Dove Carneade non c'entra per nulla

Dove Carneade non c'entra per nulla LAPIDI E ISCRIZIONI Dove Carneade non c'entra per nulla Non poche fra le lapidi commemorative degli uomini illustri murate nelle case della vecchia Torino, sono destinate a italiani di altre città e regioni della Penisola e taluna anche a stranieri. Ne vedremo in seguito di sfuggita qualche esemplare. Tuttavia in più d'un caso, riprendendo il nostro giro per le vie del centro, ci im batteremo in personaggi nati altrove, ma che sono divenuti torinesi in virtù della lunga convi venza nella città di adozione: tali il Plana e il Virginio. Lasciando stare il Plana, al quale oltreché una via che sbocca in piazza Vittorio Veneto, è stata dedicata una scuola e la cui fama tra le persone colte rimane tuttora viva, per il Virginio, egli pure ricordato con la intestazione del breve tratto di strada da via Po a via Verdi presso piazza Castello, ci par di vedere il collo del nostro amico lettole protendersi più di quello di don Abbondio davanti al nome di Carneade: «Virginio, chi sarà costui? Eppure mai il gelido marmo fu più sincero nell'esaltarne la figura. Egli appartiene alla schiera dei modesti. Si chiamava Gian Vincenzo ed era nato a Cuneo nel 1752. Laureato in legge, si appassionò per l'agricoltura prodigando le sue sostanze a vantaggio dei contadini e specialmente dei più umili e sprovvisti di beni di fortuna. « Insigne filantropo e valente agronomo » lo proclama infatti l'epigrafe della casa di via Basilica dove cessò di vivere il 5 maggio 1830. Era la casa vicina al palazzo dei principi d'Este, marchesi di Lanzo, che aveva servito di sede all'antico Ospedale Mauriziano. Ma l'iscri zione, già ricordata del resto in un vecchio articolo de La Stampa, aggiunge qualche cosa di più e precisamente che il Virginio « in anno di funesta carestia — introdusse « primo in Piemonte la cultura della patata». Vi par poco? Noi sosteniamo che invece di un viottolo di pochi metri, a questo grande cittadino che voltò le spai le alle litigiose aule per farsi pian tatore e propagatore dei deliziosi tuberi, sia dedicato un corso. E veniamo al secondo dei due illustri torinesi d'adozione oggi da noi incontrati. Nato Giovanni Antonio Amedeo Plana nel 1781 a Voghera, nelle antiche Provincie piemontesi, lo troviamo nell' anno 1812, trentunenne, ti tolare della cattedra di « calcolo sublime » alla allora imperiale Università di Torino, da lui occupata sino alla morte, che avvenne nel 1864 in una casa al principio di via Maria Vittoria. Lì deve aver trascorso la massima parte della sua vita, se è vero che, matematico e astronomo di grido, vi me dito e vi scrisse l'opera ancor og gl celebrata sulla teoria del movimento della luna, che egli fissò in formule definitive. Fu anche presidente dell'Accademia del le Scienze e direttore dell'Osser vatorio che ancora una ventina di anni fa si trovava su una delle tor ri di Palazzo Madama, dov'era stato costruito sotto la sua direzione nel 1822. L'Accademia francese gli assegnò in quel torno di tempo il gran premio per la matematica. Più tardi Carlo Alberto lo nominò barone e Vittorio Emanuele II senatore del Regno. Ma in via Maria Vittoria, già via di San Filippo, ci richiama una terza figura di scienziato, torinese puro sangue, questo, sebbene l'osse di famiglia oriunda d' oltre alpi: il filologo orientalista Amedeo Feyron. La lapide che ne indica la morte emerge dal palazzo segnato col numero due proprio di fronte allo stabile in cui abitò e spirò l'astronomo. Se non vi nacque nel 1785, vi dimorò egli pure lungamente sino alla fine: 27 aprile 1870. Fu allievo dell'abate Tomaso Valperga di Caluso, l'amico intimo e devoto di Vittorio Alfieri. Al Caluso il Peyron succedette nella cattedra universitaria nel 1815. Una rinomanza europea coronò i suoi lavori sulla lingua copta, in merito alla quale nel 1835 pubblicò un lessico e nel 1841 una grammatica. Le Memorie dell'Accademia delle Scienze racchiudono inoltre i suoi importanti lavori sui papiri esistenti nei musei egizi di Torino e di Vienna. Nel 1848, promulgato lo statuto, entrò anch'egll a far parte del Senato. Di fronte alla chiesa di San Fi lippo, nei cui pressi deve forse tutt'ora trovarsi la mansarda nella quale il savoiardo conte Saverio De Maistre, fratello di Giuseppe « ambasciatore di Sua Maestà Sarda presso la Corte di Pietroburgo s>, scrisse il « Viaggio attorno alla mia camera », esiste poi mspsDafmclcmdgdadncddsplactdbdilsfmgzcprcslIdlil palazzo già dei marchesi di San : pMarzano, sontuosa diinora patii-Uzia, che la sera del 18 aprile 1842 \vaccoglieva in un ballo il fior fiore dell'aristocrazia torinese « per onorare — dice il Cibrario — le auguste nozze di Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Duca di Savoja, Principe Ereditario, colla serenissima Arciduchessa Maria Adelaide ». Il ballo era dato dal principe Felice Schwarzemberg, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di S. M. l'Imperatore d'Austria. Maria Adelaide era la figlia dell'arciduca Ranieri. Di fianco al palazzo di San Marzano, è infine il palazzo della Cisterna. L'ultimo principe di questo nome, padre di Maria Vittoria, l'uomo ritenuto al suo tempo il più ricco del Piemonte, implicato nel movimento insurrezionale del 1821, era stato condannato a morte in effigie. Egli apprese la notizia della sentenza a Parigi. La sorte bizzarra doveva in seguito designare in lui l'avo del Duca d'Aosta, l'invitto condottiero della Terza Armata. f o. «nsdn«deeFtpnIitinsrbfia Dove Carneade non c'entra per nulla LAPIDI E ISCRIZIONI Dove Carneade non c'entra per nulla Non poche fra le lapidi commemorative degli uomini illustri murate nelle case della vecchia Torino, sono destinate a italiani di altre città e regioni della Penisola e taluna anche a stranieri. Ne vedremo in seguito di sfuggita qualche esemplare. Tuttavia in più d'un caso, riprendendo il nostro giro per le vie del centro, ci im batteremo in personaggi nati altrove, ma che sono divenuti torinesi in virtù della lunga convi venza nella città di adozione: tali il Plana e il Virginio. Lasciando stare il Plana, al quale oltreché una via che sbocca in piazza Vittorio Veneto, è stata dedicata una scuola e la cui fama tra le persone colte rimane tuttora viva, per il Virginio, egli pure ricordato con la intestazione del breve tratto di strada da via Po a via Verdi presso piazza Castello, ci par di vedere il collo del nostro amico lettole protendersi più di quello di don Abbondio davanti al nome di Carneade: «Virginio, chi sarà costui? Eppure mai il gelido marmo fu più sincero nell'esaltarne la figura. Egli appartiene alla schiera dei modesti. Si chiamava Gian Vincenzo ed era nato a Cuneo nel 1752. Laureato in legge, si appassionò per l'agricoltura prodigando le sue sostanze a vantaggio dei contadini e specialmente dei più umili e sprovvisti di beni di fortuna. « Insigne filantropo e valente agronomo » lo proclama infatti l'epigrafe della casa di via Basilica dove cessò di vivere il 5 maggio 1830. Era la casa vicina al palazzo dei principi d'Este, marchesi di Lanzo, che aveva servito di sede all'antico Ospedale Mauriziano. Ma l'iscri zione, già ricordata del resto in un vecchio articolo de La Stampa, aggiunge qualche cosa di più e precisamente che il Virginio « in anno di funesta carestia — introdusse « primo in Piemonte la cultura della patata». Vi par poco? Noi sosteniamo che invece di un viottolo di pochi metri, a questo grande cittadino che voltò le spai le alle litigiose aule per farsi pian tatore e propagatore dei deliziosi tuberi, sia dedicato un corso. E veniamo al secondo dei due illustri torinesi d'adozione oggi da noi incontrati. Nato Giovanni Antonio Amedeo Plana nel 1781 a Voghera, nelle antiche Provincie piemontesi, lo troviamo nell' anno 1812, trentunenne, ti tolare della cattedra di « calcolo sublime » alla allora imperiale Università di Torino, da lui occupata sino alla morte, che avvenne nel 1864 in una casa al principio di via Maria Vittoria. Lì deve aver trascorso la massima parte della sua vita, se è vero che, matematico e astronomo di grido, vi me dito e vi scrisse l'opera ancor og gl celebrata sulla teoria del movimento della luna, che egli fissò in formule definitive. Fu anche presidente dell'Accademia del le Scienze e direttore dell'Osser vatorio che ancora una ventina di anni fa si trovava su una delle tor ri di Palazzo Madama, dov'era stato costruito sotto la sua direzione nel 1822. L'Accademia francese gli assegnò in quel torno di tempo il gran premio per la matematica. Più tardi Carlo Alberto lo nominò barone e Vittorio Emanuele II senatore del Regno. Ma in via Maria Vittoria, già via di San Filippo, ci richiama una terza figura di scienziato, torinese puro sangue, questo, sebbene l'osse di famiglia oriunda d' oltre alpi: il filologo orientalista Amedeo Feyron. La lapide che ne indica la morte emerge dal palazzo segnato col numero due proprio di fronte allo stabile in cui abitò e spirò l'astronomo. Se non vi nacque nel 1785, vi dimorò egli pure lungamente sino alla fine: 27 aprile 1870. Fu allievo dell'abate Tomaso Valperga di Caluso, l'amico intimo e devoto di Vittorio Alfieri. Al Caluso il Peyron succedette nella cattedra universitaria nel 1815. Una rinomanza europea coronò i suoi lavori sulla lingua copta, in merito alla quale nel 1835 pubblicò un lessico e nel 1841 una grammatica. Le Memorie dell'Accademia delle Scienze racchiudono inoltre i suoi importanti lavori sui papiri esistenti nei musei egizi di Torino e di Vienna. Nel 1848, promulgato lo statuto, entrò anch'egll a far parte del Senato. Di fronte alla chiesa di San Fi lippo, nei cui pressi deve forse tutt'ora trovarsi la mansarda nella quale il savoiardo conte Saverio De Maistre, fratello di Giuseppe « ambasciatore di Sua Maestà Sarda presso la Corte di Pietroburgo s>, scrisse il « Viaggio attorno alla mia camera », esiste poi mspsDafmclcmdgdadncddsplactdbdilsfmgzcprcslIdlil palazzo già dei marchesi di San : pMarzano, sontuosa diinora patii-Uzia, che la sera del 18 aprile 1842 \vaccoglieva in un ballo il fior fiore dell'aristocrazia torinese « per onorare — dice il Cibrario — le auguste nozze di Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Duca di Savoja, Principe Ereditario, colla serenissima Arciduchessa Maria Adelaide ». Il ballo era dato dal principe Felice Schwarzemberg, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di S. M. l'Imperatore d'Austria. Maria Adelaide era la figlia dell'arciduca Ranieri. Di fianco al palazzo di San Marzano, è infine il palazzo della Cisterna. L'ultimo principe di questo nome, padre di Maria Vittoria, l'uomo ritenuto al suo tempo il più ricco del Piemonte, implicato nel movimento insurrezionale del 1821, era stato condannato a morte in effigie. Egli apprese la notizia della sentenza a Parigi. La sorte bizzarra doveva in seguito designare in lui l'avo del Duca d'Aosta, l'invitto condottiero della Terza Armata. f o. «nsdn«deeFtpnIitinsrbfia