I viaggi dell'Algarotti di Filippo Burzio

I viaggi dell'Algarotti I viaggi dell'Algarotti Di queste saporose « relazioni » di viaggi settecenteschi, ecco riapparire, dopo quella renana dell'abate Bertola, questa russa del conte Algarotti (che l'editore Einaudi ha avuto il buon gusto d'inserire nella sua collezione Universale). Non sono più, questi del 700, i viaggi, che so, di Marco Polo o del Pigafetta, pieni di meraviglioso e scoperte assoluta del nuovo, ma sono pur sempre viaggi veri, cioè ritrovamenti, almeno, di quel diverso che, nelle forme esteriori, va progressivamente scomparendo dal mondo. E ciò significa qualcosa di abbastanza grave, più che non sembri a prima vista : significa, che un'attività principe, e insieme una delle più squisite sensazioni e gioie umane, appaiono ormai definitivamente compromesse, per mancanza di alimento, dopo le loro ultime manifestazioni ottocentesche: quelle esplorazioni del « Continente Nero « — protrattesi fino alle soglie del Novecento coi viaggi polari del Duca degli Abruzzi, Nansen, Peary e Byrd. Oggi (anche se Sven Hedin è vivo ancora) è proprio finita, l'umanità non ha più niente da scoprire sulla faccia del pianeta, e deve dolorosamente comprimere e lasciare insoddisfatto questo suo primigenio ed essenziale impulso attivo, che guidò già nientemeno che le grandi migraziani dei popoli; con conseguenze che, a mio avviso, giocano 6otto sotto (come tutti i refotilements) perfino nel campo degli eventi politici e sociali, ed in un senso pernicioso d'insoddisfazione e irrequietudine: almeno fino a quando non saremo riusciti a intraprendere le grandi spedizioni interstellari, per la conquista di Marte o di Venere ; oppure a giungere al centro della Terra, come nel romanzo famoso di Jules Verne. Quanto ai a Viaggi di Russia» dell'Algarotti, sono ben leggiadri e piacevoli, ma nemmeno poi arcadici — e cioè avventurosi quanto basta — viaggi settecenteschi : e la figura del viaggiatore contribuisce a renderli interessanti, almeno quanto la mèta dei suoi pellegrinaggi. Dei quattro italiani che brillarono, come importanti stelle fisse fra una pleiade di pianeti minori, alla Corte di Federico il Grande — e cioè Lagrange, Denina, Lu'cchesini, Algarotti — il Nostro fu il primo, in ordine di data, e insieme il più intensamente amato dal monarca enciclopedico, che vantò fra i suoi intimi Voltaire e d'Alembert. Tipica, estremamamente tipica figura dell'epoca questo, ai suoi bei dì, « giovin signore», che P. P. Trompeo, nella sua deliziosa prefazione al volumetto, definisce «lo scrittore forse più rappresentativo del Settecento italiano»; avendo però cura di aggiungere subito, per moderare adeguatamente l'iperbole: «rappresentativa della media umanità del suo secolo». Ola l'are a Tener sacre,.e al pellegrino Mercurio, ne le Gallio e In Albione Devotamente bai visitate... ma il giovin signore veneziano (che, a somiglianza del suo confratello pariniano, non discende da magnanimi lombi', bensì" da ricca famiglia mercantile; ma tanto lo supera per altezza d'ingegno, di cultura, di frequentazioni accademiche e regali) si spinge ben più in là di quelle mète snobistiche, fino alle brume quasi ancor favolose del Nord: precursore, in fatto di nomadismo boreale, di quell'altro contino assai più autentico, che sarà poi Vittorio Alfieri. Algarotti è uno di quei tanti italiani in gamba — militari, architetti, pittori, cortigiani, avventurieri — che in quei secoli la patria immiserita espelle dal suo grembo e manda in giro pel mondo a far fortuna (emigrazione avanti lettera, e di élites anziché di popolo, come avverrà poi nell'Ottocento); in paesi rustici, di preferenza, addirittura semibarbari, a versarvi il troppo pieno di una civiltà già parecchio infracidita. La grande avventura (o diciamo meglio, ventura) della sua vita è l'incontro con Federico, tuttora principe ereditario, avvenuto nel 1739, al castello di Rheinsberg, dov'egli giunge in compagnia di lord Baltimore, e vi è trattenuto per otto giorni: e i Viaggi ne danno notizia così: «Appresso a lui noi stemmo molti giorni, che ci parvero poche ore. Furono da noi vedute le sue .virtù da privato. Quando egli salirà sul trono ammirerà il mondo le sue virtù principesche. E vi è gran ragione di credere che saranno da lui ricercati gli uomini grandi con quello stesso ardore che sono dui re suo padre ricercate le grandi persone ». Da parte di Federico l'accensione è subitanea ; pochi giorni dopo ne scrive al Voltaire : « Il giovine Algarotti, che voi conoscete, m'è piaciuto tanto, che più non si potrebbe... Abbiamo- parlato molto di voi, e di geometria, di versi, di tutte le scienze, di futilità,^. E' pieno di fuoco, di vivacità*wdi dolcezza «. Quattro giorni dopo la sua salita al trono, lo chiama al suo fianco: Moti cher Algarotti... ne me faites point languir ; e già prima ne ha salutato le opere con questo po' po' di distico: Par vous le grand Newton ressuscltc a Venise Julius Cesar renait aux borda de la Tamlse E l'Algarotti a rispondergli (come trovo in un vecchio studio del d'Ancona): In Berlino risorse Atene e Roma! Nè credo sia facile combinare una collezione di pereone, di eventi, di modi, più tipicamente settecenteschi di questi. I Viaggi di Russia constano di dodici «lettere» (cioè sono redatti in quella forma epistolare anch'essa ben settecentesca, che vantò, fra tanti esempi cospicui, le Lettres persanes del Montesquieu e le Lettre), angìaises del Voltaire), di cui otto dirette a Mylord Harvey, «Vice Ciambellano d'Inghilterra, a Londra; e le altre al Marchese Scipiono Maffei, a Verona. Le prime quattro danno un piacevole e minuzioso ragguaglio di un viaggio marittimo d'Inghilterra in Russia, attraverso gli stretti danesi, compiuto a bordo della « fregatina» The Augusta, appartenente aa mylord Baltimore ; qualco- sa come una crociera d'oggigior- à n e e o e i e i e , l a ; o o , - no, in cui i passeggeri scendono di frequente a terra a visitare città, monumenti e personaggi; poi bì passa all'assunto principale dell'opera, l'analisi delle condizioni geografiche, militari, politiche della Russia del tempo: e vi acquistano un singolare interesse d'attualità — oggi, cue l'ansiosa attenzione del mondo è di nuovo rivolta a quelle parti la narrazione di una guerra settecentesca fra Russi e Turchi, la descrizione'di paesi come l'Ucraina, la Crimea, il Caucaso. Non mi resta ora che spigolare qua e là, per invogliarvi alla lettura. Ecco una guerra nella steppa : Provvisto di ogni cosa, il Munlch usci di Ucraina. L'esercito marciava in uno o più quadrati, col bagaglio e col viveri nella piazza. Altro non si vedeva intorno che erba e cielo, e i Tartari che venivano in più nodi ad attaccar l'esercito qua .e là... Avveniva talvolta che 1 nemici, se in faccia de' Russi tirava 11 vento, mettesser fuoco all'erbe... nè ci era via di ripararsi, se non col cavar fossi e levar terra, e cosi far argine a quello incendio, che correa per la campagna vittoriosa... Il Munich, dopo molto scaramucciare nel diserti, giunto alle famose linee di Precop si preparò ad attaccare. Sbarrano queste l'ingresso della Crimea, fiancheggiate da varie |torri: era quivi a difesa il Kan lsimsvsaqaefsvdzttaitaa-lcon tutte le sue genti.,. Aveal l'esercito russo per quei deserti sembianza di un grosso vascello in mare, che porta con sè suoi magazzini, ogni cosa che è necessario; e il terrore ovunque egli vada. Degli ammalati quasi nessuna cura, meno ancora che se ne abbia in mare, non potendosi in quei deserti far spedali... Quando avveniva che prendessero castrati e buoi sul nemico, quella festa che fanno 1 marinai all'avere provvisioni fresche, quella stessa levavasi nel .campo... Giungiamo finalmente in vista del Caspio: Quel mare è mediterraneo, senza comunicazione alcuna cogli altri, centra il sentimento degli antichi,., non ha marea, ne può averla... di. porti non ha dovìzia il Caspio. Nella spiaggia settentrionale, toltone Astracan dentro al Volga, niuno; la orientale è quasi tutta difesa da scogli, da non appressar visi: è come merlata di rocce... Servono ai naviganti di gran signall lo montagne altissi me che da ponente lo signoreg- l giano, e da mezzodì. Torreggia fra queste il Demoan, emula dell'Ararat, su cui vogliono i Persiani si fermasse l'Arca. L'istesso Ararat, quando l'aria è ben purgata, si vede dal Caspio. E non lungi da Bacu sorge una montagna che, per il gran talco di che abbonda, ha sembianza di un monte di diamanti quando è percossa dal sole. Ma egli è ormai tempo, signor Marchese, di finire queste nostra navigazione e di tirarsi in porto. Filippo Burzio