La testa all'ingiù o la borsa in mano di Francesco Argenta

La testa all'ingiù o la borsa in mano I/E)GlSIyATORI B XJ R 1^ O I La testa all'ingiù o la borsa in mano Così erano ritratti sulla facciata del palazzo comunale i malversatori del pubblico danaro. Ed era l'onta maggiore per i colpevoli, la soddisfazione pili grande pel popolo n e a a e o a e , n Per prevenire i delitti, gli antichi legislatori facevano giurare ai cittadini dt non commetterne. L'obbligo si estèndeva a uomini e donne, a 14 anni in antea, e ognuno doveva non solo giurare se non facere furtum, nec taleam, nec vastum, nec incendium, nec furtum de fructibua ecc., ma doveva, altresì, impegnarsi a denunciare con ogni sollecitudine al magistrato della citta -si viderit aliquam personam facere furtum, taleam ecc. Non bastala mantenersi onesti per essere ligi alla legge, occorreva assumere, all'occorrenza, il ruolo di delatori! La trovata era Ingenua e lapalissiana, ma attesta come anche nell'infanzia del diritto, la quale corrispondeva poi all'infanzia stessa della società, la necessita della prevenzione dei reati fosse intesa quanto là necessità repressiva. Non è da credere, tuttavia, che le cose procedessero come il legislatore si riprometteva: se a nessuno riusciva sottrarsi all'obbligo di prestar giuramento, non erano pochi coloro che dimenticavano subitamente di averlo prestato. Gli spergiuri abbondavano ed i legislatori dovettero ricorrere ad altre trovate; Ad Ivrea, ogni anno ve nivano eletti « tre buoni e discreti uomini per. parrocchia » col com plto di denunciare al podestà, il quale 11 avrebbe banditi ove non avessero dato sicurtà di non commettere alcun delitto, tutti i «ladri, malfattori, ed uomini diffamati del circondario », ed in Corsica, come in qualche altro luogo, il numero degli « uomini, fra i più idonei da eleggersi in ogni pieve 0 cappella » era di dieci, cui spettava « d'investigare i ladri ed uomini di mala vita », per segnalarli al magnifico commissario e coll'intervento di questi « mettere a palle se li nominati saranno tali ». il libro delle inimicizie A. Casale, nell'Intento di impedire le vendette, era proibito ad ogni persona che avesse inimicizia capitale con qualche cittadino di quella terra di recarsi ad abitare in essa. E perchè la disposi zione fosse più efficace, era vietato a tutti i cittadini, pena una grossa multa, di dare ospitalità a tali persone, mentre era imposto ad ognuno di iscrivere entro quindici giorni « nei libri della podesteria le proprie inimicizie ». Lo statuto di S. Marino, nel caso di dissensi fra due persone, esigeva da esse, insieme ad una specifica f;aranzla, il giuramento di non ofendersi, che se poi l'urto avveniva egualmente, e qualcuno ai interponeva fra i contendenti, ingiungendo loro di smetterla, chi non obbediva all'ingiunzione e non sospendeva la zuffa, era per questo particolarmente punito. Del resto, il dovere di intimar pace ai rissanti era sancito dalla generalità degli statuti e, in qualcuno, si estendeva anche alle donne. In Valtellina, chi si intrometteva fra 1 rissanti doveva gridare frid: nel regno di Napoli, due ufficiali che si battevano, dovevano sospendere lo scontro ed abbassare le epade se un soldato intimava loro: «Alt, in nome del re! ». . Lo statuto di Aviano andava più in là ed imponeva ai rissanti che erano stati separati, di starsene per 15 giorni lontani l'uno dall'altro, A Torino, allorché scoppiava una rissa, si suonava a stormo la campana del comune, al qual se gnale tutti i cittadini dovevano accorrere armati, per dividere i baruffanti ed arrestarli. Egual mente si faceva a Casale, ed il cittadino, che non accorreva armato quando il podestà faceva suonare stremitam o quando echeggiavano grida e « rumori di rissa nel distretto », era punito con una multa non indifferente. Ma non tutti i legislatori erano su questo punto d'accordo. Lo statuto di Sassari, che pure obbligava i cittadini, per turno, a far la guardia di notte (a Siena, dove vigeva un'analoga costumanza, si dovette creare un altro corpo di polizia per tener d'occhio i custodì, sempre svogliati e sonnacchiosi) vietava, sotto spietate comminatorie, di accorrere armati là dove si udiva scompiglio. Senohchè dove si dimostrava Illusoria o vana l'opera di prevenzione, perchè il disposto della legge era eluso dai cittadini, interveni¬ vdpft e . e ¬ va, sommaria ed estrosa, l'opera di repressione. E al colpevole non erano risparmiati onte e supplizi perchè l'esemplarità del castigo fosse maggiore, la forza intimidativa della sanzione più vasta. La sorte dei ladri . Federico I faceva sospendere alle forche chi avesse rubato per un «valore maggiore di cinque soldi (si minus, ordinava 11 monarca con l'aria di compiere una magnanimità, scopis et forcipe exeorietur et tundatur) e Maria Teresa, alcuni secoli dopo, faceva scontare con la vita il furto domestico, qualunque fossero lé circostanze ed il danno; il Mazor consiglio di Venezia voleva che ai ladri si mozzassero l'orecchie ed 11 naso « acciò fossero meglio conosciuti », e le prammatiche napoletane impo nevano ai condannati per furto di portare, tutta la vita, un berretto turchino segnato da una croce bianca; le Franchigie d'Aosta stabilivano che il furto si scontasse con la persona ed i beni del reo, tam mooiles quam immobiles, e lo statuto di Piacenza — superando quello di Belluno che comminava il taglio della mano destra e di un orecchio se il furto raggiungeva il valore di 50 lire — poneva come posta la perdita di un occhio e di un piede, anche se il furto non eccedeva il valore di. 10 lire, ma sulla drammatica scala di queste sanzioni si misuravano anche le colpe minori e la sorte degli stessi ladruncoli campestri non era meno carica di sofferenze e di onta. Chi ruba uva nei vigneti, ordinava lo statuto di Trento, si bastona per la città e si mette alla berlina. A Belluno era anche previsto il tragitto che il ladruncolo doveva compiere sotto le sferzate : a porta Dojoni ìisàué ad illam de Rudo. A Vercelli, il reo doveva fare il giro della città curri uvis ad collum, mentre chi faceva danno nei vigneti, veniva incatenato, a Parma, alle colonne del palazzo comunale, e costretto a rimanervi per totam diem cum re de qua fecit damnum ad collum. Ne è da credere che l'Intensità afflittiva del castigo si sia mitigata coi secoli. A metà del settecento, le stesse pene previste dagli antichi statuti per i ladruncoli campestri erano inflitte, in Francia, con un largo corredo di inasprimenti, dai parlamenti di Parigi e di Tolosa. Nudi per le piazze Due soldati che avevano rubato qualche grappolo d'uva in una vigna, erano condannati, l'8 gennaio 1737, ad essere posti alla gogna « à la porte Saint-Michel et a y demeurer de midi à deux heures, ayant chacun des écriteaux devant et derrière, portant ces mots : Voleurs de raisim dans les vignes ». E non basta, che disponeva l'arrèt del Parlamento di Parigi, « ce fait il seront marqués des lettres G e L sur l'épaule droite par l'exécuteur de la haute justice, et ila seront conduits à la chaine pour y étre attachés et servir le roi comme forcata dans ses galères, pendant le temps et espace de trois ans ». Una donila, moglie di un tamburino della guardia, che aveva rubato dei porri in un campo, era condannata il 24 aprile 1741 ad esser fustigata, nuda, per le strade e le piazze di Aubervilliers, recando i soliti cartelli (Voleuse de légumes dans la campagne) nonché ad essere bollata sulla spalla deatra, mediante un ferro rovente, con la lettera V, dopo di che reatava bandita per tre anni « de la ville, prévòté et vicomté de Parts». •Anche a Susa i rei dovevano correre nudi per le strade e per le piazze, sotto le sferzate del boia, ed il supplizio, che era riservato al rissanti i quali non avevano voluto troncare la zuffa, era il più diffuso ed il più elementare fra i tanti escogitati dalla feconda fantasia del legislatori medioevali. Qua 1 rei dovevano percorrere le vie del paese cavalcando un asino a ritroso, stringendone fra le mani la coda, là dovevano uscire in pubblico colla mitera in capo, o con un cane in braccio o una sella sul dorso, o, ancora, un sasso appeso al collo, quasi a dimostrare di essere gente che meritava di essere annegata. Più grama, ancora, la sorte che toccava ai cavalieri ed ai pubblici ufficiali che erano venuti meno al loro dovere. Hammurabi, il re babilonese, voleva che il giudice corrotto da una delle parti pagasse all'altra « dieci volte la pena della controversia stabilita nel processo e fosse pubblicamente espulso dal tribunale », ma i legislatori del tempo di mezzo escogitarono Inasprimenti più duri per questo genere di sanzioni. Si.scabini propter munera aut amteittarn intuste j'udicaverint, ea;poIientur — comandava uno statuto — delle Insegne del lo rò grado e delle loro funzioni. E le insegne venivano strappate di dosso ai colpevoli dinanzi al popolo radunato. A Parma i nomi degli officiales che avevano dovuto essere rimossi dall'ufficio erano registrati in un libro, insieme alla cronistoria delle loro imprese. Ed il libro non finiva agli archivi. Veniva sfoderato ogni volta che si dovevano eleggere gli officiales: monito costante ed efficacissimo per chi aspirava ad essere eletto, ma, soprattutto, per chi aveva ottenuto di essere eletto. Una procedura analoga si seguiva anche a Venezia: i nomi di coloro che erano stati condannati per peculato venivano letti ogni anno nelle riunioni del Mazor Consiglio. Se delle malefatte di taluno si era spenta l'eco, il richiamo che se ne faceva in seno al Consiglio giovava a rinverdirla per tutti! Nome e cognome Ma i castighi che toccavano ai malversatori del pubblico danaro, agli amministratori che si erano macchiati di grosse o piccole irregolarità, ai profittatori in genere, non si arrestavano alla periodica evocazione delle gesta da essi compiute. I legislatori del tempo di mezzo sono stati inesauribili di trovate contro cotesta sorta di malfattori. E se in qualche luogo 11 nome del reo e la sua colpa venivano fatti urlare da un banditore sulla piazza, in altri si era pensato addirittura ad eternare l'onta ricaduta sui ribaldi, effigiandoli sulla facciata del palazzo di città o il pronao di una chiesa (per maggior disdoro, talvolta, nella sala maggiore del postribolo) con la testa all'ingiù o colla borsa in mano, ch'erano il segno maggiore dello sprezzo onde li avvolgeva la moltitudine o la rappresentazione simbolica della colpa onde si erano macchiati. Sotto il ritratto di ognuno, lo statuto di Parma voleva che si scrivessero, iitteris grossis, nomen et praenomen et causa. E similmente ordinava lo statuto di Ivrea, mentre a Piacenza il castigo era inflitto anche agli ufficiali della mercanzia ed i genovesi, dal canto loro, non esitavano, quando occorreva, ad adottarlo anche nei confronti dei dogi. L'iconografia dei malversatori e del profittatori, come sanzione estrema ed incancellabile per i colpevoli, mònito efficacissimo per chi poteva cadere in colpa, soddisfazione massima, seppure vana e platonica, per il popolo che aveva assistito allo sciupìo del proprio danaro, non ha resistito a lungo: è caduta presto ed immeritatamente in disuso. E, invece, di tutte le estrose beffarde e paradossali sanzioni escogitate dagli antichi legislatori, era, forse, la sola che non avrebbe visto disperdersi la attualità della sua funzione, che avrebbe potuto essere accolta, senza onta e con pratica utilità, dai sistemi punitivi moderni! Francesco Argenta A Stalingrado: una mitragliatrice puntata siili' opposta riva del Volga. (Foto Niermamn - Transocean).

Persone citate: Maria Teresa, Mazor, Parts