Il mantello rosso

Il mantello rosso Il mantello rosso Da molto, tempo — è vero chi: |c sopraggiunta la guerra — Lau- ra Grei non esce più di sera. Anche dal suo guardaroba sono|scomparsi gli abiti con lo stra-jscico, e i gioielli riposano in fon do al cassetto, nella scatola di cuoio. Non è più giovane, Laura Grei. Ha passato i quarant'anni, ma è ancora bella, quando indugia davanti allo specchio e s'adopra nell'arte, in cui era maestra, di usare creme e belletti. Sono i giorni in cui l'ingegnere Marco la guarda con maggiore compiacenza. Le accarezza una guancia, le sfiora i capelli. E' il suo amico da dieci anni. — Sono stanca di sembrare una stracciona — dice lei per giustificare quell'accentuata civetteria. — Tu vorresti che mi dimenticassi del tutto di essere una donna. — Protesta, insomma, come faceva un tempo, quando era più giovane e il suo amico le rimproverava di essere troppo vistosa. L'ingegnere sorride. Per lui, che ne è innamorato, Laura è sempre bella e ora, forse, più di prima Proprio ieri infatti le ha det to: « Finalmente mi riesce di amarti ». Questa frase Laura, che sa di essere sempre stata molto amata e soprattutto da lui, non l'ha ben capita. Se ne è meravigliata o un poco anche impermalita, e da ieri aspetta il suo amico per che vuole che si giustifichi e an che che la rassicuri. Quelle poche parole hanno ferito la sua vanità; se ne sente offesa. Se rievoca gli anni passati, se richiama alla memoria la giovinezza, sa cho da nessun ricordo Marco è assente. Marco l'ha sempre molto e ininterrottamente amata. Per quante segrete avventure ricordi, ella sa di essere stata tuttavia, ogni giorno, ancorata a lui. A chi glielo chiedesse, è il nome di quell'uomo che ripeterebbe per dimostrare la propria onestà. A volte, è vero, sa di averlo tradito, ma non l'ha mai abbandonato. Per quanto possa sembrare assurdo, non avrebbe potuto tradirlo se non avesse saputo che Marco era là e che l'aspettava, e che l'avrebbe ritrovato dopo ogni avventura : proprio come quando si parte, e si godono o 6Ì tentano o si conoscono nuovi paesi e vari orizzonti, ma in fondo al cuore, anche se modesta e* silenziosa, rimane pur sempre, sicura e affettuosa, la propria casa. Ecco Marco che .arriva. Laura ha spiato il suo ritorno alla finestra. Staccando i gomiti dal davanzale, ripete quella frase: «Finalmente mi riesce di amarti ». Prova una scorata e commossa incertezza, sente un riposto languore che la rende triste e svogliata. Non vive con lei, Marco. Ha ancora la mamma, una cara vecchietta che non ha avuto cuore di lasciare. Anche lei del resto ha un marito dal quale è legalmente divisa, e non ha mai potuto chiedere a Marco di sposarla e di portarla nella sua casa. Quando Marco le si avvicina per darle un bacio, Laura scosta indispettita la guancia. Gli indica una poltrona. — Siedi e spiegati — gli dice. A Marco piacciono queste civetterie di Laura, e sorride, anche se il 6Uo sorriso è un po scialbo perchè ha capito che do vrà rievocare, e lo rattrista rivivere certi ricordi. — Non offenderti — comincia — Io sono sempre stato innamo rato di te. Tu 6ai di essere stata la mia sola consolazione. Ero e sono innamorato di te. Quando 6Ì è innamorati non si ragiona Quante volte infatti mi sono ri promesso di lasciarti? — Storie passate. Sei sempre tornato. — Storie vecchie, è vero; e ti ho sempre perdonato. Ma da alcuni anni, e fino a pochi mesi fa, non mi riusciva più di amarti come avrei voluto e come tu stessa desideravi e speravi di essere amata. Non avevo più fiducia in te. Sapevo che senza di te non avrei saputo vivere, ma era appunto di questo che mi vergognavo. Vicino a te, più che l'amore per te, sentivo e pativo la mia mortificazione. « Cominciò tre anni fa. Era di carnevale, e certo ricorderai che ti eri fatta un vestito da sera nuovo, di raso nero, un vestito che ti stava molto bene. Era di carnevale, e ti aveva preso la smania di uscire, di divertirti, di sentirti ammirata. Io sbagliavo, ma per limitare questa tua smania, invece di assecondarla perchè si esaurisse, cercavo di arginarla, di frenarla, di soffocarlaE poi mia madre era ammalatae mi era difficile uscire di sera. « La notte del giovedì grasso ti telefonai, ma non riuscii a par larti. L'apparecchio dava ii se gnale di occupato. Ci eravamo lasciati alle sette, mi avevi prò messo che saresti andata a letto presto. Venni da te. suonai, e , nessuno rispose. Lo so che allora avevi la camera da letto in fon do all'appartamento. La cameriera, d'accordo, poteva essere uscita. Era carnevale. Convintperò che anche tu fossi uscitadisperato o geloso, cominciai a correre per la città. Temevo d entrare in un tabarino, in una sala di ballo, dieci volte arrivafino alla porta del teatro dovc'era il veglione. La tentaziondi entrare era grande, ma temi vo di scorgerti tra quella folla c di essere costretto a convin cernii che mi avevi mentito, « Durante il giorno era nevicato, ma dopo mezzanotte il cielo s'era fatto limpido e lucido di stelle. Soffiava un vento tagliente che raggelava le guance. Non so quanto tempo rimasi davanti al tuo portone coi piedi nella neve. Finalmente, persa ogni speranza di vederti rincasare, tornai verso il centro. Quando fui nella piazzetta che è attigua al Duomo, tra la folla di giovanotti che gettavano coriandoli, vivido tra i cappottini dimessi delle ragazze che sollecitavano sia pure schermendosi l'omaggio di una manata di quelle stelle multicolori, vidi un mantello rosso. Sapevo benissimo che un mantello rósso non faceva parte del tuo guardaroba, ma, chi sa perchè, lo rincorsi. Quando fui per raggiungere la donna che lo portava, vidi l'uomo che la stringeva sotto braccio, prima di aprire lo sportello di un tassì per farvela salire, chinarsi sotto il suo cappuccio, cercarle la bocca, darle un lungo bacio. La gente intorno rise e battè le mani. In un baleno furono in cento attorno a quella coppia che si salvò rifugiandosi nella macchina. Io restai immobile. Li vidi partire e, ti confesso, mi sentii invidioso. « L'indomani venni da te. Ti trovai a letto, ripetevi di essere stanca e avevi la febbre. Mi dicesti che durante la notte ti avevano spesso svegliata e che avevi dovuto staccare il ricevitore per sottrarti agli scherzi che gli allegroni si divertivano a fare telefonando nelle case. Quando poi, curioso e geloso, aprii il tuo armadio e vidi appeso un mantello rosso, non so come riuscii a frenare lo sdegno. Sapendoti ammalata, non mi bastò il cuore di chiederti di più. Più tardi tu stessa mi spiegasti con indifferenza che la signora dell'appar tamento accanto ti aveva affida to quel mantello per nasconderlo al marito che non l'aveva autorizzata a quella spesa. Tu mi avevi riferito più volte di quali complicati raggiri quella signora si valesse per nascondere al marito certi suoi trascorsi che tu per prima condannavi. Eri ancora ammalata, e io, che aycvo taciuto fino allora, giudicai che sarebbe stato ingeneroso dirti, mentre eri ammalata, il mio sospetto e il mio sdegno. E continuai a tacere. Del resto parlare non era facile. Dimostravi in mille mòdi di aver bisogno di me, del mio affetto, delle mie cure, e ti sentivo sincera. Ti di sprezzavo e ti compativo. Il do lore di vederti soffrire soffocava il mio risentimento. Avrei seni pre potuto dirti, non appena tu fossi guarita, che ti avrei lasciata. Così i giorni passarono, ed eri felice di guarire. Dicevi, c anche a me sembrava, di sentirti rinascere. Eri orgogliosa di vivere, di essere bella, e a me pareva che fosse un poco merito mio. Tu stessa me lo ripetevi, e mi ringraziavi sorridendomi di continuo, come se da me e soltanto da me e dall'averrni avuto e dall'averrni sempre vicino derivasse la tua felicità. E io pensavo che non avevo che te. e che se tu avessi pianto ti avrei perdonata, e che se tu mi avessi det- qcldadasto che possono essere tanti i mantelli rossi in una notte di car-l nevale io ti avrei volentieri ere-1 duto, perchè anche la mia curio sita non era sollecitata che da desiderio di poterti credere. Io ti amavo, ed ero certo che tu mi volevi bene ». Tacque finalmente l'ingegnere Marco. Laura gli fece cenno di alzarsi dalla poltrona, di sedere accanto a lei sul divano. Egli obbedì, ma sedette all'estremo opposto a quello dove Laura sedeva. Allora Laura si stese, appoggiò la testa sulle ginocchia di lui e alzò le braccia. Lo costrinse a chinare il capo e a darle un bacio, in silenzio. Franco Bondioli I cosacchi del Cuban, del Don, del Terek, vestita l'uniforme tedesca, sono passati nelle file germaniche e combattono contro i sovietici. (Foto Trainsocean).

Persone citate: Franco Bondioli I, Laura Grei