TREGUA SEGRETA

TREGUA SEGRETA TREGUA SEGRETA Si concedeva pochi minuti di uella tregua; ma in quei miuti il suo abbandono era totae: su una seggiola in mezzo alla tanza, le braccia inerti sul grembo, restava immobile. La casa ra muta, solo gli oggetti parlaano nel silenzio ; tutte le altre oci venivano dal basso, smorate, come da un altro mondo. Dalla finestra spalancata entrava la luce, tutta la luce d'un ielo freddo, cortinato, senza soe. La città pareva lontana lonana, quasi avvolta da un'atmosfera irreale. Un profilo di colina con qualche pioppo spoglio ormontava appena la linea del davanzale ; il resto era cielo e ul ciclo ogni tanto lo svolo d'un passero. Gli occhi di Anna 6Ì spegnevano in quei momenti ; la loro vivacità rientrava; la vista diventava interna e passiva e davanti ad essa si svolgevano le cene dell'anima. Erano quei dieci minuti di spettacolo intenso che le davano nutrimento spirituale per tutta la giornata. Era un'estasi in cui ella assisteva ala sua propria vita. Il tempo, le distanze non contavano. Avvenimenti della sua fanciullezza potevano presentarlesi sullo stesso piano di fatti vissuti poche ore innanzi. Mirabile teatro, dove le sue doti di mima e d'attrice, doti nascoste a tutti, avevano la possibilità di manifestarsi. Chi conosceva Anna, persino suo marito e i suoi figlioli non sospettavano neppure che in lei ci fosse quella vitalità intcriore. Era un segreto così profondo che la stessa natura di lei ne era gelosa e non ne lasciava trapelare nulla. Per abbandonarsi a questo segreto trasporto, ella sceglieva i momenti in cui nessuno poteva coglierla. La mattina, dopo aver riordinato la casa, povera casa composta d'una cucinctta, d'un'anticamera e d'una camera spaziosa, e prima di metterò sui fornelli il pranzo, ella prendeva una vecchia seggiola impagliata e la poneva nel mezzo della camera, per sedervisi e godere e patire dentro di sè. Così, nel mezzo, le pareva d'esser staccata abbastanza da tutti gli oggetti, d'esser quasi isolata Sorrideva ogni volta nel prendere dall'angolo la vecchia seggiola impagliata; era una superstizione: nessuno si serviva di quella seggiola, se non per appoggiarvi sopra qualche cosa e lei perciò la considerava adatta al suo « mistero >. Anna non soffriva d'inquietudini esteriori; era mirabilmente calma e pacifica ; tranquilla di modi, senza scatti, solo gli occhi aveva vivacissimi. Non l'avevano vista mai, per nessuna ragione, dare in ismanie o esser turbata da uno di quegli eccitamenti, tanto comuni nelle donne. Anna sopportava tutte le contrarietà con animo paziente: un'indifferenza ingenua, che ra seutava il fatalismo. 11 marito si adirava e l'accusava d'esser rimasta una sciocca bambina: « Sei d'un'altra terra, d'un altro mondo », le diceva. Eppure era stata madre tre volte, ed erano venticinque anni che, o bene 0 male, mandava avanti la casa, destreggiandosi in certi periodi lungo lo squallide secche della miseria. Per lei le condizioni della vita contavano poco: una frusta vestaglia da casa le faceva lo stesso effetto d'un bel vestito nuovo; si doleva quando 1 suoi figlioli stavano male, ma accettava il male cor. serenità e fiducia, come se nulla di grave potesse accadere nò ai figli nè a lei. Godeva d'una passeggiata, della musica, d'una buona fetta d'anguria nelle sere afose d'estate; tuttavia, col medesimo animo, poteva anche farne a meno Magra, ossuta, rotta anche ai la vori faticosi, pareva sana; tutti la consideravano sana e robusta; ma certi stranissimi svenimenti improvvisi che l'abbattevano come morta al suolo, facevano al marito e ai figli dubitare in fondo della sua salute fisica; erano i soli che sapessero ; ai quali lei, tali svenimenti, anche se avesse voluto, non poteva nascondere. Quella mattina d'autunno, che preannunciava di già la rigidezza dell'inverno imminente, Anna aveva fatto presto la pulizia della casa. Si sentiva molto stanca, le palpebre le pesavano di sonnolenza; prima di mettersi a riposare nel mezzo della stanza, volle aspettare la posta ; la venuta del postino era rumorosa: i campanelli suonavano e la gente usciva per le scale. Anna non attendeva nulla quella mattina: aveva ricevuto il giorno avanti una lettera del figlio maggiore, Sergio, ch'era alla guerra. Perciò sussultò alla scampanellata: uu'altra lettera di lui che le annunciava d'esser 6tato ferito leggermente e che sperava di rivederli^ presto. La notizia non la turbò: era come se le venisse da un mondo noto e familiare a lei sola. Non appena si fu seduta, con la lettera in mano, il sipario di quel suo teatro interno s'alzò di colpo. Ecco la camera con la loggia che dava su un podere, dolcemente in declivio, soleggiato. Anna (lei, Anna, ma come giova¬ nequtoritidinite(Fdiudedocoe ac'soqusibfaetrl'ndbvintcrlesulgftpcmficmCuvslda sl(slssdcm«t(efbsvbmttmmcmsr e e fresca I) dal letto godeva uella vista deliziosa. Era a leto di parto; Federico, suo maito, se n'era andato ed ella seniva ancora sulle braccia (splenide braccia riposate, da non fiir di guardarsele) e sulla frone il calore delle sue carezze. Federico allora era innamorato i lei. Come sapeva ella fare con ui, mettergli così bene in evienza i propri lati belli, lascian o nell'ombra i difetti). Il picolo nato era nella culla vicina non dava segno di sè. Ora el a doveva approfittare che non 'era nessuno nella stanza. Si ollevò con facile sforzo (tutta quella sua dolce debolezza era una finta, per farsi carezzare), i chinò sulla culla, scoperse il bambino. Ahimè, aveva il corpo asciato fino alle ascelle. Allora ella lo palpò, gli cercò il venre, le gambe, prima l'una e poi 'altra. Sì, c'erano tutte e due, non poteva sbagliarsi, anche i due piedini c'erano. Ricoperse il bimbo e si riadagiò. Avrebbe dovuto provare un gran sollievo, nvece il suo timore (ma non era timore, era come una strana sicurezza) perdurava: nel partorire la creatura, mentre gliela evavano, aveva avuto l'impressione che rompessero al piccolo una gamba a che presto, perchè ei non se n'accorgesse, gliel'aggiustassero in qualche modo e lo fasciassero subito. Federico intanto ritornava; ella seutì il suo passo di fuori e si fece trovare con un sorriso sul volto ch'era co. me un raggio dorato sulla superficie d'un limpido lago, a Federico», sussurrò (quant'arte sapeva mettere nel modulare la vocel Chi avrebbe potuto contrariare un desiderio espresso con quella voce? Faceva che il suono veniese dal profondo, come se parlasse 'anima e non la bocca, movendo appena appena le labbra), a fammi vedere il bambino, ma sfascialo ti prego, vorrei vedero così... come l'abbiamo fattoi (le ultime parole erano state un soffio). Federico disse di no: chi l'avrebbe poi rifasciato? Ed ella sorrise ancora più dolcemente e si sollevò a sedere. «Per l'amor di Dio»: Federico spaventato cercò con la pressione delle sue mani caute di farla riadagiare. « Lo rifascio io, mettimi un altro guanciale sotto la schiena » (oh, che soave cosa farsi servire eia Federico, vederlo umile, confuso, premuroso vicino a sè). Il bambino era perfetto ; Bino a far spazientire Federico, ella gli aveva osservato e palpato le gambe: nessun segno, nessuna anor malità. Eppure... Anna si lasciò sfuggire la lettera di mano ; nel trasognamen to le parve che qualche cosa di molto pesante le fosse caduto; ma non ebbe la forza di chinarsi. * * Si ritrovò lei stessa, dopo qualche tempo, a terra : nello svenimento era scivolata giù dalla seggiola. Le toccava sempre di risvegliarsi in una lucidità di mente così improvvisa e intensa da sentir dolore al cervello: troppa luce. Vide la lettera vicino a sè e, in quella luce, la rilesse mentalmente: suo figlio le scriveva che gli avevano amputato una gamba e che sarebbe ritor nato mutilato; non si spaventas sero, gli sarebbe potuto accade re anche di peggio. Anna si levò; si sentiva legata in tutte le membra. Era un po' più tardi del solito, quando in cucina acoese il fornello per il pranzo. Suo marito era diven tato molto irritabile e l'avrebbe sgridata. Poi bisognava prepa rarlo alla notizia: a lei non faceva grande impressione che Ser gio tornasse senza una gamba. a Ma sei una povera pazza tu le avrebbe gridato Federico (le pareva d'udirla quella sua voce senza pietà) a non vedi che nella lettera scrive: ferito leggermente. Che cosa m' inventi, pazzapazza ». Le dispiaceva d'irritarlo ancor più; ma come avrebbpotuto tacere, come non spiegargli che la vera lettera di Sergio era quella ch'egli non aveva scritto, ma che lei era riuscita a leggere? In fondo, mutilato d'una gamba, Sergio avrebbcontinuato a vivere, senza troppo soffrire. Somigliava tanto lei, Sergio; era C03Ì quieto: sopportava tutto. Giani Stuparich Il cap, pilota Carlo Ruspoli, più volte citato nel bonettino per le sue eroiche gesta in A. S-, fotografato assieme al suo cane portafortuna della 91* Squadriglia da caccia.

Persone citate: Carlo Ruspoli, Giani Stuparich, Tregua Segreta

Luoghi citati: La Loggia