CANE

CANECANE Anche le bestie, ognuna è a modo suo ; e ce u'è tante che si danno da sè qualche obbligo, a cui restano lige, senza che nessuno gliel'abbia detto e le costringa a mantenerlo. Questo era un cane insoddisfatto, che si presentava qua e là senza riposo come un'ombra interrogativa, in cerca di qualcosa da fare, e foise con la speranza di diventare un po' più vero se Analmente avesse troyato la sua faccenda. Chiamarlo bighellone sarebbe stato fargli gran torto. Credeva che gli spettasse ogni sera, nella luce quieta del crepuscolo, partirsi dalla casa a cui faceva la guardia e trottare dai villani in fondo al podere, non sbagliando mai il luogo dov'era il capoccia ; e, dato con la" sua coiafiparsa l'annunzio che il lavoro della giornata era terminato, rifare un tratto di strada pensieroso in coda alla frotta degli uomini, col uiubo sulle loro calcagna. I villani dicevano che si sentiva in obbligo di sfaccendare sull'ora del pasto serale per meritarselo in qualche modo. Ma il cane non aveva mai dubitato che quei pochi tozzi non gli competessero per diritto di fame. Essendo un cane serio e di buona indole, più che a scodinzolare frivolmente, s'occupava a alzare gli occhi gialli e dolci, riposati, nei torbidi sguardi di questo o quello dei suoi affaticati padroni. A tali incontri ogni uomo, senza saperlo, meravigliato e quasi riconoscente, si disponeva a rasserenarsi, e con la vista schiarita rivolgi a alla bestia una voce di 9aluto. ]1 tono ironico non contava per vero, era un modo di non vergognarsi a salutare un cane; perciò qualcuno 10 minacciava alzando il braccio 0 gli gridava : o Che vuoi ?» ; ma contenti tutti d'esser stati guardati. Più contento pareva il cane, vibrando dal muso alla coda pei1 un brivido d'un attimo; di cui era il primo a dimenticarsi. E, già deluso, quasi distratto, fingendo un trotterello ozioso li sorpassava leggero leggero. E ricomparendo davanti l'uscio buio della cucina dava l'avviso alla massaia che gli uomini erano in via. ? Come sempre, anche quella 96 ra il primo a essere servilo fu 11 porco. Il cane seguì la mas saia che traballava poetando la secchia piena. Vitto colmare il truogolo da una. cascata di tonfi grassi e d'aiVegri schizzi, e fu scacciato Tol solito urlaccio. Ila con le Mammelle degli sguardi jjjUmiljj'h fior di terra e un breve giro in tondo in cui si mostrò curiosamente sconnesso, fece capire che non aveva cattive intenzioni : e restò a guardare il porco, acculato a rispettosa distanza. La massaia li aveva lasciati soli. Ora il cane sganasciava e batteva a 'vuoto le mascelle. Mentre invidiava l'altra bestia, gli sbadigli lo sgombrarono stranamente: e cominciò a parergli che tanta abbondanza non fosse, per quell'altro, la grazia che lui credeva. Meravigliato guardò meglio, alzando un orecchio. Sotto 1 tettucci bassi degli orecchi cieco da tutte le parti fuorché sulla pappa, il porco non poteva più peraere un momento: il suo tuffare e alzare il grifo di punta e di fianco nell'intruglio erano tutte mosso strette senza respiro e affannate, come sotto la battuta che un minaccioso oscuro potere gli misurasse incalzando: e un lamento c'era nei grugniti con cui s'incitava ad assaltare il suo greve cibo, e un soffio di cuore oppresso. Il cane scosse il muso come se sternutisse, e ne staccò i fili d'odore che, intrecciati per aria, gli si ficcavano nel fiuto. Affrancato, osservò di traverso quella faccenda davvero sconfortante, con uno sguardo di benevola ironia. Era. proprio spaventato, il porco, di non riuscir forse a ripulirsi il truogolo, pieno tanto da farlo disperare: e faticava in questo cordoglio. Disposto a ingollare quanto più e quanto più in fretta potesse — ose ci penso, mi perdo di coraggio» — non poteva più chiudere la gola, e tutta la pappa ci voleva entrare furiosamente. Come gli veniva in bocca! Da non arrivare a inghiottirla. A certe stolzate si capiva che gli faceva dolere la canna. Il cane sospettò che tra un momento si sarebbo dato, a piangere e gridare dissennatamente, chiedendo pietà. La fame, pensò, si tratta solo di sopportarla : non è questa fa tica che affronta lui. Un fitto di pinzi dietro l'orecchio che da un po' gli coceva sempre più vivo, arrivo in punto a scomporlo nell'atto d'una vivacissima raspata ; dopodiché si sentì vuoto e libero, con la fratta polverosa davanti, che gli diceva vattene. Riprese il suo trotterello, e filò dietro un'occupazione urgentissima. Certo sapeva d'essersi diretto verso l'aia; l'aia gli arrivò sotto le piote leggere e scorreva senza volersi fermare, anzi cominciò a inclinarsi, come finiva, tutta da un lato e a scorrergli così inclinata sempre da quella parte : segno che voleva esser percorsa dal margine in giro per i quattro lati. Bisognava aspettare, correndo in giro come pei fatti propri, che lafrsudgdpaugbloEdilsptembbila ne chrigbtrcoggdnfesesacdngqptntggvtnsEstgsnvlllvrpdcpqpIcnsitptsptggggecc«eappmnspdpcstemmmc r o o i — , e e a a a o i n , ; eaiea. re onn a o ri. n he la massaia, apparsa col paiuolo fra una nuvola di fumo odoroso sull'entrata-della cucina, finisse di ministrare dalla soglia una gran mestolata a testa nelle scodelle che i villani le venivano porgendo davanti: fermarsi ora ad aspettare i tozzi sarebbe stato un voler farsi scacciare con le più grandi risate di dileggio che abbiano mai mortificato un cucciolo inesperto; e lui c'era passato. Ma c'era troppo da aspettare. E si fermò davanti l'ingresso caldo della stalla, in tempo d'udire il bue che, dentro un greve sospiro, disse con solenne riposatezza: «Ora, ora sì, ora è il momento di ricondurmi in bocca un bolicello di quel buon fieno che buttai giù stamane, e di passare il tempo a ruminare con serietà», a Passare il tempo I», sentì il cane dentro di sè come una fitta: e di colpo gli parve di capire di che cosa lui penava» tanto, senza rimedio, a Adagio, adagio, adagio, adagio, adagio », diceva il bue. Il cane s'avventò innanzi latrando al vento, col muso cieco come a zuffa coi suoi stessi urli ; gli uomini che s'erano voltati a guardarlo stupiti, risero nel vederlo restare d'un tratto attonito: tremava tutto, con la coda ferma e dura. Alla vergogna dì sentirsi schernito, la coda gli s'abbassò. Si diede un contegno annusando l'erba. Appena sentì che non gli badavano più, tornò dal porco: e lo ritrovò più affannato di poc'anzi. «Adagio, adagio», gli consigliò, ricordando il bue. Il porco quasi non s'accorBe che, nella sorpresa, aveva pur levato un attimo il grifo dalla pappa: ci tornò dentro con l'ira di chi sia stato frastornato da un incosciente giocherellone mentr'è un impegno di vita o di morte. Ma la vicinanza d'uno che poteva ascoltarlo gli fece alzare il pianto, nell'immondo gocciolio d'un respiro. « Me, ne resterà davanti ! ». E subito si rituffò tutto dentro. E lascia che te ne resti — disse il cane. — Che male te ne potrà venire? Nessuno». «Ti scongiuro per ciò che hai di più caro si fermò a dirgli il porco, ansimando — lasciami ingollare, non ti posso ascoltare, soffro,- non vedi?, sei senza pietà!» Il cane, ammirando con pena la fatica dell'altro, avrebbe voluto consigliarlo per il suo bene : lascia, lascia quello che non ti va, poverino. A pulire ci pense rei io, gli parve d'aver detto. Il porco aveva sussultato, grida ndo: a La pappa mia.'». «Che c'entra, tua: io dico solo la pap* pa che non ti va ». «E non è mia, quella?». «Ma se tu noi hai troppa e ti fa male ! ». « Ma è mia ! ». Il cane restò scombinato. Non capiva. Non capiva come ragionasse colui. E il porco, dando sotto a pascersi, scherniva tra sè il cane dicendosi: «E lo so che tu non capisci niente, e mi fai perdere tempo ! ». Ora trovava pmbrnpsclmpgpcuznapgacc■mfdtorsoli da far passare a furia di stranguglioni, ahi ahi: era al punto critico, già tutto abbottato, e ogni pezzo che ingurgitava gl'indurisee la stipa: gli pesa, gli pesa, gli duole, qua gli punge, là gli ottura il fiato, coraggio... c'è da stirare le pieghe: e ora cominciamo a forzare. « Ora crepo, ora scoppio: e ce u'è ancora! Ce n'è ancora!», gridò. « E poi ? — gridò anche il cane, esaltato, — Che farai, poi? che avrai da fare, poi, che tu non possa andarci ora un po' più riposato, senza tanta angoscia, che mi pare da uno che non ragiona?». «Poi? — rispose il porco stupito. — Allora tu non sai proprio niente, cane. Poi mi tocca di digerire, ch'è Un'atra pena più interna di questa, dove a poco a poco invece che il povero stomaco mi pare che mi scoppi tutto il sangue, pieno di fiamme e di fumo... e, appena un po' mi sciolgo da questo rintronamento, ecco che arriva la pappa mia di nuovo, e non c'è tempo ad altro, cane, non c'è mai tempo ad altro 1». Una pietrata addosso parve al cane questa risposta e scappò. Tornando all'aia si sentiva solo in tutto il mondo e pieno di noia: ora che nel crepuscolo chiuso, seduti qua e là sopra una pietra o il muretto, i villani mangiavano di voglia, ma senza fretta, ridendo e chiacchierando fra un boccone e l'altro; e nella stalla il bue rumina adagio adagio adagio. Gli arrivarono i tozzi. « Piano, con garbo, cane: che fai?, si volse a dirgli il bue. Ma il cane non ascoltò il consiglio; rideva anzi alla riflessione con cui il bue, distrattosi da lui, s'era rivolto a se stesso, ammonendosi che il suo biasciotto era troppo grosso per una volta spia, e voleva risolversi a serbarne mezzo per più tardi. « Sicuro, così va bene — s'approvò il bue. Che bontà, che serietà, che pacificazione del oangue mio ». « Ahi, uh, spu, spu, squacc! — fece il cane. —. Ghrr, ini s'era messo di traverso ». Finiti i tozzi. Non ce n'è più? Più. Che altro si potrebbe fare adesso? Si mise a ruzzare con le zampe del bue, addentandole per chiasso, mentre l'amico, disturbato, ma senza scansarsi, cercava d'ammonirlo, per un'altra volta, a gustare i suoi tozzi come si devo, con un po' di serietà, e non quattro acciaccate. o o se a oo a o ù boo. e. lre oaon e e », a: di a e scrosci, e. giù. « Che ti re da fare, ora? », gli '' 11 e non potè rispondi. « diire », come il porco, perchè neanche so n'accorgeva, e n sapeva davvero. S'immalinì. « Vai, vai, caro — disse cora il bue. — Lascia ch'io provveda a transustauziare nel mio il vigore di queste buone erbe, affinchè nel mio grave corpo riferva, commisurata all'imponenza dell'aspetto, una feconda pienezza di vita». 11 cane gli lasciò uno schizzetto per saluto. Sbadigliò; a un'idea ruzzò con un bambinuccio. Quello si levò ritto con la sua scodella in mano e chiamò la madre impaurito; lui si finse sdegnato, gli urlò contro più forte, e scappò, che arrivava il padrone: ma con una bella volta di galoppo e una serie d'appropriati scodinzolamenti lasciò tutti dell'opinione che al bambinuccio gli avesse voluto fare le feste. Dopodiché, ripulito con due linguate quanto il bambinuccio aveva sparso in terra, s'accucciò per dormire. Laggiù il porco s'ingozza; i villani» attorno ■masticano di voglia ma senza fretta; rumina il bue: lui sbadiglia. « Chi sa che ti credevi di poter fare dopo, tu che t'affanni, sempre di corsa, col cuore in gola, pieno di voci da intronali' te e gli altri — gli diceva il bue — e così è il tuo da fare, così il tuo mangiare, come un tiro da ladro al tempo... e poi non sai più fihe fare, fiuti tutte le voglie, senza riposo, non ti vergogni a ruzzare, ancora, alla tua età, sbadigli, ti rassegni, e t'accucci per dormire. Non c'è conseguenza, cane, non c'è serietà, e ti si vede alla figura, come sei, sempre allampanato e famelico. Metti il caso nel mondo fossimo tutti cani come te, trafelati... ». « Ahi no, — smaniò il cane, nel sogno — un mondo così lento, così serio, pieno di bovi e di porci, è-una smania troppo tesa per il povero cuore mio. S'era svegliato. « Eppure ' credo — si disse — che ci sarebbe stata qualche altra cosa da fare... se non me la fossi dimenticata. Ma non c'è più speranza di poterla ritrovare. Ah, dormire, dormire ». « Non sta quieto nemmeno mentre dorme — disse il bue. — Basta, tiriamo su quell'altro mezzo bolo, e godiamo; che non rc'è altro da fare ». Stefano Landi -

Persone citate: Stefano Landi