Cesare Bertea
Cesare Bertea yn nell'arte torinese Cesare Bertea E' morto venerdì nella sua casa di Torino l'architetto Cesare Bertea, all'età ui settantacinque anni. Questo nome insigne, questa scomparsa dolorosa rievocano tutto un periodo di bellissimo fervore artistico piemontese. Si pensa al D'Andrade, cui per tanto tempo il Bertea fu collaboratore fedele, si pensa ull'Avondo e ai loro seguaci ed umici, amabili e cordiali scopritori d'ogni valore autentico della nostra cara terra subalpina; si pensa anzitutto al padre del defunto, quel pittore Ernesto Bertea, che operò nella schiera dei gai sodali di Rivara capeggiati da Carlo Pittata, e che è ancora troppo poco conosciuto quale uno dei nostri più freschi, spontanei, efficaci paesisti. Appunto dal paterno ricordo di quell'ambiente « rivariano » che — come disse il Signorini — «serbava sempre un resto di aspirazioni ìomantiche e medioevali» e volentieri ondeggiava fra l'impulso pittorico e la meditazione archeologica, trasse Cesare Bertea la passiono che sempre sostenne la sua lunga vita. Laureatosi in ingegneria civile a Torino nel '90, già l'anno dopo entrava all'Ufficio Monumenti come dipendente di Alfredo D'Andrade, il gentiluomoartista che doveva autodefinirsi « lusitano di nascita, italiano di core ». Magnifica scuola quella del limpido paesista e dell'acuto studioso del medioevo piemontese; ed avendo sùbito il D'Andrade apprezzato le qualità di gusto e di ingegno del Bsrtea, tosto lo assumeva come suo stretto collaboratore, lo faceva lavorare in varie località di Liguria ov'erano opere da restauiare, gli affidava a Genova il ripristino del delizioso palazzotto San Giorgio, su una parete del quale Carlo Stratta doveva dipingere la bella figura del santo dei cavalieri e del cavalier dei santi. Alla morte del D'Andrade, nel 1915, mentre crollava per sempre tra il frastuono delle armi quel mondo romantico che il portoghese aveva contribuito a risuscitare, Cesare Bertea assumeva la Sovrintendenza al Monumenti del Piemonte e della Liguria, per tenerla fino al 1931. Ma già un anno prima egli aveva restaurato in modo egregio lo squisito S. Antonio di Ranverso: e da quella geniale fatica veniva a lui la gioia di una scoperta importantissima che doveva apportar luce nuova nella storia e nella critica dell'antica pittura piemontese: l'identificazione degli affreschi quattrocenteschi del Jacquerio, potente caposcuola torinese. E di questo accertamento il Bertea stesso dava notizia in un suo saggio pubblicato nel Bollettino della Società Piemontese "di Archeologia, uno dei pochi scritti lasciatici da quest'infaticabile lavoratore. Perchè per circa quarantanni Cesare Bertea fu presente ad ogni restauro, si può dire ad ogni studio riguardante i monumenti piemontesi: da Staffarda ai castelli valdostani, dal Palazzo Madama alla Sagra di S. Michele. Coltissimo, prudente, rispettosissimo di ogni verità storica e d'ogni realtà archeologica, egli fu uno strenuo difensore delle bellezze nostre, che amava d'un amore silenzioso, ma | appassionato. E come tale, soprat- ! tutto, ci è caro salutarlo nel momento della sua scomparsa. mar. ber. Cesare Bertea yn nell'arte torinese Cesare Bertea E' morto venerdì nella sua casa di Torino l'architetto Cesare Bertea, all'età ui settantacinque anni. Questo nome insigne, questa scomparsa dolorosa rievocano tutto un periodo di bellissimo fervore artistico piemontese. Si pensa al D'Andrade, cui per tanto tempo il Bertea fu collaboratore fedele, si pensa ull'Avondo e ai loro seguaci ed umici, amabili e cordiali scopritori d'ogni valore autentico della nostra cara terra subalpina; si pensa anzitutto al padre del defunto, quel pittore Ernesto Bertea, che operò nella schiera dei gai sodali di Rivara capeggiati da Carlo Pittata, e che è ancora troppo poco conosciuto quale uno dei nostri più freschi, spontanei, efficaci paesisti. Appunto dal paterno ricordo di quell'ambiente « rivariano » che — come disse il Signorini — «serbava sempre un resto di aspirazioni ìomantiche e medioevali» e volentieri ondeggiava fra l'impulso pittorico e la meditazione archeologica, trasse Cesare Bertea la passiono che sempre sostenne la sua lunga vita. Laureatosi in ingegneria civile a Torino nel '90, già l'anno dopo entrava all'Ufficio Monumenti come dipendente di Alfredo D'Andrade, il gentiluomoartista che doveva autodefinirsi « lusitano di nascita, italiano di core ». Magnifica scuola quella del limpido paesista e dell'acuto studioso del medioevo piemontese; ed avendo sùbito il D'Andrade apprezzato le qualità di gusto e di ingegno del Bsrtea, tosto lo assumeva come suo stretto collaboratore, lo faceva lavorare in varie località di Liguria ov'erano opere da restauiare, gli affidava a Genova il ripristino del delizioso palazzotto San Giorgio, su una parete del quale Carlo Stratta doveva dipingere la bella figura del santo dei cavalieri e del cavalier dei santi. Alla morte del D'Andrade, nel 1915, mentre crollava per sempre tra il frastuono delle armi quel mondo romantico che il portoghese aveva contribuito a risuscitare, Cesare Bertea assumeva la Sovrintendenza al Monumenti del Piemonte e della Liguria, per tenerla fino al 1931. Ma già un anno prima egli aveva restaurato in modo egregio lo squisito S. Antonio di Ranverso: e da quella geniale fatica veniva a lui la gioia di una scoperta importantissima che doveva apportar luce nuova nella storia e nella critica dell'antica pittura piemontese: l'identificazione degli affreschi quattrocenteschi del Jacquerio, potente caposcuola torinese. E di questo accertamento il Bertea stesso dava notizia in un suo saggio pubblicato nel Bollettino della Società Piemontese "di Archeologia, uno dei pochi scritti lasciatici da quest'infaticabile lavoratore. Perchè per circa quarantanni Cesare Bertea fu presente ad ogni restauro, si può dire ad ogni studio riguardante i monumenti piemontesi: da Staffarda ai castelli valdostani, dal Palazzo Madama alla Sagra di S. Michele. Coltissimo, prudente, rispettosissimo di ogni verità storica e d'ogni realtà archeologica, egli fu uno strenuo difensore delle bellezze nostre, che amava d'un amore silenzioso, ma | appassionato. E come tale, soprat- ! tutto, ci è caro salutarlo nel momento della sua scomparsa. mar. ber. Cesare Bertea yn nell'arte torinese Cesare Bertea E' morto venerdì nella sua casa di Torino l'architetto Cesare Bertea, all'età ui settantacinque anni. Questo nome insigne, questa scomparsa dolorosa rievocano tutto un periodo di bellissimo fervore artistico piemontese. Si pensa al D'Andrade, cui per tanto tempo il Bertea fu collaboratore fedele, si pensa ull'Avondo e ai loro seguaci ed umici, amabili e cordiali scopritori d'ogni valore autentico della nostra cara terra subalpina; si pensa anzitutto al padre del defunto, quel pittore Ernesto Bertea, che operò nella schiera dei gai sodali di Rivara capeggiati da Carlo Pittata, e che è ancora troppo poco conosciuto quale uno dei nostri più freschi, spontanei, efficaci paesisti. Appunto dal paterno ricordo di quell'ambiente « rivariano » che — come disse il Signorini — «serbava sempre un resto di aspirazioni ìomantiche e medioevali» e volentieri ondeggiava fra l'impulso pittorico e la meditazione archeologica, trasse Cesare Bertea la passiono che sempre sostenne la sua lunga vita. Laureatosi in ingegneria civile a Torino nel '90, già l'anno dopo entrava all'Ufficio Monumenti come dipendente di Alfredo D'Andrade, il gentiluomoartista che doveva autodefinirsi « lusitano di nascita, italiano di core ». Magnifica scuola quella del limpido paesista e dell'acuto studioso del medioevo piemontese; ed avendo sùbito il D'Andrade apprezzato le qualità di gusto e di ingegno del Bsrtea, tosto lo assumeva come suo stretto collaboratore, lo faceva lavorare in varie località di Liguria ov'erano opere da restauiare, gli affidava a Genova il ripristino del delizioso palazzotto San Giorgio, su una parete del quale Carlo Stratta doveva dipingere la bella figura del santo dei cavalieri e del cavalier dei santi. Alla morte del D'Andrade, nel 1915, mentre crollava per sempre tra il frastuono delle armi quel mondo romantico che il portoghese aveva contribuito a risuscitare, Cesare Bertea assumeva la Sovrintendenza al Monumenti del Piemonte e della Liguria, per tenerla fino al 1931. Ma già un anno prima egli aveva restaurato in modo egregio lo squisito S. Antonio di Ranverso: e da quella geniale fatica veniva a lui la gioia di una scoperta importantissima che doveva apportar luce nuova nella storia e nella critica dell'antica pittura piemontese: l'identificazione degli affreschi quattrocenteschi del Jacquerio, potente caposcuola torinese. E di questo accertamento il Bertea stesso dava notizia in un suo saggio pubblicato nel Bollettino della Società Piemontese "di Archeologia, uno dei pochi scritti lasciatici da quest'infaticabile lavoratore. Perchè per circa quarantanni Cesare Bertea fu presente ad ogni restauro, si può dire ad ogni studio riguardante i monumenti piemontesi: da Staffarda ai castelli valdostani, dal Palazzo Madama alla Sagra di S. Michele. Coltissimo, prudente, rispettosissimo di ogni verità storica e d'ogni realtà archeologica, egli fu uno strenuo difensore delle bellezze nostre, che amava d'un amore silenzioso, ma | appassionato. E come tale, soprat- ! tutto, ci è caro salutarlo nel momento della sua scomparsa. mar. ber.
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