Arrivo a Lisbona col "convento volante,, di Riccardo Forte

Arrivo a Lisbona col "convento volante,, AI MARGINI DELLA TRAGEDIA MONDIALE Arrivo a Lisbona col "convento volante,, (Dal nostro inviato) Lisbona, 2 dicembre. L'aeroplano parte in ritardo. Sono a bordo quattro sacerdoti e tre monache di non so quale paese, che vengono dall'Italia e vanno quasi tutti in America, e il fatto che avevano denaro estero ha reso lunghissime le operazioni di controllo a Madrid. I religiosi viaggiano silenziosamente, alcuni assorti nella lettura del breviario, altri in una tenue conversazione, altri in un raccoglimento in cui indovino la preghiera. Una preghiera calma e abituale come il respiro; non la preghiera ansiosa di noi peccatori. Uno di essi, che parla l'italiano, funge da interprete presso altri due religiosi stranieri che capiscono soltanto la nostra lingua: un italiano legnoso e quasi accademico, che sulle labbra di questi uomini di diverse nazioni mi dà pure il conforto di una universalità rinascente. Osservo la premura degli uomini verso le monache: quella cortesia soave e piena di sfumature e di riserve, che informa gl'incontri fra ecclesiastici di diverso sesso, quel sorridere amabile e un po' mesto, ma pacato, al momento degli addii. L'aeroplano dell'Ala Littoria assume così, mentre rom ba negli spazi, una leggerezza mistica; è un convento volante. Penso senza terrore alla possibilità di una morte comune nei cieli; immagino il coro grave e solenne di preghiere che s'innalzerebbe da quéste anime virginee e che avvolgerebbe anche la mia anima in- SMieta, purificandola in tanto canore. (Sempre, in aeroplano, ho pensato all'affratellamento di tanti esseri estranei Z'uno all'altro in un'unica morte, a quell'improwv so fondersi di destini, nel quale i miglior» deuono certamente imprimere il loro timbro agli altri prendere le loro parti, condurli davanti all'Altissimo in quel nuovo volo più breve, da un cielo a un cielo). Piove. Il convento volante sale a superficie più elevate, per oltrepassare il tetto di nuvole e di piaggia e pare davvero voler raggiungere il cielo. Dai 670 metri di altitudine di Madrid si arriva presto a 1500; il maltempo continua; bisogna salire ancora. 2000, 2500, 2800, 3000. Ecco, ora il tempo è buono; viaggiamo su uno spesso tappeto di nuvole al di sotto delle quali indoviniamo la pioggia. Verso la front'era portoghese la nebbia scompare e rifacciamo conoscenza con la nostra triste terra. Dell'Estremadura non si vede che un paesaggio rugoso, grigio, solcato da fiumi sinuosi. Un grande lago artificiale. Una monotona serie di boschi radi intersecati dagli affluenti del Tago. Eccoci certamente in Portogallo: a destra, a sinistra, delle masse bianche compatte, sorgenti su piccoli colli, in mezzo a macchie verdi di alberi, mostrano il volto fresco e primaverile delle borgate e delle cittadine di provincia portoghesi. Scendiamo rapidamente a 500 metri; troppo rapidamente per non notare sgradevolmente il cambiamento di pressione atmosferica. L'aria della terra, di temperatura disuguale, provoca continue buche; l'aeroplano vi affonda come un'automobile su una cattiva strada. Ora ci buttiamo risolutamente *n "na nuvola densissima che ci sovrasta d'improvviso: senso- zvSstbvTg i o n e r i zione tipica della notte che si avventa su di noi, dal di fuori. Scendiamo di nuovo. Un grande specchio d'acqua- ci viene incontrò, uno specchio azzurro che sembra il mare, popolato dalle tipiche vele rettangolari e colorite del Tago. I religiosi si sono scambiati foglietti di carta con l'indirizzo del luogo dove ciascuno di essi è diretto. Hanno viaggiato (forse sotto sudditi di paesi nemici) protetti dal tricolore; e un lungo viaggio aspetta ancora le stanche suore, un lungo viaggio sul mare infestato di pescicàni e di siluri, sempre col libro di preghiere della giovinetta che non ha cessato di esser tale. Suore e frati si salutano con un vero desiderio di non perdersi di vista; immagino le cartoline austere e cordiali che si manderanno appena arrivati. I mesi passeranno, la tranquillità della vita quotidiana annegherà il ricordo di questo viaggio in un'impressione diffusa e sfumata, relegata al secondo piano della vita e delle emozioni. Parrà, forse, ai protagonisti dell'ardua traversata, ai fratelli di religione incontratisi fra un mondo e l'altro, che anche questo ricordo sarà stato travolto e sommerso dalla vita che crea e uccide. No, penso di no. Non vi indico a me stesso mentre assisto àgli addii delle monache), non vi è pagina- della nostra esistenza, per sottile e breve.che sia, il cui fondamento eterno, forse ignorato da noi stessi, non permanga attraverso la marea tempestosa e disordinata- della vita. Non pos siamo pensare alla morte vera delle cose, anche se fuggevoli, che ebbero valore di verità e di bontà. Muoia pure l'ingannevole poesia dei sensi, quella delle anime, se è immortale, deve realmente sopravvivere. Due ore e venti minuti sono bastati per farci passare dall'atmosfera tesa, rigida, cristallina di Madrid, che lasciammo avvolta nel gelido silenzio delle ore mattutine, all'aria colorita; movimentata, meridionale di Lisbona. All'aerodromo di arrivo le formalità si sbrigano prontamente. Funzionari severi, in un'uniforme stretta e grigia, che ricorda quelle dell'antica Austria, stabiliscono termini implacabili al nostro soggiorno. Ricevo, come tutti i viaggiatori, un foglietto che m'invita a presentarmi entro due giorni al Parco sanitario dove dovrò essere osservato (si teme che il tifo dilaghi in Portogallo). Partito da Madrid senza denari, perchè oggi si deve viaggiare senza- denari, domando al comandante dell'Ala. Littoria qualche escudo che mi permetta di aspettare l'apertura delle banche. Con questo denaro in tasca mi getto nella folla cittadina, camminando a caso, fermandomi a ogni angolo, comprando i giornali, molti giornali, primo atto che compie istintivamente ogni giornalista in una cit¬ tqfrtèmfcoa o i , i o e tà nuova, e non perchè si abbia quella sete di piccole notizie frammentarie e ripetute che caratterizza oggi certi ansiosi e certi curiosi, ma perchè il giornale è semplicemente, per noi, un termometro del popolo in cui ci tuffiamo, una confessione collettiva che non tradisce mai, neppure quando è reticente. dMa prima che abbia il tempo di osservare con minuzia divertita i giornali, lo spettacolo della strada lisboeta, dei negozi, della gente, delle grida, delle insegne, degli annunzi, delle case colorate, mi assor be, mi distrae, annega la mia attenzione. La sede dell'Ala. Littoria è nell'Avenida da Liberdade, viale moderno e lussuoso, comparabile ai Campi Elisi di Parigi, ma più limitato e più vivace. Man mano che si scende verso la piazza del Rossìo, questa vivacità, questo carattere colorito, angusto e raccolto, proprio a tutta la vita portoghese, si accentua. Sui marciapiedi passeggia o sosta o chiacchiera una folla vivace, apparentemente spensierata, certamente occupata soltanto dei proprii affari di tutti i giorni, una folla che deve pensare al lavoro, alla casa, ai bambini, allo sport, al guadagno, e per cui la vita quotidiana sembra riprendere tutto il suo valore di cosa materiale e modesta, che avevamo dimenticato (piccola cosa, invero). Vive, que sta gente, occupata senza essere preoccupata; ed è uno degli aspetti della vita portoghese di oggi: la assenza (probabilmente ingannevole) di preoccupazioni. E' abo- tcsnvMR Uta quella misura trascendente della vita, alla quale noi ci siamo abituati, e che in realta, lo dico assai sinceramente, è una superiorità degli altri popoli più tor mentati e forti. A Lisboni la vita e il lavoro degli uomini sono quello che sono, plasticamente. Manca quel fondo di grandezza seve- paese non fosse iberico. La lucei densa che l'inonda' ajfogherebbe\ e a - tutti i valori spirituali. Non faccio fatica a immaginarmi ciò che sarebbe un Portogallo anglosassone o americano; credo che la vita vi diventerebbe asfissiante. Fortunatamente, siamo nel paese della Madonna di Fatima; siamo nella patria di Joaó de Deus, e nel Portogallo non vi sono soltanto il Rossìo le sue pasticcerie, ma anche Coimbra, e il Tago, e il nord, e il sud, e la campagna, e le donne, e la povertà] e una vita appassionata, angusta e profonda. Ma è certo, che venendo dai climi duri e guerrieri dei paesi dove la vita è sacrificio e affermazione superiore, dove il sentimento della fedeltà a un ideale ci ha abituati a un'alta e stupenda tensione psichica, dove il dispetto e la partecipazione alla volontà di Dio non sono una vana parola, ma una verità ogni giorno perfezionata dallo strazio della nostra carne e dalla lotta delle nostre anime, il Portogallo con le sue vetrine piene di ogni cosa, con la sua incomprensibile abbondanza, appare o una oasi, o una vacanza nel titanico sforzo degli uomini. E' un'apparenza: che l'abbondanza è più esteriore che reale, e il ben di Dio che qui vedi non è accessibile a tutti, ma a pochissimi, e della tragedia ce n'è anche qui, e m.olta, t> diffusa, per quanto in un'altra forma, forse peggiore, perchè lunga, antica e noti eccezionale. Guai, in questo mondo, ce n'è per tutti; e ne riparleremo. Riccardo Forte Quattro sacerdoti e tre monache, compagni di volo immersi nella preghiera - Passeggiata nell'Avenida de la Liberdade tra la luce, la folla, le vetrine piene Aspetti di una vita senza fondo di grandezza ]

Persone citate: Coimbra, Parrà