LE CINQUE RIVOLTELLATE DI PAJARI il sordo Achille finnico di Giovanni Artieri

LE CINQUE RIVOLTELLATE DI PAJARI il sordo Achille finnico LAGGIÙ' LA GUGLIA DELL'AMMIRAGLIATO LE CINQUE RIVOLTELLATE DI PAJARI il sordo Achille finnico Col petto sonante di medaglie apparve questo leggendario generale e diede ordine che i cannoni sparassero immediatamente. E quando il fragore di quella grande orchestra fu al culmine s'allontanò a gran passi e scomparve, curvo e tormentato. " Pel fatto che non sente nulla - mi dissero - chissà quando darà ordine di smetterla,,. (Da uno dei nostri Inviati) Fronte di Leningrado, novembre. Subito, nella strada, mi colpì unii novità ed era la sfrutta attrezzatura della riva e dei tratti scoperti dove finiva il bosco. Da Tcrjoki a Leningrado nono poco meno di no chilometri d'una litorànea in tempo di pace assai gradevolc a camminarsi, un poco meno in tempo di guerra. Essa attarda le isole del Golfo di Kronstadt a distanze variabili dagli otto ai dieci chilometri, (juasì nulla per t cannoni di marina a tiro rapido che adesso i russi hanno impiantati a decine sa ogni scoglio o punta o secca di quell'estremo residuo della baia di Finlandia. Notai dunque, lungo tutta la litoranea un'infinita catena di cavalli di Frisia, gabbioni, sbarramenti fissi di filo spinato, un cancello insomma che rinserrava l'istmo e i suoi boschetti alla maniera delle aiolo proibite nei giardini pubblici. Lunghi filari di stuoie, ili canne, di frascame c ramaglie chiudevano- la vista sulla si l'oda ove il naturale sipario del bosco s'inlei-rompeva. Erti cosa singolare correre con l'auto, ca grandissima velocità, lungo quel mare assopito sotto il sole d'autunno e doverlo guardare soltanto dagli interstizi delle wcaimicciaie o tra i crudi grovigli delle spine di ferro. Cancelli chiusi e tendine abbassate Tutta quell'armatura era fatta per la vicinanza delle isole di Leningrado di cui la_ più prossima alla riva finnica, Todlebcn o, al- la bolscevica, Krasnouruicijskij,si divertiva a sparare sui veicoli cunette, autocarri e persino uomini a cavallo o in motocicletta, col cannone. Era un tiro a bersaglio piuttosto arduo anche, come mi insegnò un artigliere del luogo, per quei perfettissimi pezzi a canna lunga che usa adesso per ottenere traiettorie tesissime contro i carri armati. (Son quei cannoni montati su carri mobili sotiti che terminano a tromba, e vanno sui loro tre piedi rotolanti, innanzi alle fanterie con curioso effetto di antiche catapulte o baliste). Ma t russi delle isole ci si spassavano ancora poco tempo fa e chi conosce con quan- \tti prodigalità si spari oggi, per\te minime coso o allarmi o ca- pricci così che alla fine di gite- sta guerra daremo la caccia allepulci con le pistole mitragliatri- ci, può immaginare come fos'-e divertente passare sulla litorànea careliana in vista dell'arcipelago leningradese. Avvcniva presso a poco questo,ed io qui lo ricordo per averne fatta esperienza nell'ottobre dell'JJ/I quando venni itegli stessi luoghi. Gli occhi d'Argo delle isole rus-sc, sempre spalancati avvertiva- no i veicoli di molto lontano. Di-ventuva impossibile sfuggire a questo o a quel fuoco concentrato in tante diverse tappe quante sono le massime vicinanze della strada alle isole. Diventava un gioco talora bianco, talora cruento al quale, per non so epiale aberrazione, si divertivano anche quelli ch'eran 11 a subirlo. L'ultima volta dovemmo lasciar lo macchine e andare a piedi nel bosco, ul riparo delle fronde, dall'altra parte trovammo, come in un traghetto, altre macchine per proseguire. Alla lunga questo starsene alla vista dei russi seccò i finnici che decisero, da prima la conquista delle isole Koivisto e poi di mascherare la strada nottetempo, con i sipari e le incannicciatc di paglia già dette. 'Tutto il lavoro sui venti chilometri della litoranea venne eseilttito di colpo e alla sprovvista-, con la fretta rabbiosa e indispettita di chi sbatta le finestre in faccia al dirimpettaio indiscreto. L'indomitiliu-a d'un giorno qualunque di questa primavera i cannonieri russi si svegliarono e non trovarono più la litoranea careliana nei loro binoccoli. Le batterie dì Todlebcn, di Kronstadt, delle Isole Numerate, dell'Isola N h avevano perduto i bersagli. Li lumia striscia chiara era stala assorbita nel bosco, non si vedeva altro che il monotono foahame e la fitta ramaglia. Dopo ' ■■' un'altra osservazione ldue atomi .. venne fatta dulie usale russe: tut ta la riva da Gorxkaja a £!|°*~kala a Tcrjoki apparirà l)ltat"di tirassi cavalli di Frisia, un ro- sarìo di filo sp'nato senza fine La Finlandia chiudeva ì cancelli e tirava le tendine. Cannonate e cannonate contro i salmoni significative graduazioni. L'ulti- nia volta (chiedo scusa se debbo |continuamente riferirmi al viag gio dell'anno scorso, ma stavolta il raffronto è notevole) capitai sul fronte di Leningrado con un tedesco, tale Hagcmann, apparso e scomparso dall'orizzonte finnico come una stella cadente. Eravamo tre, Zcncker dell'Ufficio Stampa di Stato, colui ed io. Hagcmann aveva poco tempo, diceva di dover rientrare traverso i paesi baltici per non so che negozio urgente in Germania; io e Zcncker viceversa avremmo voluto andar lento. Ci piegammo per cortesia alle ragioni del germanico e il viaggio al fronte di Leningrado si risolse in una escursione dominata dalla fretta del camerata germanico. Per altro tutto egli voleva osservare e vedere, .sebbene frettolosamente, e per la fretta scambiò la corazzata « Marat » ferma ìlei bel mezzo del Golfo di Kronstadt con la « Tirpitz ». Tuttavia, essendo i primi due giornalisti dell'Asse ad aver raggiunto le posizioni davanti a Leningrado, ciucilo spettacolo della metropoli nascosta folla battàglia che la stringeva tllta aoi„t del perpetuo carosello aereo sui culmini dei suoi edifici (perdio Leningrado di lontano, per le ciminière e le guglie e le sommità delle cupole, appare dall'Istmo di Carelia, come il primo affiorare d'una catena di eccelsi monti dalla curva terrestre) costituiva una impressione così inedita e viva cho s'incise nella mente per la sua sola forza. Inoltre: le truppe avevano appena raggiunta quell'ultima Thule della' seconda guerra di Finlandia, lo «scopo» vero della campagna di riconquista. Costruivano proprio in quelle giornate le posizioni di resistenza, sulla linea del veCchio confine storico c da palutlo A.j vcdcvano battaglioni af facccndursi, ufficiali indaffarati, autocarri carichi di rotaie di ferro pCj rjco»eri c gli osservatori, ^ torso nudo, benché il vento dol p0ttobro già mordesse, squadre giovanotti tagliavano betulle stl betulle per formare i «korsu», le capanne dei comandi, le casct- te della indispensabile « sauna ». a trovammo nel bel mezzo di qucll<i faccenda piuttosto camplienta che è la costruzione di una linea stabile contro un nemico uiiora deciso a disturbare a qualunque costo i lavori mediante tiri lum/lii delle artiglierie pesan- ti, e da terra e dal mare. Insomma non badarono troppo a noi, sulla prima linea. A Tcrjoki si, ricevemmo tutto le spiegazioni e le attenzioni, ma lì, al fiume, barriera tra finiti e russi, e coi russi ad un centinaio di metri si pensava a cose molto più serie che la visita di due giornalisti stranieri. Un'ora tra i cunicoli delle vecchie trincee Giungemmo, ricordo, quasi per caso in una trincea di fresco sterrata, battuta dal nemico messo in allarme dal tramestio. Sotto di noi si trovava la ripa del Rajajoki, di cui la corrente era invisibile, per via del tiro sovietico. Un fiumiciattolo, se vogliamo, quel Rajajoki ma in quo' giorni e in quei momenti della più alta importanza per i bolscevichi. L'avevano scelto a barriera contro una noadesso velia avanzala dei finni e che il tramestio lì insospettiva ne bersagliavano le acque. Effettiva-imente i finnici non volevano pus-1saie quelle acque (che segnano geogràficamente e diplomaticamente il confine con la Russia I. ma i bolscevichi in un eccesso di spirito difensivo le sbarravano con tiri da pazr.i. La ripa era alta c il fuoco andava a colpire o il terreno franoso o i risucchi del fiume. Volgeva la stagione dei sali maschi dal mare risalgo !MO j fiumi per la fecondazione.cìiissà quanti, colpiti venivano a.. .. ,— galla. Fu l'osservazione di un te-nenie che propose d'andar giù tra■ quell'inferno con una rete a pi-oliarne per la cena. Su quella visita è passato un autunno, è passato un inverno è passata un'estate, è comincialo un altro autunno e un altro inverno, Molti di qneiili uomini giovani o' davanti ai non solo la decadenza delle persone che amammo ma anche quel a delle impressioni e delle speranze. Insomma sul fronte di Leningrado trovavo la guerra invecchiata e stracca, una guerra che finiti m'avevano abituato a considerare una fanciulla agile e franca, veloce e muscolosa come un'Atalanta, ed ecco com'era, adesso. Adesso mostrava le rughe dei camminamenti vuoti, dei rifugi deserti, delle piazzale vegliate da solitarie sentinelle, dei posti d'osservazione scrutanti disabitate pianure di sterpi. Unica macchia viva biancheggiava tra noi ilrussi la maceria della chiesa di\Alessandrovka, nella terra di nes-sano, c più in là le caserme di Tipura dalle vivrà di tufo gìàllìno ove vivevano i bolscevichi del generale Gerosimov. Vasto e solenne il silenzio copriva come un drappo di seta quell'allucinato e insignificante panorama. Non si udiva uno schiocco, non un rombo di cannone. Per raggiungere quella prima lìnea disabitata avevo camminato un'ora ver oli stretti cunicoli delle vecchie trincee sotto il sole col casco di ferro che mi pesava sul cranio, e ballonzolava. Alla fine mi chiedevo come mai quel silenzio, quell'inerzia, quel paradossale abbandono delle lince avanzatissime ove sì e no si incontrava una sentinella ogni duecento metri, e stavo per chiederne al colonnello Saure. Lasciala la litoranca ero passato per il comando della Divisione, poi per quello del reggimento schierato sul settore. E qui, disceso dalla dura motocarretta m'avevano offerto un bicchiere di latte nella cantina della « Sotilaskoti ». Gonfio era il torace le mani sottili e piccole Nella cantina della « Sotilasl<oti », tenuta da due bellissime ragazze, taluni soldati discorrevano o giocavano o leggevano giornali. Talaltrì guardavano la mostra di oggettìni da vendere: «pukki», fiammiferi, sacchetti di caramelle, scatolette di betulla, lacci, saponette, altre cose frivole e necessarie. Più innanzi, nel settore del contando di compagnia, trovai parecchi uomini nudi sulla soglia di una •'.sauna », ancora madidi c fumanti pel bagno di vapore, seduti a pigliarsi i resti del calore e della luce di quel tramonto. Da quel punto cominciò il viaggio interminabile per i cunicoli deserti sino alla terra di nessuno. «Di nessuna» sicuramente, perdio la solitudine e il silenzio eran perfetti quasi come in un cimitero. La creta secca dei camminamenti sonava sotto i nostri passi, ed io confesso che avrei preferito udire almeno la voce di un fucile o d'una mitragliatrice piuttosto che subire quella cappa di piombo. «Le mine — prese a dire all'improvviso il comandante Stindblad — aiutano il soldato. Dietro un buon campo di diecimila mine, intelligentemente disposte, una Divisione vive in relativa tranquillità». (Mi resi subito conto dello spopolamento di quella prima linea). «Allora — chiesi — è possìbile creare degli sbarramenti talmente saturi da escludere la possibilità di ogni attacco? ». Intervenne il colonnello Saure, e la sua voce era un poco affannata dal duro cammino, per dire che in guerra non sussistono concetti- limite; per satura che sia una posizione minata vi saranno sempre abbastanza uomini da far saltare in aria i>er liberare un piccolo sen sdndrovka é Leningrado, vi sono ticro. « Ma poi basta un jtìccolo sentiero? », volli replicare. Nessuno dei due ufficiali mi rispose e siccome si camminava in fila indiana per gli intricali cunicoli, non mi riuscì di leggere qualcosa sui loro volti. «Adesso, per esempio, qui d'aranti, tra Alcssandrov ka e noi, e più indietro tra Ales campi minati? ». Non so quale dei j... ..„.■_._„ ,..,«_ due ufficiali rispose: «E' tutta una mina». Mi chkirirono come a diffcrcnza dei campi marini ove gli sbarramenti sono perfettamente noti e ubicati, solidamente anco rati sul fondo; i campi minati ter rcstri si «perdono» l'uno nell'ai tro; la posa segreta delle mine talune volte sì confonde con quella del nemico; quando operazioni t\ passi battevano l'argilla sonora suscitando vuoti rimbombi. A me l'infinito cammino pei cunicoli, sempre più profondi e secchi, pareva dovesse terminare soltanto in una remota regione infera dove ognuno di noi andasse a trovare il suo irrimediabile destino. A poco a poco subivo il pessimo incantesimo di ({nella regione di battaglia ove non si tirava neppure un colpo di pistola. Fosse il peso del casco o la calura del cammino, il sangue mi montava alla testa e sognavo che quel fronte di Leningrado non esistesse altro che in una mia fantasìa affaticata e »i trattasse d'una guerra priva di ogni rumore, dagli inudibili colpi, dalle artiglierie mute, una guerra dall'assurda e silenziosa morte, qualche cosa come un jilm muto. Così camminando e pensando arrivammo ad una piazzala, presso un posto di vedetta e subilo vidi venire dall'opposta parte del cunicolo, seguito da ima sola guardia armata di bombe e di mi tragliatore, il generale Pajari. Egli avanzava dritto, un poco aggrondato nel volto usto, per corso dal solco di una vecchia fe rito. Portava tutte le sue 'ecorazìoni e medaglie, la gran croce del Cavalierato di Mannerheim ch'c la medaglia d'oro dei finni, le campagne, i trofei d'argento delle gare di tiro a segno, pregiatissimi tra i militari nordici. Gonfio, da sollevatore di pesi, era il torace di Pajari, le mani sottili e piccole; tutto in lui spirava una cnergia complessa e irragionevole, una volta scatenata; lo diceva il lampo metallico degli acuti occhi, il passo deciso. M'avevano già detto storie vaghe e varie su Pajari, delle sue battaglie del suo coraggio omerico. Ma queste storie s'eran poi disperse nel rumore della guerra, degli altri nomi, delle altre gesta. Adesso mi trovavo dinanzi a questo Achille finnico e, sì, l'impressione era proprio quella che mi . attendevo. Stringendogli la mano]gli dissi qualche frase di compli-imento, ed egli restò perfettamen-'te impassibile. Sundland mi dissc\ sottovoce: «E' sordo». II micidiale tiro a segno sulla strada di Mainila Oscar Arvo Pajari comandava il settore di Mainila quando scop piò il famoso « intermezzo ». A Mainila il 26 novembre 1939 cominciò la guerra d'inverno; % russi dissero d'aver incassato canno nate finniche, i finnici negarono; di fatto l'« intermezzo » cioè il casus belli s'era verificato. I so vietici varcarono il confine. Pajari, essendo un formidabile maneggiatore di pistola, ebbe l'onore di tirare i primi colpi di quella guerra. Il giorno SO di novembre ricevette l'ordine di ripiegare col suo reggimento, abbandonare il posto di frontiera sulle collinette da cui si vede Leningrado. L'ordine parlava chiaro ma coli fu tentato di disobbedire. Commi que mandò avanti tutti i suoi uomini, le salmerie, le impedimento e aspettò i russi. Cosa volesse fare non si capiva bene. All'autista aveva ordinato di tener pronta la macchina e al suo aiutante di campo non aveva detto nulla. Del resto quest'ultimo aveva una funzione monotona e risaputa: tirargli la giacchetta ogni volta fosse necessario gittarsi a terra per l'arrivo di cannonate. Pajari aveva preparato cinepie pistole, le sue predilette pistole. Dal fondo del ricovero aspettava di vedere i russi sulla strado. Le cose eran messe in modo da assicurargli la ritirata. I sovietici vennero aranti ed egli scaricò le cinque pistole colpo per colpo, uomo per uomo, mirando lentamente, uccidendo accuratamente. Era come un diabolico pungiglione di vespa: un colpo secco, invisibile e l'uomo cadeva fulminato. Si vedevano sulla strada i corpi rotolati. La compagnia sovietica si fermò, chiese l'aiuto di un carro armato, l'intervento dell'artiglieria. Lui aveva terminate le cariche e, trascinato a forza alla maccliiiio, /aggiunse il reggimento in ritirata. Appariva più che mai buio e sordo. Combattette la primi lineria, poi quella dell'anno scorso. Aveva chiesto e ottenuto di riportare i suoi soldati a Mainila, Juvunti a Leningrado di dove cian partiti nel novembre del '39. Pareva fosse guiduto du una idea fissa. Quando, inseguendo i russi sulla strada di Tcrjoki. arrivò al ìuo!, i famoso del suo tiro alla pista- la, trovò un tumulo, il solito tumulo bolscevico: una breve stelo di granilo sormontata da una stelìa. Nò una iscrizione né una data ricordava i morti; ma Pajari lo sapeva bene chi fossero. Si fermò, discese di macchina e mandò a chiamare il cappellano. Ma il cappellano era ancora troppo indietro. Allora si fece dare una Bibbia, in latino, e sulla tomba di quei bolscevichi, dinanzi ai soldati schierati in quadrato lesse i salmi che i luterani cantano per la liberazione delle anime. — Son trentanni che non apro questo libro — disse all'aiutante ai campo — tirami per la giacca, se sbaglio. Ci arrestammo tutti sulla piazzala attorno al generale e, francamente, non si sapeva cosa fare. Conversare con un sordo è molto difficile. Pajari s'informò del mio viaggio e dei punti di maggior interesse da me visti sulla linea; io risposi delle cose ch'egli non udì. Era imbarazzante. Ci si guardava vagamente, sorridendoci l'un l'altro al modo melenso che si può immaginare. Si ricorreva alle sigarette per darsi un contegno qualunque, ora guardando in qua ora guardando in là; ma neppure attorìio, in quella pianura disperata, tranne la macchia bianca della chiesa di Alessandrovka, Vem nulla ove appigliar lo sguardo e la parola. « Sparano? » « Si, spariamo » Alla fine Pajari chiese all'aiutante: «Sparano, i russi? », L'aiutante rispose con un gesto: «iVo» Dal tedesco delle prime parole Pajari scivolò tosto nel finnico e a me parve di capire che il generale opinasse che su quel tratto di fronte fossero tutti una manica di lavativi. Infine ordinò: «Dite alle batterie di tirare sino a W(ot;o ordine». Rapido trambusto tra gli ufficiali, comunicazione telefonica, trasmissione dell'ordine. Pajari mi gunrdava in faccia, silenzioso e tetro. Avevo capito l'armeggio e attendevo gli eventi. Il silenzio attorno e sopra di noi gravitava solenne e sospeso come un pianeta. Lentissimo andava spegnendosi il tramonto in una luce di platino; l'aria tersa vibrava del primo presentimento invernale. Non era ancora giunta la stagione dei cieli bassi, dei crudi venti baltici. La pausa tra l'ordine dato e lo scoppio delle cannoniate assu- meva nel mio cuore un arcano, ineffabile valore musicale. Di colpo la quiete di cristallo andò in frantumi: suoni sleganti s'inarca rono sulle nostre teste, isolati, a coppie; tuoni giovanili e decisi echeggiarono sempre più fitti. Avvenne, come sempre avviene a chi si trova 3otto il tiro della propria artiglieria: il silenzio non si disperse ma discese più pesante verso terra, come un rjreve sciroppo in fondo al bicchiere. « Sparano? » chiese Pajari all'aiutante. «Si, spariamo, ecco i primi arrivi ». Guardai dalle parti di Tispura, oltre la macchia di ricotta della chiesa di Alessandrovka. Una dietro l'altra le granate allineavano le loro cortine di fumo, di terriccio. A mano u mano il fragore montava, arrabbiato; gli artiglieri evidentemente si scaldavano à quel lavoro. Era facile prevedere un ti-\ ro sulle nostre posizioni o st<7/e! batterie; infatti poco dopo i fischi dei proietti nemici e il loro disor-, dinato fracasso s'intersecarono coni l'armonie del nostro lato. Cupiì temporali di terriccio, di piante,' di ramaglie e di sabbie sorgevano' simili a trombe marine attorno a noi. Guardavo Pajari andare a destra e a manca sui cii/li della trincea. Ora fissava i colpi nostri ora quelli del nemico, prossimi, e, anche, bene aggiustati. Appariva posseduto da una ebbrezza inquieta simile a quella degli animali prima del terremoto. Scoteva il capo e il torso; le m-edaqlie e le croci suonavano sul suo petto, le piccole mani tormentavano la vite del cannocchiale. Scrutava laqijiù ove arrivavano i colpi e poi, sèmpre più tetro e oscuro s'allontanava per il cunicolo, la fronte corrugata terribilmente, china a terra. Non avevo mai visto soffrire ta sordità in quel modo. Noi tutti si stava fermi in attesa ch'egli dicesse qualche cona, qualche ordine. Ma non disse nulla. S'allontanò a gran passi e scomparve dietro uno svolto della trincea; curvo, il gran dorso immoto e tormentato. Pensai repentinamente e non sema una intima sorpresa ad una | popolare immagine di Beethoven. Ma sorrisi tra me e me della bislacca comparazione. La grande orchestra delle cannonate andava per conto suo e noi ci movemmo dietro Pajari a gran balzi, poiché adesso i russi avevano allargato il raggio del loro fuoco. < Pel fatto che non sente nulla — mi disse il tenente N. — chissà quando darà ordine di smetterla. E' così: spera sempre che un giorno o l'altra possa finalmente ascoltare i suoi cannoni e guarire del suo inguaribile incomodo ». Giovanni Artieri

Persone citate: Beethoven, Frisia