UN CASO CLINICO di Francesco Argenta

UN CASO CLINICO |£^ PENA DI MORTE DOPO DIECI ANNI *~ ~____■___■ ! UN CASO CLINICO // " dramma delle tre fosse uno sfondo di intrighi e vendette che il protagonista gabellava come vicenda d'amore ROMA, gennaio, [ila fosca vicenda che fu chiama- ta dalle folle il « dramma delle tre fosse », che fu gabellata dal pro-'lagonista come una dolorosa tra- gedia d'amore, può essere definita 'in sede più obiettiva e diversa, un caso clinico eccezionale. Tutto concorre a conferirle questo carat-|tcre. E non solo il torbido sfondojsu cui la vicenda si incide, ma la molteplicità e la concatenazione \ degli episodi delittuosi da cui la vicenda è scaturita, la dinamica i criminosa che ha caratterizzato ognuno di questi episodi, il mec-1 canismo determinativo che è iden-jtificabile alla base di essi e, in-, sieme a tutti questi elementi, l'o-jscuro vincolo associativo determi-inatosi fra il protagonista ed i cor- jrei, un criminale catalogato il|primo, lavoratori incensurati gli: altri, per i quali i fattori b:o- jlogici ed ambientali sono ineffica- ;ci, da soli, a metterci innanzi lajcausale della loro attività crimi- nosa. |iDiabolica messinscena La vicenda, col suo tol.bidojsfondo di intrighi e vendette, si è svolta a Rpo-o-ioralahria Freouen-'tondo la ca°sadf PMau^lLXri-l♦oi=* i^Li»ttn iq^-n«n in/nn tale Antonietta Artuso incon-Arturo"ù?_J_»^Je_3S il quale era reduce dall'aver scon- tato una condanna Der omicidio tato una condanna per omiciao L Artuso raccontò che l'amante, l'imDieeato municinale Antonio Fen-ante la maltrattava cite E r- teosselo "he Sia cosa si pÓ-teva °p^ffnef botava0 mettersi d'accordo col De Stefano. Incorag-giato dalle due donne, costui si ac-collo l'incarico di togliere di mez-zo il Ferrante. Ma il tentativo fallì: i colpi esplosi dal criminaleandarono a vuoto. Il Ferrante conviveva con una figliola, Maria Te-resa — Sisa, per i parenti e le amiche — e la giovane apri, come si suol dire, gli occhi al padre.Di qui un rinfocolarsi dell'odio che già l'Artuso nutriva verso la gio-vane. Ritrovatasi, frattanto, in ca- sa dell'Errigo, l'Artuso tornava alla carica con il De Stefano e questi prometteva di «fare» allafiglia del Ferrante quanto pel pa-dice non era riuscito. Per rendere più agevoli le cir- costanze che potevano consentire la perpetrazione del crimine, si escogito una diabolica messinsce- |n^/»P«.Stefàno_Si Ansimarne-rato del a giovane, e poiché era-, ■> , -, ,t presumibile che il progetto di ma-trimonio sarebbe stato contrasta-to dal padre, indusse la ragazzaalla fuga. Ignara del crudele de-so cSc legera serbato, la ragaz-za lasciò la casa paterna la serade. 6 maggio '33 per seguire i.♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦«♦ [criminale a Messina. Senonehè il ] viaggio doveva avere una mèta j tragica e vicina. Condotta in aper- ; 'ta campagna, la giovane era ne- j cisa a rivoltellate e sepolta in una 'fossa, nel greto del torrente Ca- lopinace. Il mistero avvolgeva an- Cora la scomparsa della povera "|giovane, ed ecco aggiungersi alìjcrimine orrendo un nuovo misfatto i Per la spartoria contro il Fei \ tante, per l'uccisone della figliola di questi, il De Stefano aveva chie i sto aiuto all'appaltatore France sCo Mandatari, di 34 anni, il qua- 1 |e gli aveva fornito l'arma e gli juomini che potevano aiutarlo nei , far scomparire la vittima: i bracjcianti Antonio Recupero e Domei nico Artuso. Senonehè, avvenuta j l'uccisione della Ferrante, il Re|eupero, a causa dei dissensi sorti : fra lui ed il Mandatari, parve pe j ricoloso come depositario del se ; greto. Così il De Stefano, il Manjdalari e l'Artuso decisero di sop primerlo. E l'uccisione del correo | fu compiuta con una messinscena i fiabesca. Si fece credere al Recu- ^10 che si e,a sc°Pert0 un tesoro e che bisognava nasconderlo e lo j si indusse a scavare una fossa pro fonda- Quando ,1 disgraziato fu al 'ternline de!la fatlca' 1 tre lo uc', lctae,,° a rivoltellate, calandolo poi nella fossa che egli stesso si era seavata Due innocenti furono arrestati1 prima che le indagini portes-F 'sero all'arresto dei colpevoli. E onesto il nroeesso eb- ancne per questo n processo eo- he intermezzi largamente dram.f «natici. Tre condanne a morte (Del ! Stefano, Mandalari e Domenico! Artuso); una delle due donne. l'Artuso. condannata all'ergastolo: l1 l'altra, l'Errigo, a trent'anni: ec ;CO l'epilogo, [ ; 1 ! mesi dall'epilogo del processo, I CL* ii' i ' ' òutgOtttmentO e reazioni , Si compivano esattamente sei 1 quando, la notte sul 17 febbraio '37, giunse l'ordine di comunicare; jai tre sciagurati che il «ricorso! : alla grazia sovrana » era stato re- [ I spinto e l'esecuzione sarebbe se-| Iguita alle prime luci dell'alba. Sot-| 'toposti ad isolamento continuo edi ia sorveglianza speciale mai inter I rotta, De Stefano Artuso e Man- datari occupavano tre celle, quasiL i contigue, nel medesimo «braccio», i nella stessa «sezione », ma non ai-; erano più mcontrati neppure fug- -; ^^^^ *ve^_ plù.:^a inimicato fra loro, neppure indi-u . , ,i ,.■ -, rettamente, dopo la drammatica-, sera in cui erano tornati dalle as-a sise, sconvolti e piegati dalla con-- danna fatale. Non si rividero non- si incontrarono non poteronoa scambiare alcuna comunicazione,.jneppure in queila osa estrema ^ terribile che precedeva il eompier-is si del loro amaro destino. i Svegliati dal tramestio eh i. riempi subitamente d'echi il co ridolo e le celle, allorché si ava zarono i funzionari e gli agenti ehe accompagnavano il rappresentante del Pubblico Ministero, ognuno dei tre condannati intuì quello che accadeva nella cella dell'altro quando, al cigolio della porta e del cancello che si dischiudevano, udi seg-uire un parlottar dr—ssnsdisfisommesso e serrato, rotto, a trat-ì mda pause cupe, sospiri angoscio-;stlui pure sarebbe toccato di vivereEguale, uniforme nelle modalità alle quali obbediva, la penosa formalità si ripetè tre volte nel volgere di pochi minuti: un tempo l'imminenza dell'esecuzione, ed il cappellano fu di una pietà senza fise nell'assistere i tre morituri. 1^*^^^*,^ F?1^11™.J^^Xta^E sioni della canta, con la forza emotiva dei richiami dell'estremo _i„_i*0 «ho fomento, gli impeti di rivolta che l covavano in uno dei tre sciagura!"; soffocando le crisi di angoscia <J^^Ti^^Si lg" alt"; suscitando, in tutti, col si, esclamazioni straziate; ognuno | pintui il dramma che andava viven-j mdo il compagno, il dramma che a mctecgcbrevissimo, ma che a tutti parve [dinterminabile eterno. Poi, allonta-j rnatosi ii rappresentante del P. M., | tanche i funzionari carcerari che -, aavevano presenziato al compiersi | pdelle formalità lasciarono le cel-j sle, echeggienti di imprecazioni e| di pianti, per cedere il passo al cappellano: il confessore, il confortatore in extremis. La legge fa largo alla pietà nel- L I soffio della rassegnazione, i segni di un pentimento verace. L'annuncio della esecuzione aveva ugual mente sbigottito i tre condannati, ma le reazioni che ne erano segui- , te erano state diverse. Terribile, quella del Mandatari — Mio Dio — urlava il condan- nato picchiando coi pugni contro ; le pareti della cella — perchè mi !113' abbandonato? Perchè non hai [ voluto fare giustizia ? Tu sai tut|to: tu sai che sono innocente... | i „ cappono lo raggiunse du^ L,ante q^sto sfogo tempestoso e dro f^tica a placarlo. Era il più iabl, u l& intelUgente.u .più dia-1 letUco ^ t _ * lQ avev'a dlmo. Incapace di scrivere tmnsusslavslibrsgcsptvndvazpsc^|'2^ "chiaramente" al""processo,I-: „„_,-_._,,„ „„„ „i„,.„; - -i™i asostenendo per giorni e giorni ili a ■ .,,,,„, i. „„„,„„ „?oc.f„„,i„ - ■ '^U° -,cp°" ' *"' ■T^Z^Ì- °f£^T^^nt^tnhi.» «^n ^Sf^f^^i!!ìf-n\^"Wo!,?^ , i sabilità ogni volta che questa par- ^f^^^Z^^ le —, ma il terrore onde era stato assalito all'annuncio della fine imminente, la cupa disperazione da cui era stato preso nell'intendere che l'espiazione sarebbe stata inesorabile e fatale, avevano agito su di lui come un trauma, annichilendo quel senso critico che era vigile ed acuto in lui, scompaginando la trama di ogni ragionamento, inaridendo ogni facoltà intellettiva, riducendo ad un balbettio incoerente ogni protesta1 ogni sfogo ogni manifestazione verbale di quell'ora estrema e fatale. Dinanzi alla sua mente sconvolta, il cappellano agitò il pensiero, l'ombra dei familiari, ed il Mandalari accennò ad acquetarsi al pensiero della madre e della moglie. Soggiunse, interrompendo per poco quel suo vaneggiare angoscioso, quel suo tempestoso soliloquio con Dio, che avrebbe desiderato indirizzare un estremo saluto alla moglie. Il cappellano approfittò di questa sosta, intervenuta come miracolosamente nel pauroso turbinio di uno sconvolgimento veramente totale, per preparare il condannato a quest'atto estremo, per indirizzarvelo con la con ctcplzaeupaucDvrssfciLta, sgorbi informi ed e rabeschi I senza significato. Fini col rinunlciare a scrivere la missiva di ad|dio, e pregò il cappellano di scri\vere in sua vece. Ma che cosa? — Questo soltanto — urlò —: che >aoao fn«*nte e vado a morte in nocente. Non ho altro da sapevoljzza che l'atto il momento fvoleva. Apparentemente calmo, il dMandalari si accinse a vergare l'è-! sstremo saluto. Ma ne fu incapa-1 vce: il braccio prese a tremargli (econvulsarr.ente e la mano a trac-j sciare, in luogo dei segni corrispon-1 ldenti aìl^ parole che facevano! groppo in j,'ola, eh? riddavano tre-1mmendamenti' nella mente sconvol-]cmal| gere. Nella sua cella, anche Artuso era dilaniato dalla disperazione. jAllorché era stato scoperto nel llgcaggiun-j Sdpsb] greto del torrente Calopinace iljg| cadavere della povera Sisa, l'Ar- l: tuso era stato tradotto nella lo-1 a i calità e dinanzi ai resti della sven- d turata fanciulla era caduto in gi- l nocchio, singhiozzando: « Si, sono si stato io. Chiedo perdono a Dio edln |a tutti ». La confessione, di una t jspontaneità altamente drammati- v 'ca, non era stata più contraddet-lp ta da lui. Lo fu invece in quell'e-!s stremo momento. iv _ In Qllale imbroelio mi han-!t ' ' no messo! »emeva il condan-'t nat0 allo>xhè if cappellano giunseit neua sua ceua _ e' vero che hojE|detto di e8sere colpevole, ma sono sstato costretto a dirlo... Igssbj cUna tragedia d'amore? \ La confessione estorta colla eoa- ; ijzionè, colla violenza — fisica o mo-i rale, — è una trovata vecchissi-j Rma, alla quale ama ricorrere seni- ! pie il mondo dei criminali: ma quna trovata che non ha più sue-j vcesso oggidì, tant'è trita logora \\abusata. Ricorrendo ad essa ini tquell'ora estrema e drammatica, ;sArtuso si illudeva, tuttavia, di ot- dtenere qualche effetto emotivo: vfors'anche di arrestare il corso la inesorabilità del destino. E vi in- sistette, fra strilli acutissimi, pian i disperati, atteggiamenti distra io. Del resto, in questa estrema e disperata difesa, egli doveva essere incalzato — ed a sua insaputa — proprio da De Stefano, il personaggio di primo piano della fosca vicenda, l'artefice, il protagonista del « dramma delle tre fosse ». Durante le drammatiche fasi della contrastata e tempestosa struttoria, durante l'agitata trafila delle udienze — al dibatti- mento — Di Stefano aveva dimo- strato di saper assumere le prò prie responsabilità, ma aveva dimostrato altresì, di saper freddamente rovesciare sugli altri quelle che agli altri spettavano. Quest'atteggiamento gli aveva valso il riconoscimento degli accusatori, ma gli aveva fruttato i vituperi dei compagni. Ed ora, nell'imminenza della fine ne provava un profondo rammarico, tanto da sentirsi spato a scagionare i compagni e ad accollarsi — intero e fatale — il peso della catena degli atroci misfatti, La sigaretta fra le labbra _ Vuoi confessarti? _ N™ ™3 Probabilmente, era solo l'infinita vanità che è propria dei criminali a spingerlo su questa via: non il pentimento, il rimorso, che sarebbero stati fuor di luogo; non un indistinto ideale di bene, che sarebbe stato un'assurdità per la sua natura. Lo sguardo fiero e lampeggiante, De Stefano mosse verso il cappellano quando questi s'affacciò alla sua cella, si curvò lievemente per sfiorare con le labbra il crocifisso che ricadeva col rosario al fianco del monaco, poscia, con il piglio di un attore, soggiunse, portandosi al centro della cella: —■ Padre, il colpevole sono io. io soltanto. Quei due non c'entrano per nulla. L'ho già detto altra volta, ma non mi hanno creduto. Ora voglio rivelarlo alla legge. Nessuno ha compreso la causale del mio delitto. La mia è stata una spaventosa tragedia di amore... Quindi, dopo una breve pausa, apparentemente carica di commozione: — Padre, se ancora sono in tempo vorrei salvare quei due... Il cappellano lo- ascoltò, discusse con lui sulla drammaticità del caso, infine lo interpellò: Iseeeamento DeTtetono. La Ss- aK-LiuiiwiiB uè oiemru. uà tonieb i sione, era una sunerfhuta in miei , f aufcl1"""* i« mubj Ìl^^- E,' mvece' ch,e,se Ti ^^23. COn A rappresentante del WhvUao »ter0i Gli fu consentito. ma le rivelazioni che egli si proponeva di fare e che il magistrato raccolse, risultarono sfoghi senza nesso e senza senso: un penoso tentativo in extremis per intorbidare le acque, per arrestare il corso ineluttabile degli eventi. Ma il corso non fu interrotto. De Stefano ripeteva ancora fra sè e sè, percorrendo agitatamente i pochi metri della cella, le parole con le quali si era illuso di far minare all'ultimo momento tutto il castello dell'accusa, e dalla cella quasi contigua alla sua, Domenico Artuso era fatto uscire per essere condotto sul luogo dell'esecuzione. AH'Artuso era stata riservata la precedenza nell'ordine fissato dalle autorità per la triplice esecuzione. Egli giunse disfatto, ma si avviò alla sedia con passo sicuro e si lasciò bendare e legare senza un lamento, una protesta. Il cappellano rimase al suo fianco sino all'estremo momento e colse le sue ultime parole, che erano una invocazione straziata: < Perdona, mio Dio, perdona! ». Dopo Artuso fu la volta di Mandalari. Sceso da! carrozzone, egli volse intorno lo sguardo e fu come sorpreso nello scorgere capannelli di gente. Si fermò; « Signori — prese a dire con voce ferma ed alta — io sono innocente come Cristo in croce. La mia rovina sono stati De Ste- fano e C... ». Si sentì più sereno dopo questo sfogo. Senza indeci sione o protesta seguì gli agenti verso il quadrato, al cui centro era posta la sedia fatale: vi si as sise. attese che lo bendassero, che lo legassero. — Padre, la mano..., datemi la mano, fatemi baciare ancora il crocefisso... — ripetè concitatamente quandr -vertì che intorno a lui si face*.- vuoto, que! gelido spettrale 11 : gico vuoto in cui lo avrebbe ghermito la morte. E la sua vita si spense con lo spegnersi di questo grido iterato. Pochi istanti dopo era la volta di De Stefano, il quale andò verso la sedia con indifferenza, con passo pacato tranquillo. Tra le labbra serrava la sigaretta e si decise a buttarla via solo quando gli agenti gli furono intorno per applicargli la benda agli occhi, per fissargli attorno alla persona quel sistema di cinghie che dovevano immobi lizzarlo nel momento fatale. Nel sentirsi legare alla sedia, il cri-.ninale ebbe un sussulto, un brivido: tuttavia, non si tradì: dichiarò, in- vece, che la misura era inutile, su- perflua: egli era colpevole e non sarebbe fuggito; d'altro canto aveva sufficiente coraggio per affrontare la morte. L'operazione fu portata a termine senza che, per al- tl°- » De Stefano vi si ribellasse. E quando le cinque cinghie che Io serravano alla sedia fatale (biso- gnerà ricordare che la sedia è as¬ sicurata a quattro paletti infissi saldamente nel suolo) furono affibbiate, egli cercò con un moto de ciso il cappellano, il confortatore \ i,i extremis, — Padre, non mi abbandonate... Rimanetemi accanto... Voleva parlare ancora. Forse, in quell'estremo istante, gli balena va il pentimento, lo attanagliava \\ rimorso. E disse qualcosa. Ma troppo tardi, ormai! L'eco delle sue parole fu assorbita e dispersa dalla tonante scarica che gli ave va tolto la vita, Francesco Argenta. UN CASO CLINICO |£^ PENA DI MORTE DOPO DIECI ANNI *~ ~____■___■ ! UN CASO CLINICO // " dramma delle tre fosse uno sfondo di intrighi e vendette che il protagonista gabellava come vicenda d'amore ROMA, gennaio, [ila fosca vicenda che fu chiama- ta dalle folle il « dramma delle tre fosse », che fu gabellata dal pro-'lagonista come una dolorosa tra- gedia d'amore, può essere definita 'in sede più obiettiva e diversa, un caso clinico eccezionale. Tutto concorre a conferirle questo carat-|tcre. E non solo il torbido sfondojsu cui la vicenda si incide, ma la molteplicità e la concatenazione \ degli episodi delittuosi da cui la vicenda è scaturita, la dinamica i criminosa che ha caratterizzato ognuno di questi episodi, il mec-1 canismo determinativo che è iden-jtificabile alla base di essi e, in-, sieme a tutti questi elementi, l'o-jscuro vincolo associativo determi-inatosi fra il protagonista ed i cor- jrei, un criminale catalogato il|primo, lavoratori incensurati gli: altri, per i quali i fattori b:o- jlogici ed ambientali sono ineffica- ;ci, da soli, a metterci innanzi lajcausale della loro attività crimi- nosa. |iDiabolica messinscena La vicenda, col suo tol.bidojsfondo di intrighi e vendette, si è svolta a Rpo-o-ioralahria Freouen-'tondo la ca°sadf PMau^lLXri-l♦oi=* i^Li»ttn iq^-n«n in/nn tale Antonietta Artuso incon-Arturo"ù?_J_»^Je_3S il quale era reduce dall'aver scon- tato una condanna Der omicidio tato una condanna per omiciao L Artuso raccontò che l'amante, l'imDieeato municinale Antonio Fen-ante la maltrattava cite E r- teosselo "he Sia cosa si pÓ-teva °p^ffnef botava0 mettersi d'accordo col De Stefano. Incorag-giato dalle due donne, costui si ac-collo l'incarico di togliere di mez-zo il Ferrante. Ma il tentativo fallì: i colpi esplosi dal criminaleandarono a vuoto. Il Ferrante conviveva con una figliola, Maria Te-resa — Sisa, per i parenti e le amiche — e la giovane apri, come si suol dire, gli occhi al padre.Di qui un rinfocolarsi dell'odio che già l'Artuso nutriva verso la gio-vane. Ritrovatasi, frattanto, in ca- sa dell'Errigo, l'Artuso tornava alla carica con il De Stefano e questi prometteva di «fare» allafiglia del Ferrante quanto pel pa-dice non era riuscito. Per rendere più agevoli le cir- costanze che potevano consentire la perpetrazione del crimine, si escogito una diabolica messinsce- |n^/»P«.Stefàno_Si Ansimarne-rato del a giovane, e poiché era-, ■> , -, ,t presumibile che il progetto di ma-trimonio sarebbe stato contrasta-to dal padre, indusse la ragazzaalla fuga. Ignara del crudele de-so cSc legera serbato, la ragaz-za lasciò la casa paterna la serade. 6 maggio '33 per seguire i.♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦♦«♦ [criminale a Messina. Senonehè il ] viaggio doveva avere una mèta j tragica e vicina. Condotta in aper- ; 'ta campagna, la giovane era ne- j cisa a rivoltellate e sepolta in una 'fossa, nel greto del torrente Ca- lopinace. Il mistero avvolgeva an- Cora la scomparsa della povera "|giovane, ed ecco aggiungersi alìjcrimine orrendo un nuovo misfatto i Per la spartoria contro il Fei \ tante, per l'uccisone della figliola di questi, il De Stefano aveva chie i sto aiuto all'appaltatore France sCo Mandatari, di 34 anni, il qua- 1 |e gli aveva fornito l'arma e gli juomini che potevano aiutarlo nei , far scomparire la vittima: i bracjcianti Antonio Recupero e Domei nico Artuso. Senonehè, avvenuta j l'uccisione della Ferrante, il Re|eupero, a causa dei dissensi sorti : fra lui ed il Mandatari, parve pe j ricoloso come depositario del se ; greto. Così il De Stefano, il Manjdalari e l'Artuso decisero di sop primerlo. E l'uccisione del correo | fu compiuta con una messinscena i fiabesca. Si fece credere al Recu- ^10 che si e,a sc°Pert0 un tesoro e che bisognava nasconderlo e lo j si indusse a scavare una fossa pro fonda- Quando ,1 disgraziato fu al 'ternline de!la fatlca' 1 tre lo uc', lctae,,° a rivoltellate, calandolo poi nella fossa che egli stesso si era seavata Due innocenti furono arrestati1 prima che le indagini portes-F 'sero all'arresto dei colpevoli. E onesto il nroeesso eb- ancne per questo n processo eo- he intermezzi largamente dram.f «natici. Tre condanne a morte (Del ! Stefano, Mandalari e Domenico! Artuso); una delle due donne. l'Artuso. condannata all'ergastolo: l1 l'altra, l'Errigo, a trent'anni: ec ;CO l'epilogo, [ ; 1 ! mesi dall'epilogo del processo, I CL* ii' i ' ' òutgOtttmentO e reazioni , Si compivano esattamente sei 1 quando, la notte sul 17 febbraio '37, giunse l'ordine di comunicare; jai tre sciagurati che il «ricorso! : alla grazia sovrana » era stato re- [ I spinto e l'esecuzione sarebbe se-| Iguita alle prime luci dell'alba. Sot-| 'toposti ad isolamento continuo edi ia sorveglianza speciale mai inter I rotta, De Stefano Artuso e Man- datari occupavano tre celle, quasiL i contigue, nel medesimo «braccio», i nella stessa «sezione », ma non ai-; erano più mcontrati neppure fug- -; ^^^^ *ve^_ plù.:^a inimicato fra loro, neppure indi-u . , ,i ,.■ -, rettamente, dopo la drammatica-, sera in cui erano tornati dalle as-a sise, sconvolti e piegati dalla con-- danna fatale. Non si rividero non- si incontrarono non poteronoa scambiare alcuna comunicazione,.jneppure in queila osa estrema ^ terribile che precedeva il eompier-is si del loro amaro destino. i Svegliati dal tramestio eh i. riempi subitamente d'echi il co ridolo e le celle, allorché si ava zarono i funzionari e gli agenti ehe accompagnavano il rappresentante del Pubblico Ministero, ognuno dei tre condannati intuì quello che accadeva nella cella dell'altro quando, al cigolio della porta e del cancello che si dischiudevano, udi seg-uire un parlottar dr—ssnsdisfisommesso e serrato, rotto, a trat-ì mda pause cupe, sospiri angoscio-;stlui pure sarebbe toccato di vivereEguale, uniforme nelle modalità alle quali obbediva, la penosa formalità si ripetè tre volte nel volgere di pochi minuti: un tempo l'imminenza dell'esecuzione, ed il cappellano fu di una pietà senza fise nell'assistere i tre morituri. 1^*^^^*,^ F?1^11™.J^^Xta^E sioni della canta, con la forza emotiva dei richiami dell'estremo _i„_i*0 «ho fomento, gli impeti di rivolta che l covavano in uno dei tre sciagura!"; soffocando le crisi di angoscia <J^^Ti^^Si lg" alt"; suscitando, in tutti, col si, esclamazioni straziate; ognuno | pintui il dramma che andava viven-j mdo il compagno, il dramma che a mctecgcbrevissimo, ma che a tutti parve [dinterminabile eterno. Poi, allonta-j rnatosi ii rappresentante del P. M., | tanche i funzionari carcerari che -, aavevano presenziato al compiersi | pdelle formalità lasciarono le cel-j sle, echeggienti di imprecazioni e| di pianti, per cedere il passo al cappellano: il confessore, il confortatore in extremis. La legge fa largo alla pietà nel- L I soffio della rassegnazione, i segni di un pentimento verace. L'annuncio della esecuzione aveva ugual mente sbigottito i tre condannati, ma le reazioni che ne erano segui- , te erano state diverse. Terribile, quella del Mandatari — Mio Dio — urlava il condan- nato picchiando coi pugni contro ; le pareti della cella — perchè mi !113' abbandonato? Perchè non hai [ voluto fare giustizia ? Tu sai tut|to: tu sai che sono innocente... | i „ cappono lo raggiunse du^ L,ante q^sto sfogo tempestoso e dro f^tica a placarlo. Era il più iabl, u l& intelUgente.u .più dia-1 letUco ^ t _ * lQ avev'a dlmo. Incapace di scrivere tmnsusslavslibrsgcsptvndvazpsc^|'2^ "chiaramente" al""processo,I-: „„_,-_._,,„ „„„ „i„,.„; - -i™i asostenendo per giorni e giorni ili a ■ .,,,,„, i. „„„,„„ „?oc.f„„,i„ - ■ '^U° -,cp°" ' *"' ■T^Z^Ì- °f£^T^^nt^tnhi.» «^n ^Sf^f^^i!!ìf-n\^"Wo!,?^ , i sabilità ogni volta che questa par- ^f^^^Z^^ le —, ma il terrore onde era stato assalito all'annuncio della fine imminente, la cupa disperazione da cui era stato preso nell'intendere che l'espiazione sarebbe stata inesorabile e fatale, avevano agito su di lui come un trauma, annichilendo quel senso critico che era vigile ed acuto in lui, scompaginando la trama di ogni ragionamento, inaridendo ogni facoltà intellettiva, riducendo ad un balbettio incoerente ogni protesta1 ogni sfogo ogni manifestazione verbale di quell'ora estrema e fatale. Dinanzi alla sua mente sconvolta, il cappellano agitò il pensiero, l'ombra dei familiari, ed il Mandalari accennò ad acquetarsi al pensiero della madre e della moglie. Soggiunse, interrompendo per poco quel suo vaneggiare angoscioso, quel suo tempestoso soliloquio con Dio, che avrebbe desiderato indirizzare un estremo saluto alla moglie. Il cappellano approfittò di questa sosta, intervenuta come miracolosamente nel pauroso turbinio di uno sconvolgimento veramente totale, per preparare il condannato a quest'atto estremo, per indirizzarvelo con la con ctcplzaeupaucDvrssfciLta, sgorbi informi ed e rabeschi I senza significato. Fini col rinunlciare a scrivere la missiva di ad|dio, e pregò il cappellano di scri\vere in sua vece. Ma che cosa? — Questo soltanto — urlò —: che >aoao fn«*nte e vado a morte in nocente. Non ho altro da sapevoljzza che l'atto il momento fvoleva. Apparentemente calmo, il dMandalari si accinse a vergare l'è-! sstremo saluto. Ma ne fu incapa-1 vce: il braccio prese a tremargli (econvulsarr.ente e la mano a trac-j sciare, in luogo dei segni corrispon-1 ldenti aìl^ parole che facevano! groppo in j,'ola, eh? riddavano tre-1mmendamenti' nella mente sconvol-]cmal| gere. Nella sua cella, anche Artuso era dilaniato dalla disperazione. jAllorché era stato scoperto nel llgcaggiun-j Sdpsb] greto del torrente Calopinace iljg| cadavere della povera Sisa, l'Ar- l: tuso era stato tradotto nella lo-1 a i calità e dinanzi ai resti della sven- d turata fanciulla era caduto in gi- l nocchio, singhiozzando: « Si, sono si stato io. Chiedo perdono a Dio edln |a tutti ». La confessione, di una t jspontaneità altamente drammati- v 'ca, non era stata più contraddet-lp ta da lui. Lo fu invece in quell'e-!s stremo momento. iv _ In Qllale imbroelio mi han-!t ' ' no messo! »emeva il condan-'t nat0 allo>xhè if cappellano giunseit neua sua ceua _ e' vero che hojE|detto di e8sere colpevole, ma sono sstato costretto a dirlo... Igssbj cUna tragedia d'amore? \ La confessione estorta colla eoa- ; ijzionè, colla violenza — fisica o mo-i rale, — è una trovata vecchissi-j Rma, alla quale ama ricorrere seni- ! pie il mondo dei criminali: ma quna trovata che non ha più sue-j vcesso oggidì, tant'è trita logora \\abusata. Ricorrendo ad essa ini tquell'ora estrema e drammatica, ;sArtuso si illudeva, tuttavia, di ot- dtenere qualche effetto emotivo: vfors'anche di arrestare il corso la inesorabilità del destino. E vi in- sistette, fra strilli acutissimi, pian i disperati, atteggiamenti distra io. Del resto, in questa estrema e disperata difesa, egli doveva essere incalzato — ed a sua insaputa — proprio da De Stefano, il personaggio di primo piano della fosca vicenda, l'artefice, il protagonista del « dramma delle tre fosse ». Durante le drammatiche fasi della contrastata e tempestosa struttoria, durante l'agitata trafila delle udienze — al dibatti- mento — Di Stefano aveva dimo- strato di saper assumere le prò prie responsabilità, ma aveva dimostrato altresì, di saper freddamente rovesciare sugli altri quelle che agli altri spettavano. Quest'atteggiamento gli aveva valso il riconoscimento degli accusatori, ma gli aveva fruttato i vituperi dei compagni. Ed ora, nell'imminenza della fine ne provava un profondo rammarico, tanto da sentirsi spato a scagionare i compagni e ad accollarsi — intero e fatale — il peso della catena degli atroci misfatti, La sigaretta fra le labbra _ Vuoi confessarti? _ N™ ™3 Probabilmente, era solo l'infinita vanità che è propria dei criminali a spingerlo su questa via: non il pentimento, il rimorso, che sarebbero stati fuor di luogo; non un indistinto ideale di bene, che sarebbe stato un'assurdità per la sua natura. Lo sguardo fiero e lampeggiante, De Stefano mosse verso il cappellano quando questi s'affacciò alla sua cella, si curvò lievemente per sfiorare con le labbra il crocifisso che ricadeva col rosario al fianco del monaco, poscia, con il piglio di un attore, soggiunse, portandosi al centro della cella: —■ Padre, il colpevole sono io. io soltanto. Quei due non c'entrano per nulla. L'ho già detto altra volta, ma non mi hanno creduto. Ora voglio rivelarlo alla legge. Nessuno ha compreso la causale del mio delitto. La mia è stata una spaventosa tragedia di amore... Quindi, dopo una breve pausa, apparentemente carica di commozione: — Padre, se ancora sono in tempo vorrei salvare quei due... Il cappellano lo- ascoltò, discusse con lui sulla drammaticità del caso, infine lo interpellò: Iseeeamento DeTtetono. La Ss- aK-LiuiiwiiB uè oiemru. uà tonieb i sione, era una sunerfhuta in miei , f aufcl1"""* i« mubj Ìl^^- E,' mvece' ch,e,se Ti ^^23. COn A rappresentante del WhvUao »ter0i Gli fu consentito. ma le rivelazioni che egli si proponeva di fare e che il magistrato raccolse, risultarono sfoghi senza nesso e senza senso: un penoso tentativo in extremis per intorbidare le acque, per arrestare il corso ineluttabile degli eventi. Ma il corso non fu interrotto. De Stefano ripeteva ancora fra sè e sè, percorrendo agitatamente i pochi metri della cella, le parole con le quali si era illuso di far minare all'ultimo momento tutto il castello dell'accusa, e dalla cella quasi contigua alla sua, Domenico Artuso era fatto uscire per essere condotto sul luogo dell'esecuzione. AH'Artuso era stata riservata la precedenza nell'ordine fissato dalle autorità per la triplice esecuzione. Egli giunse disfatto, ma si avviò alla sedia con passo sicuro e si lasciò bendare e legare senza un lamento, una protesta. Il cappellano rimase al suo fianco sino all'estremo momento e colse le sue ultime parole, che erano una invocazione straziata: < Perdona, mio Dio, perdona! ». Dopo Artuso fu la volta di Mandalari. Sceso da! carrozzone, egli volse intorno lo sguardo e fu come sorpreso nello scorgere capannelli di gente. Si fermò; « Signori — prese a dire con voce ferma ed alta — io sono innocente come Cristo in croce. La mia rovina sono stati De Ste- fano e C... ». Si sentì più sereno dopo questo sfogo. Senza indeci sione o protesta seguì gli agenti verso il quadrato, al cui centro era posta la sedia fatale: vi si as sise. attese che lo bendassero, che lo legassero. — Padre, la mano..., datemi la mano, fatemi baciare ancora il crocefisso... — ripetè concitatamente quandr -vertì che intorno a lui si face*.- vuoto, que! gelido spettrale 11 : gico vuoto in cui lo avrebbe ghermito la morte. E la sua vita si spense con lo spegnersi di questo grido iterato. Pochi istanti dopo era la volta di De Stefano, il quale andò verso la sedia con indifferenza, con passo pacato tranquillo. Tra le labbra serrava la sigaretta e si decise a buttarla via solo quando gli agenti gli furono intorno per applicargli la benda agli occhi, per fissargli attorno alla persona quel sistema di cinghie che dovevano immobi lizzarlo nel momento fatale. Nel sentirsi legare alla sedia, il cri-.ninale ebbe un sussulto, un brivido: tuttavia, non si tradì: dichiarò, in- vece, che la misura era inutile, su- perflua: egli era colpevole e non sarebbe fuggito; d'altro canto aveva sufficiente coraggio per affrontare la morte. L'operazione fu portata a termine senza che, per al- tl°- » De Stefano vi si ribellasse. E quando le cinque cinghie che Io serravano alla sedia fatale (biso- gnerà ricordare che la sedia è as¬ sicurata a quattro paletti infissi saldamente nel suolo) furono affibbiate, egli cercò con un moto de ciso il cappellano, il confortatore \ i,i extremis, — Padre, non mi abbandonate... Rimanetemi accanto... Voleva parlare ancora. Forse, in quell'estremo istante, gli balena va il pentimento, lo attanagliava \\ rimorso. E disse qualcosa. Ma troppo tardi, ormai! L'eco delle sue parole fu assorbita e dispersa dalla tonante scarica che gli ave va tolto la vita, Francesco Argenta.

Luoghi citati: Messina, Roma