II gioco e la bestemmia di Francesco Argenta

II gioco e la bestemmia LEGISLATORI BURLONI II gioco e la bestemmia Figuravano al centro del sistema repressivo ed i colpevoli eran fatti naufragare nella vergogna I giocatori hanno diviso coi bestemmiatori le più beffarde fra le pene derisorie escogitate dai legislatori passati. Ma esiste un'intima connessione fra la bestemmia ed il gioco come un rapporto di causalità: runa è lievitata, molte volte, dall'altro; prorompe e s'orchestra sulla sfortuna o le alterne vicende dell'altro. Si tratta, comunque, di due. vizi che non si sconoscono, ma vanno insieme, a braccetto, ed anche il legislatore odierno, nel definire i fatti contravvenzionali cui la bestemmia ed il gioco dàn luogo, colloca le due ipotesi sotto lo stesso titolo, la stessa sezione del codice, punendole, in nome dello stesso principio, ch'è, poi, la stessa sociale necessità: la polizia dei costumi. In balìa delle mosche La connessione, tuttavia, aveva ben altro e sostanziale risalto per i legislatori passati. E se G. Galeazzo Visconti, per por fine ai mali cui l'esercìzio della baratteria dava luogo per deviamentum aubditorum, ma, soprattutto, quod deterius est, per btasphemas in Deum et alia nequitia che ne seguivano, si risolveva a chiudere le case da gioco, rinunciando al proventi che gli venivano dalla concessione di esse in appalto (la stessa cosa doveva fare Carlo III di Borbone, sacrificando il reddito di 34.600 ducati annui che gli procurava l'affitto del monopolio), i duchi di Mantova e Monferrato giungevano a proibire, « per le bestemmie e parole scandalose che vi si dicono », lo stesso gioco di pallamaglio, ed, in Piemonte, Amedeo Vili. Il quale aveva di già vietato ogni sorta di gioco a danaro, le carte e i dadi ed «ogni altro gioco an che senza danaro », dichiarava nei suoi statuti che 1 trasgressori sarebbero incorsi nelle pene riserbate ai bestemmiatori. E non eran cose da poco queste sanzioni! Se si trattava di nobili e persone comunque influenti, oppure di cittadini che godevano una certa posizione, di ricchi borghesi o di pingui agricoltori, la sanzione era pecuniaria (tre grossi, che si raddoppiavano per ogni giorno di ritardo nel pagamento), ma se si trattava di vìles et abiectae peraonae, come hiatriones, ribaldi, ebriosi, lenones, meretrìces ecc., il castigo era ignominioso e crudele. Il colpevole era posto al pilario e, amplexata columna, 1 pollici legati da una funicella, doveva rimanervi per tre ore consecutive; d'estate, denudato sin oltre la cintola e spalmato d'una sostanza che aveva la virtù di attrarre a sciami le mosche, era inchiodato, manibua legatis, per egual tempo al pilario ed esposto muscamm aculeis. E non basta, che, dopo questo supplizio, il reo era trascinato a suon di tromba per le strade, flagellato con le verghe ed, infine, Dandito per un triennio. Cesare e i dadi Affidata a meccanismi siffatti, la repressione doveva risultare saldissima. Senonchè, se dobbiamo credere alle cronache del tempo, la realtà era ben altra. Il gioco clandestino fioriva per ogni dove e nè il rigore della pena, nè la vergogna in cui .finivano col naufragare i colpevoli per" l'ignominiosità del castigo, valeva a trattenere i giocatori dallo sfidare la legge. Al pilario, i giocatori si avvicendavano con una frequenza che oscurava quella con cui vi finivano I bestemmiatori. La passione del gioco era più forte dMI i o e . i e i del terrore che ispirava la legge! Ma è stato cosi, in ogni tempo. In Roma, all'epoca della repubblica, i giochi erano considerati delieta che davano luogo a la publica persecutio e quindi ad una poenitio, vale a dire ad una sanzione diversa da quella comminata per i fatti repressi a scopo di polizia preventiva, cioè per i semplici fatti contravvenzionali. Ma il rigore delle sanzioni non riusciva ad infrenare la passione del gioco. Il gioco dei dadi (alea) era considerato d'azzardo, ma il pubblico non se ne preoccupava e lo praticava su larga scala. Lo stesso Cesare era un appassionato giocatore di dadi e Svetonio racconta che condottieri ed imperatori subirono in eguale grado la stessa passione; Claudio scrisse un trattato buì gioco del dadi, Vero passava le notti a giocare a dadi e Caligola aveva raggiunto un tal grado di abilità, in questo gioco di pura sorte da riuscire con estrema* facilità a barare. Ma non solo l'alea era diffusa nell'antica Roma, anche i giochi detti per impar e capita aut mevia (il nostro testa e croce), quello della morra (micare dìgitìs), il htdus Jatruncitlorum, ch'era pure d'azzardo, il ludica duodecim scriptorum e, finalmente, 11 gioco dei cavalli di legno, che era l'antesignano della moderna roulette. Giustiniano, nel 529 d. C, li proibì tutti e le san. zloni che già preeslstevano ven nero ampliate e rafforzate. Fu concesso il diritto di chiedere la restituzione di quanto si era pagato per ragione di gioco, fu comminata la pena del carcere, dei ceppi e dei lavori pubblici a chi costringeva altri a giocare, fu san cita, infine, con un tratto di giustizia sommaria e beffardamente ammonitrice, che le sottrazioni dolose in danno dei giocatori dovevano andare impunite e che impunito doveva andare, altresì, colui che percuoteve o danneggiava persone dedite al gioco. Un castigo postumo Sull'esempio giustinianeo, gli statuti non furono meno rigorosi nella repressione del gioco, allorché, dopo il mille, la passione pel gioco dilagò come un'ondata inarglnablle. Aliquia non debeat ludere ad aliquem ludum... prescriveva lo statuto di Torino-e su questo tono perentorio scandivano fi loro divieto gli altri statuti. Ma v'erano qua e là, tuttavia, le eccezioni, proprio come accade adesso. Nel 1320 il comune di Faenza vendeva la baratteria (pubblica casa di gioco) per un anno a Pietro Alauovaldìno e altri, per 827 bologninl piccoli, col patto di «tenere un luogo aperto, dove ciascuno possa giocare senza licenza o pena alcuna, e che per lite possano i giocatori di detto luogo dirsi villania, battersi colle pugna, ecc. >, purché ciò fosse senza effusione di sangue. Il divieto, per altro, fini col diventare generale. E anche le pene comminate ai trasgressori, che erano state dapprincipio in danaro, finirono col generalizzarsi, comprendendo, alternativamente, l'esilio, il carcere, la berlina, la frusta o taluno, ancóra, dei castighi corporali fra i più afflittivi e derisori, quando pure non erano lasciate all'arbitrio ed alla estrosità del legislatore. Un prelato di Firenze che soleva passare le notti a giocare in albergo fu condannato dal card. Damlen a recitare per tre volte il Libro dei Salmi di Davide, a la- n o i l i o r a a l . u a aei hi e i i i l o o , l a i e o o , e , a ù e d l - vare i piedi a dodici poveri ed a donare loro uno scudo per ciascuno. Il vescovo di Langres, che era dominato dalla stessa passione, si che i concittadini solevano dire di lui che amava più il gioco che il prossimo suo, potè sfuggire in vita ad ogni sanzione, ma non potè salvarsi post morte™ dal castigo della municipalità. Le bon prelat qui git aous cettc pierre — fu scritto sul suo sepolcro — " aima le jeu plus qu'hommc de la terre; - quand il mounit il n'avait plus un lord et camme perdre élait chea lui coutume-, . s'il gagnè paradis on presume - gite ce doit ètre un grand coup de hasard. Per venire a tempi più vicini, il codice di Carlo Felice puniva " i giocatori con l'inabilitazione ai pubblici uffici o, se studenti, negava loro l'ammissione ai gradi accademici, ma per richiamarci ancora ai lontani tempi In cui la repressione del gioco aveva un aperto parallelismo con quella della bestemmia, occorrerà ricordare che lo statuto di Pisa condannava il giocatore in Arnum balneari. Era questo — il forzato bagno nelle acque del fiume — il punto d'Incontro o d'arrivo delle diverse legislazioni nella repressione del i o i i e n o i e a ò a o è n a di „ ...., .............. - fra il vecchio e i nuovi sistemi re gioco e della bestemmia: due mali che stavano al vertice della scala del delitti secondo i legislatori parsati, Senonchè nella repressione della bestemmia le leggi civili andavano al di là dello stesso diritto canonico, punendo i bestemmiatori oon la galera, il carcere l'esilio la perforazione della lingue e, talvolta, anche la morte, laddove la Chiesa non comminava, oltre alla penitenza, che una lieve pena in danaro da devolversi agli indigenti. Corbellati ! Secondo le costituzioni siciliane, la bestemmia era punita linguae maliloque amputatione (Ferdinando I definiva tale sanzione poena amputationis et praeciaionia linguae), ma in Istria, dove i rei potevano essere denunciati anche da « persone secrete », al taglio della lingua si aggiungevano 18 mesi di galera o più. Carcere od esilio erano comminati a Venezia, mentre per le antiche costituzioni piemontesi la bestemmia leggera andava punita con un anno di carcere; l'atroce con la galera, in proporzione della gravità del delitto e, se profferita con animo deliberato, con la morte. All'estrema sanzione non sfuggivano In niun caso gli ebrei che bestemmiavano Cristo la Vergine ed 1 Santi. S. Luigi di Francia aggiungeva alla perforazione della lingua 11 marchio in fronte, il che parve un eccesso a Clemente TV, che richiamò in proposito il santo legislatore. E S. Luigi ridusse la pena a 40 lire. Fu questo il principio della riforma, che, in obbedienza al precetto canonico, ridusse le sanzioni per la bestemmia ad una pena pecuniaria. Ma non esistevano limiti e lo stesso fatto era punito diversamente secondo 1 luoghi, spaziando le multe fra un mìnimo dì pochi soldi ad un massimo di 400 lire. A Cecina si pagavano 5 soldi per la bestemmia contro Dio e la B. Vergine, 3 contro ì santi; 5 soldi anche a Torino, ma 20 a Chleri e a Valyassone; 20 a Nizza, se si trattava di un nobile e 4 se il bestemmiatore era un plebeo; 100 lire a Firenze, 50 a Parma ecc. Ma poiché il più delle volte le multe non venivano pagate, ecco sostituirsi alle pene pecuniarie i castighi corporali. Legati pel collo con una catena alle colonne del palazzo comunale, i bestemmiatori erano esposti, al ludibrio dei cit tadini, per tre giornt e tre notti, a Cividale e in Valtellina, per totam diem ad Ivrea, oppure erano fatti correre per la città sotto la sferza, o, ancora, come comanda vano 1 duchi di Mantova e Monferrato, erano posti «a le porte delle chiese con una grossa corda al collo ben stretta, e con un morso di ferro grosso ben serrato in bocha, finché fossero finite le messe di quel giorno >. Il castigo più diffuso, per altro, era la corbellatura. Il bestemmiatore era tuffato nelle acque del fiume o del lago (...demergatur ter in aquam cum omnibus panni-i, quoa in dorso habebit quando blasphemavit) desu per pontem, comandava lo statuto di Adria) oppure, legato con una catena alle colonne del palazzo comunale, doveva subire il lancio di tres situlae aquae super caput. E non era, sempre, acqua di fonte ! Sino al secolo XVII durò, come è noto, il sistema delle pene deri sorte. Ma neppure la transizione a o n e na o, e n pressivi fu senza amarezze per i bestemmiatori. A Zurigo, chi bestemmiava Dio ed 1 Santi era condannato a restare una domenica sotto il pulpito, mentre il predicatore doveva rivolgere a lui il sermone ed indicare al popolo l'enormità del suo peccato, e nei paesi In cui imperava il codice gluseppino chi « bestemmiava l'Onnipotente doveva trattarsi da frenetico ed essere rinchiuso nell'ospitale del pazzi finché si fosse sicuri della sua guarigione ». Francesco Argenta

Persone citate: Amedeo Vili, Carlo Felice, Cividale, Galeazzo Visconti