IL PARTIGIANO

IL PARTIGIANO IL PARTIGIANO ninnimi n iiiinniiniininninniniinniniii L'hanno acciuffato quelli della pattuglia adibita alla protezione delle grandi arterie. Sul far del giorno. Mentre, sbucato dalla complice forra nottetempo per raggiungere il primo appostamento che gli era stato prefisso, e sorpreso dal repentino prorompere del sole al centro di una piatta radura, stava annaspando al piede di uno smilzo cespo per prepararsi il giaciglio in cui attendere l'imbrunire. Bocconi, perchè impaurito dalla sua ombra medesima che lo aveva perseguitato durante l'ultimo tratto di cammino allo scoperto come una incombente minaccia o come un implacabile presagio. Appena uno dei nostri soldati, prima ancora di puntargli l'arma adosso, gli intimò di alzarsi, egli si sollevò rassegnatamente e mestamente sulle tremanti ginocchia come se fosse stato colpito in mezzo al petto. Poi si tolse il copricapo. L'apparizione improvvisa e la voce risoluta del fante, nel desolato e sconfinato deserto della steppa, lo deve aver investito e travolto come qualcosa di sovrumano e di tremendo. Era un ragazzotto al di sotto dei vent'anni. Forse studente, forse già avviato alla gerarchia politica : comunque, un essere smarrito, con quel suo volto smunto e inconsistente di uomo che non conosce la realtà. La ciuffaia dei capelli biondastri e dilavati gli scendeva a frangia sul collo, sulle tempie e sulla fronte simile ad una specie di ispido e logoro caschetto. Stava sgranocchiando un mannello di semi di girasole, al momento in cui venne stanato: ed aveva un grumo di bucce attorno alle esangui labbra come un nembo di avide mosche ai margini di una ferita. Alzatosi poi in piedi, rintronò tutto in un corrusco rumor di ferraglia, come se fosse stato ricoperto di catene. Armato sino ai denti, aveva un fucile mitragliatore ad armacollo, una pistola mitragliatrice attaccata alla cintola ed i fianchi avvolti in una strana fusciaccia composta da un lungo nastro di canapa irto di pallottole. Poi, ostentava ancora un minaccioso pugnale che gli batteva contro la coscia, ancora alcuni tubetti di fulminato di mercurio infilati nel taschino della giubba come un mazzetto di penne stilografi che, un grappolo di bombe a mano appeso ad una spalla con una cordicella e, al posto della consueta pagnotta, nel carniere, un paio di cartocci di dinamite. Roba da star in guardia ad accendergli una sigaretta a dieci metri di distanza. Attnippato con una quindicina di suoi compagni, ed avviato inconsciamente alla macohia al seguito di un commissario del popolo, gli eran state frettolosamente impartite le debite istruzioni — disse poi — per intraprendere la guerriglia contro le nostre truppe. Soldati dei reparti antibolscevici — tedeschi italiani romeni ungheresi slovacchi ecc. — a viso a viso non ne aveva però ancor visto uno dal giorno in cui era stato chiamato alle armi. Perchè ritiratosi, assieme all'intera torma dei suoi antichi commilitoni, in tempo in tempo per non venir racchiuso tra le branchie di una tenaglia che stava per chiuderglisi alle spalle mentre era ancora sulla via per raggiungere il fronte. Circa le nostre macchine di guerra era poi nella più assoluta ignoranza: al punto da ritenere evidentemente che soltanto quelle con cui, al momento della fuga, s'era illuso di partecipare ad un'abile manovra, fossero esistite sulla faccia della terra. Grazie ai miracoli del piano quinquennale ed all'instancabile fervore della propaganda. Era stato quindi relativamente facile convincerlo che da so lo, con quella somma di micidiali arnesi che gli avevan caricata sulle spalle, e con tutti i girasoli che avrebbe incontrato attraverso le campagne per nutrirsi, sarebbe stato in grado di tener testa agli invasori. In saccoccia aveva infatti un succinto calepino con l'elenco delle imprese da compiere — questo e quel ponte da far saltare, questo e quel deposito da incendiare, que 6to crocevia da molestare e quel treno da far deviare — uria facceuduola, insomma, che, anche per uno stratega da strapazzo, occorrerebbe perlomeno un intero reparto di addestrati guastatori. Disarmato e perquisito, venne poscia accompagnato verso la strada maestra. In cerca di qualche automezzo di fortuna che lo avesse poi scaricato presso uno dei nostri Comandi per l'interrogatorio. Cinque o sei chilometri di sinuosa pista : tra 6terpi aspri e rinsecchiti. A quando a quando, una violenta raffica di vento che sollevava nembi di terriccio frantumato dal recente gelo : questo vento spietato che spira costantemente dai quattro punti cardinali senza un attimo di tregua, e urla, ulula, sferza, dilania, punge e graffia, ora diaccio e ora bollente, ora vitreo come il raschio della pomice e ora umido come una lingua bavosa, da far ictbdubtgltzmaidnbtcilsgqn i mini iiiiiiiMiiniiimiiniiniiiniiiminiinT impazzire il sangue come il mercurio racchiuso in un tormentato barometro. Quando,l'esiguo drappello ebbe infine raggiunta la scarpata della camionale fu investito da un rombo assordante. Volando a bassa quota due aerei pattugliatori sfrecciarono veloci proseguendo la loro corsa parallela al lungo nastro della strada. Subito dopo, a passo di carica, avanzò un compatto nucleo di motomitraglieri con le armi puntate a ventaglio. Poi, pesante come il rullo di una macina, uno squadrone di carri armati, una catena di autoblinde, una interminabile teoria di camionette, di autocarri e di autobotti. Ogni macchina addossata all'altra, dentro il frastuono e dentro il vento dell'altra. Colonna serrata e possente, solido arco d'acciaio in grado di stritolare tanto spazio quanto non ne può abbracciare neppure la pupilla di un falco. Aperto un varco nello schieramento nemico, una delle nostre Grandi Unità corazzate stava decisamente puntando in avanti per congiungersi poi con un'altra Grande Unità partita da altra base. Avvolti nel denso turbine della polvere che dilagava nei campi come un mare di fuliggine, quelli della pattuglia attesero con pazienza il passaggio delle macchine. Prima contandole a una a una, come i vagoni di un treno al passaggio a livèllo, poi limitandosi a valutare il tempo che avrebbe impiegato l'intero convoglio a efilare dinanzi a loro. E passò un'ora, passò un'altra ora. Senza che il morso dei motori affievolisse, senza che la terra sgretolata nelle carrarecce cessasse di sciabordare come l'onda che si trasforma in spuma. Il partigiano, con i cerulei occhi di ragazzo pentito, seguiva la fantastica visione come se si fosse trovato in un mondo del tutto nuovo, come se, ancora in preda al recente panico, non avesse creduto a 6e stesso. Tanto stordito e smarrito che prese a ciondolare la testa da un capo all'altro della colonna senza potersi render ragione come essa — tra i due estremi limiti dell'orizzonte su cui era appoggiata la strada — non avesse potuto aver principio nè fine. Poi contemplò il misero mucchietto delle inutili armi ammonticchiate ai suoi piedi. La cartucciera che gli aveva protetti i fianchi come una corazza giaceva nella polvere simile ad uria serpe dalla testa schiacciata. Per ognuna delle pallottole con cui aveva creduto di aver ragione sul nemico, un carro armato che definitivamente aveva fatto crollare ogni sua illusione. Quando infine l'ultimo automezzo della Grande Unità fu per sfilare dinanzi alla pattuglia, un graduato fece segno all'autiere d'arrestarsi un istante. Poi gli diede in consegna il prigioniero. — Devi dire al Comando che 1 abbiamo pizzicato in questi pa- raggi, mentre stava accingendosi ad arrestare il traffico stradale... — e, nell'aiutarlo a montare sul predellino, il fante diede un ultimo sguardo al partigiano : accompagnandolo con un breve sorriso di commiserazione. Pier Angelo Soldini

Persone citate: Pier Angelo Soldini