La dentiera del filosofo

La dentiera del filosofo La dentiera del filosofo Tommaso 'Campanella possedeva un sentimento di più di ino: il discepolismo. Dolco, dev'essere, confortante soprattutto sentire sopra di se la guida, il sostegno di un maestro; giovinetti, poter dire di un nostro maggiore: «Tu so' lo mio maestro o il mio autore». Un maestro io pure lo avrei desiderato: Arturo Schopenhauer; ma quando venni al mondo io, l'autore del Mondo come volontà e rappresentazione era già morto da un pezzo. Nell'età del discepolismo conobbi Arrigo Boito, Arturo Colautti, Ettore Moscli ino; ma desiderio, lo confesso, non mi punss mai di farmeli maestri e autori. Questa mancanza di paternità spirituale è forse una forma di organismo? Io dico di 6Ì se penso a Socrate e Platone, se.penso a Perugino e Raffaello, se penso al dottor Munari trevigiano, che per mezzo di un suo revulsivo efficacissimo mi guarì anni sono di una sciatica crudele, e sentendosi invecchiare associò a 6è un nipote, cui trasmise il suo salutifero segreto. E più saldo divenne in me questo pensiero or sono alcuni giorni, mentre io assistevo nell'antico e illustre teatro dei Rozzi, a Siena, alle prove del Guglielmo d'Aquìtania di Giambattista Pergolesi, e vedevo con quanto amore, con quanto tatto Antonio Guarnieri dava suggerimenti al suo giovane e già valoroso discepolo Alceo Galliera, e con quanto rispetto, con quanta devozione il discepolo accoglieva i suggerimenti del maestro. Da questa trasmissione di poteri da generazione a generazione io quanto a me sono stato rigorosamente escluso, e così pure da una mia terra nativa, da un mio dialetto, quasi la sorte abbia voluto farmi anche geograficamente, anche linguisticamente orfano; ma qualche cosa tuttavia c'è che ripaga di questo squallido orfanismo, di questa solitaria fatica: od è l'orgoglio di sentirsi soli appunto, soli a sopportar le pene ma anche soli a ricevere gli onori, e di sapere che tutto quanto abbiamo fatto, lo abbiamo fatto con le nostre sole forze. Bernardino Telesio era per Tommaso Campanella quello, che Antonio Guarnieri è per Alceo Galliera. Ma Campanella non aveva mai veduto età vivo Telesio; onde saputo un giorno che l'autore del JJe renivi natura jnxta propria principia aveva cessato di vivere, corse da Silo a Cosenza e si nascose nella cattedrale ove la salma era stata trasportata e deposta in attesa dei funerali fissati per la mattina dell'indomani, e passò l'intera notte a r.u per tu con il cadavere del suo amato maestro. Che cosa disse il filosofo morto al filosofo vivo?... Ho accennato poco prima ad Arturo Schopenhauer. Quando questi a sua volta morì, la sua salma fu vegliata a turno da alcuni discepoli fedeli, e colui cui toccò il quarto dalla mezzanotte alle due stava fissando la testa del morto posata cerea sul cuscino e illuminata dai ceri, allorchè gli 6embrò che il morto cominciasse a ghignare... Qui c'è un riferimento al « famoso » ghigno del filosofo; ma chi ha inventato il «ghigno» di Schopenhauer? qualcuno certamente che 10 conosceva male e su false testimonianze lo credeva uno scettico, un cinico, un odiatore e un distruttore della vita : lui l'educatore sovrano, lui la guida, l'illustratore, il «cicerone» della vita... S'accorse dunque il veglianto discepolo che il ghigno non aolo persisteva sulla bocca del morto, ma si allargava, si accentuava; e vide indi a poco — inutile dire con quale raggelamento della schiena e dei reni, con quale indurimento della radice dei carpelli — vide la bocca che n poco a poco si apriva, la vide che sputava fuori una* « cosa » che cadde d'allato, poi sul pavimento ove battè con un «tac» sinistro: la dentiera del filosofo, che la pressione delle gengive aveva finito per cacciare fuori della bocca. (Domandò a me l'assistente del chirurgo, prima di calarmi nell'orribile sonno dell'anestesia : «Avete denti fìnti in bocca?»). Non garantisco la storicità di questa storia. Mi par di ricordare che la «dentiera di Schopenhauer» forma l'argomento di un racconto di Maupassant; ma nemmeno di questo sono sicuro. Come ricordo di sogno. Ricordo confusamente che questa storia un passante la narra a un altro passante, in un incontro occasionale, in una notte di luna, «u la panchina del lungomare di non so quale cittadina della Riviera francese: Cannes, Antibo, San Raffaele... In simile caso Carducci avrebbe detto : « Mi manca 11 tempo di far ricerche ». Io dico: «Non sento il bisogno di far ricerche ». Sul conto della verità, io mi permetto alcune idee personali. Non stimo vera la verità qual'essa è secondo verità, ma quale essa mi si è deposta nella memoria e corretta, ' trasformata, deformata magari da quegl'imponderabili fattori che segretamente lavorano a comporre la «nostra» ragione, il «nostro» senso delle cose, così diverso dal scuso comune e generale. Quando un uomo muore, è veramente un mondo che si spegne. Diceva bene Eraclito che 1 uomo, morendo, si accende una stella nel fir- mamento. Ma aggiungeva : «l'uomo che muore in battaglia». C'è incompatibilità tra Schopenhauer e Maupassant. I loro stessi nomi pare che soffrano a star vicini. Nietzsche però, nelYEcce Homo, chiama Maupassant. «un vero romano». Chi sa perchè? Questo uomo tuttavia (Maupassant) pieno di talento ma ottuso, belluino, e tanto borghese che quando l'ingegnere Eiffel eresse sulla rive, della Senna il suo candeliere' in traliccio d'acciaio, Maupassant per protesta abbandonò la «sua cara città deturpata»; questo uomo era pazzo e come tale privo di frontiere mentali. Nel grande vuoto della sua mente oscura, le cose più disparato potevano capire, e anche la dentiera di Schopenhauer dunque. Negli ultimi giorni di sua vita, dentro la cella che lo ospitava, Maupassant si sentiva pieno di gioielli, e, per paura di perderli, 6Ì forzava a non andar di corpo. Di che avranno parlato Campanella vivo e Telesio morto, di notte, nella cattedrale di Cosen¬ za? Di fisiognomica, probabilmente. Campanella diceva che imitando la fisionomia di uno, e immaginando i propri capelli, il proprio naso, le altre parti del proprio corpo simili alle sue, si può conoscere il suo carattere e leggere i pensieri che gli sono propri, deducendoli da quelli che si hanno mentre si fa l'imitazione. Ansioso di chiarire una quistione così importante, Giacomo Gaffarel, autore del Cnbrum Kabbalislicoritm e amico carissimo di Gassendi, ottenne di poter visitare il frate domenicano a Roma, nel tempo in cui questi era ospite delle carceri dell'Inquisizione. E Gaffarel così narra quella visita: «Campanella ci venne incontro ci pregò di pazientare finche egli terminasse un biglietto che stava scrivendo al cardinale Malagòtti. Ci sedemmo e ci avvedemmo che Campanella storceva sovente la faccia, dal che argomentammo o che fosse pazzo, o che soffrisse ancora delle torture che gli erano state inflitte perchè confes sasse le colpe di cui era accusato, Ics livrea». essendo i suoi polpacci ancor piagati e spolpate le sue chiappe, onde la carne era stata tolta a pezzetti... Avendogli domandato uno di noi se sentisse dolore, Campanella rispose ridendo che non sentiva; e vedendoci ansiosi di conoscere la cagione di quelle smorfie, ci disse che mentre noi entravamo nella sua cella, egli si stava figurando il cardinale Malagòtti quale glie lo aveano descritto, e domandò a noi se questo prelato era molto peloso. Per me, intesi che quelle srnorfiie erano necessarie per conoscere il carattere e i pensieri del cardinale... ». Dice Campanella nella prima quartina del suo sonetto «Anima Immortale » : Di fervei (lenirò un pugno lo sto, e divoro tanto, clia nnnnti libri tiene il mondo non snziiir l'appetito mio profondo: QiiHnto ho mangiato! o del digitili pur moro. Ed è strano trovare l'antitesi di questo pensiero in un famoso verso di Mallarmé: « La chair est triste, hclas! et fai lu tour Il cardinale di Richelieu stipendiava Campanella, perchè a Napoli costui favorisse la sua politica. Campanella in compenso predisse al politico cardinale che Gastone d'Orleano non avrebbe mai regnato, e che nel 1638 la regina darebbe alla luce colui che era destinato a diventare Luigi XIV. I francesi tradussero il nome di Tommaso Campanella in motisie.ur Thomas Cloe/tette, siccome più tardi tradussero quello del celebre contrabassista Braga in monsieur l'antaìnn. Campanella passò ventisette anni in carcere. In carcere pensò, filosofò, poetò: si circondò di metafisica luce. Tolto dal carcere o passato in Francia tra gli agi o gli onori, Campanella non dà più niente. Nelle Canario accecano i canarini perchè cantino meglio. Per figura, Omero e gli altri rapsodi ciano ciechi. Si dice che Democrito si accecò da r.c per pensare meglio. E' dunque necessario soffrire nel corpo, per aver luce nella mente? Alberto Savinio

Luoghi citati: Cannes, Cosenza, Francia, Napoli, Roma, San Raffaele, Siena