Modernità di Salutati di Giuseppe Piazza

Modernità di Salutati SCRITTORI POLITICI ITALIANI Modernità di Salutati Sulla fine del '300, a un uomo che aveva la ventura di tenere da gran signore, da oltre due decenni, alla Cancelleria fiorentina, pres&'a poco la medesima sedia che doveva .tenervi circa un secolo dopo, stinta e avara di riconoscimenti, nientemeno che Niccolò Machiavelli — crisalide di se stesso, come tutti sanno, finché non l'ebbe del tutto lasciata — venne da uno studente in diritto canonico dell'Università di Aquila posto un quesito apparentemente accademico, ma che di fatto non era tale. Il quesito, che era stato uno dei chiodi fissi di tutta la vita culturale e comunale del Medio Evo, era nient'altro che questo: se Giulio Cesare buon'anima < ormai, ai suoi tempi, fosse etato bene ucciso o no, e se Dante avesse avuto ragione o torto di metterne, nel suo Inferno, in bocca a Lucifero in persona, come-ranocchie da maciullare, gli uccisori Bruto e Cassio... Il Medio Evo si sballottò sempre come di casa e senza la minima distanziazione _i personaggi e gli eventi dell'antichità romana. Fu questo, si può dire, il suo particolare modo di fare la storia stessa contemporanea, ciò che equivale sempre, come si sa, a far contemporanea la Storia: prova in ogni caso, anche questa, della grandezza spi- rituale di quell'epoca calunniata. Di essa, l'interpellato dal que- sito dello studente aquilano può giustamente passare come l'ultimo rappresentante, al modo stesso come può passare per il primo umanista, uno di quegli uomini comprensivi — anche se molte saranno le persone pur colte che ne intenderanno forse il nomo per la prima volta — nella cui recettività i tempi quasi confluiscono e dal cui taglio mentale discendono come da spartiacque; Coluccio Salutati, Cancelliere per trent'anni della Repubblica fiorentina; letterato, poeta, politico e diplomatico di fama europea, interlocutore intimo e diretto, nonché ammonitore temuto di Imperatori, di Papi, di Re, di Principi, di diplomatici e cancellieri come lui : centro infine e magnete d'attrazione, per così lungo tempo, si può dire di tutta la vita culturale italiana nonché internazionale del tempo. Il quesito pubblicamente rivoltogli dall'oscuro studente aquilano, in cui s'apriva la valvola d'una delle maggiori e più tormentose pressioni spirituali collettivo del l'epoca, lo dimostra. Quale fosse questa pressione è facile dire : la coscienza pubblica del '300 cercava angosciosamente una giustificazione alla trasformazione dello Stato ohe stava operandosi, da Stato popolaresco e di fazioni in Stato autoritario, che appariva di fatto come l'ineluttabile processo degli eventi, ma che mortificava inevitabilmente tanta parte della fiera coscienza repubblicana dei tempi Momento di crisi dunque se al tro mai; simile in questo, effettivamente, a quello riempito dal la grande figura del dittatore ro mano, quando aveva già racco! to e concentrato nelle sue mani uno per uno tutti i poteri, per trasmetterli ai futuri Imperatori di Roma. La letteratura del '300 fu piena del nome di «tiranno», rimasto del resto imperterrito a pie fermo a incassare invettive poetiche fino al tardo neo-umanesimo politico-oratorio del tem po alfieriano... Ma ecco, per il '300, la questione: era stato veramente un «tiranno» Cesare? Questo è l'ansioso interrogativo che i contemporanei di Coluccio s'attendevano sciolto dal quesito dello studente aquilano. Il grande trattatista-epistolografo vi rispose da par suo, col trattato De Tyranno, redatto anch'esso, come la maggior parte dei suoi scritti, in forma epistolare (e diretto appunto,ad Antonio d'Aquila) nella maniera più originale e nello stesso tempo più comprensivamente interpretativa delle esigenze spirituali della mutazione storica in cui viveva, ciò che fa anche di questo grande italiano, ritenuto finora dalla generalità quasi soltanto un letterato e un umanista, uno scrittore politico dei maggiori che l'Italia abbia avuto. Ed è grande merito dell'Istituto Nazionale di Cultura fascista di aver dato or ora del trattato, nella sua collezione di «Scrittori politici italiani», una chiara ed accessibile edizione, a cura di Francesco Ercole — re cidivo in materia per averlo già pubblicato in edizione critica fin dal 1914 a Berlino — insieme con una scelta di lettere a uomini di Stato, sovrani, letterati e politici del tempo, nelle quali ugualmente son consegnate le linee principali del pensiero politico salutatiano. Non si tratta di esumazioni indifferenti (ci sovviene in proposito a titolo di lode il recente deliberato del Consiglio dèi ministri per la creazione in Roma di un IstitutojJLfitndi-su- gli scrittori politici italiani, con l'intento di promuoverne le ricerche e le pubblicazioni, e di metterne in piena luce il contributo apportato alla civiltà-d'Europa) , bensì si tratta di atti veri propri si direbbe di manutenzione, cioè di revisione periodica del patrimonio* di pensiero storico politico nazionale, che ogni ri voluzione che ha voluto essere degna di questo nome ha coni- ig i e a i e a o i piuto, necessariamente proiettando all'indietro fasci di raggi che hanno messo sotto una nuova luce tutta quanta la storia passata, detronizzando idoli ritenuti inamovibili, rettificando angoli visuali, riparando ingiustizie, sciogliendo enimmi fin allora insolubili; dappoiché in un certo senso la Storia è tutta contemporanea, e anche quella passata si fa sempre, incessantemente, nell'agone politico dell'eterno presente. Il verdetto di Salutati per gli uccisori di Cesare fu, non meno eie quello di Dante, ,di netta condanna; ma per ragioni dv.1 tutto diverse. Se nelle polemiche e baruffe letterarie del tempo Coluccio umanista era stato uno dei più strenui difensori della poesia dell'Alighieri, è un fatto che Coluccio politico aveva le sue buone ragioni per discostarsene questa volta. Nel grande idealismo unitario e gerarchico di Dan te ->ra l'idea imperiale che pre valeva, e ad essa era confidata la missione di pacificare l'Italia; e si comprende quindi come nelle fauci di Lucifero egli condannasse coloro che avevano osato levare la mano omicida sul fondatore primo di quell'Idea suprema. Da Dante al Salutati invece è appunto l'idea imperiale che, attraverso i disastrosi espe- rim'enti di Arr; yn m ga fino a]1,ultein l ultimo agonico sussulto di Carlo di Lussemburgo, ài è ormai fatalmente indebolita, frantumandosi nella finzione, talvolta perfino venale, dei vicariati. Nel vacuum lasciato da quest'indebolimento, l'immediato istinto politico dell'umanista italiano soccorre intanto all'urgente esigenza dello spirito pubblico contemporaneo di pacificare la vecchia coscienza repubblicana turbata dalla trasformazione autoritaria, ma per lo più tirannica, delle forme di governo... Era stato dunque legittimamente ucciso Cesare ? No — tale è la risposta di Salutati, che per sovvenire alla mortificata coscienza dei suoi contemporanei decisa mente legittima il tirannicidio — no, perché egli non fu già un ti ranno, bensì fu in tutto un optimus princeps. L'umanista sposta, come 8i vede, il problema dan tesco dal campo politico a quel 10 morale; ma appunto ciò facendo, egli aumenta più eli., mai i carati politici del suo pensiero. Nasce così, intanto, l'ideale del Principe, modello di tutte le virtù e concentrato di tutte le percezioni,, che ispirò e affaticò tante menti del Rinascimento; e ai cui lineamenti etico-modellistici Niccolò doveva tuttavia dare ben presto una tale scozzonatura realistica, da porre senz'altro un netto limite di distinzione tra la sua epoca e quella del Salutati Non si creda però: per quanto Coluccio partecipi del concetto medioevale che la distinzione tra governi legittimi e governi tirannici risieda soprattutto sul campo murale, nel modo cioè come la potestà è esercitata (ex parte exercitii diceva uno dei due termini dell'alternativa dell'illegittimità teorizzata da Bartolo di Sassoferrato che Coluccio professa in pieno ed elabora, l'altro essendo il difetto del titolo, ex defectu tituli, cioè dell'investitura imperiale), pure la giustifica zione della dittatura di Cesare è da lui condotta decisamente su campo politico, e la potestà ce sarea viene giudicata legittima non solo perchè Cesare fu uomo virtuoso e principe in tutto giù sto, bensì, e più ancora, perchè 11 suo governo, da un punto di vista politico, si era manifestato a un certo momento della vita pubblica romana, necessario; ( realistiche ugualmente sono seni pre le premesse giudiziarie con cui egli giudica quale forma di governo fosse desiderabile per la vita politica romana ai tempi di Cesare : su dati cioè non già, mai, astratti o teorici, bensì solo su quelli delle coudizioni politiche positivamente esistenti, che è il fondamento sul quale domani Machiavelli costruirà l'edificio del suo Principe. Questo primo ma netto capolino dell'idea di una Ragion di Stato, non già sbrigliata ma vincolata nel com plesso di un quadro di diritto pubblico che si mostra ancora tutto pervaso di concetti morali e protesta di non volerci rinunziare, se anticipa già da un lato nella ricchezza di fioritura del pensiero colucciano una linfa nuova che nella speculazione po litica europea, da Machiavelli a Guicciardini a Boterò, è già con segnata al nome italiano, serve tuttavia ancor meglio a distinguere, più che ad esso non lo unisca, il tempo salutatiano da quello che sarà ben presto dominato dall'asprigna figura di Nic colò. Ma quel che più di tutto li divide è quella grande Idea imperiale di cui abbiamo parlato, che fone ..Ti™™ potentemente ag- lacpsncddcpdmsdccundssdsmcnmmbdgmUprndAtWezvslaactcCgvpniidvgvPspafnganciato il tempo di Salutati a quello di Dante, ma che lascia cadere già del tutto quello di Machiavelli; e cioè l'Idea trascendente, unitaria e redentrice, d'un'Europa garante d'ordine, la quale forma l'eternità e l'universalità di Danto e insieme la modernità di Salutati, ma che in Machiavelli è già dissolta nella autonomia assoluta del Principato, sostituendoj ahimèi alla e a , o a , o i o a 1 e o o politica d'anelito'unitario quella funesta d'equilibrio, che aprirà ormai definitivamente la porta all'invasione straniera. Checche ne pensi per avventura anche l'egregio ed espertissimo recensore della nuova pubblicazione salutatiana — che ci pare formalizzarsi sul declino dell'idea imperiale dopo Dante — a noi pare che appunto e soprattutto a contrastar questo declino si levi come un munito sistema di bastioni tutto il pensiero politico salutatiano, anche se nella questione della condanna degli uccisori di Cesare egli abbandona la uiotivazione imperiale dantesca per far ricorso alla teoria bartoliana della tirannide ex parte exercitii, che fra l'altro svolge in modo da sembrar di anticipare in più punti, in una sorprendente ricchezza di pensiero, le tarde teorie dei contrattualisti e dei giusnaturalisti d'oltralpe. In questo ricorso alla coscienza popolare, del resto, altro non è da ravvisare se non l'eterno appello di tutti i regimi al consenso, a quella «sovranità popolare» cioè, che insieme con l'idea imperiale — l'Impero stesso nella sua istituzione elettiva testimoniava la sua natura popolare — costituì una delle due dominantidelia speculazione politica medievale, e che Marsilio non mancò di esplicitamente teorizzare, ponendola a base' della discesa del Bavaro. Ma è sull'altro termine dell'alternativa bartoliana, su quello della «tirannide» per difetto di titolo, per mancanza cioè d'investitura imperiale, che ci pare egli combatta, a favore di un'integrale restauratone della mcttcpCmsotRnsemsnitcupdllqa i a à autorità dell'Impero, una battaglia che vale da sola più di tutte e tre le disceso di Arrigo, del Bavaro e del secondo lus-senburburghese prese insieme. Ci paro che egli rinnovi il grido di Dante agli Imperatori; egli va, anzi, perfino oltre Dante stesso in rigidismo unitario, là dove, gerarchizzando senz'altro anche i «due Soli», scrive da buon italiano nella lettera al Margravio di Biandenburgo: «Voi non potrete mai governare l'Impero, se non avrete prima dato ordine al Papato, da cui non è dubbio che l'Impero dipenda »! Sono questi aneliti verso punti di riferimento superiori e universali, da cui nessun aggregato politico può a lungo rimanere avulso, è quest'estrema aspirazione verso un'« Europa », che si chiamava allora Impero o Papato, e che dopo di lui si spense del tutto e che soltanto oggi dopo tanti secoli in mutate forme rinasce, che rende a noi italiani ed europei d'oggi il mondo politico del Cancelliere fiorentino immensamente più «moderno» di quello stesso del gran Segretario che ne occupò la sedia un secolo dopo, tutto dominato come fu dalla Ragion di Stato, oentrifugatrice necessaria, se sola e lasciata a se stessa, d'ogni vero idealismo e universalismo... Altra conferse occorresse, a decenni or¬ mai di studi — vedi la ricchissima messe degli storici della nuova Germania — che hanno incommensurabilmente avvicinato alla coscienza di noi moderni, col suo compatto gerarchismo e unitarismo e col suo rigorismo politico, sociale e morale, il Medio Evo: di altrettanto quanto lo spensierato, spassionato, apolitico, atomico e licenzioso Cinquecento smisuratamente se ne allontana. Giuseppe Piazza