Il cane di nessuno

Il cane di nessuno Il cane di nessuno Era il più brutto dei cani, pure non assomigliando a nessun cane della terra ; un bruttissimo cane, sconnesso ed errabondo, di cui malgrado tutto ero fiero, perchè m'aveva seguito scegliendomi comò padrone. Ciò avvenne nei pressi della Locanda del Moro, lungo il viottolo che dal Noce sbocca al Cimitero; e chissà di dove la bestia venisse: dal bosco, dalla palude, dalla montagna? L'osteria s'andava sfollando — erano lo undici di sera — ed eravamo in parecchi ad avviarci per quella strada, ombreggiata di meli come son tutte quelle di Val di Sole. C'erano il Michelone e il binecimraalle poi afcoFcofoveluanmcofaPiva, il Poretti orologiaio e il;■ UrPancrazi parrucchiere. C erano iquattro soliti giocatori di tarocchi, che quella notte, passata l'ora dell'ispezione, s'erano puro arrischiati a una partita di morra, alla barba del Signor Brigadiere; e il Borsotti di Novara, lo Slucca di Cles, nonché un terzo forestiero, che s'era attardato con loro a parlar di caccia, la cui apertura imminente faceva già uggiolaro, presaghi e smaniosi, tutti i cani alla catena. Ma questo, ch'era un cauo alla ventura; questo brutto ma libero cane, aveva seguito soltanto me. Ecco il motivo della mia fierezza. Perchè dunque m'aveva seguito, quel bastardo di cane? In paese è tutta brava gente, compreso il Michelone che ruba, se può, il Matto a tarocchi, e compreso il Piva ch'è stato in )t America, e si dice vi abbia falto i soldi con l'acquavite. E un galantuomo è il Pancrazi ; un galantomone il Poretti, benché il mestiere d'orologiuio gli abbia messo in corpo una certa pignoleria, una sveglia di precisione al posto del cuore. Ma l'animale aveva scelto me, soltanto me: l'artista, il poeta, l'uomo appartato dagli altri uomini e quindi superiore agli altri uomini; l'essere di cui doveva avere indovinato, col suo istinto sicuro di randagio, la libertà di pensieri pari alla sua libertà di gambe. Ai suoi occhi di vagabondo, misero ma dignitoso, io ero senza dubbio il migliore. Mi guardava, adesso, con questi suoi occhi pieni di cispa: gli occhi degli animali riconoscenti, che sempre mi commuovono e m'inquietano. Giallo di colore e sbilenco, gambe corte e fiato greve, un lagrimone gli gelava sempre fuori dalle orbite; e doveva essere anche vecchio, perdendo come faceva un po' di pelo a ogni levata di vento ; e sporco ; e beato della sua sporcizia. Jo lo trovai, infatti, pieno di pulci: pulci che non si dava la briga di mandar via, forse perchè, nella sua solitudine di cane scacciato, erano state le sole a tenergli compagnia. Ma come cercai di lavargli il viso, s'affrettò lui a lavare il mio a furia di baci, ripetendo sul padrone un atto che aveva creduto di tenerezza ; e soffiando, mugolando, mettendo quasi la sua anima nella mia, con quel fiato caldo che non pareva neanche venire da un naso così freddo. Aveva una sua forma d'affettuosità tra espansiva ed aggressiva, tra umiliata e frenetica, che addirittura m'annichiliva; né quasi mi dava tem po di rendergli le carezze su quel suo pelo irto a cui parevano appresi tutti gli spini dei boschi calpestati. Decisi di chiamarlo Fido. Fido, ecco : forse anche un poco per burla, pensando ch'era il nome dei cagnolini per bene nei libri di lettura. Sul tardi, con Fido, me ne tornai all'osteria, già piena di quel suo odore notturno di tabacco, di tgnappa e di sottaceti in fermenta. C'erano tutti; però nessuno degnò il mio cane d'una parola: né il Bd'T .1 ti nò lo Slucca nè gli altri ■. • :tori ; ne tanto meno i tar< 1 .ti, intenti con tutta l'anhii, „ia loro al Matto ed al Bar 'co. Solo il Poretti, lisciatisi i .l'i'oni e guatato il bastardo co,.1 ]<• stesso cipiglio scrutatore che l?a ) ei suoi orologi sbagliati, scoiise la testa verso il Borsotti in atto disgustato; e più tardi dal Viva, quello che ha fatto i denari a Chicago con l'acquavite, sentii dire che il peggiore insultò, i,> America, è di dare a qualcuno del cane giallo. — Ila tanto pulci nel pelo — disse an che il Michelone sottovoce, ma lo sentii benissimo — quante for miche nell'erba. — Al che il Panerà .i rispose che veniva da grattarsi solo a guardarlo. A quel punto la mia bestia, rifatta confidente, si provò a ficcare il mu(80 tra due giocatori di tarocchi: .jfma per farla filar via alla svolta ti le diedero a fiutare, come d'uso, un bicchiere in cui era rimasto ari fondo di tgnappa. Allora IVfco, impietosito, le buttò un aveva pun- omo, su cui già Fido t-ito i due occhi come una forchetta: e per una buona mezz'ora lo sentimmo rodere; finohè cominciò a inferocire contro le pulci. Non le sopportava più, •identemente, adesso che aveva trovato un'altra compagnia. Era un po' matto, questo mio cagnaccio, e in verità non doveva aver legge nè fede. Era il vero zingaro dei cani. Però mi obbe diva, non appena lo richiamassi : e mentre mi porgeva una zampa, grattando con l'altra Una pulce, abbaiava a tutta festa. Una volta soltanto non mi ub¬ aiGlaGdvae st—mdfadlatgcutogdchletoingGmaVvisoncelonbstacaclatocrdndtRladfpmlMFclecbcld—vitagagdcncsP bidì subito « fu quella sera che nell'osteria, su dalla stradina del cimitero, ebbe a capitare il Boranga. Veniva per una partita alla morra, sapendo a quell'ora le guardie da tutt'altra parte: poiché se la morra gli piaceva, i carabinieri non gli piacevano affatto. Era uu cattivo soggetto, costui: ed io non capivo perchè Fido si fosse fermato a fiutarlo con sì ammaliato stupore. Ma forse cercava di capire di dove venisse: se dal bosco, o dalla palude, o dalla montagna: poiché anche il Boranga era un giramondo, e non si sapeva neppure come fosse nato, e che mestiere facesse: chi diceva l'arrotino in bo- 11 h i Natale, avevano trovato Urbi Fatto sta che l'anno innan* „ , , 4 Sle n a a l . o i l , a o n o , ù e e a n a r ntel nu: a o, to a n n- rzhè le ù, va io ero e i : mna a. b¬ ai. Giuseppe il guardiacaccia pugna lato in una forra, laggiù alla Genziana ; e i sospetti erano caduti proprio su di lui, che aveva quella pratica d'armi, fucili e coltelli, e per giunta quella trista reputazione. — Tri/ — Sisn/ — Morra/ — La partita incominciò, prima a bassa voce, poi dichiarata, acre, violenta: ed io faticai, ripeto, a staccare Fido dalle coste del gaglioffo, che urlava, eccitato dal gioco e dalla tgnappa, più di tutti. Se qualcuno ardiva contestargli il punto, però non insisteva : il Boranga aveva un certo modo di guardare, con quel bianco degli occhi che si sporca di rosso nella collera, sotto la fronte bassa, da toro, traversata da una ciocca insolente come da uno sfregio, che tutti si ricordavano del Giuseppe guardiacaccia; e del cimitero vicino, in cui il malnato avrebbe fatto presto a spedirli. Vinceva infatti il Boranga; e più vinceva, più beveva, pizzicandosi soddisfatto una verruca che teneva sulla guancia mal rasa. Tacevano gli altri ; e anche l'orologiaio se ne stava zitto, ruminando il solito disgusto sotto i baffoni da gendarme. Uscito alla luna, col mio bastardo" dietro, sentivo uggiulare alla lontana tutti quei segugi incatenati, cui presto la licenza di caccia avrebbe ridato il via per la foresta. E di sentirsi così sciolto al mio fianco Fido era così contento, da parere persino che ridesse. Sapete bene, quel modo di ridere dei cani, dei brutti cani: nel passo strambo, nel guardar luschero; e in certo sternutire tra serio e comico che fanno. Rideva Fido, malgrado l'eterna lagrima negli occhi; e quasi lo avrei detto ubriaco: forse solo di quella grappa che gli avevano fatto odorare nel bicchiere; oppuro dell'esultanza d'essere con me: l'artista che aveva scelto, l'uomo libero che gli somigliava? Ma non era già più uno zingaro, Fido. Perchè a casa mi stava accanto, mi serviva; e mi portava le pantofole, una dopo l'altra; e insomma s'era rifatto buono con me come io per lui, questo bravo cane che appunto io avevo chiamato Fido, come nei libri di lettura; o che trepidava, quando io lo carezzavo, in ogni pelo — i peli non ancora perduti al vento della 6trada — abbaiando in tutti i toni possibili, quasi articolasse delle sillabe. Abbaiava anche dormendo, parlando in sogno come tutti i vagabondi; ma al risveglio non mi dava il buongiorno che in un gemito, parlandomi solo con la coda e cogli occhi. All'osteria del Moro non tornai più sino all'apertura della caccia. Vi trovai anche quella sera i tre forestieri, in cerchio col Piva, che parlava della caccia al bisonte nell'IllinoÌ6, col Poretti e 10 Slucca. Secondo il Poretti orologiaio, nella posta ai caprioli è tutta questione di tempo; secondo il Borsotti, soltanto di pazienza. In America... stava per dire 11 Piva, quando capitò il Boranga, che aveva pure il suo fucile ad armacolla, ed entrando si guardò e riguardò intorno: che, evidentemente, lui cacciava di frodo: così evidente, che nessuno gli rese l'occhiata; e quel non guardarlo era come un denunciarlo. In attesa della partenza s'attaccò la solita morra, con la .ir/nappa sul tavolo, e ancora una volta il mio cane bì fece presso al sopraggiunto, che giocava duro, cocciuto, proprio come un toro, il bianco dell'occhio venato di sanguigno. — Fido, qui I — ordinai, perchè non gli desse fastidio: e Fido tornò a me, dopo appena un po' di riluttanza, con dei piccoli segni della coda che domandavano perdono. I carabinieri! — disse però allora il Michelone, che stava alle poste. E tutti smisero di giocare, tranquillamente, fingendo di parlar d'altro: ma il Boranga, lui, ebbe un soprassalto, e istintivamente mise la mano a un coltello che era su un tagliere. Fu un attimo, essendo stato un falso allarme. Ma nell'occhio invelenito vidi passare il lampo di chi poteva benissimo avere pugnalato un guardiacaccia, laggiù fra i noccioli della Genziana. E in quell'attimo il cane, incantato, allucinato, tornò a fissare l'uomo che aveva impugnato il coltello. Uo tale fascino, perchè? Forse nel bracconiere aveva risentito l'odoro del bosco, il richiamo della solitudine? Uscì il Boranga, col suo schioppo, per la via del cimitero; ed ecco non appéna, dall'uscio socchiuso, l'ebbimo perduto di vi- AdpgndsNsssmhvvnpCrepdnnrmiabgMqrplg ♦♦♦♦♦sta, il cane si precipitò sulle sue traccio. — Fido ! — chiamai. Non ritornò. Non si volse neppure, _ Fido! Fido! — tornai a urlare, lanciandomi dalla porta aperta: con ira, con furia, con dolore. Arrivai fino alle croci del camposanto: ma queste sole si vedevano; oltre a qualche pe sta d'uomo e di cane. Il mio cane, dunque, aveva preferito gli spini della selva al comodo della cuccia, i calci d'un bandito alle carezze d'un poeta? — Fidol — gridavo sempre. E non una voce mi rispondeva. Il cane di uessu no aveva seguito il figlio di noe buiio; il libero essere aveva se guito l'uomo veramente libero : assai più libero di me, a cui non soccorreva che una misera e vile libertà di pensieri. Una atroce idea di me stesso si formò allora, fra le croci e i tumuli, nel silenzio di morte. Il cane era maledetto, e aveva scelto un maledetto. Ma se prima di lui aveva scelto me, era solo perchè io ero il penultimo, nella scala della maledizione. Io gli ero bastato, ma solo nell'attesa del Boranga : io, uomo sensibile, che al cospetto dell'altro ero soltanto un assassino mancato. Marco Ramperti

Luoghi citati: America, Chicago, Cles, La Morra, Novara