L'avvenente amazzone che amò Garibaldi

L'avvenente amazzone che amò Garibaldi HESSA SPERANZA NERA L'avvenente amazzone che amò Garibaldi Garibaldi e Mazzini, tanto disslmili fra loro da non riuscire ad andare d'accordo, pur avendo entrambi sacrificato se stessi per far trionfare la causa comune, esercitarono ambedue un fascino eccezionale su le donne che circondarono di un culto quasi religioso. « Angelo della famiglia, carezza della vita, consolatrice de- fli afflitti, soavità diffusa sopra dolori dell'esistenza » definiva il Mazzini la donna; e Garibaldi: «• Angelo della vita! L'uomo nella sua presunzione ideò Dio colle proprie forme: eppure MOnnipotente dovrebbe avere le sembianze di una donna, s'egli potesse aver forme >. Non solo: l'uno e l'altro erano profondamente convinti che l'uomo dovesse trovare nella sua compagna oltre che consolazione, l'ispirazione e la forza per compiere uuprese magnanime, traendo dalla comunione con essa un raddoppiamento delle sue facoltà morali ed intellettuali. Chi era Dalla donna l'uno e l'altro si attendevano una parte preminente per la creazione non soltanto della nuova Italia, ma per il risveglio di tutte le nazioni oppresse. Eppure come diversamente si comportarono con esse, ogniqualvolta donne singolari per temperamento e per intelligenza caddero sotto il loro fascino! Una sensibilità morbosa unita ad un esasperato senso di responsabilità che non gli permetteva di far soffrire altrui per la soddisfazione dei suoi anche più legittimi desideri, indusse sempre il Mazzini a soffocare le più ardenti aspirazioni del suo spirito e le esigenze non meno impellenti della sua carne; « l'imperfezione della sensualità », come dice bene il Guerzoni, era stata invece posta nel sangue di Garibaldi « più acre e imperiosa che mai > ed egli ne fu dominato dai più giovani anni sino alla vecchiaia, senza tuttavia che di lui si possa dire che sia stato un volgare Don Giovanni. Egli stesso, nella sua candida schiettezza, lo affermava. Tracciando in un suo romanzo il ritratto della avvenente proprietaria di un'osteria e dell'amore di lei per un cara- btalere genovese, affermava: «Alme plebeo fino alle midolla delle [ossa, solletica cotale semplice ma fervido innamoramento, ove l'amore presiede generalmente più sincero che nelle regioni principesche ». Nei rapporti con la donna egli non ebbe quindi gli scrupoli del Mazzini, perchè figlio schietto ed indomabile della natura. Quando s'innamorava, si abbandonava alla passione che l'ardeva con la subitanea fulmineità del selvaggio, ignaro dei frenile delle leggi della società quasi sempre ubbidiente solo all'istinto; non si avvilì però mai nè con volgari inganni, ne con mendaci promesse. Come sappiamo, sue mogli legittime, furono Anita de Ribeiras, Giuseppina Raimondi e Francesca Armosino. Ebbe però altre fidanzate tra donne straniere, cioè Emma Roberts inglese e Speranza Schwartz tedesca; colla prima, che era una donna aristocratica e ricchissima, egli stesso ruppe i rapporti; con la baronessa tedesca che era pure una gentildonna assai ricca ebbe una relazione assai singolare. Queste, insieme alla | march esina Raimondi, starebbero a dimostrare, com'egli, pur sentendosi plebeo e gloriandosene non disdegnasse di unirsi con qualche quarto dt nobiltà; ma, in realtà, nessuna delle tre, avrebbe potuto far vita comune con lui. Forse, sia per l'età sia per essere come Garibaldi, sensibilissima ai grandi ideali di patria e di libertà, che per il coraggio e l'intelligenza, soltanto la Schwartz avrebbe potuto colmare il vuoto che Anita aveva lasciata nella vita dell'eroe; e se ciò non avvenne non fu proprio per colpa della baronessa tedesca, ma del suo amico, come il lettore si persuaderà, se avrà la pazienza di seguirmi. La baronessa Maria Speranza von Schwartz, nata in Inghilterra nel 1821, era d'origine tedesca; suo padre essendo un ricco banchiere di Amburgo e sua madre discendente da famiglia di antica nobiltà prussiana. Era stata educata a Ginevra ed a Roma; a soli quindici anni, contro la sua volontà, era stata data in isposa ad un suo cugino, che poco tempo dopo si suicidò. Nè più felice fu il secondo matrimonio contratto nel 1842 con un banchiere amburghese, Ferdinando Schwartz, dal quale dodici anni dopo divorziò. Elpis Melena A trentatre anni questa giovane bella, colta, affascinante donna si trovò sola; stabilitasi a Roma si dedicò all'arte, .alla letteratura ed alla politica, conquistando col suo brio r<uanti l'avvicinavano, sia nei salotti che nelle sue-acrobazie di audace amazzone; óltre che indulgere alla sua passione per i viaggi, si dedicò ad una intensa attività letteraria, collaborando a riviste e giornali e pubblicando libri di viaggi e romanzi che ebbero una certa risonanza. Era poliglotta ed aveva uno spirito cosmopolita; si prodigava oer la propaganda zoofila e curava traduzioni di libri per i fanciulli, volendo in tal modo contribuire alla elevazione della società. Quale il suo aspetto fisico? Ce lo ritrae ella stessa nelle Memorie di una lpiastra spagnola nelle quali la [piastra stessa cosi la raffigura a a o n n e . e a a e L'elegante abbigliamento di quella giovane turista, la figura snella, ma specialmente il bello sguardo languido .destarono tanto più vivamente la mia ammirazione e la mia curiosità, in quanto che la sua persona mancava di ogni hiaro tipo nazionale. Ella era padrona assoluta delle lingue inglese, francese, tedesca, italiana, e si poteva anche ritenerla per un» spagnola s>. I ritratti che di lei si conservano ce la presentano se non bella, certo di aspetto piacevole, con occhi penetranti, alta fronte e pettinatura a riccioloni cadenti ai lati del viso. Non certo una bellezza sfolgorante, ma un tipo caratteristico che poteva piacere, in particolar modo per le sue doti morali, ad un romantico sentimentale quale fu Giuseppe Garibaldi e non v'è dubbio che egli, dopo averla conosciuta, ne fu conquistato. Speranza von Schwartz, che firmava i suoi scritti grecizzando il suo nome in Elpis Melena, ebbe occasione di vedere la prima volta il biondo Eroe a Roma durante il periodo repubblicano del 1849, quando, com'ella stessa afferma « tutti gli sguardi d'Italia erano fissi, pieni di speranza, su quel campione della libertà romana », si che « le acclamazioni ed i fragorosi evviva avevano avuto una eco nel suo cuore ». Incontro sul « Virgilio » Temperamento squisitamente romantico, fu conquistata dal fasuino del Nizzardo tanto che, dopo l'infelice fine della nostra prima guerra dell'indipendenza, in certi viaggi da lei fatti in Austria ed in Germania udite ingiuriose e cervellotiche leggende su di lui intervenne a rettificare ed a chiarire non pochi punti della vita dell'uomo che tanto già la interessava; quando poi a Sorrento, pochi anni dopo, nel 1853, udì dalla voce di un valoroso uomo di mare della Società Rubattino, il capitano Dodero, le fantastiche gesta di Garibaldi, decise di stenderne la biografia per smentire le false voci che su di lui circolavano all'estero ed in particolar modo in Germania. Il Dodero allora non potè soddisfare il suo desiderio di conoscere personalmente l'Eroe, per avere da lui elementi probatori per l'opera che intendeva fare, essendo Garibaldi in America; ma nel 1855 lo stesso capitano ben conosciuto dal Nizzardo ottenne l'autografo delle Memorie che consegnò alla baronessa tedesca. Queste Memorie giungevano sino al 1848; sulla traccia di esse ] Speranza condusse l'opera sua: non volendo però fermarsi a quella data, decise di recarsi nell'isola solitaria per ottenere dall'autore la continuazione delle Memorie e soprattutto per conoscerlo personalmente. Ciò avvenne nell'ottobre del 1857; la baronessa, accompagnata dal capitano Dodero, giunta alla Maddalena vide profilarsi su un canotto la popolare figura di Garibaldi, che le veniva incontro ed il suo cuore trepidò. La presentazione fu fatta a bordo del piroscafo Virgilio che aveva portato Speranza colà: egli fu subito conquistato dalla singolare grazia di lei, che, a sua volta, si senti soggiogata. Finalmente era alla presenza dell'uomo che da tanti anni teneva un posto unico nella sua vita e l'incontro non la deluse, anzi affermerà più tardi che l'ammirazione per l'uomo, appena conosciuto, fu superiore a quella ch'ella aveva avuto per l'Eroe nel 1849. Nè poteva accadere diversamente. L'originalità, la disinvoltura della baronessa tanto" briosa e vivace, il saperla appassionata fino alla temerarietà delle corse ippiche, il conoscere, probabilmente per mezzo del Dodero, la vita indipendente e scevra di pregiudizi dell'amazzone, che' aveva scelto come motto per la sua vita: « Nec aspera terrent», fu sufficiente per creare in Garibaldi l'illusione di aver trovato una seconda Anita, l'indimenticabile sua compagna; egli fu quindi di una gentilezza squisita; non potè accontentarla nel suo desiderio di avere la continuazione delle Afeniorie, perchè ancora non scritte, ma le offerse ospitalità nella sua 'modesta casetta" di Caprera. Ella non accettò l'invito per quella sera, ma disse che al domani sarebbe andata a trovarlo, e mantenne la promessa, iniziando cosi un assai interessante capitolo della vita sua e di quella del suo eroe. Il giorno dopo Garibaldi -era.- in jmare ad attendere la gentile ospi- te, che fu puntuale e passò agileè svelta sul suo canotto; appro- diirono poco dopo a Caprera e tra lentischi e muschi giunsero alla « Casa Bianca d'un solo piano, [ con un tetto piatto coronato da una cupola, che Garibaldi si era costrutto secondo lo stile sudamericano . . Speranza fu sorpresa della semplicità della vita che l'eroe conduceva nell'isola deserta che visitò con lui, passando ore di incanto, le quali ebbero il loro coronamento al parco desco, quando, entrambi essendo desiderosi di viaggi avventurosi, stabilirono di fare un giro per tutta la Sardegna. Essa rimase stupita constatando tra l'altro che « in italiano od in perfetto francese, egli sfoggiò un'eloquenza quale raramente si incontra in un uomo d'azione »; anzi più che stupita, rimase soggiogala dal fascino di Garibaldi che, a sua volta, fu da lei ammaliato, tanto da pensare senz'altro di farne la compagna della sua vita. A lei che, partita la sera stessa da Roma gli aveva mandato un saluto e qualche regaluccio per la figlia Teresita, il 28 novembre scriveva dichiarando senz'altro il suo amore: Prime lettere « Speranza mia, cosa vi dirò che valga tutta la gratitudine e l'affetto che meritate f Se in alcuna circostanza io ho ambito dì ess^rt qualche cosa, e di possedere per metterlo a' piedi d'una donna, è certamente in questa. Era naturale elio io vi amassi pria di conoscervi. Voi avevate preso interesse al mio individuo, figuravate caramente nella min immaginazione. Però la realtà m'ha beato e io mi sono sentito vsnimente felice, innalzato, d'uver potuto occupare un momento i pensieri di sì cara, si gentile, si generosa Signora. La promessa fattavi davanti la porta delle albergatrici è stata inconsiderata; alcunclié, ch'io non posso confidare alla carta, ma che vi dirò quando io abbia il bene di avvicinarvi, ■ può impedirmelo. In ogni modo, quando desiderate fare quel viaggio, scrìvetemi e sarò certo dolentissimo se non potrò accompagnarvi. Nell'avvenire io sono fiero di appartenervi, ed illimitatamente; dunque io più felice sarò quanto più voi di me disporrete. Teresa è fortunata co' bellissimi vestiti. Ogni coqa fu ricevuta, ed in questa casot lo scontento è solo per non avervi accolta come meritate. Accogliete i ringraziamenti e gli affetti di tutti. Addio! Vi bacio la mano e sarò sempre vostro ». La lettera è tanto eloquente da non ever bisogno di chiose; «amor che a cuor gentil ratto s'apprende» lo aveva pienamente conquistato; nè si può dire che non fosse corrisposto se Speranza non tardò a scrivergli: « Amico carissimo, subito ricevuta la vostra del 28 dicembre, vi scrissi; ma avendo indirizzato la lettera semplicemente al generale Garibaldi, Caprera, e non ricevendo finora una desideratissìma riga di vostra cara mano, comincio a temere che non abbiate ricevuto la ?/iia lettera! Ne sarei tanto più dolente, perchè conteneva qualche schiariimento circa certe espressioni delle mie penultime righe che, mi pareva, avevute male interpretato, non essendo voi abbastanza persuaso dell'affetto illimitato, che vi porto « che vi porterò sempre, da lontano come da vicino; perchè quando io vi dissi non poter mai esservi niente, era il solo sentimento del quanto poco sono degna di possedere il vostro affetto die parlava, giacché mi mancano tutte te qualità che vorreste trovure in una donna ». Arturo Codìgnola (Continua) Maria Speranza von Schwartz