La crisi di De Chirico di Marziano Bernardi

La crisi di De Chirico La crisi di De Chirico ; Un uomo ohe nel campo delle arti era da vent'anni ritenuto una guida delle giovani generazioni (ic'est le peintre le plus étonnant de la jeune generation » aveva esclamato Guillaume Apollinaire) ; un pittore che nel 1927, 'fi, Parigi, divideva con Picasso il jtlominio dell'arte del XX secolo ;i(parole di Waldemar George); tin artista già salutato in Germania « il padre del surrealismo 1 ed il riscopritore di quel «realismo jliagico » che Bontempelli, nel 51923, scorgeva nei maestri italiaÌjiì della pittura quattrocentesca j ^'inventore del manichino e del quadro metafisico; l'anticipatore del movimento neoclassico europeo intorno al 1920, che doveva essere uno degli aspetti del nostro Novecento; quest'uomo, questo pittore, questo innovatore esce qàlla Biennale veneziana chiusasi |»chi giorni fa con la fama di un fdìenne «pompiere»: peggio, di * rinnegato, di un reazionario, un pittore finito. Giorgio De irico con quella sua sala di >renta dipinti lustri e vistosi ha «ritto il triste epitaffio sull'opera battagliera e intelligente da lui stesso iniziata nel 1910; con la ÌBcelta dei quadri inviati a Venezia ha voluto tangibilmente preissare, insistendovi, le sue accu'feè i suoi attacchi di recente lanciati contro l'arte.moderna. Così pensano i più. Sconcertati fidilo i suoi amici, che non osando Tendere apertamente le difese di .elle pitture tentano di scagiorne l'autore scrivendo, come onti, che « oggi è divenuto di oda dir male e scagliarsi contro a Chirico » ; ciò che è ingiusto, ice Ponti, perchè dei suoi manichini, dei suoi cavalli, della sua lirica metafisica noi ci siamo nutriti ; « ingiusto moralmente ed terrato criticamente e storicamenjjjte è giudicare un uomo dall'episodio». Esultanti sono invece i suoi avversari d'oggi, quei medesimi che per vent'anni fragorosamente l'applaudirono (ma proprio, e sempre, per la sua pittura o non piuttosto per i suoi prò Ifframmi?). Ed i più astuti fingo Hip un rammarico da comari maligne compiaciute dei guai altrui: «Temiamo davvero non ci sian più speranze... Dovevamo tenerlo lontano da queste piattaforme iiluminatissi'mo cho cinicamente scoprono l'antico surrealismo scadere a un compromesso romanticismo ». E i più violenti parlano addirittura di decadimento seuù 'Agi; mentre altri si limitano a deplorare il suo «travestimento da ^-classico », il suo disperato gioco jjèull'ultima carta: «Egli è caduco, e non fa meraviglia, sull'equivoco della pittura storica». Varranno a salvare De Chirico 'dal suo fallimento doloso le sei o jóette pagine di bella letteratura che per incarico di Ponti e di Barbaroux ha scritto Raffaele Carrieri presentando il grande volume di tavole dechirichiane pubblicate adesso da Garzanti nelle edizioni di Stile? Pagine estrose, pagine mosse, pagine qua e là squisite per folta ricchezza e fantasia di motivi; ma pagine apologetiche, calda adesione, fervente ammirazione: non biografia, non definizione, tanto meno critica. «E' stato di volta in volta metafisico e romantico, classico e naturalista, inventore e pedagogo, rivoluzionario e conformista ». In parole povere e irriverenti, dipinto così, una mario> netta. «Di ogni esperienza personale è stato il profeta e il le gislatore; l'ha contesa e difesa con estrema tenacia sino al momento in cui non l'ha ripudiata adottandone una nuova». Spiritualmente, dunque, un> cinico e un opportunista. « Esperimenta tecniche, le assoggetta al suo metodo; inventa .e combina ricette; le applica, le diffonde, se ne vanta, le abbandona...». Quale affidamento di serietà, di coerenza morale, di rigore culturale potrebbe darvi un siffatto artista? Carrieri ha assolto il suo circoscritto compito: un «hommage» nel senso francese ottocentesco. Ma De Chirico è ben altro, come già osservava dieci anni fa — quando il pittore e più e meglio studiato dai francesi, dai tedeschi, dai russi che non dagli italiani — Michele Guerrisi in un suo penetrante e troppo poco conosciuto libro su «La nuova pittura ». Nettamente egli distingueva l'arte di De Chirico dai suoi successivi atteggiamenti intellettuali, cioè dalla sua talvolta irritante ma quasi sempre necessa ria polemica: necessaria almeno fin là dove non subentrava il bluff, la smania dell'originalità, il desiderio incontenibile di stupire con la bizzarria, di imporsi con la stranezza. Arte che è stata sempre di una logica estrema, appunto nella sua eccezionale sensibilità alle ri? chieste, dall'una all'altra le più J varie, del gusto : e forse si direbbe meglio, sensibilità alle anticipazioni di questo. Per qual ragione, giunto a cinquantaquattr'an ni di età, con un nome di risonanza più che europea; con tutto un passato da sostenere pericolosamente, De Chirico dovrebbe ora compromettere gratuitamente la sua fama? Se, rinnegando i suoi manichini e la pittura metafisica, la ben nota magicità delle Piazze così dette «italiane» e l'allusiva archeologia dei così detti ricordi dell'IUiade, sembra voler mortificare in se stesso tutta un'evoluzione pittorica sì a lungo e vittoriosamente capeggiata, è errato il suo punto di vista, oppure quello di coloro .che adesso deplorano il «tradimento» d'un pittore cui avevano tanto creduto? • Scrive Ponti: «Per xeazione... non abbiamo mai amato tanto i suoi manichini ! S'egli voleva valorizzarli sino al. parossismo nelle menti e sul mercato, c'è riuscito. Noi ne andiamo pazzi I ». No. Nel 1942, mentre urla la tragedia umana che sconvolge il mondo, noi non possiamo « andare pazzi » per i fantocci con la testa a palla dell'Indovino, delle Muse inquietanti, del Trovatore, dell'Ettore e Andromaca. Possiamo apprezzarli, decimetro quadrato per decimetro quadrato, come brani di buona pittura ; ma nella loro in venzione oome nella loro polemi ca, li lasciamo allo snobismo tardigrado di alcuni critici e alla legittima simpatia di alcuni collezionisti. Sono dei documenti, delle testimonianze ; e forse mai come oggi è apparsa drammaticamente esatta la definizione che del De Chirico di allora dava un suo convinto ammiratore: «il buono e cattivo profeta di un prossimo cataclisma». Se è vero che l'artista è sempre un inconscio annunziatore, noi nelle correnti estremiste di tanta pittura e di tanta scultura dell ultimo trentennio avremmo dovuto saper scorgere i motivi oscuri, le ragio ni fatali' della immane crisi morale che condusse alle due guerre. Ma questo «saper scorgere» ò critica, cioè storia: e non è det to che i segnali del tempo siano sempre, e in tutto, arte. Il Futurismo informi. Così l'ultima pittura di De Chi rico, il suo preteso compromesso romantico, può anche darsi che non sia piena, realizzazione arti stica; anzi, probabilmente non lo è. Ma lo era forse la tanto ap> plaudita macchinosa complicazione dei Maratoneti, questa volontà di «creare un quadro storico che non sia solamente rappresentazione oggettiva e storicistica, ma interpretazione e critica », come scriveva il Guerrisi, notati do che in essa «il simbolismo, i giudizio critico hanno avvelenato a poesia»? Vitupereremo De Chirico perchè oggi guarda con maggior simpatia a Courbet e a Delacroix, che non al Picasso da cui traeva ispirazione nel '21, per la Vergine del tempo? Converrà, se mai, vedere fra dieci anni se il romanticismo coerente di De lacroix non sarà più «di moda» del trasformismo frammentario di Picasso. Il fatto è che De Chirico, rin negando adesso l'astrazione del manichino per una pittura che ha l'apparenza di avvicinarsi al gusto borghese (ciò che fa andare in bestia taluni ' borghesissitni «antiborghesi»), è ancora una volta coerente con se stesso. Che cosa fu il manichino? Lo ricorda il Carrieri: «L'origine dei ma nichhii sta nel personaggio del dramma I Canti della Mezza Morte che Alberto Savinio (fra tello di De Chirico) scrisse a Pa rigi e che Guglielmo Apollinare pubblicò nel 1913 nelle Soirées de Paris. Il personaggio si chiamava L'Uomo senza volto e Savinio disegnò lui stesso i costumi : «Fu il disegno del personaggio L'Uomo senza volto che mi ispi rò l'idea dei manichini ». Coi manichini De Chirico inaugura uno dei periodi più straordinari e avventurosi dell'opera sua e suscita una rivoluzione nel campo delle arti». . Perchè questo successo ? Perchè era il tempo che gran parte dell'arte estremista — inneggiando a una riconquistata indipenden za della fantasia dalle vecchie catene del mondo fenomenico -? si studiava non solo di cancellare ogni forma di realtà fisica, ma di sopprimere nell'uomo la sua stessa natura umana. Non per nulla trionfava, nei circoli dell'avanguardia, la deformazione, ogni specie di def.ormazione : da quel la intellettualistica del Cubismo all'altra, pur ancora così pregna di umana pietà, di Modigliani. D'accordo che il manichino di De Chirico, «più che un vero e prò prio personaggio» sarebbe divenuto « un veicolo plastico ». Resta tuttavia da domandarsi se l'in fluenza di De Chirico su tutti gli aspetti dell'arte surrealista sarebbe stata così vasta e profonda ove, invece di abolire l'aspet ito umano in Ettore ed Andro mace. si nei membri della Famiglia del pittore o negli Archeologia o nei Maratoneti, avesse semplicemente — con pari qualità pittoriche — dipinto delle normali figure; e se Roger Vitrac, par laudo di lui nel 1927, avrebbe allora potuto scrivere : « le vittime del positivismo, gli imma ginosi, gli agitati, i fanciulli, i folli reclamauo con furore il loro posto nel mondo ». E un mondo in cui i folli reclamano con furore il loro posto — un mondo che tutta un'arte auspi cava tale — non sombra certo un mondo ne politicamente nè socialmente assestato. Modesta, in fondo, era stata la trovata del manichino. Ma era giunta nel l'ora adatta. La nuova pittura, diciamo così, romantica di De Chirico, di quest'uomo che ha tutto speri mentato e approfondito e che di quasi tutto si è poi disilluso, è proprio un «tradimento» della sua vecchia avanguardia? Questa sua palinodia ha soltanto sa pore di reazione? Questi suoi prepotenti ed irritanti autoritratti con l'elmo o col berretto da torero, questi suoi tornei e combattimenti di cavalieri, queste sue figure di donne acconciate all'orientale od in costume settecentesco, questi Romeo e Giulietta o Andromeda e Perseo, sono davvero dipinti solo per piacere al «borghese»? Meno interessa ch'egli ora,-invece che a tempera o ad olio, dipinga «ad emulsione». Ch'egli dichiari che la «bella pittura non è mai del colore macinato e diluito», ma sempre «una polpa di bellissima qualità tinta con del colore », e che «in ogni polpa che si rispetti... vi è sempre una forte percentuale d'acqua», può lasciare — lp consenta l'infaticabile ricercatore di tecniche (e lo era anche Leonardo, con risultati spesso deplorevoli) — assai indifferenti. Meglio è riflettere su quanto di lui scriveva, già nel '26, il Ternovetz: «De Chirico, uno fra i pochi, nel nostro secolo di rapporti formalistici con l'arte, s'è fatto avanti come difensore del racconto poetico in pittura». In altre parole, un contenutista. De Chirico, anche al tempo dei quadri metafisici, lo è sempre stato. Non amoreggiò forBe, nel passato, con Bocklin e con Klinger? Ebbene, il «racconto poetico», nel clima estetico di vent'anni fa, poteva anche essere il manichino. Non lo è più oggi. Ed egli, scaltrissimo annunziatore di eventi artistici, può darsi che veda giusto. Può darsi che con la sua pittura attuale, che muove a sdegno o a compassione non pochi ritardatari corifei «di immaginosi, di agitati, di fanciulli,'di folli», egli, ripensando a questa fatale età che tutti viviamo, voglia ammonire: «Giovanotti, state attenti,a ciò che preparate ». Marziano Bernardi

Luoghi citati: Archeologia, Germania, Parigi, Venezia