Là di fronte i fortini e le trincee che difendono le spalle di Pietroburgo di Giovanni Artieri

Là di fronte i fortini e le trincee che difendono le spalle di Pietroburgo Là di fronte i fortini e le trincee che difendono le spalle di Pietroburgo Con convogli di piccole navi d'estate, con autotreni sui ghiacci d'inverno, sotto il tiro finlandese da Saunaniemi e tedesco da Schlusselburg, i sovietici cercano febbrilmente di rifornire la metropoli assediata: ma da due mesi e mezzo il cabotaggio si fa a pieno carico nei due sensi: è in atto lo sfollamento della popolazione (DA UNO DEI NOSTRI INVIATI) LANDA DI SAUNANIEMI (Lago Ladoga), 3 ottobre. Non si può guardare a lungo questo lago senza cedere al sonno. Mi dicono die è sempre così, non certo la guerra lo ha fatto deserto; è nato deserto. Le notti non visuscitano ombre, nuvole non vi si rispecchiano. E' una pianura d'acqua in continuazione della pianiira terrestre; le poche isole degli arcipelaghi costieri irte di ispidi boschi fìngono grandi spazzole abbandonate al pelo dell'acqua. In quel meriggio arrivai dopo tanto rotolare sulle piste della foresta, fino ad una landa di sabbia gialla. Un violo solitario vi si protendeva distante; sulla spiaggia, tra rottami e rifiuti, giacevano quattro o cinque casette di legno. Il Lago si allontanava sotto la sguardo verso mezzogiorno perdendosi nella tinta scialba del cielo estivo, u>ia linea vaga lo limitava ed era, a quanto vii dissero, la riva russa. L'Ingrìa desolata malinconica, miscuglio di terra sabbia fango ed erbe parassite, cominciava da quella landa. Il suo nome è Saunaniemi. Poco oltre sono le trincee, i soldati infossati, i fortini; e di faccia le trincee, i soldati infossati, i fortini dei rossi che guardano le spalle di Pietroburgo. Gli occhi come mi Iago Dalle colline di Taipale avevo visto un paio di aeroplani giocare alla picchiata e udito vaghi rimbombi di colpì. Quelle due mosche gironzolano irriconoscibili sulla striscia di terreno occupata dalle truppe, salivano salivano e poi davano di capo a perpendicolo come falchi suicidi. In me era rimasta la curiosità di sapere se fossero russi o « nostri ». Alla riva, da uno di quelle casette miserabili venne fuori un tenente piuttosto assonnato, ma non saveva nulla; il suo compito era un altro, quello di sparare sulle navi russe appena le vedette glie ne dessero il segno, picchianao in una rotaia appesa a un albero. Siccome navi russe non se ne erano viste pia da ventiquattro ore, aveva provveduto a riparare un poco la lunga insonnia nétte notti di guardia; anzi, vedendoci, si informò subito se non fosse venuto con noi un altro ufficiale richiesto per il servizio. Non era venuto nessuno: e toccava a lui continuare la ininterrotta monotona scolta nella noia mortale di quella landa. Tutto quel giorno passato a discendere lungo il Lago per via di terra da Kuèkisalmi a Sortanlahti e da qui fino a Taipale per il Vuoksi, pesava addosso. L'infinito alternarsi dell'acqua e delle foglie ci dava il senso di un limbo nel quale fossimo caduti senza speranza di salvarci. Guardai il tenente. Dopo le poche parole scambiate in finnico con Zenker. non aggiungeva altro. Succhiava l'estremità della macra paplroaci, assaporando l'aspra amarezza del detestabile tabacco Era uno dei più puri tipi di finvico che abbia mai visto; gli occhi piccoli a mandorla, i pomelli sporgenti, lo sguardo duro e sottile di un azzurro eguale a quello delle acque del Lag\ in bonaccia. Era imbarazzato, evidentemente; non sapeva cosa offrirci, cosa farci vedere. Lì era il fronte, ma un fronte fatto di niente; di sabbia gialla, di un'acqua annoiata e un orizzonte albuginoso sotto il quale era una linea che era la riva nemica. Dopo un lungo sforzo di pensiero disse se non avessimo curiosità di andar su per la breve diga del molo per guardare meglio laggiù, alla sponda opposta, da dove partono le navi russe del porto di Novaja Dadoga. Però anche con un ottimo cannocchiale non ci sarebbe stato gran che da scoprire. Accettammo per cortesia di guardare la sua batteria di grosso calibro e la trovammo assai bene occultata, i cannoni coperti dalle loro custodie di tela cerata che quattro soldati si affrettarono a togliere, e poi manovrando lentamente i volanti, ne spostarono la massa rapidamente. Sempre per cortesia ammirai, e feci dei complimenti come se avessi visto un cannone per la prima volta. In quei luoghi però e poi più addietro, al comando del settore ove il maggiore J. ci aspettava, capii come la guerra possa diventare anche un'abitudine. Un buon bersaglio La landa delle batterie tra qua e là interrotta da grandi affossamenti di bombe aeree e cannonate, un aeroplano abbattuto molti mesi fa, si disfaceva lentamente in una putredine rugginosa; attorno alle casette di legno del Comando in una radura del bosco trovai uguali affossamenti di cannonate e largo una decina di metri un cratere di bombardamento aereo. Il korsu principale, una capanna più gran de delle altre, costruita con qual che pretesa di stile cureliuno, si trovava precisamente al centro di una corona di crateri. L'aviatore russo che vi si era accanito aveva cercato di mandarlo in briciole mollando almeno sei bombe che giudicai fossero di 50 chilogrammi f'una. Levai lo sguardo come per misurare la verticale dalla quale quell'apparecchio si era mosso e intuii cosa mai avesse attirato tanto attentamente la mira del russo. Si era — come ho detto — in una radura e una casa di legno era decorata intorno intorno con qualche gusto e fantasia da soldati giardinieri. Un bel vialetto di pie trisco bianco la circondava; tra viale e casa quei bravi artigiani si virino divertiti, a comporre al fimi mosaici servendosi di zolle verdi, di sassolini, di sabbia e dt 'nriccio. Così si vedeva il gran rIhpcmptpancv e e i r e e . a i a i e t n leone rampante dello stemma di Finlandia, lo pendo della Caretta con due braccia armate di spada, la croce svastica della assione finlandese, la bandiera crociata, ecc. Certamente quella decorazione vista dalla profondità verticale del cielo specificava; invitante come un bersaglio, il comando del settore. Chi non avrebbe bombardato lì? Il maggiore mi mostrò, assai contento e compiaciuto, quel lavoro di mosaico dei suoi soldati e poi le traccio delle bombe attorno. Mi invitò ad entrare, mi fece vedere come si stava bene là dentro, sottolineando che tutto, mobili sedie ornamenti alle pareti ecc. fossero lavoro particolare dei suoi soldati a parte il capolavoro di giardinaggio che già avevamo ammirato dì fuori. — Io ci sto bene qui — disse —; quasi meglio che nella mia casa ai Helsinki! Tuttavia non volemmo omettere di osservare come essa fosse sfuggita soltanto per un capello alle bombe cadute a cinque metri; ed essendo identificata poteva offrire ancora qualche sorpresa sgradevole. Il maggiore senza iattanza disse di averci pensato, ma lasciare quel korsu, costato tante fatiche e disfarne i mosaici e il giardinetto, benché fosse convinto che dall'alto davano una perfetta mim ai bombardieri russi, non se la sentiva. Era press'a poco cosi anche per la landa, lo capimmo subito. Quel desolalo pezzo di spiaggia miserabile, preludio all'umida malinconia dell'Ingria, non era sconosciuto per nulla ai russi. Il suo nome, il numero, le coordinate balistiche dovevano certamente appartenere a una abitudine del tiro delle, cannoniere sovietiche. — Succede così — spiegava il maggiore —; quando un convoglio parte da Tjornoe col carico portato in ferrovia, le cannoniere russe escono da Morje e vengono a tirare sulla spiaggia.'Avete visto che i colpi arrivano su per giù sempre atto stesso posto. Noi spariamo di qui sul canale, i tedeschi sparano da Schlusselburg sul convoglio. Ma si tratta di piccole navi. Raggiungono l'ingresso della Neva e scendono a Pietroburgo. 35 minuti invece di 5 ore Quest'inverno hanno steso le rotaie sul ghiaccio del Ladoga. Invece di adoperare i treni vi hanno adattato degli autocarri privati di gomme. Un autocarro con i cerchioni sulle rotaie va come il vento; inoltre i convogli possono frazionarsi sotto gli attacchi aerei come /un treno non può fare. Portano con sè batterie antiaeree mobili; si difendono bene, insomma ». Il ghiaccio favorisce, i russi, non c'è dubbio. D'estate, adesso, la navigazione è troppo lenta; i trenta chilometri o poco più fra Tjornoe e Morje, sul lago gelato, si fanno in meno di 35 minuti. Coti il convoglio a rimorchiatori, seno cinque ore buone, ma si guadagna in quantità. I convogli russi sono composti di chiatte a rimorchio; ognuna porta almeno mille ton nettate e così un rimorchio di cinque chiatte fa il carico di un buon bastimento. Agli attacchi aerei queste chiatte resistono meglio, si sparpagliano. I lunghi cavi di rimorchio vengono mollati, ognuno si sbanda cercando di allontanarsi il più possibile dall'altro. Hanno un piccolo motore e un'elica per questo. E' chiaro che anche sulle lente e colossali barche esiste una difesa antiaerea, cannoni automatici, mitragliatrici quadruple. Lungo lo Svir ve ne erano in costruzione abbandonate. Sono più grandi di ogni battello da me visto nei porti dell'Europa occidentale accostati alle murate dei grossi mercantili fermi a carbonare. Un poco sulla carta, un poco dalle lente parole dell'ufficiale mi riusciva di capire quel cabotaggio e l'argomento era interessantissimo trattandosi dell'approvvigionamento di Pietroburgo. Quaggiù in vista dell'estrema sponda me ridianole del Ladoga ci si trova alle spalle della città ove si origina il corso corto e largo detta Neva come un vermiforme della vescica del lago che porta alla metropoli assediata gli alimenti indispensabili; la kachka, il pane acido, l'olio di girasoli, il pesce del Caspio, la segale siberiana; e dalle profondità di oltre Urali i semilavorati per le armi e le munizioni, carri armati e pezzi di aeroplani americani, la benzina. Non mi hanno detto, forse perchè nessuno lo sa, quali siano le riserve accumulate in vista dell'assedio (che l'assedio di Pietroburgo doveva essere nel bilancio meno pru denziale dello stato maggiore sovietico) e quante di queste riserve siano reintegrate dal faticoso e lento cabotaggio sulla sacca meridionale del Lago. rdprtzssdvèmvds«dpzEdztCome sacchi di cellulosa Una notizia appresa quaggiù sul fronte è lo sfollamento della metrovoli russa. Non so se la ricognizione aerea o informatori abbiano visto i convogli pielroburghesi passare per il Lago dal porto di Morje verso Tjornoe, ma sembra sicuro. Anche nel 1919 (avremo modo di ricorrere a questa data- e ai ricordi connessi prossimamente) quando Judenic si affacciò sulle colline di Pulkovo e sembrava poter contare a ore l'esistenza di « Bister la rossa », Lenin propose l'evacuazione prima di pensare all'abbandono della città. Allora (lo racconta Trotsky nelle sue memorie) si volevano salvare dalla reazione bianca le migliaia e migliaia di operai che avevano fatto la Rivoluzione di Ottobre. Adesso non è più questione di mettere al riparo delle vite umane siuno quelle degli ope- rai o delle loro donne e bambini, dei vecchi e degli ammalati, ma di togliere alcuni TOtZiont di bocche dalla preoccupazione dell'approvvigionamento. Da due mesi e mezzo, si dice, il cabotaggio tra Pietroburgo e Novaja Ladoga si fa a pieno carico nei due sensi; le grandi chiatte che hanno trasportato tra Tjornoe e Morje vettovaglie e munì zìoni, ritornano cariche di umani tà che evade 'dall'assedio. Oli scafi sono privi di fondo, nudi per così dire; dalla prua e dalla poppa il castello del timoniere domina il gran fosso delle barche che originariamente costruite per carichi di sacchi di cellulosa sono rimaste così. Lungo le pareti curve, enormi, è difficile trovare appigli per allogarsi, sedersi, mettere la propria roba. I corpi degli emigranti in quelle enormi arche natanti si ammucchiano uno sull'altro come i sacchi di cellulosa. Non so sfuggire a questa immagine che, pure soltanto intuita, poco deve differire dalla realtà solo se si pensa a quella mostruosa possibilità della gente russa di accatastarsi stringersi a blocchi compatti — in treno, nei tranvai, nelle piazze — e mutarsi in una pasta umana dura ed elastica come la gomma. La canzone d'addio Lenin pensava a questa buia mateiia quando dirigeva i moti e Trotsky quando scrìveva talune delle più incisive immagini della sua Storia («. la grandiosa montante musica storica del socialismo >) e Stalin quando meditava di lanciarla come una irresistibile valanga sull'Europa. Certo non si è mai visto un popolo come quel lo russo così sterminatamente nu meroso perdere ogni pensiero e volontà in maniera così totale nelle mani di «ina infima minoranza. Questa massa è la stessa che in cappotto grigio i generali zaristi designavano con un vago superstizioso terrore il « bestiame sacro ». Ad essa applicando la prò tesi meccanica della burocrazia e detta mistica U bolscevismo riserbava il destino di formare il « popolo automatico » dell'età fu tura. Ma è veramente cosìf Taluni, prigionieri del fronte dell'Ingria, hanno riportato un prezioso documento orale: la canzone dei profughi di Pietroburgo. E non la cito per forzare le tinte di un avvenimento come l'evacuazione in massa di una grande città che nell'Europa convulsa di questi anni non è più cosa inconsueta. Ho già visto in poco più di cinque anni parecchie di queste trasmigrazioni bibliche; quella dei tedeschi dai paesi baltici nel 1939, l'esodo di intere province polacche spagnuole finniche sotto la sotto sj£l*aJ?'a ,°"Prra;'« VCJ _.. _ . ,~ . ,. -. , altro il trasferimento di milioni di anime da un luogo all'altro è co- jgo sturile secolare. L'evacuazione da Pietroburgo di tre milioni di abitanti può apparire a chi abbia letto una storia russa come un fatto di non straordinaria importanza. Perciò, dico, non è necessario forzare le tinte con l'espediente romantico di una canzone. Essa tuttavia esiste e se la storia si intende meglio, come dice Voltaire., interrogando i camerieri piuttosto che i re, questa voce del « sacro bestiame » russo è anch'essa da ascoltarsi. « Oh! Neim, madre mia, o caro fiume — tu scoi ri verso il Baltico senza conoscere il dolore! E il popolo soffre e geme sulle tue libere onde ». Contin,ua poi: « Tu trasporti le chiatte e i rapidi battelli ma che cosa porti tu ai figli della libertà? Tu non sei schiava, tu scorri liberamente — e noi siamo condannati alla miseria al lavoro alla schiavitù... ». In russo i versi suonano assai dolci e assai tristi come è del genio di quel bell'idioma. Ora io non saprei dirti quando questa canzone sia stata- scritta, se proprio adesso o negli « anni terribili. Comunque qualcosa esprime che fa pensare. Lungo quale grandiosa ìncrinatura quésta'massa riusciràja rompersi? Sotto i colpi della ; querra per il lento accumulato la--Wo della sofferenza? Per la sfinì-'chezza di morire, soltanto morire t sui campi di battaglia senza aver mai saputo cosa è vivere? Chi può dirlo? Le grandi rivolte russe incubano decine di anni, qualche volta un secolo. I loro movimenti hanno peso tellurico e lentezza di bradisismo: l'occhio umano non ne afferra il percorso. Intanto nulla avviene: i pietroburghesi vengono ammucchiati a migliaia nelle grandi barche sulla Neva; escono dalle acque del La doga, fanno il tragitto sino alla sponda opposta. A Novaja Lodo ga salgono sui carri merci della ferrovia di Vologda, raggiungono il tronco meridionale della linea Murmansk-Arcangelo e si perdono chissà come e dove nell'Asia rossa. Essi hanno detto addio con la loro triste canzone a Pietroburgo la Rossa Biter. Giovanni Artieri

Persone citate: Contin, Lenin, Neva, Stalin, Trotsky