VESTI GIOIE E BELLETTI di Francesco Argenta

VESTI GIOIE E BELLETTI LEGISLATORI BURLONI VESTI GIOIE E BELLETTI I » vanità fommìnilo PTR Hi irai-nori Ti» YaiUTa iemminiie Cra UUrdmeme compressa, ma certi spassi dei ma- schi non trovavano ostacoli nella legge Gli antichi legislatori stimavano più l'onore che la vita della donna. taS^e%fdé^Sto chSKvaia^to: Presso un popolo che monetizzava scrupolosamente il valore della vita di ognuno, determinandolo, per via di multipli e sottomultipli, sulla base dell'unità di misura rappresentata dal quidrlgildo del libero la cosa poteva anche riuscire spiegabile. Senonchè, nel caso della donna uccisa dal marito, la determinazione della riparazione era sottratta alla norma comune. Il legislatore non voleva che eccedesse i 1200 soldi, qualunque fosse la classe cui apparteneva la vittima: la vita della donna, perita per mano del marito, non era suscettibile, secondo Ròtari, di una valutazione maggiore! Più l'onore che la vita Molto più largo del re longobardo, era il legislatore dell'antica Ungheria, il quale imponeva al marito che avesse ucciso la moglie, di espiare la colpa pagando il prezzo di cinquanta buoi ai parenti di lei ed il prezzo di altri cinquanta allo Stato, ma improntate a ben altri criteri erano le sse leggi di Ròtari e dei suoi successori allorché, In luogo della vita, era in gioco l'onore muliebre. Se un marito tacciava la moglie di infedeltà e non riusciva a provarlo. Ròtari lo sottoponeva al pagamento di una multa pari a quella che avrebbe dovuto pagare se avesse ucciso 11 di lei fratello. E ad una multa uguale a quella che era prescritta pernii di lei omicidio, andava Incontro chiunque avesse dato ad una donna la taccia di fornicatrice o le avesse fatto il più pallido affronto. Che se l'affronto era poi consistito nel sottrarle le vesti mentre ella si bagnava nel fiume, . Llutprando voleva che l'offensore scontasse la colpa col proprio quidrlglldo, quasi a dimostrare che col suo gesto mattacchione egli s'era meritata la morte La difesa dell'onore muMebre non poteva essere più severa e più salda. E nel concetto dell'onore entrava, intero, il senso della personalità della donna: fisico estetico intimo morale. Sulla base del principio che non si potevano accoppiare per uno stesso delitto la pena privata e la pena pubblica, i giureconsulti del tempo di mezzo negavano ogni titolo al ferito di ripetere compensi od indennizzi per i dolori patiti e le lesioni subite, anche se da queste erano derivati sfregio o deformità permanenti. Ma alla norma si derogava nel ca?o della donna. Unanimi, i legislatori accordavano ad essa il diritto di pretendere un indennizzo anche quando la lesione non aveva vulnerato incancellabilmente la sua bellezza, ed 1 giudici, compiacenti, non lesinavano nella liquidazione dei danni, che la violenza toccata alla donna costituiva uno strazio per il suo onore, uno sfregio per la sua reputazione, un'offesa alla sua personalità. Senonchè i legislatori esigevano una contropartita per tanta condiBcendenza. E la esigevano dalla donna, imponendole, per la salvaguardia del suo onore, restrizioni e norme di vita che urtavano contro i suoi desideri e le sue inclinazioni, la ferivano nel suoi istinti, la mortificavano nella sua vanità o nella sua immodestia. I suonatori suonati Sul presupposto che il desiderio di apparire onesta prevalga, nella donna, su quello di apparire bella, Zeleuco aveva ordinato che nessuna donna potesse mostrarsi in Subblico ornata di gioielli e monl, a meno che non fosse una me¬ retrice. La storia non dice sino a qual punto 11 legislatore di Locri sia stato ubbidito, ma la sua trovata si propagò e lo stesso Senato romano, per arginare U decadimento del costume che si accompagnò in un certo momento agli eccessi del fasto, emanò una disposizione conslmile. Senonchè a Roma le cose volsero beffardamente per i legislatori. Le matrone romane convennero di non dividere il talamo coi rispettivi mariti sino a che la disposizione non. fosse stata abrogata ed il Senato, di fronte alla serietà del pronunciamento, dovette capitolare. Più tardi, per altro, la efficacia delle disposizioni intese a reprimere il lusso fu affidata a sanzioni meno evanescenti e più afflittive di quelle morali e le evasioni e le beffe cessarono. Ed è por questo, forse, che le restrizioni presero a moltiplicarsi. Federico III di Sicilia consentiva alle virgineB di ornarsi a piacimento sino al giorno in cui si sposavano e, a partire da quel giorno, ancora per annum completum, ma non vltra; Amedeo Vin, regolando nel libro V dei suol statuti le vesti, i conviti, e nozze, i lutti di ogni stato, comprimeva senza riguardo, incominciando proprio dai principi, il fasto dell'abbigliamento; lo statuto di Firenze del 1415, non pago di sancire pene pecuniarie e detentive per le donne che trasgredivano al suoi precetti circa la semplicità del vestire, si augurava che il vescovo Intervenisse con l fulmini della scomunica. E, per le conseguenze cui esponeva, era una pena duramente afflittiva anche questa 1 Un piccolo, monastero Nel Cremonese, forse per contrabbandare sotto un'apparenza di modestia le intenzioni meno confessatili, molte donne usavano vagare per le strade e per le chiese col volto coperto da strani veli, fitti e multicolori. Il vezzo era dilagato dalla città nel contado ed ecco gli statuti di Cremona e Casalmaggiore intervenire con ener- fia. Non solo era prescritto alle onne di c mostrarsi In pubblico a volto scoperto, anche in tempo di pioggia», sotto la minaccia di grosse sanzioni pecuniarie, ma era legittimato l'insulto ed il furto a danno delle disobbedienti, che ogni cittadino era autorizzato a spogliare del veli la donna in cui si imbatteva ed a farli propri, senza che occorresse la convalida del magistrato. A Roma, dove pure le cose non dovevano volgere peggio che altrove, se '61 ha da credere a Paolo Tlepolo, il quale osservava, in una relazione alla Serenissima, che la città eterna sembrava « un piccolo monastero nel quale coloro che vogliono peccare lo fanno il più secretamente possibile; non allietano più balli, caccle o spettacoli... >, un editto papale estendeva a determinate donne, pena 150 scudi di ammenda, il divieto, già sancito per gli ebrei e gli ecclesiastici, di passeggiare in carrozza. Tuttavia, ben più colpita era la vanità femminile dal decreto con cui Maurizio Cibo, governatore di Perugia e deirUmJiria per conto del fratello Innocenzo Vili, cercava, sullo scorcio del secolo XV, di infrenare l'uso del belletti e delle acque di bellezza, proibendone la vendita sub poena quinquaginta ducatorum auri... Sembra che In questo genere di commercio si fossero specializzate le donne ebree, le quali, maligno spiritu instigatae in periculum animarum Chrlsti fidelUtm, al pre-.sentavano nelle case del cristiani offrendo quanto serviva per rendere più belli 1 volti delle loro donne. Nell'impossibilità di colpire la moltitudine delle clienti, il rigido governatore persegui il manipolo delle fornitrici. E a tutti gli ebrei hubitantibus et in futurum habìtaturis nel territorio sottoposto al suo governo, Inibì di vendere aut vendi facere aut etiam donare alieni christiano seu Christiane... quegli ingredienti cho facevano la gioia delle perugine. Nè in casa nè fuori E perchè non si potesse allegare l'Ignoranza della legge, 11 decreto fu fatto leggere in sinagoga, alla presenza di due notai e degli ebrei congregati. Senonchè è da dubitare che l'ordinanza sia stata osservata, o, almeno, che le donne perugine abbiano smesso di impiastricciarsi il viso. La vanità e la immodestia durarono e si perpetuarono oltre le previsioni del decreto, dilagando dal campo femminile a quello maschile, come è attestato da una prammatica emanata, poco più di un secolo dopo, dal governatore del tempo, nions. Antonio Diaz, e intesa a colpire l'immoderato uso del vestire de li huomini e de le donne di Perugia e del suo territorio. L'editto è categorico: si estende a qualsivoglia donna di qualsivoglia grado o conditione, etiam titolata, e proibisce in universale, che non sta persona alcuna, huomo o donna, di qualsivoglia sorte della città di Perugia, suo contado e territorio ò forastiera ni essa accasata et habitante ohe possa usare né portare in essa cit tà, suo contado-e territorio, per casa o fuori di casa in Berrette, Cappelli, Vestiti di sotto o di sopra. Zimarre, Cappe, Cappotti, Ferraioli, Sai, Giubboni, Calze ò in veruna altra sorte di habiti, vestimenti 6 veli tanto lunghi quanto corti, Collari, Grandiglie ò altri habiti et ornamenti, oro, argento sodo, filato, tirato, tessuto, buono ò falso, in tutto ò in parte puro, perle gemme, pietre preziose, vere ò finte, eccetto nelle cose infrascritte... E monsignore U governatore specifica 1 vestimenti permessi, indicando per ognuno la somma che può essere spesa; avverte che i contravventori incorreranno nella perdita delle vesti, Pèrle, Gioie et altre cose che saranno trovate loro contrabando, nonché In una multa di scudi 85 per ciascheduno per la prima volta et del doppio, pia, per ogni volta che contravverranno tn avvenire...; dichiara, acciò si possa con ogni rigore prò-, cedere, i mariti tenuti per le mogli, i padri per li figli, i fratelli per le sorelle, ed inibendo, infine, agli Orefici, Sarti, Ricamatori et ad ogni altro Maestro, Maestra et Ar. te/ice di tagliare, fabricare, lavorare, cucire o disegnare, in publico et in secreto, cosa alcuna contra le dette prohibitioni, commina loro una«*nulta di 20 scudi per ogni cosa che faranno, Con raggiunta di tre tratti di corda se il colpevole sarà huomo... Disposizioni siffatte continuarono ad essere emanate ancora nel corso del secolo XVIII (nel quadro delle necessità Imposte dalla disciplina di guerra, molte delle antiche norme rivivono oggi, accompagnate, un po' dappertutto, da comminatorie e sanzioni di fronte alle quali trascolorano quelle, pur severissime, dettate da Francesco di Lorena e Carlo IH di Borbone), ma le cosiddette leggi suntuarierua cui è stato senza tregua mortifl- cata nel 31101 editti la vaiUtà fem" minile, non sono state suggerite in ogni caso*dal timore che angosciava il governatore di Peru- già, e cioè che la tolleranza di spe. .se eccessive fatte negli _ adorna m , a o i e r , , ò , menti e negli habiti delle donne potesse in breve tempo tirarsi dietro l'estrema rovina di qualsivoglia facoltosa famiglia facendosi a gara chi può più presto impoverire... Più spesso, le disposizioni onde era compressa e conculcata la vanità femminile traevano origine da un paradossale ossequio ai precetti canonici. E qui si palesa un altro tratto singolare della legislazione del tempo di mezzo, per tanti versi cosi paradossale e bizzarra! La chiesa non era intempestiva o lacunosa nelle sue previsioni, ma 1 legislatori la precorrevano e, non paghi di rinforzare del proprio suggello o della propria sanzione 1 precetti eccleslasici, andavano oltre, imponendo doveri che la Chiesa stessa non Imponeva, Almeno una predica al mese Lo Statuto di Bologna comandava a tutti di udire almeno una predica al mese, sd i duchi di Mantova e Monferrato, giudicando essere una pessima corruptela che quando si leva il Santo Sacramento nella Messa sono molti che si sdegnano, con poco timore di Dio, ingenocchiarsi, ordinavano che da esso avanti chi coderà, in tale errore et irriverenza incorri in pena di tre scudi per volta. E fra questi estremi si intrecciavano, accavallandosi, le altre disposizioni. Lo statuto <M Montaguto ordina, che ciascuno debbia andare alla chiesa Zie Pasque e le domeniche, a pena di li soldi; quello di Aprlcàle punisce con la multa chi non ascolta Messa la festa; a Casale chi lavorarle feste paga 10 soldi ed a Lucca incorre In una multa di S lire, di cui metà all'accusatore, chi tiene aperta bottega o fa negozi; una doppia d'oro deve pagare in Monferrato ohi vende rob cbe tn giorno di festa, mentre A: medeo VTxr, dichiara proibito commisreio e lavoro, anche al oar-blerl radere la barba e cavar sangue, pena un giorno di carcere a pane ed acqua e tre grossi. I duchi di Monferrato non vogliono neppure che 1 sudditi si divertano In «orno di festa e comandano a tutti che non ardiscano far baUi spettacoli e giochi publid in detti giorni, senza tuttavia giungere, nelle comminatorio, all'estremo di Galeazzo M. Sforza 11 quale mandava alle forche chi ballasse in propria casa passato hora una de noche. Senonchè, al sacro, i legislatori del tempo di mezzo mescevano allegramente l'osceno. E la stessa cura che ponevano nella punizione dei fatti che potevano offendere la religione, ponevano nella organizzazione delle case di svago o nell'agevolarne la pratica. Nello statuto di Moncalierl del 1457 si legge che in domo postibuli o ìitpanaris noviter constructa si devono tenere, a spese del comune, stuphe bone et decentes cim cameris opportunis... L'accesso ha da essere libero a ogni persona cuiusvis gradus, .ictus vel conditionis, etiam ecclesiastica et in sacris constituta etiam astricta regule... E ognuno può trattenervisi causa stuphandi, bibendique, et comedendi ac dormìendi tam de die quam de nocte, tam cum mulieribus ibi existentibus, et tam lionestis quam inhonestis conducendis... Che più ? Per siffatte oasi dì gaudio e di oblio, affidate alla cura degli uffizioli dell'onestà, lo statuto di Firenze aveva sancito, anche l'extraterritorialità. Francesco Argenta