Nella capitale delle scarpe di Antonio Antonucci

Nella capitale delle scarpe Nella capitale delle scarpe 2000 paia in otto ore - Come è nata un'industria , . . |. . i. Vigevano fornisce calzature a un terzo degli italiani Chiedo ospitalità in un albergo: tutto occupato; In un secondo, altrettanto; in un terzo non ho migliore fortuna e cosi via, infine riesco a cogliere a volo l'ultimo letto disponibile, proprio l'ultimo, come gridano i venditori della lotteria di Merano per i loro biglietti. Che cosa succede? E' già difficile comprendere la crisi alberghiera delle grandi città, dove non si trova mai posto mentre, in tempi ov dinari, le più stravaganti bizzai rie turistiche non bastano a richiamar gente a sufficienza; ma una cittadina piccola come questa, a quale misterioso avvenimento obbedisce per lasciar senza alloggio un viaggiatore qualsiasi? Che io mi sappia, non ci sono festività particolari nè convegni di eccezione. E allora? Un chiacchierone mi spiega il fenomeno cosi: una volta da Vigevano partivano In frotte i commessi viaggiatori per offrire scarpe a un terzo d'Italia, e dovevano lottare, poverini, per assicurarsi i clienti. Oggi, i commessi riposano per la rarefatta disponibilità della merce e sono I clienti ohe vengono personalmente a cercarla. E' la ruota della fortuna che gira. 220 operazioni Questa versione, se non vera del tutto, è molto verosimile perchè Vigevano, come ho già accennato, forniva scarpe proprio a un terzo d'Italia, fenomeno conosciuto ma sempre degno di esame o di rielaborazione cronlstica. A Filadelfia, in poco più di un anno, sorsero oltre 1000 società, per l'estrazione del petrolio ma era come una gara per mettere le mani sopra un tesoro della natura; qui esistono invece oltre trecento società per lavorare scarpe, senza contare l'artigianato. Si tratta proprio di lavorare, che l'industria vera e propria passa in seconda linea, tant'è vero che soltanto un paio di società, ed anche piccole, pensano alla conciatura delle pelli. Forse quest'ultimo lavoro ha un che di anonimo, mentre Vigevano ambisce a una personalità, di cui troviamo continuo esemplo nella sua storia. Quando si nasce da un castello, c'è buon sangue nelle vene; e, nel medioevo, primo tempo sicuro della storia vigevanese, il nucleo abitato era poco più di un castello, ben munito peraltro, con una galleria, larga 163 metri e larga sette, capace di contener molta gente. E che gente! D'una fierezza a tutta prova, quando Ludovico Sforza volle sottometterla, trovò sugli spalti persino le donne, guidate dalla celebre Camilla Rodolfi, e senza la fame non l'avrebbe spuntata. Un'altra donna, non meno celebre, Lucrezia de' Bastici, diede filo da torcere agli Spagnoli. E a queste donne io penso, guardandone altre, a schiere e in bicicletta nella piazza ducale. Sono cambiati 1 tempi e con essi 1 compiti, ma è rimasta la medesima fierezza anche se costretta nell'umile ritmo di un'industria razionalizzata. La massima parte delle 16-18 mila maestranze addette agli scarpina è femminile e — gli uomini non se ne abbiano a male — è giudicata migliore di quella maschile. Un tanto è forse spiegabile con le stes se qualità del lavoro da compiere, troppo elementarizzato per interessare a fondo la forza del maschio. Infatti, una scarpa a macchina non è una scarpa: è un numero: 34, 35, 36, 37... di cui 11 piede andrà In cerca secondo 1 calcoli di probabilità. Non è una scarpa è un'approssimazione che 11 piede forzerà poi fino ad aderirgli, mentre tutti sanno che l'orgoglio di oeni calzolaio bennato mira a rendere come carezzevole la sua creazione su misura. L'industria trae la scarpa dalla polvere di 220 operazionistaccate, ad ognuna delle quali provvede una mano diversa: 30 operazioni per la tomaia, 30 per la preparazione del fondo, 160 per la lavorazione del fondo. E con la mano diversa, anche una macchina diversa. Occorrono quintali di acciaio per fare un buco, altri per tagliare la tela o battere chiodini. La donna è fiera di manovrare tanto peso, l'uomo si umilia. La macchina detronizza l'uomo e rallegra la donna, ma niente di male perchè l'uomo e la donna continueranno a restare amici. Un po' di storia Con ritmo spietatamente uguale, pelle, tela, cuoio, semicuoio, legno per i tacchi, gomma per le suole (siamo in guerra) volano, si rincorrono, si fondono: 500 tra operai ed operai mettono insieme 2000 pala di scarpe In otto ore lavorative quanto dire che ciascuno di essi produce quattro paia di scarpe, mentre il povero artigiano, abbandonato alla sola poesia della sua forza creatrice, si e no che ne tira fuori un palo, con orario allungato e con la tomaia già bell'e fornita dall'industria. Ma ritorniamo a Vigevano per dire come fu che si misero tutti, o quasi tutti, a fare scarpe. La storia si è interessata molto di Vigevano. Anche se non è vero che nei suoi pressi i Romani si scontrarono con Annibale, è certo che sì occuparono dì essa i Francesi di Carlo Vin, quelli di Luigi XII, gli Spagnoli e 1 Tedeschi di Carlo V, e poi ancora gli Austriaci e ì Francesi di Napoleone, finché divenne una punta avanzata dello Stato Piemontese. Al confine con l'Austria, Vigevano viveva di agricoltura, caccia, pesca e soprattutto contrabbando, perchè la legge dei vasi comunicanti (legge fisica) sopraffa le leggi degli uomini (leggi morali), e dove la merce costa meno tende a straripare oltre le dighe. Con l'unione del regno d Iìalia Vigevano perdette la sua situazione di privilegio, e l'oro del Ticino (industria che ho dimenticato di citare) non ba- stava più al bisogni della popolazione. Bisognava trovare ?ualche altra cosa. Ma quale? 'ensa e pensa, fu deciso di mettersi a fare cappelli. Tutti facevano cappelli, quando Borsa lino invase il mercato e non fu *a jsSt^SS^M celebri arazzi filati ai tempi dello Sforza, ma anche la seta andò maluccio e nel 1890 si cominciò con le scarpe. Non esisteva che una macchina per cucirle, onde 11 lavoro procedeva a mano, eccettuate le persone di grande riguardo. Proprietario della macchina era .un certo Guglielmo. Nel '91, il Madonnlni cominciò a cucire scarpine da neonati e Bocca Luigi le stoffe. Nel '92, Conti e Bonassi, vecchio garibaldino, fondarono un « Calzaturificio Nazionale >, che mori dopo un anno per scarsi criteri industriali. Alla sua testa, c'era un certo Giulini di Lodi, il quale rilevò l'azienda e la tenne viva, compatibilmente con la sua passione per la caccia e per la pesca, cioè in anemia. Come cronistoria definitiva, qui s'innesterebbe a meraviglia la vita del cavaliere del lavoro Pietro Bertollni, detto t el negher > per la sua folta e riccia capigliatura tuttora superstite in bianco, il quale, partito da una mercede di 50 centesimi al giorno, è oggi alla testa di aziende ricchissime. Ma egli mi ha strappato la promessa di non fare 11 suo nome e saltiamo quindi alla prima gueria europea, durante la ouale Vigevano diventa tutta scarpe. Requisiti gli stabilimenti a scopi militari, sono i singoli, anzi le singole a lavorare privatamente. Ogni angolo di Vigevano, quasi ogni casa produce scarpe, piccoli nuclei destinati spesso a un grande avvenire. Ma, finita la guerra, Vigevano che aveva tirato avanti con materiali d'occasione, trovò ostile 11 mercato. Bisognò rifare tutto da capo, e fu fatto con perizia, se oggi dalle sue mura continuano a defluire fiumi di scarpe per ogni parte d'Italia e per l'estero. Antonio Antonucci (Nostro inviato) VIGEVANO, ottobre.

Persone citate: Bocca Luigi, Bonassi, Camilla Rodolfi, Carlo V, Giulini, Ludovico Sforza, Luigi Xii