Il Galateo e le Favole di Giuseppe Prezzolini

Il Galateo e le Favole Il Galateo e le Favole to Una ristampa del Galateo, miero de' costumi di Giovanni Dela Casa è curata, sul testo dato a Giuseppe Prezzolini nei Clasci Rizzoli», dall'Editore Le Monier. Grazioso libretto, che anche, eca una notizia, deliziosamente rguta, conversevole e appropriaa, di Pietro Pancrazi. Traendo il enso intimo e discreto dèH'dpeetta, il Pancrazi dice che Monignore, tra i predicatori di virtù, he son tanti, e spesso uggiosi, e maestri di creanze e cerimonie, nche più fastidiosi, s'è trovato n viottolino — una scorciatoia ra ì due campi, tra la virtù e le erimonie, tra la morale e le bele maniere >. Il che è detto, come a dire le cose Pancrazi, molto ene, con quel gusto spiccato che uno dei suoi doni di scrittore e i critico. Sicché, se moralista che on fa sbadigliare... maestro di erimonie clic non dà l'uggiolina llo stomaco », di Monsignor Dela Casa ci si può fidare: egli ha olto l'uomo, ì suoi difetti, le sue ebolezze, le sue vanità, in quel unto meno mobile e più geloso ove la moda si fa costume e le maniere già incidono sul carattee ■. E anche questo è detto ottimamente. Ora. scegliendo sentene e leggiadri consigli, e tratti feiei di osservatore e scrittore, scegliendo dal Galateo minuti esempi di trattazione pungente e amabile, il Pancrazi non solo ricorda he il Delia Casa era nato in Mugello, era vissuto a Firenze Roma Venezia, avea insomma respirao t sempre arie fini •, ma avvere che leggendo il Galateo il peniero frequentemente ricorre allo scrivere e agli scrittori. In fatto di vesti, ammonisce Monsignore, ?. l'ornamento non sia uno e la persona un altro-, e Pancrazi annota che la regola potrebbe vaer benissimo ahchs per lo scrivere. In fatto di modi, Monsignore dichiara che non sta bene essere malinconici e astratti, e che anche i dotti, e gli artisti qualora vogliano pensarsi, farèbbono gran senno a fuggirsi dalla gente », e Pancrazi dice che l'avviso va a quei pensierosi • che sogliono pensarsi in pubblico ». E così, piacevolmente, per ciò che Monsignore dice di « quelli che escono dallo scrittoio tra la gente con la penna nell'orecchio », e dei chiacchieoni, e dei « vogliosi e golosi di dire », e dei languidi, dei superfluì, degli isquisiti, sempre una figuretta letteraria ci viene incontro. Ma il Galateo è poi anche una Rettorica: « un'estetica che per essere questa volta empirica e piana riesce al gusto nostro tanpiù persuasiva ». E a noi vien subito fatto di pen.sare a quello che pur il Pancrazi confida al lettore in una nuova edizione — ch'è di questi giorni — di certi suoi scritti critici della giovinezza: Ragguagli di Parnaso (Laterza Ed.). Il volume comprende i Ragguagli di Parnaso del '20 e Venti nomini un satiro e un burattino del '23; e l'autore dice che alle « oscurità o astrattezze di allora » — son sue parole — crede di aver riparato • traducendo i tennicismi e i criticismi inutili nel comune linguaggio degli uomini >. Perchi egli ammette che in certi critici l'oscurità sia qualcosa di connaturale al temperamento, complicato e contrastato — e in altri è una specie di mascheralura —; ma in quanto a lui. la sua natura «fu d'esser chiaro, anzi (come San Bernardino voleva i predicatorii eh'ti roso chiaram ». E anche questo, nel vezzo che pur si diffonde di farsi intendere sempre meno, e di mettere il lettore sempre più nell'imbarazzo, è un one- sto piacere. In tal chiarezza e fTitT^ £: nere letterario, che, per brevità <u sintesi e acuzie di senso, tien quasi dell'epigramma: si vuol dire la favola. Adombrano, le favole, con ,la. verità dell'osservazione ideologica e sociale una finezza dl '«oralità che per i suo nascere Pronto e istintivo dalla ricca e va „, ?fS'ffsla°"!;« lavola ria e mai del tutto definibile esperienza umana, sconfina dalla stretta regola, e dal banale proverbio, con lin che di sfumato, di allusivo, di nuovo, come nuova è sempre, in ogni sua occasione ed la vita. E perciò la sa da poeti. Favoleggiare non è un trarre schemi di sentenze e motti, ma un dar volto, e linguaggio, alla diversità del reale, uh convertirla in azione drammatica. Se la vita è tutta presente alla ragione, e pur nella sola ragione irraggiungibile, il favoleggiare va dalla razionalità moralistica alla rappresentazione poetica, che comprende in sè quel di più di saggezza che non sempre è detto, ma che traspare dalla fantasia. Il Pancrazi intende bene, delle favole, la ragione acuta e spicciola e un po' generica, e il carattere fantastico e poetico che le fa veramente universali. E ristampando per la terza volta, a dieci anni dalla prima edizione, il suo fortunatissimo Esopo, sempre meglio definisce quel contemperamento, nella favoli», di logica struttura e di svagatezza e improvvisazione. Le. favole migliori sarebbero quelle in cui la norma razionale è più nascosta, e dove il discorso mol to esatto nelle parole, resulta pe rò un po' ambiguo nel senso ». Nella semplicità talvolta persin candida della favola, è supposta una riflessione lunga e remota, con l'acume - fin la malizia del pensiero»; ma anche, e forse soprattutto, un estro, un capriccio, insomma una specie di stupore e di incanto. Nel dire di Esopo —• osservava il Pancrazi già del '30 — « nel suo tòcco, voi sentite la spontaneità, la freschezza di chi inventa per la prima volta, la gioia di chi scopre a un tratto un rapporto già esistente, ma celato in natura». E le frvole più belle sono di solito quelle che restano più sospese... ». là ove ; l'epigramma la poesia l'ironia l'enimma, senza che nessuno prevalga, giuocano insieme a creare quella vaga attesa, quell'imprevisto che è la grazia ultima dell'apologo ». E che Pancrazi — ma delle virtù d'arte e di poesia del suo libro ; L'Esopo moderno. Vallecchi Ed.) non si vuole parlare ora qui, e sono squisite sicure dilettose —, ch'egli aui ia colto con gusto cosi' netto, quel, i grazia alata suscettibile umbratile, e la nitidezza stilistica, la cadenza, il ritmo necessario a un genere che sembra libero e somiglia invece moltissimo a una forma chiusa, a uno stornello, un madrigale, un'ottava, un sonetto lo si deve ancora e sempre riferire al garbo, alla educazione sua di letterato, che dal Galateo di Monsignor Della Casa ci ha condotti sin qui. Lucidezza e misura, limpido dettato, concretezza novellistica, intenzione sensata; .< maniera destra e discreta », come quella che l'Abate Bertola auspicava —• ricorda il Pancrazi ■— per tutti i favolisti, che non debbono porre innanzi alle immagini de" vizi e delle inconseguenze degli uomini « uno specchio tutto aperto e illuminato come fanno i comici ». ma ricoprirlo ..: di un sottil velo ». f. b. Il Galateo e le Favole Il Galateo e le Favole to Una ristampa del Galateo, miero de' costumi di Giovanni Dela Casa è curata, sul testo dato a Giuseppe Prezzolini nei Clasci Rizzoli», dall'Editore Le Monier. Grazioso libretto, che anche, eca una notizia, deliziosamente rguta, conversevole e appropriaa, di Pietro Pancrazi. Traendo il enso intimo e discreto dèH'dpeetta, il Pancrazi dice che Monignore, tra i predicatori di virtù, he son tanti, e spesso uggiosi, e maestri di creanze e cerimonie, nche più fastidiosi, s'è trovato n viottolino — una scorciatoia ra ì due campi, tra la virtù e le erimonie, tra la morale e le bele maniere >. Il che è detto, come a dire le cose Pancrazi, molto ene, con quel gusto spiccato che uno dei suoi doni di scrittore e i critico. Sicché, se moralista che on fa sbadigliare... maestro di erimonie clic non dà l'uggiolina llo stomaco », di Monsignor Dela Casa ci si può fidare: egli ha olto l'uomo, ì suoi difetti, le sue ebolezze, le sue vanità, in quel unto meno mobile e più geloso ove la moda si fa costume e le maniere già incidono sul carattee ■. E anche questo è detto ottimamente. Ora. scegliendo sentene e leggiadri consigli, e tratti feiei di osservatore e scrittore, scegliendo dal Galateo minuti esempi di trattazione pungente e amabile, il Pancrazi non solo ricorda he il Delia Casa era nato in Mugello, era vissuto a Firenze Roma Venezia, avea insomma respirao t sempre arie fini •, ma avvere che leggendo il Galateo il peniero frequentemente ricorre allo scrivere e agli scrittori. In fatto di vesti, ammonisce Monsignore, ?. l'ornamento non sia uno e la persona un altro-, e Pancrazi annota che la regola potrebbe vaer benissimo ahchs per lo scrivere. In fatto di modi, Monsignore dichiara che non sta bene essere malinconici e astratti, e che anche i dotti, e gli artisti qualora vogliano pensarsi, farèbbono gran senno a fuggirsi dalla gente », e Pancrazi dice che l'avviso va a quei pensierosi • che sogliono pensarsi in pubblico ». E così, piacevolmente, per ciò che Monsignore dice di « quelli che escono dallo scrittoio tra la gente con la penna nell'orecchio », e dei chiacchieoni, e dei « vogliosi e golosi di dire », e dei languidi, dei superfluì, degli isquisiti, sempre una figuretta letteraria ci viene incontro. Ma il Galateo è poi anche una Rettorica: « un'estetica che per essere questa volta empirica e piana riesce al gusto nostro tanpiù persuasiva ». E a noi vien subito fatto di pen.sare a quello che pur il Pancrazi confida al lettore in una nuova edizione — ch'è di questi giorni — di certi suoi scritti critici della giovinezza: Ragguagli di Parnaso (Laterza Ed.). Il volume comprende i Ragguagli di Parnaso del '20 e Venti nomini un satiro e un burattino del '23; e l'autore dice che alle « oscurità o astrattezze di allora » — son sue parole — crede di aver riparato • traducendo i tennicismi e i criticismi inutili nel comune linguaggio degli uomini >. Perchi egli ammette che in certi critici l'oscurità sia qualcosa di connaturale al temperamento, complicato e contrastato — e in altri è una specie di mascheralura —; ma in quanto a lui. la sua natura «fu d'esser chiaro, anzi (come San Bernardino voleva i predicatorii eh'ti roso chiaram ». E anche questo, nel vezzo che pur si diffonde di farsi intendere sempre meno, e di mettere il lettore sempre più nell'imbarazzo, è un one- sto piacere. In tal chiarezza e fTitT^ £: nere letterario, che, per brevità <u sintesi e acuzie di senso, tien quasi dell'epigramma: si vuol dire la favola. Adombrano, le favole, con ,la. verità dell'osservazione ideologica e sociale una finezza dl '«oralità che per i suo nascere Pronto e istintivo dalla ricca e va „, ?fS'ffsla°"!;« lavola ria e mai del tutto definibile esperienza umana, sconfina dalla stretta regola, e dal banale proverbio, con lin che di sfumato, di allusivo, di nuovo, come nuova è sempre, in ogni sua occasione ed la vita. E perciò la sa da poeti. Favoleggiare non è un trarre schemi di sentenze e motti, ma un dar volto, e linguaggio, alla diversità del reale, uh convertirla in azione drammatica. Se la vita è tutta presente alla ragione, e pur nella sola ragione irraggiungibile, il favoleggiare va dalla razionalità moralistica alla rappresentazione poetica, che comprende in sè quel di più di saggezza che non sempre è detto, ma che traspare dalla fantasia. Il Pancrazi intende bene, delle favole, la ragione acuta e spicciola e un po' generica, e il carattere fantastico e poetico che le fa veramente universali. E ristampando per la terza volta, a dieci anni dalla prima edizione, il suo fortunatissimo Esopo, sempre meglio definisce quel contemperamento, nella favoli», di logica struttura e di svagatezza e improvvisazione. Le. favole migliori sarebbero quelle in cui la norma razionale è più nascosta, e dove il discorso mol to esatto nelle parole, resulta pe rò un po' ambiguo nel senso ». Nella semplicità talvolta persin candida della favola, è supposta una riflessione lunga e remota, con l'acume - fin la malizia del pensiero»; ma anche, e forse soprattutto, un estro, un capriccio, insomma una specie di stupore e di incanto. Nel dire di Esopo —• osservava il Pancrazi già del '30 — « nel suo tòcco, voi sentite la spontaneità, la freschezza di chi inventa per la prima volta, la gioia di chi scopre a un tratto un rapporto già esistente, ma celato in natura». E le frvole più belle sono di solito quelle che restano più sospese... ». là ove ; l'epigramma la poesia l'ironia l'enimma, senza che nessuno prevalga, giuocano insieme a creare quella vaga attesa, quell'imprevisto che è la grazia ultima dell'apologo ». E che Pancrazi — ma delle virtù d'arte e di poesia del suo libro ; L'Esopo moderno. Vallecchi Ed.) non si vuole parlare ora qui, e sono squisite sicure dilettose —, ch'egli aui ia colto con gusto cosi' netto, quel, i grazia alata suscettibile umbratile, e la nitidezza stilistica, la cadenza, il ritmo necessario a un genere che sembra libero e somiglia invece moltissimo a una forma chiusa, a uno stornello, un madrigale, un'ottava, un sonetto lo si deve ancora e sempre riferire al garbo, alla educazione sua di letterato, che dal Galateo di Monsignor Della Casa ci ha condotti sin qui. Lucidezza e misura, limpido dettato, concretezza novellistica, intenzione sensata; .< maniera destra e discreta », come quella che l'Abate Bertola auspicava —• ricorda il Pancrazi ■— per tutti i favolisti, che non debbono porre innanzi alle immagini de" vizi e delle inconseguenze degli uomini « uno specchio tutto aperto e illuminato come fanno i comici ». ma ricoprirlo ..: di un sottil velo ». f. b.

Persone citate: Della Casa, Giovanni Dela Casa, Monier, Pancrazi

Luoghi citati: Firenze, Roma, Venezia