Le leggi di Garibaldi di Francesco Argenta

Le leggi di Garibaldi Le leggi di Garibaldi Furono eccezionali, ma non si ravvisa in esse nulla di intempestivo, di imprevisto, di urtante contro la comune coscienza giuridica E' accaduto a pochi di assurgere alla maestà della funz-ìone legislativa dopo essere sfuggiti alla più drammatica conseguenza del diritto punitivo: la condanna a morte. La duplice avventura è toccata a Garibaldi e i momenti di essa sono fra i meno noti nella vita movimentatissima dell'Eroe. « Morte ignominiosa » Compromesso nel tentativo mazziniano di invasione della Savoia, Garibaldi era riparato, nel '34, in America. Allorché « d'ordine di S. E. il marchese Paulucci, governatore comandante generale della Divisione », si mise in moto la macchina della giustizia, rappresentata nella circostanza dal « Consiglio di guerra divisionario sedente in Genova », l'Eroe era lontano, al sicuro. E in salvo erano anche i suoi compagni G. B Caorsi e Vittorio Mascarelli, sui quali pure doveva abbattersi la estrema sanzione. Dinanzi al Con sigilo di guerra furono trascinati taluni imputati minori: Edoardo Mutru, Giuseppe Canepa, Enrico Parodi, Giuseppe Daluz, Filippo Canale e Giovanni Crovo, i quali, per altro, vennero assolti. Nei confronti del Crovo, il consiglio dichiarò insussistente l'accusa; gli altri furono ì itemiti « non convinti, allo stato degli atti, del delitto loro imputato » ed 11 collegio giudicante « inibì loro molestia dal Fisco ». L'accusa, per tutti, era di alto tradimento militare e « cioè — recita la sentenza: — li Garibaldi, Caorsi e Mascarelli di essere stati i motori di una cospirazione tendente a fare insorgere le Regie Truppe ed a sconvolgere l'attuale governo di Sua Maestà; di avere li Garibaldi e Mascarelli tentato, con lusinghe e somme di danaro effettivamente sborsate, di indurre a farne pur parte alcuni Bassi Uffiziali del Corpo Reale di Artiglieria; di avere il Caorsi fatto provvista, a si criminoso scopo, di armi, state poi ritrovate cariche, e di munizioni da guerra; gli altri sei, di essere stati informati di detta cospirazione, di non averla denunziata alle Autorità Superiori e di esservisi anzi associati ». La sentenza fu pronunciata il 3 giugno 1834. « Udita la relazione degli atti - dice il documento gli inquisiti presenti nella loro rispettive risposte, il R. Fisco nelle sue conclusioni e i difensori nelle difese degli accusati presenti; il •Divino ajuto invocato; reietta l'eccezione d'incompetenza opposta dai difensori di alcuni accusati; il Consiglio di guerra divisionario ha pronunciato doversi condannare, siccome condanna in contumacia, li nominati Garibaldi Giuseppe, Mascarelli Vittore e, Caorsi Giov. Battista alla jiena di morte ignominiosa, dichiarandolaesposti alla pubblica vendetta tome 'nemici della Patria e dello Stato, ed incorsi in tutte le pene e pregiudìzi imposti dalle Regie Leggi con tro i banditi di.primo catàlogo, in cui manda gli stessi descriversi ».La sentenza fu presto obliata sotto l'incalzare degli avvenimenti che seguirono negli anni della riscossa. E l'esule potè rientrare in Patria non come il bandito contro cui poteva scatenarsi la pubblica vendetta, ma come l'Eroe atteso dalle moltitudini. Sedici anni dopo la sentenza del consiglio di guerra di Genova, Garibaldi salpava da Quarto con la spedizione dei Mille e il 18 maggio, dal Pas so di Renna, creando « un consiglio di guerra per giudicare i reati commessi dfli militari e dai cittadini » nell'isola, dava inizio a quella attività legislativa che doveva essere singolarmente feconda ed illuminata, armonizzando le su preme esigenze del vivere sodale con le necessità inderogabili dell'ora. Umanità ed equilibrio In tempi eccezionali, leggi ecce zionali, tribunali eccezionali: quo sta la norma. Tuttavia Garibaldnon abusò della norma ed i provvedimenti legislativi che ac compagnarono e seguirono l'im presa dei Mille appaiono caratte rizzati da una nota di umanità e di equilibrio, mentre in essi — come osserva l'avv. Mario Pittaluga, figlio di uno dei Mille, che ne ha curato l'ordinata rassegna — « non si ravvi a nulla di intempestivo, di imprevisto, dì urtante con la comune coscienza giuridica ». Se misure drasticamente repressive dovettero essere adottatdal dittatore, questo avvenne pe11 prodursi di situazioni alle qualoccorreva in ogni modo porre riparo. L'entrata delle forze nazionali in Palermo, durante la graduale conquista della città, divenuta nei suoi quartieri un aperto campo di battaglia, per la resistenza opposta dalle truppe regolari, aveva scatenato l'irrefrenabile furia del popolo, ed ecco, dieci giorni dopo la costituzione deconsiglio di guerra, Il decreto che stabilisce la pena di morte per reati di furto, di omicidio e di saccheggio. Ma più del decreto è forse storicamente interessante la premessa; « Il popolo di questa sublime ed eroica città ha sprezzato, con una costanza degna dei tempi antichi, la fame ed ì pericoli, che sono la conseguenza della guerra fratricida che i traditori d'Italia hanno provocato. Lode al popolo, esso ha bene meritato dalla Patria. Onde evitare che qualche malvagio, che non può essere parte del popolo, con il disegno di servire la causa dei nostri nemici, e gettare lo scompiglio ed il marchio di infamia su questo popolo generoso, si abbandoni al furto, all'omicidio, alla rapina, al saccheggio, abbiamo decretato... ». Niente titoli e baciamani Senonchè 1 torbidi non diminuì scono ed altre misure si impongono. Un decreto del 30 giugno « considerando che gli accessi e gli atti crudeli, commessi a gara dagli agenti del potere borbonico, non autorizzano alcun privato a trarne da per se stesso vendetta, ma solo a reclamare dal Governo 11 meritato castigo », onde impedire che possano riprodursi scene di furor popolare che « riprovate sempre dal Governo Dittatoriale, pur hanno avuto luogo negli irrefrenabili momenti dell'insurrezione », stabilisce che ogni cittadino il quale « perseguiti o ecciti con parole o con scritti il popolo a perseguitare qualcuno, sotto pretesto che costui abbia parteggiato o dato opera colpevole a servizio del cessato governo o della aborrita polizia, sarà per ciò solo punito come reo di omicidio mancato; sarà punito di morte ove, in conseguenza del fatto suo, il perseguitato sarà ucciso o gravemente percosso o ferito ». Sulla base del principio che le pene han da « essere all'altezza della gravità dei delitti », le leggi eccezionali si susseguono fitte, integrandosi, completandosi, sino a che il 28 agosto è chiamato in vigore per tutto il territorio liberato il codice penale militare del Regno d'Italia perchè « conforme alla civiltà dei tempi ed alle libere istituzioni ». E col codice penale militare entrano in vigore in Sicilia, per decreto del dittatore, anche il codice di procedura penale ed il codice civile. In lungo porterebbe l'esegesi dell'attività legislativa dell'Eroe, la quale non si è dispiegata soltanto nel campo penale, ma ha spaziato largamente, concretandosi nei provvedimenti intesi all'organizzazione dei poteri dittatoriali e in quelli volti all'assestamento delle finanze, alla si sternazione monetaria, al riordina mento delle amministrazioni ed alla bonifica del costume. Tra i primi decreti emanati dal dittatore ve n'ha uno composto di due articoletti taglienti : « Consideran do che un popolo libero deve di struggere qualsiasi usanza derivata dal passato servaggio, abbiamo decretato: Art. 1. E' abolito il ti tolo di Eccellenza per chicchessia; art. 2: Non si ammette il bacia mano da uomo ad altro uomo ». Francesco Argenta

Luoghi citati: America, Genova, Italia, Palermo, Quarto, Savoia, Sicilia