UN RISORTO di Giulio Caprin

UN RISORTO UN RISORTO Era già abbastanza strano che in quel paese di campagna fuori mano, quella sera d'autunno, fossimo insieme noi due, amici vecchi dal tempo dell'università, viventi uno in una città l'altro in altra. L'amicizia era costante ma i nostri incontri saltuari. Ubaldo, scapolo errabondo al quale gli anni hanno tolto molle cose ma non la curiosità giovanile di vedere paesi nuovi e rivedere i vecchi, aveva voluto accompagnarmi in quella gita nell'alto Chianti; A notte fatta una corriera locale ci aveva deposti lungo le mura di un borgo antico, che ha un unico alberghetti annesso all'unica trattoria. Non ci si incontrano dio fattori e cacciatori. All'entrare nella stanza del ristoro Ubaldo dette un grido più vivo di quello che può prò durre la meraviglia e il piacere di ravvisare, seduto a un tavolo apparecchiato, di fronte a una donna, un altro nostro compagno di università che io avevo completamente perduto di vista. Ma Achille Tronchi era uno dei compagni che, anche a non averli avuti tra gli amici più stretti, restano impressi © quasi dispiace di non averci avuto particolare amicizia: una figura magra e tagliente, due occhi appuntiti c° ì: . >-;„t-„l i;„„,,.,., „,. e fruganti, un'intelligenza arguta e bizzarra, scanzonata ma con una vena di poesia ; era cercato per la barzelletta amena, un po' temuto per l'epigramma 6ecco: e con quell'aria di prendere tutto in chiasso, bravo quanto gli sgobboni più seri. Anche Achille ci ravvisò alla prima e attaccò a discorrere comò non ci fosspTo stati tra noi. quei trentacinque e più anni di vita senza incontri. Sempre lui, lAchille Tronchi. Avrei voluto che anch'egli mi vedesse così poco diverso, dopo tanti anni, come io rivedevo lui: i capelli, che aveva avuti bruni e diritti, ora li aveva bianchi, ma tutti, una spazzola folta: irrobustita la snellezza dei suoi venti anni snellissimi, ma rimasta l'agilità della sagoma tagliente, un volto magro ma senza rughe e, in meglio, un colorito caldo che non aveva ne) ricordo antico: avrei giurato che da giovane era pallido, anzi un po' terreo. Dimostrava una salute invidiabile, assai più giovane degli anni che gli sapevamo: se la manteneva anche facendo la professione non sanissima dell'avvocato ma prendendosi, ogni volta che no exa stufo, i suoi intervalli di rustica vacanza. Ora si trovava in quel paese fuori mano per il passo dei tordi; una 6iia bella cagna bianca ci annusava chiudendoci che cosa facessimo da quelle parti noi senza un cane da caccia. L'incontro, rapidamente informativo, fu cordialissimo, ma Achille non ci propose di fare una sola tavolata. Nò lo proponemmo noi a uno ch'era in compagnia di una donna che non poteva essere ne sua moglie nè sua figlia, una ragazza anch'essa di sano aspetto campagnolo, non una dattilografa di città. Interloquì anche lei 6enza che Achille avesse bisogno di fare quelle presentazioni esplicative che imbarazzano il più disinvolto uomo anziano trovato in giovane compagnia. Achille era stato sempre uno che aveva fatto, con naturalezza, il piacer suo. Cenando e buttandoci ogni tanto, da tavolo a tavolo, qualche parola, Ubaldo continuava a osservarlo con uno stupore che in me era finito. Dovunque si jjuò trovare chiunque, se non è morto. Achille Tronchi era vi vissimo, con una bella faccia fresca e colorita, davanti a un fiasco di Chianti e a una ragazza giovane, o una cagna da caccia accucciata ai piedi. Faceva piacere vederli: ringiovanivamo anche noi. Tutti e tre lasciarono presto la stanza da pranzo : domattina, levata presto per i tordi e magari per la lepre. Allora Ubaldo mi disse perdi' trovarsi davanti il nostro vecchio compagno, aveva dato quel grido, avova avuto un brivido e non riusciva a riprendersi dallo sgomento. Era quasi sicuro che Achille Tronchi, quello ch'era stato all'università al tempo nostro, era morto. Lui non lo aveva, come me, perduto di vista dopo la laurea: 10 aveva avuto commilitone sulla fino dell'altra guerra ed erano stati molto insieme, in grande simpatia. Achille gli aveva confessato di avere una malattia tremenda, probabilmente un cancro: la sua arguzia, con dentro quel sospetto nero, era diventata diabolica. Il giorno che si erano lasciati aveva letto sul volto terreo di Achille il segno della morte invincibile. Infatti, qualche tempo dopo, da un altro commilitone, aveva saputo che il giovane brillante avvocato Tronchi era morto. Egli era stato più volte nella città dove 11 Tronchi aveva esercitato la sua professione senza mai incontrarlo; nè aveva avuto l'animo di passare dal 6Uo studio, tanto era sicuro ch'era mono. — Ed ora sappiamo che c vivo e vegeto, più vegeto di noi. — Non hai avuto l'impressione che sia troppo vegeto, troppo giovane per la sua, per la nostra età? — Forse. Ma io, che non lo avevo più incontrato, avevo in mente un Tronchi giovane che ho ravvisato subito, quantunque quello mi sembrasse più pallido, meno sano di questo. Ma basta che dica una- parola: è sempre lui, non si sbaglia. — Io non mi aspettavo proprio di rivederlo, e così. Scusami se non -ho potuto trattenere quel grido. Come se avessi visto un fantasma. Ubaldo è stato sempre un uomo di una sensibilità un po' lunatica della quale non ci si può sempre fidare ma, anche per le suo convinzioni religiose, non ammette che i morti possano riapparire come vivi tra i vivi. Nessuno di più vivo, di quel nostro vecchio compagno, rimasto così evidentemente padrone di tutta la sua calda vita d'uomo. Lo rivedemmo ancora un momento, la sera dopo, con pochi tordi ma con molto appetito e molte barzellette. Giovane o anziano, un tipo ameno Achille Tronchi. Ma quando, lasciato quel paese, non l'ebbi più presente in carne ossa e parole, lo stupore di Ubaldo che lo aveva creduto morto da un pezzo cominciò a lavorare anche in me. Il Tronchi subito riconosciuto, e che subito ci aveva riconosciuti, era senza dubbio il vero Tronchi, | studente al nostro tempo, che non era mai morto e stava egregiamente bene: ma anche ai miei occhi, confrontando l'immagino antica con la recente, questa aveva il torto di essere cambiata troppo poco e non come avrebbe dovuto cambiare. Non corrispondeva del tutto alla sua giovinezza asciutta, nervosa, pallida. Quel colorito sanguigno sotto i capelli bianchi a spazzola non combinava con gli stessi capelli bruni della prima immagine. Avrei voluto rivederlo più secco, prosciugato dagli anni, magari con tutti i suoi capelli duri, ma pallido, quasi fosco di pelle, come mi era rimasto in mente dal tempo in cui tutti noi eravamo veramente giovani, e i nostri compagni che non hanno dovuto patire la comune umiliazione d'invecchiare sono, senza più età, fenili sotto terra ad aspettare il giorno della resurrezione. Dato che Achille Tronchi è vivo ed ha il suo studio di rinomato avvocato in via tale numero tale, passando per la sua città, sono andato a ritrovarlo. Credeva che fossi venuto per una causa o un parere e mi ricevette con qualche frizzo pregiudiziale: ohe, avessi ragione o avessi torto, un cattivo accordo è sempre da preferirsi a una buona calma, ma lui proferiva i clienti che hanno torto: soltanto a questi l'avvocato può servire, a far valere quel tanto di ragione che c'è anche nel torto più marcio. E sulla giustizia: che il più giusto dei giudici non può che spartire equamente il malcontento fra le parti. Gli mostrai che ero lì per una visita di pura amicizia, ma non mi fu facile preparare un uomo corazzato di arguto buon senso ad ascoltare, senza ridenni in faccia, una domanda come questa : — Dimmi la verità, avvocato Tronchi, tu sei proprio lo stesso Achille Tronchi, mio compagno d'università? Sci proprio quello, sempre vivo? Quando gli dissi dello sgomento che aveva provato a ri¬ vederlo il nostro sensibile amico Ubaldo, che lo aveva visto ammalato e sapeva della sua morte, i suoi occhi canzonanti si fecero seri; mi ascoltò attento e rispose: — Ci può essere del fondamento in codesta impressione che avete avuta a rivedermi vivo ma diverso da come m'immaginavate fossi diventato vivendo. Non dirlo a nessuno, ma so mi fisso a pensare come sono — esercizio malsano, sciupo quel po' di bene che può ancora dare la vita — ho anch'io l'impressione di non essere quello che, dopo tanti anni che sono io, dovrei essere. Morto non sono mai, per quello che so io. Ma chi ò veramente morto, credi ohe lo sappia ? Una malattia gravissima, disperata, la ho avuta, come posso provarti anche con le note, salatissime, dei medici e dei chirurghi. Spacciato, secondo loro; invece, a dispetto della scienza, Dio sa come, guarito, più vivo di prima. Quando si è stati ammalati come sono stato io, si può anche pensare di essere stati, per qualche tempo, morti. Arrivati a nn punto che tutto quello che, prima, era in noi vivo se n'era andato. Lasciati tutti noi stessi, entrando in un tunnel nero. Quello che è avvenuto di me, di questo corpaccio dal quale ti parlo e senza il quale nessuno mi affiderebbe una causa, lo sanno, o non lo 9anno, i medici, l'infermiere, il Padre Cappuccino che mi portò l'Olio Santo. Io che ti parlo non ne so nulla. Cioè, mi è rimasta un'impressione confusa: di essere scivolato fuori dal corpo che non mi poteva più servire. Scivolato in un buio tranquillo dove non c'era più nulla da fare nò da aspettare. Poi, a un certo punto, ini sono sentito riprendere da un corpo ch'era e non era il mio: era il mio perchè c'entravo giusto come in un vestito portato da un pezzo, ma non poteva essere il mio perchè non mi faceva più nessun male. I medici e gl'infermieri garantiscono che non c'è stata sostituzione, dunque è proprio il mio corpo di prima, guarito. Tanto è vero che confrontandomi con i ritratti di prima, mi riconosco, come mi hai riconosciuto anche tu. — Giovane come non immaginavo che tu fossi rimasto. — O diventato. Quello che ammetto è che, guarendo, mi sono trovato in un corpo più giovane di quello dal quale ero scivolato via. E' un corpo che mi dà dei vantaggi ma anche degli inconvenienti che voi, invecchiati normalmente, non avete più. Preferirei ormai un corpo che avesse meno bisogni giovanili; ma voi che siete ben certi di non essere mai morti avete l'aria d'invidiarmi. — Ti ammiriamo. — Non ci ho merito. Può darsi che per certi casi disperati esista un corpo di ricambio. Ma la scienza, che sta a vedere dal di fuori, assicura che è lo stesso corpo guarito; naturalmente, dice la scienza ma non sa rifare, come le farebbe comodo, il procedimento. Per me, deve essere un procedimento simile a quello della resurrezione. Poi si parlò d'altro, da vivi qualunque. MJa io uscii dallo studio dell'avvocato Tronchi con una curiosa inquietudine. Come se avessi parlato con un risorto. Questo non lo dissi a Ubaldo, uomo impressionabile, ma sicurissimo, per fede, che il divino premio della resurrezione non è anticipato a nessuno sul giorno del Giudizio universale. Giulio Caprin

Persone citate: Achille Tronchi