Un carro d'assalto non si ferma con un biglietto da cenlomila dollari di Italo Zingarelli

Un carro d'assalto non si ferma con un biglietto da cenlomila dollari SFERZATE PER GLI OTTIMISTI AMERICANI Un carro d'assalto non si ferma con un biglietto da cenlomila dollari ISTANBUL, settembre. Bisogna scuoterli forte, gli americani, per far comprendere loro che questa guerra è una cosa seria e che per vincerla la sola euforìa non basta. John Whltaker, tornato a New York da Roma dove era stato corrispóndente del Daily News, di Chicago, s'è accorto con orrore die al suo paese regna un ottimismo pazzesco e pericoloso in cgual misura, e ammonisce a riflettere sulla frase di Mussolini: « Noi o loro ». perchè mentre alcuni sentimento iti ancora pensano che ui iempi nostri «.nessuno vince una guerra», la verità è che la guerra attuale qualcuno dovrà pur perderla: « Noi o loro ». Ma gli americani se la prendono a cuor leggero, sembra, e il signor Batt, dell'uffl ciò per la produzione, osserva ironico che «a prestar fede ai titoli dei giornali, si potrebbe supporre che M<ae Arthur abbia ricacciato i giapponesi fino a Tokio ». La schiera delle Cassandre s'ingrossa. Mark Gayn, che fu, redattore della Domel a Tokio sino al 'sy e iniziata la campagna giapponese in Cina passò all'opposizione, stabilendosi a Bciangai come articolista politico della China Press, in un libro dal titolo The Fight for the Pacific (la lotta per il Pacifico) esorta i connazionali a liberarsi dall'idea che il Giappone sia un facile nemico per il quale non esiste speranza di vittoria: « Il Giappone può vincere — egli aggiunge — se noi permettiamo all'eccesso di fiducia in noi stessi di renderci pigri e riluttanti ad affrontare sacrifici o a correr risoni. E' perfettamente possibile che dei sommergibili e degli incrociatori nipponici operino al largo delle coste sud-africane, che un generale giapponese si stabilisca a New Delhi nel palazzo del Viceré, o che la bandiera del Sol Levante aven toli sul continente australiano. Be i tedeschi e i giapponesi sì danno la mano ih Asia, le loro probabilità di vittoria saranno maggiori delle nostre ». E così l'avversarlo giapponese viene fatto segno ad attenzione sempre più viva e nei giornali si riportano giudizi di piloti della R.À.F. intesi a demolire preconcetti: i giapponesi sono uccelli molto furbi, ha dichiarato un cacciatore della Rodesia, perchè non si pud mai essere veramente sicuri di quello che intendono fare, e i loro apparecchi sono raramente blindati, tutto venendo sacrificato alla velocità e alla manovrabilità. « Svegliati, è tardi! » Da sei mesi stampano e distribuiscono, oltic Oceano, a milioni di copie, un appello intitolato: « Svegliati, America! E' tardi!»; svegliati per comprendere l'intera gravità del pericolo che minaccia la nazione, svegliati per renderti conto dell'entità delle sconfitte subite. Bisogna una buona volta capire che gli Stali Uniti possono soccombere e dividere il destino \dellà Francia e che la possibilità |«^ divcniare probabilità se l'an damento delle cose non muta. Il direttore della produzione, Donald Nelson, vuole che la produzione industriale raggiunga il massimo lavorando ventiquattro ore al giorno i sette giorni della settimana, ma se l'America non acquista piena coscienza dello « spaventoso pericolo » e non bandisce quelle che negli scorsi anni sono state le sue sciagure, il progetto è i>realizzabile. La Francia cercò di salvarsi quando i tedeschi erano alle poi te di Parigi, e allora tutti si tniscro freneticamente al lavoro, però era troppo tardi. I calcoli fatti in materia di prò- duzione ancora non tornano: vero è che nel luglio la produzione è stata tre volte e mepzo quella del novembre '1)1, ma scendendo ai dettagli si vede che la fabbricazione degli apparecchi da caccia non Ita corrisposto alle aspettative, che in vari campi si verificano ritardi i quali costringono a raddoppiare gli sforzi e che in complesso, nel giugno, la produzione di aeroplani, cannoni, navi e altro materiale è risultata inferiore del sette per cento al programma stabilito all'inizio del mese. Di ciò risentono sia gli americani che i loro alleati, e Life ha osato scrivere ohe lo sforzo compiuto finora dall'America per aiutare la Russia è stato meschino « in sorprendente misura, ». Dal dicembre in poi i russi liailno chiesto ripetute volte qiiando sarebbero state mantenute le promesse e regolarmente si è risposto: Entro il primo marzo. Non avendo ricevuto quasi nulla dei cento articoli domandati, nel febbraio Stalin mandò Litvinoff a parlare dì persona con Roosevelt, il quale assicurò che in un paio di settimane si sarebbe provveduto a tutto: viceversa a primavera i quantitativi promessi non risultavano ancora spediti e Stalin « si esprimeva con molto cinismo in merito all'aiuto americano ». Alcuni funzionari di Washington sono del parere che lo stesso Rooscevlt in fondo non conosca la situazione, e non parliamo delle critiche mosse pure ai funzionari civili e militari, ai quali si rimpiovera l'illusione che l'America, tessendo il più ricco e potenzialmente il più forte popolo del mondo, non possa perdere la guei ra. Nulla di più fallace, protesta James B. Reston nel New York Times Magazine. Il danaio può ben risolvere la maggior parte delle nostre difficoltà in tempo di pace, ma un carro d'assalto non si ferma con un biglietto da' centomila dollari ». Nell'adattamento delle fabbri che alla produzione bellica la Germania ha sugli Stati Uniti un vantaggio di cinque anni e l'America per far lo stesso ha bisogno di più tempo « di-quantó non abbiano impiegato i giapponesi a tartassare Pearl Harbour, occupare la Malesia, sbarrare la strada della Birmania e strappare Singapore agli inglesi ». La burocrazia ostacola l'urgentissima trasformazione ra dicale e qiianto ai comandi militari, « le ripetute purghe nell'esercito inglese e il disastro di Pearl Harbour insegnano che in tempo di pace i generali tendono a nutrire le antiche teorie e gli ammiragli si abituano a considerare le corazzate oggetti da amministrare anziché armi per azioni effettive Bando alle illusioni, dunque; e qui torniamo a citai e il Whituke che esclama: « Credete voi che giapponesi, gl'italiani e i tedeschi ci hanno dichiarato la guerra pache pensano che noi possiamo batterli f Certamente no. Nè è stato pensando al karakiri che il maggior generale Kenryo Sato ha assicurato ad una commissione della Camera giapponese esscie la caduta dì Gibilterra, di Suez, dell'India c dell'Australia una semplice questione di tempo ». Il Whitaker non sa darsi pace pei che in Europa si ha poca fiducia nello sforzo militare degli americani, quali, usi alla vita comoda, sono ritenuti incapaci dei sacrifici e della disciplina necessari pei- osare una guerra moderna. Coprirebbe questi europei — intendi: i partigiani dell'Asse — di chissà quanto vituperio, se in patria, di rimando, non lo portasse all'esasperazione vedere che non si dà peso al vantaggio nella preparazione militare che permette alla Germania di conservare l'iniziativa e non si vuole rendersi conto del fatto che la Gran Bretagna è stata effettivamente indebolita dal collasso della Francia, mentre la gente se ne va in brodo di giuggiole « esaltando i successi russi al di là del ragionevole. A queste tre illusioni fondamentali — prosegue — se ne può aggiungere una quarta, e cioè che l'Europa occupata possa insorgere, se non oggi, domani, idea sostenuta da coloro i quali dimenticano che il più coraggioso degli nomini, se gli mancano, ad un tempo, armi e speranze, tace davanti all'eloquen te chiacchierio delle mitragliatri ci ». Ruit hora, signori americani — riassuwie; — questa è la più gigantesca di tutte le guerre « e sopravviveremo o noi, o loro: non entrambi ». Un po' di franchezza... Esiste infine una categoria di americani che vede nell'Inghilterra la responsabile dei guai odierni e ad alimentare il sentimento di costoro provvedono i caricaturisti i quali dimostrano essere lo scudo dell'Inghilterra lo stemma americano tenuto sulle isole da un yankee armato d'una magnifica spada, e ricostruiscono il pas saggio della flotta tedesca attraverso la Manica in una vignetta raffigurante un marinaio inglese che ha perso la coincidenza del battello. « Sono dolente di dover dire, via ritengo doveroso dirlo — ha scritto nel Daily Express William Hickey lasciando l'America dopo una permanenza di alcuni mesi — che la attitudine del popolo americano verso il popolo inglese m'è sembrata meno cordiale che prima del 7 dicembre... E' soltanto dopo di avere stabilito delle relazioni veramente amichevoli che un americano si deciderà a confessare che non sopporta gli inglesi. La frequenza crescente con la quale ho sentito fare osservazloni del genere in ogni classe sociale americana mi ha dato la convinzione che esiste una profonda diffidenza o avversione... ». Non è proprio necessario che degli alleati si amino, azzarda Hickey, però se si amano è meglio: « Ma gli è che gli anglofili al cento per cento in America sono cosi rari quanto furono sempre rari in Inghilterra gli amatori della Francia... ». Un po' di franchezza fa bene. Italo Zingarelli