La manovra sventata

La manovra sventata Nel deserto e nel mare libico La manovra sventata Zona di operazioni, 26 settembre. La fuga delle forze nemiche dalla zona di Gialo, dopo cinque giorni di continui quanto vani attacchi contro il nostro presidio, segna 11 definitivo fallimento del piano britannico concepito dal comandante del medio oriente di cui doveva costituire il brillante debutto. Tre complessi in azione Il piano mirava alla distruzione delle basi di Tobruk e di Bengasi e all'espugnazione dell'oasi di Gialo destinata a diventare un centro di irradiazione dalle forze nemiche verso le nostre linee di comunicazione. Tale piano prevedeva un'azione complessiva nella quale dovevano concorrere In proporzioni notevoli le forze terrestri navali ed aeree. La vasta azione doveva svolgersi in questo modo: sbarco a Tobruk con tre complessi di forze; due provenienti via mare dalle basi di Haifa e di Alessandria d'Egitto, il terzo complesso proveniente via terra dal Sahara libico. Questo avrebbe dovuto arrivare dal sud, raggiungere Marsa Sciausc e là sferrare un attacco al fine di facilitare lo sbarco delle forze provenienti da Alessandria. Simultaneamente le altre forze avrebbero dovuto effettuare un'azione di sbarco a ponente della città e procedere al forzamento del porto. Il compito affidato ai tre complessi era questo: distruzione degli impianti e depositi di carburante e lubrificanti, affondamento delle navi in porto, affondamento e parziale cattura del naviglio sottile dell'Asse, distruzione delle officine ed effettuazione di ogni altro danno possibile, eventuale liberazione di prigionieri. Per la medesima notte sul 14 il piano comprendeva una serie di azioni di portata minore da svolgersi nel Bengasino in un primo tempo da forze provenienti da terra, le quali avrebbero dovuto conseguire come risultato immediato la distruzione delle Installazioni portuali di Bengasi; un'Incursione nell'interno della città di camionette americane di tipo modernissimo frattanto avrebbe dovuto raggiungere 11 porto: gU equipaggi avrebbero dovuto impadronirsi di alcuni punti prestabiliti. Fatto ciò sarebbero stati lanciati del segnali convenuti e un notevole numero di « commandos > sarebbe stato sbarcato da sommergibili stazionanti al largo. Avvenuta la riunione di tutte le forze si doveva procedere alla distruzione completa di tutte le installazioni portuali, mentre 1 vari contingenti si sarebbero portati sugli aeroporti di Benina e della Borea per effettuare la distruzione degli apparecchi e di tutte le attrezzature. Questa operazione nel Bengasino comprendeva una variante: un'incursione sul campo di aviazione di Barce al fine di compiere anche là opera di sabotaggio. L'azione su Gialo compresa nel medesimo « piano dei comandanti» era prevista per il giorno 16. Tale ritardo aveva lo scopo evidente di consentire alle azioni precedenti i loro massimi sviluppi. Notevoli forze provenienti dal Sahara libico, probabilmente da Cufra, completamente motorizzate, dovevano impadronirsi di Gialo con violento e fulmineo colpo di mano, catturare il presidio italiano e creare quindi nell'oasi una base di impiego contro gli obiettivi della Cirenaica. La comparsa dei « Jeep » Questo nelle linee generali il plano preordinato. Attraverso questo piano macchinoso, Alexander e i suoi generali si ripromettevano di frantumare, nel corso di tre settimane, tutta la nostra organizzazione navale terrestre e aerea di retrovia e, come fatto conseguenziale, di obbligarci a distogliere e a inviare nei vari luoghi attaccati, parte delle forze dislocate sulla frontiera principale. Imponente l'invio di mezzi e uomini, e tale da garantire preventivamente il successo. Il comando aereo impiega oltre duecento apparecchi con il compito di preparare, con una ininterrotta, prolungata azione di bombardamento, la effettuazione del colpo alle altre forze. Il comando navale manda notevoli forze fra cui incrociatori e cacciatorpediniere di scorta, 17 motosiluranti e un considerevole numero di chiatte e naviglio minore da sbarco. Le forze terrestri imbarcate assommano a oltre 1500 uomini. Per le azioni del bengasino il nemico impiega oltre sessanta mezzi blindati leggeri denominati « Jeep », nuovo tipo di camionetta biposto, potentemente armata, capace di raggiungere aite velocità sia su strada che su terreno vario; più venti autocarri di tre tonnellate che servono di base mobile ai mezzi blindati. Contro Gialo viene Inviata una forte colonna mista di fanteria motorizzata appoggiata da batterie, artiglieria terrestre controcarro e antiaerea più elementi del genio e servizi vari. Come è noto l'azione su Tobruk è preceduta da una incursione aerea della durata di 5 ore. Alle ore 2 del 14 un primo tentativo di sbarco viene effettuato a Marsa Sciausc posta a levante della città. Contingenti del battaglione San Marco intervengono immediatamente; e mentre le batterie aprono il fuoco sulla zona, 11 nemico viene incapsulato e stretto in assedio che na termine all'alba con la resa. Le camionette e gli autocarri che dovevano giungere dal Sahara libico per dar man forte non sono giunte. Perchè? Sviluppando tali mezzi una velocità diversa, erano partiti dalla base distanziati nel tempo. L'incontro era stato fissato a Sidi Rezegh da dove avrebbero proceduto sulla località a est di Tobruk; ma all'appuntamento trovarono un contingente di forze non preveduto, un reparto di nostri carabinieri che, nonostante la sproporzione delle forze, attaccò il nemico e lo costrinse a disperdersi. Solo tre camionette poterono giungere ma cozzarono contro i nostri elementi. Mentre a Marsa Sciausc si combatte, a ponente di Tobruk avviene il secondo tentativo di sbarco. La zona scelta dal nemico corre da Marsa El Auda a Marsa Abd El Krim. Solo in una marcia intermedia l'avversario riesce a por piede a terra, ma percorsi duecento metri è bloccato dal nostro fuoco. Ed anche qui il tentativo fallisce miseramente. Terza azione: forzamento del porto. I mezzi leggeri della marina britannica sferrano dunque, il terzo assalto, tutto respinto. Intanto si è acceso un violento duello fra l'artiglieria delle unità nemiche e nostre batterie di marina. Avuta la sensazione del fallimento del colpo, il tiro nemico fu spostato e i proiettili piovvero disordinatamente sulla città. Al mattino, vale a dire a operazioni concluse, solo alcuni caccia di scorta e tre motosiluranti navigavano ancora verso levante per raggiungere la base di partenza. Seicentocinquanta prigionieri sono in nostre, mano; qualche centinaio di uomini fra morti e feriti giace al suolo. Moltissimi sono coloro che rimasti uccisi o feriti du rante il bombardamento delle no stre batterie sono stati inghiottiti dal mare. Tipico è il caso del cac ciatorpediniere Zulù che, colpito in pieno da una salva delle nostre batterle da costa, si è inabissato trascinando con sè i 200 uomini di equipaggio, più 250 uomini che vi erano Imbarcati. Solo sette uomini hanno potuto essere salvati L'azione su Bengasi è pure preceduta da un bombardamento aereo durato due ore. Quando l'incursione è finita, alcune camionette si presentano a un nostro posto di avvistamento aereo prese sotto il fuoco delle armi piazzate. I mezzi nemici procedo no verso il bivio di Soluk, ma qui una scarica di mitraglia ne Immobilizza sette che rimangono allineate lungo la strada. La battaglia è aperta e si sviluppa immediatamente in forma violenta. Invano i sommergibili incrociano al largo; aspettano di potere effettuare lo sbarco degli uomini che portano a bordo. Le Jeep non arriveranno nemmeno alle prime case di Bengasi. L'alba della vittoria E' l'alba. La nostra aviazione da caccia e da bombardamento interviene nella lotta. Successivamente si porrà all'inseguimento dei mezzi nemici che, invertita la rotta, guadagnano il deserto e cercano la salvezza nelle anfrattuosita dell'Alto Uidian. Lo spettacolo è terrificante. Le camionette cariche di esplosivo destinato alla distruzione delle opere portuali, esplodono seminando esse stesse il terrore e la morte A Barce non appena i Jeep si presentano vengono attaccati da nostre autoblinde e carri armati già appostati. Lo scontro ha fasi durissime per la nostra pronta difesa. Vista la reazione, l mezzi nemici invertono la rotta e corrono a rifugiarsi nel sud gebelico, dove però si scontrano con le nostre forze, le quali, secondo 11 plano prestabilito, guidano da terra i nostri caccia-bombardieri che anche qui incrociano nel cielo. Come nei pressi di Bengasi, le camionette scendono negli « uidian » illudendosi di non poter essere raggiunte dalle bombe e dalle raffiche dei nostri velivoli, ma il carosello comincia anche su di loro. Con tuffi fulminei gli apparecchi scendono e si insinuano tra le spaccature rocciose; ad uno ad uno i mezzi nemici vengono colpiti. Anche qui la dinamite portata a bordo esplode frantumando altri mezzi e uccidendo altri uomini. L'azione contro Gialo doveva avere come caratteristica la fulmineità. Il comando britannico, valutata approssimativamente la consistenza del nostro presidio, aveva predisposto l'invio eli un numero di forze tali che in pochi giorni ogni resistenza avrebbe dovuto essere infranta. Ma il nostro eroico presidio, nonostante la netta inferiorità, tenne duro. I disastrosi risultati delle azioni contro Tobruk, Bengasi e Barce non dissuadono 11 comando avversario dal persistere nell'azione, anzi lo Inducono a puntare su quest'ultima carta. Gialo rappresenta per il comando britannico un'ancora di salvezza. Ma per cinque giorni, stretto da ogni lato, attaccato ininterrottamente, un manipolo di soldati italiani ha resistito tenacemente, ha eroicamente resistito fino all'arrivo dei rinforzi che costrinsero il nemico a ripiegare anzi a fuggire lungo le piste del sud.

Persone citate: Borea