddo che avevo patito per tante ore. Il comandante di un gruppo, in assenza del colonnello, mi fu prodigo di notizie sulla parte che li reggimento aveva avuto eia un mese a questa Earte nelle azioni sostenute dalla liviaione. Erano giunti in linea in un momento particolarmente delicato per noi. Il nemico, imbaldanzito da qualche successo parziale, premeva con forze ingenti contro le nostre posizioni non ancora ben sistemate a difesa. Gli alpini si difendevano con bravura. Il trasporto e la sistemazione in batteria dei pezzi, con quelle strade e su quel terreno, vennero compiuti in un tempo ristrettissimo e tutti ufficiali e soldati si prodigarono per portare al più presto ai battaglioni il loro prezioso contributo. Un muro di fronte al nemico Appena i cannoni furono in batteria e ciascuno ebbe le sue dotazioni di proiettili, venne iniziato il fuoco aggiustando il tiro su tratti delle posizioni nemiche e sulle batterie che disturbavano i nostri. Da quel momento gli alpini sentirono di avere alle spalle chi li proteggeva e si rinfrancarono. Da allora il nemico urtò sempre un ostacolo insormontabile. Alpini e artiglieri avevano fatto muro. Di 11 non si passava. In questa resistenza magnifica che dura ormai da oltre un mese e che è il presupposto e il fonda mento dell'azione che ci riporterà in avanti appena le condizioni del tempo lo permetteranno, gli artiglieri non sono stati da meno delle fiamme verdi e al pari di queste hanno dato fulgidi episodi di eroismo, sublimi atti di abnegazione e di attaccamento al dovere. Ogni ufficiale di artiglieria, ogni artigliere, quando vi parla di questa resistenza, ne dà tutto il me rito agli uomini dalla penna nera che tengono le posizioni antistanti alle loro batterie e questo, non per cavalleria verso i loro camerati, ma con ferma convinzione, poiché chi ha visto combattere gli alpi ni, sa come sappiano mantenere la consegna di tenere fino all'estreme. E gli alpini non hanno mai mollato e non molleranno mai. E non vi è volta, quando uno di noi va a visitare quel settore, che do po una rapida visita alle batterie, specialmente a quelle che sono state più duramente provate dal fuoco di controbatteria, non venga subito proposta una visita an che ai reparti di alpini e l'accoglienza che questi fanno ai camerati artiglieri è sempre delle più entusiastiche. Ogni volta c'è qualche episodio nVecpsipiQagasogezsorvumttcbnègcfmlsmgglmmmtecssnuovo che va ad aggiungersi agli!innumerevoli già raccontati. Quel giorno fu il cappellano, un ma- gràfico tipo di prete montanaro allegrissimo, che ci raccontò l'avventura di Giuseppe Tosone, un alpino erculeo del battaglione « Aquila », che nel suo stesso plotone aveva il fratello Vero. Durante l'ultimo attacco greco alle nostre posizioni, giunse a Giuseppe la notizia che Vero era stato ferito dalla scheggia di una granata. L'alpino non battè ciglio, non disse una parola. Raccolse il telo da tenda che gli serviva da giaciglio durante la notte, lo empi di bombe a mano, si pose il pesante fardello sulle spalle, balzò fuori dalla posizione e di corsa, sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche, raggiunse un troncone d'albero fra le nostre e le loro posizioni. Con la massima calma, una dietro l'altra, tutle bombe furono aggiustate dall'alpino nel tratto di trincea antistante. Terminato il lancio, Giuseppe se ne tornò di corsa alla nostra posizione, riempì di nuovo il telo con altre bombe, rifece il percorso di prima, esaurì anche il secondo carico. Mentre ritornava di corsa, sempre col telo fra le mani, e forse con l'intenzione di ripetere per la terza volta la sua impresa, lo raggiunse un proiettile nenico. La ferita, per fortuna j.jn era grave e non risultò grave ineppure quella di suo fratello Vero. I due alpini, dall'ospedale ove erano stati ricoverati, scrissero al cappellano una lettera, giunta proprio il giorno precedente alla nostra visita. Un solo desiderio era in essa espresso: quello di guarire presto per tornare al battaglione in tempo per l'avanzata, Piero Buiatti Il gesto di un alpino per vendicare il fratello ferito Vito eroico sul fronte greco Il gesto di un alpino per vendicare il fratello ferito (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) Dal fronte greco, gennaio. Ci volle del bello e del buono per arrivare fin lassù. Mi avevano detto al Comando di Divisione: « in quattro ore, al seguito della salmeria ci arrivi di sicuro ». Ma s'eran dimenticati che la salmeria seguiva la mulattiera e non la strada, che sulla mulattiera c'era la neve alta e con un metro e più di neve il camminare è faticoso e capita spesso di fare un passo avanti e due indietro, specialmente a me male attrezzato per un cammino di tal genere. Mi consolai vedendo gli alpini della salmeria che provavano le stesse mie difficolta, ma fu consolazione magra, Poiché la fatica incominciava a farsi sentire, il vento gelido tagliava la faccia, sentivo il bisogno prepotente di ingollare qualcosa di alcolico che mi rinfrancasse un po'. Di tale mio stato dovette accorgersi un alpino, un massiccio portatore valdostano che mi offerse di bere un certo liquido molto forte che aveva nella borraccia e la coda del mulo perchè mi ci attaccassi. Liquido e coda sortirono un effetto prodigioso e la marcia continuo con maggiore speditezza. Uomini di poche parole Gli alpini sono gente poco loquace, specialmente quando hanno a che fare con militari di altre armi. Per loro sono soldati soltan' to quelli che hanno la penna nera sul cappello. Gli altri sono signori che hanno bisogno di troppe cose. A loro basta il mulo, per gli altri ci vogliono le automoDili. Il soldato migliore è quello che si sa meglio « arrangiare », e in questo gli alpini sono maestri. Il loro reparto può non ricevere il rancio per tre giorni e questo, in montagna, accade specialmente se c'è di mezzo la neve e l'artiglieria nemica, ma gli alpini trovano sempre da arrangiarsi anche a costo di sostenere un combattimento per andarsi a rifornire in territorio nemico. Durante tutto il tempo, e furono parecchie ore, che camminammo insieme per la mulattiera gelata, il conducente valdostano avrà detto si e no dieci parole. Come Dio volle, col cuore in gola e le gambe un po' cionche, giunsi al comando del reggimento che a vevo in animo di visitare, un bel reggimento di artiglieria divisto' naie col quale ero stato, prima della sua partenza verso le linee avanzate. Come abbiano fatto a trascinare fin lassù i cannoni non me lo diranno mal, ma è certo che la fatica deve essere stata ben dura anche se metà del cammino fu compiuto per la strada e non sulla mulattiera. Nella baracchetta, sede del Comando, costruita ih una località defilata dal fuoco del nemico, trovai un po' di f joco e un bel bicchiere di grappa che mi fecero dimenticare il freddo che avevo patito per tante ore. Il comandante di un gruppo, in assenza del colonnello, mi fu prodigo di notizie sulla parte che li reggimento aveva avuto eia un mese a questa Earte nelle azioni sostenute dalla liviaione. Erano giunti in linea in un momento particolarmente delicato per noi. Il nemico, imbaldanzito da qualche successo parziale, premeva con forze ingenti contro le nostre posizioni non ancora ben sistemate a difesa. Gli alpini si difendevano con bravura. Il trasporto e la sistemazione in batteria dei pezzi, con quelle strade e su quel terreno, vennero compiuti in un tempo ristrettissimo e tutti ufficiali e soldati si prodigarono per portare al più presto ai battaglioni il loro prezioso contributo. Un muro di fronte al nemico Appena i cannoni furono in batteria e ciascuno ebbe le sue dotazioni di proiettili, venne iniziato il fuoco aggiustando il tiro su tratti delle posizioni nemiche e sulle batterie che disturbavano i nostri. Da quel momento gli alpini sentirono di avere alle spalle chi li proteggeva e si rinfrancarono. Da allora il nemico urtò sempre un ostacolo insormontabile. Alpini e artiglieri avevano fatto muro. Di 11 non si passava. In questa resistenza magnifica che dura ormai da oltre un mese e che è il presupposto e il fonda mento dell'azione che ci riporterà in avanti appena le condizioni del tempo lo permetteranno, gli artiglieri non sono stati da meno delle fiamme verdi e al pari di queste hanno dato fulgidi episodi di eroismo, sublimi atti di abnegazione e di attaccamento al dovere. Ogni ufficiale di artiglieria, ogni artigliere, quando vi parla di questa resistenza, ne dà tutto il me rito agli uomini dalla penna nera che tengono le posizioni antistanti alle loro batterie e questo, non per cavalleria verso i loro camerati, ma con ferma convinzione, poiché chi ha visto combattere gli alpi ni, sa come sappiano mantenere la consegna di tenere fino all'estreme. E gli alpini non hanno mai mollato e non molleranno mai. E non vi è volta, quando uno di noi va a visitare quel settore, che do po una rapida visita alle batterie, specialmente a quelle che sono state più duramente provate dal fuoco di controbatteria, non venga subito proposta una visita an che ai reparti di alpini e l'accoglienza che questi fanno ai camerati artiglieri è sempre delle più entusiastiche. Ogni volta c'è qualche episodio nVecpsipiQagasogezsorvumttcbnègcfmlsmgglmmmtecssnuovo che va ad aggiungersi agli!innumerevoli già raccontati. Quel giorno fu il cappellano, un ma- gràfico tipo di prete montanaro allegrissimo, che ci raccontò l'avventura di Giuseppe Tosone, un alpino erculeo del battaglione « Aquila », che nel suo stesso plotone aveva il fratello Vero. Durante l'ultimo attacco greco alle nostre posizioni, giunse a Giuseppe la notizia che Vero era stato ferito dalla scheggia di una granata. L'alpino non battè ciglio, non disse una parola. Raccolse il telo da tenda che gli serviva da giaciglio durante la notte, lo empi di bombe a mano, si pose il pesante fardello sulle spalle, balzò fuori dalla posizione e di corsa, sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche, raggiunse un troncone d'albero fra le nostre e le loro posizioni. Con la massima calma, una dietro l'altra, tutle bombe furono aggiustate dall'alpino nel tratto di trincea antistante. Terminato il lancio, Giuseppe se ne tornò di corsa alla nostra posizione, riempì di nuovo il telo con altre bombe, rifece il percorso di prima, esaurì anche il secondo carico. Mentre ritornava di corsa, sempre col telo fra le mani, e forse con l'intenzione di ripetere per la terza volta la sua impresa, lo raggiunse un proiettile nenico. La ferita, per fortuna j.jn era grave e non risultò grave ineppure quella di suo fratello Vero. I due alpini, dall'ospedale ove erano stati ricoverati, scrissero al cappellano una lettera, giunta proprio il giorno precedente alla nostra visita. Un solo desiderio era in essa espresso: quello di guarire presto per tornare al battaglione in tempo per l'avanzata, Piero Buiatti

Persone citate: Giuseppe Tosone, Piero Buiatti