La frusta contro il malcostume di Francesco Argenta

La frusta contro il malcostume LEGISLATORI BURLONI La frusta contro il malcostume Le maglie della repressione non lasciavano scampo e ogni libertà con le donne andava punita: anche l'attraversare loro la strada Nel canto XVIII dell'/n/ertio Dante fa punire 1 lenoni da turbe di dèmoni cornuti che li assalgono alle spalle, percuotendoli furiosamente. Ma ben altro è toccato ai lenoni prima dell' immaginario castigo ultraterreno. Anche in questo caso la fantasiosità dei legislatori ha superato l'immaginativa de! poeta! Nessuna discriminazione, intanto, fra l'uomo e la donna. Anzi, quel principio generalmente accolto dalle legislazioni del tarnpo di mezzo e secondo cui allaJjo&nna, propter sexits fragititatetmfidoveva essere risparmiato l'ultimo supplizio, commutandosi la pena di morte in altra pena arbitraria, era perentoriamente bandito dalle prammatiche napoletane e da taluni statuti, uno dei quali, quello di Collalto, si masculua fuerit leno, si teneva pago di imporre una lieve sanzione pecuniaria, ma, si foemina fuerit, riversava sulla colpevole tutti i suoi fulmini. Frustati senza pietà Un'abbondante fustigazione, coronata dalla truncitJio «usi comminavano le costituzioni siciliane ai sollecitantes pudicitiam uxorem, filiarìum et quarumlibet muìierum..., mentre lo statuto di Corsica comandava che pel primo delitto i rei fossero frustati, per il secondo infamati col marchio, pel terzo fosse loro reciso il naso. Amedeo Vili, in Piemonte, li voleva banditi in perpetuità, ma prima di scacciarli, li faceva imprigionare per tre giorni, col regime più se vero: all'alba del quarto giorno, trattili di cella, li faceva porre al pilario per tre ore e poscia, fra il sollazzo delle moltitudini, scorrazzare in lungo ed in largo per la città, flagellandoli senza misericordia curii virgis et funiculis per homeros nudatoti... E il costume si perpetuò nei secoli. La legislazione toscana del 1744 puniva i lenoni con « galera o stinche, a beneplacito» (con la forca se erano recidivi), ma prima li sottoponeva a questo supplizio: issati su un asino, recando fra le i.'ani un cartello che indicava la colpa di cui si erano macchiati, li costringeva a percorrere le vie del paese in giorno di festa, mentre il popolo li subissava dei suoi lazzi ed il boia delle sue frustate. In qualche luogo il castigo doveva essere inflitto dagli stessi cittadini. E se il colpevole era una donna, spettava alle donne por mano alla frusta per vendicare la offe"a recata al loro sesso. In Francia, per altro, secondo attesta 11 Jousse, la pena cui andava incontro la donna che si era macchiata del nefando reato, era, invariabilmente, quella cosiddetta dell'acca bussadè. La colpevole era trascinata sotto il portico del palazzo di città dove il boia, dopo averle legate le mani, le poneva in capo una specie di cuffia a pan di zucchero, ornata di piume, e le attaccava alle spalle un cartello su cui era scritto a grandi caratteri maquerelle, ch'era l'espressione con cui il popolo designava le sciagurate del suo stampo. Quindi, fra un assordante coro di fischi, si componeva un corteo. Precedeva 11 banditore giudiziario che leggeva la sentenza, seguiva la condannata e l'esecutore di giustizia, attorniati dal popolo urlante. Il corteo si arrestava al primo ponte sul fiume. Rinchiusa in una gabbia, la condannata veniva immersa per tre volte nell'acqua limacciosa e fredda del fiume, avendo cura tuttavia, che il bagno non fosse fatale, che un'altra sanzione attendeva ancora la sciagurata: la relegazione in un ospizio e la clausura per tutto il resto della vita. Sull'esempio dei romani, che punivano come lenone anche il marito che non aveva scacciato la moglie infedele, lo Statuto di Fer rara puniva il marito tradito che non si dimostrava amareggiato per la sua sorte. Ornata la fronte di due corna di bue o di becco, lo mandava in giro per la città su una carretta trainata da un asino, Malizia serpentina In confronto àelVaccabussade, Il castigo aveva il sapore di una facezia. Ma non poteva dirsi altrettanto per la varietà estesissima degli altri castighi con cui gli antichi legislatori punivano i delitti che offendevano il costume. La repressione, sia per effetto della primitiva severità della vita dei Barbari, che li faceva riguardare con orrore siffatte colpe, sia per l'eco del prescritto dal libri santi e dal diritto canonico, fu impron tata ad estrema severità sin nei primi tempi dell'evo di mezzo. Longobardi punivano con una multa elevatissima — 900 soldi il semplice fatto di attraversare la via ad un donna libera, e, con il sommo piacere della libertà — il massimo del beni, anche a quei tempi, — cancellavano l'affronto fatto ad una schiava dal proprio padrone, disponendo che essa ed fi marito divenissero Uberi. Sulle tracce della legge mosaica, il seduttore di una fanciulla, oltre a condurla in isposa, era con dannato a costituirle la dote: un doppio castigo che aveva un'effl caefa intimldativa senza confronti. Senonchè i legislatori furono burlati questa volta dalla serpentina malizia delle donne senza pudore, le quali non tardarono a trasformare in occasione di peccato la norma che era stata dettata per impedirlo. E la sanzione, che si era perpetuata nei secoli, confortata dal disposto del diritto canonico e riprodotta dalla generalità delle costituzioni, dovette, alla fine, essere soppressa. « Vedendo che l'obbligare 11 seduttori a sposare e dotare le sedotte ha promossa la disonestà da parte delle ragazze e dei loro genitori...», Francesco di Lorena stabiliva che il seduttore fosse condannato soltanto a 300 lire « in beneficio dei poveri », ferme, tuttavia, le maggiori pene disposte dalla costituzione ove l'avventura toccata alla giovane fosse stata contrassegnata dalla violenza. Ma su questo punto gli antichi legislatori erano cautelati ed esigenti. Perchè potesse prospettarsi l'ipotesi della violenza, era necessario che la vittima, nel subire l'affronto, avesse gridato In mo do da essere udita dai vicini. Si non cridaverit prius..., prescriveva lo statuto di Belluno, doveva ritenersi che la pretesa violenza mascherasse un dolce e volontario abbandono. E per la ragazza che aveva corso l'avventura volontà- riamente, lo stesso statuto non aveva pietà: consentiva al pnrentes utrtusqne scxus di diseredarla piste et rationabiliter. e di rinchiuderla in un monastero. E in questo i legislatori medioevali si rifacevano al diritto mosaico, per il quale la prova dell'asserita vio lenza doveva scaturire dalle invocazioni d'aiuto cui si era abban donata la vittima: «Se dopo che una vergine divenne fidanzata (s'atuiva il Deuteronomio con quel biblico impeto onde è pervaso tutto il sistema delle sue disposizioni), alcuno la trova nella città e giace con lei, entrambi saranno lapidati davanti alla porta della città: lei, perchè, essendo nella città, non gridò al soccorso; lui perchè disonorò la donna di un altro. Non soffrirete simile abbominazioni presso di voi! Se invece un uomo incontra in campagna una vergine fidanzata e giace con lei usando violenza, dovrà morire. Ma la donna sarà innocente, perchè soffri la violenza come colui che viene aggredito e ucciso. Ella era sola nei campi; gridò al soccorso; ma nessuno potea venire in suo aiuto ». « L'uffìzio dell'onestà » Emersa la prova della violenza, la legge non conosceva più debolezze. E, fra il consenso dei giuristi del tempo, re Adolfo poteva proclamare in una sua sentenza che « nessuna prescrizione, neppure di 60 anni, può escludere l'azióne della donna che ha patito violenza ». Ma egualmente implacabili erano gli antichi legislatori anche nel caso di ogni altra libertà con la donna. Liutprando imponeva a chi se ne rendeva col pevole il pagamento del suo proprio guidrigildo e, molti secoli dopo, Te leggi napotane comminavano la morte a chi baciasse una donna, aggiungendo che costei dovesse perdere la dote ed essere esclusa dalla successione paterna ove fosse provato che aveva consentito a farsi baciare. Ben più ria, comunque la sorte del bigamo. Gli statuti di Sassari e di Corsica lo dannavano a morte; quello di Bologna soltanto se il secondo matrimonio era sta- to consumato; in Valtellina l'uomo veniva decapitato, la donna sommersa nell'acqua; a Venezia, l'Impostore era punito con la restituzione alla seconda moglie di quanto questa aveva portato, nonché colla perdita d'altrettanto, che andava ner metà a lei e per metà ai giudici, alle guardie e all'accusatore; nel cantone di Glarus, infine, al bigamo veniva tagliata la testa, e, perchè le duo donne non avessero ad accapigliarsi, il capo mozzato veniva diviso dal boia, che ne dava una metà a ciascuna delle mogli. Il rogo e la confisca eran le pene correnti per 1 sodomitici, ma qualche statuto prevedeva degli inasprimenti ed a Tarvisio, l'uomo supra palum conflxum doveva rimanere esposto al ludibrio di tutti tota die et tota nocte prima di essere incenerito; la donna, o?nni vestimento nudata, doveva rimanere per egual tempo inchiodata al pilario, prima di essere collocata sul rogo. E perchè la repressione delle turpitudini fosse più sicura e più pronta, qua e là si ebbero anche speciali magistrature per conoscerne e giudicarne. A Lucca questa magistratura era denominata Vuffizio dell'onestà ed aveva po- teri amplissimi, un arbitrio scon rinato, sia nell'investigazione della colpa come nella determinazione della pena, « si che quando si voleva designare il massimo arbitrio possibile di un magistrato, si diceva aver esso tant'autorità quanto Vuffizio dell'onestà ». Ma fra le estrose e paradossali solu zioni offerte dai legislatori dell'evo di mezzo, Lucca si distingue va ancora per un'altra eccezionale magistratura: quella che era de putata ad invigilare, e non già con intenti sopraffattori e iugulatori, sulla sorte delle mondane. Soluzioni paradossali Il destino di costoro era stato atroce nell'evo di mezzo. Fustigate per la piazza e cacciate dalle città, ad ognuno era permesso di offenderle impunemente. A Pisa, sullo scorcio del secolo XIII, era condannato ad un numero spropositato di frustate, oppure ad essere Immerso nell'Arno, chi le ospitava o dava loro « cibi cotti ». Altrove, le sanzioni verso chi si commuoveva alla loro sorte erano anche più dure. Più tardi, tuttavia, fu consentito alle mondane di abitare t?iter muros, ma a patto che fissassero la loro dimora a t 200 braccia dalle chiese », e non si facessero vedere per la città « altro che il sabato e, anche allora, portando per distintivo un mantelletto di bombace bianco ». Cosi era prescritto dalle costituzioni milanesi, ma Amedeo Vili, in Piemonte, esigeva che le « donne di mala vita abitassero in luoghi appartati, lontano dalle donne oneste; e le meretrici tutte in un luogo, dal quale non dovevano uscire dal sabato di Passione fino al giovedì dopo Pasqua, nei qual tempo dovevano riunirsi due o tre volte al giorno, per udire i sermoni di un predicatore che aveva il compito di convertirle ». A Parma le disgraziate non potevano recarsi che nella piazza: trovate fuori di là e delle strade che vi conducono, potevano essere offese e percosse impunemente da chiun que, purché senza effusione di san gue e spogliate d'ogni cosa che avevano addosso. Lo statuto tridentino, suo poe na 100 carantanorum toties quo ties, imponeva alle mondane di portare sopra la spalla sinistra lunam bandam coloris //avi» sive crocei, larga almeno tre dita, lunga fino alla cintola e, sotto una eguale comminatoria, comanda va loro di incedere honeste per ci vitatem, ma a Lucca 11 legislatore del secolo XV si scostò decisamente dalla prassi e consentì alle meretrici di uscire in città, ogni giorno, a loro talento e di andare e trattenersi dove loro piaceva. E, questo, In nome della morale, non già di una malintesa pietà o di una colpevole indulgenza. Del resto, le soluzioni escogitate a Lucca nella regolamentazione dello... stato giuridico delle mondane dovevano ben presto diffondersi e trovare applicazione in altre città. Nella Roma papale, sinanco. E qui, sotto il pontificato di Pio V, si presentò una situazione fra le più paradossali, in apparenza. Leone X aveva pensato a far mantenere le maddalene pentite dalle maddalene che erano incapaci di ravvedersi e Paolo IV aveva colpito le cortigiane con una tassa, in proporzione del reddito, ma Pio V, che pure fu l'implacaI bile continuatore della crociata I contro il malcostume intrapresa Ida! suoi predecessori, si trovò costretto, in nome della morale, a i stipendiare per una certa parte | dell'anno le donne di malaffare. iLe aveva fatte raccogliere tutte a Campo Marzio, in un quartiere cintato, munito di due sole porte, imponendo loro la clausura in tempo di quaresima e perchè la forzata disoccupazione durante questo periodo, non fosse cagione di mali maggiori, aveva finito col dover intervenire, assegnando alla turba famelica delle sciagurate una pensione a titolo alimentare. Francesco Argenta All'ingresso di un villaggio russo: una oapanna e un albero divorati dal fuoco; I sovleti hanno evacuato. (Hoffmann)

Persone citate: Amedeo Vili, Hoffmann, Jousse, Leone X, Paolo Iv, Pio V