Dal palafreniere al sergente delle guardie

Dal palafreniere al sergente delle guardie Penelope, l'Alfieri e il suo fido servo Elia Dal palafreniere al sergente delle guardie Il nobile astigiano citato dal Tribunale di Londra insieme ai rivale stalliere - Lo scandalo sulle gazzette, che in' quel paese "intino a tute le serve le legono tutti gli giorni! - Il bavaglio al servitore H. i,,,,,,„. „«..„„_ ,.i„„„„n„„„a L'Alfieri stesso riconosceva che|1 grave incidente si era risolto, contrariamente ad ogni previsione « In una felicità inaspettata e quasi incredibile: poiché, atteso 'imminente inevitabile divorzio », egli si trovava « nell'impegno (e null'altro bramava, nonostante i buoni offici del principe di Masserano, del marchese Caraccioli e del conte di Scarnatigli di sottentrare ai lacci coniugali t> che la casta Penelope stava per rompere. Onde i convegni in casa amica e^, le corrispondenze intime erano state riprese; ed ecco il buon Elia far sapore al conte di Cumiana che il suo padrone * cbitar la non la cliittera », e che l'amore imperversa più ardente che mai, e che si vede continuamente lettere indare e venire dalla amatta », e che il suo padrone deciso di sposarla, e che «. aveva inaino detto dal Imbasiatoro di Spagna che se fosse stato sicu ro (Il grattare la terra con le sue mani non laverebbe mai bandonatta ». Onda il fido servo « non sa come finirà questo affare » e ne teme qualche grosso ."rualo, anche perchè « hanno messo questo combatto nella Gazetia inglese, fanno il nome del Milord, feritto legermcnte in due luoghi, ed 11 mio padrone non ci fanno il nome e -dicono un straniero feritto al bracio ». Viene il peggio Il buon Elia non aveva torto: se cominciavano a metter il becco i giornali (absit infuriai verbis.'...), non si sapeva più dove e come la faccenda sarebbe finita! Ma il peggio, l'assai peggio, venne presto: venne, come dice l'Alfieri, « fra le angustie di un processo già intavolato ed assai spiacente per chiunque abbia onore e pudore », dalla confessione esplicita ed ardita della stessa Penelope, fatta all'amante tra sospiri e singhiozzi amarissimi; che cioè, prima ancora di darsi all'Alfieri, ella aveva amato, e da tre anni... il palafreniere di suo marito!... E a confermare infatti all'Alfieri la tremenda confessione, non tardò poi quella cedola d'intimazione a comparire dinanzi ai tribunali (che il Novali trovò un giorno fra i manoscritti alfieriani della Lhurenziana) e che, essendo diretta à < Vittorio Amadco othcrwise Count Vittorio Amadco Alfieri and John Doc », accomunava il nome del nobile astigiano a quello di un modestissimo jockey... E non tardò, peggio ancora, la gazzarra sempre più invereconda e il chiasso e lo scandalo delle gazzette in cerca di particolari piccanti della boccaccesca avventura: il palafreniere geloso del nobile rivale, che spia gli intrighi amorosi della sua padrona; e l'intraprendenza audace dei giovane conte straniero; e i domestici di casa Ligonier che tentano di confortare il loro padrone (oli, pensiero delicato e affettuoso!!..) confermandogli che anche il suo jockey sono ani ni che gode le grazie della viscontessa... E pensare per di più che quelle gazzette, scriveva scandalizzato l'Elia, «in „„orf„ „ooca )T,fi„„ a t„to i„ questo paese inflno a tute le serve le legano tutti gli giorni»!... Figurarsi il fido Elia, che do-[ véva recitare con l'Alfieri la par-i to del servo sciocco, mentre aveva da informare di soppiatto di tutto quel cancàn il conte di Cumiana! Madama «deve eser disperatta », gli scriveva il 17 maggio, ■ « in compania di suo padre a 40.ta miglia di questa capittalle; dissi a V. Ill.nia che Mlledi pasava in questa capittale per la casta Susanna, ed al p.te (presente?; ne vedrà tutto al oposto Vedendo gli domestici il suo padrone Milorde Ligoniere come disperatto di questo suceso di sua moglie, e sospctando loro che sua padrona aveva affare con il postinone di casa sua, glie lo diserò per via più consolarlo; Milorde mandò subit'oo prendere un giudice e fece interrogare il sudetto postinone in presenza di più testimonll»; onde vennero fuori da quell'interrogatorio particolari di un tal laidume, che, conchiude l'Eli»», « il Giudice sentendo questi, la penna ci tombò delie mani di stupore »... C'è dunque da credere senza dubbi all'Alfieri quando confessa ch'egli perdette a un certo punto « ogni-freno e misura » davanti all'orribile- disinganno che aveva sofferto, e che investì l'amante « con tutto le più amare, furibonde e spregiantl espressioni », deciso, com'era, al <r. disperato partito » di non rivederla mai più!... Ma non c'è poi, d'altra parte, da credere ai propri occhi, quando si legge nella sua Vito, ch'egli tornò, poche ore dopo la terribile confessione, presso di lei, e H giorno seguente, e più altri ancora, e l'accompagnò per varie province dell'Inghilterra « dov'ella era divenuta la favola di tutti», finché (ma ce ne volle, siamo giusti!!!) «potè più la vergogna e lo sdegno che l'amore », e la tresca finalmente cessò. Chi sposò Ma se il lettore è curioso di sapere anche la fine della casta Penelope, sappia che ella, tornata a Londra dopo il divorzio e dopo tante lagrime e proteste disperate, s'innamorò di un sergente delle Guardie e lo sposò. L'Alfieri lo seppe vent'anni dopo, com'egli stesso accenna nella sua Vita; ma non è forse inutile, anche sul suo conto, aggiungere che anche egli non portò molto a lungo il lutto della sua furibonda passione, se, dopo tanti clamori e furori, e a quattro anni soltanto di distanza dalla tragedia di Londra, osò scrivere sui casi suoi e dell'amata, sia pure alterando fatti circostanze e sentimenti, quella inedita novella giocosa in versi, che il Novati trasse un giorno dalle carte alfieriane, e che è, si può dire, il suo primo tentativo poetico di qualche importanza, oltre che uno dei pochissimi suoi scritti giocosi. La tragedia dunque terminava, per mano stessa dell'Alfieri, in una farsa allegra per uso e spasso degli amici;... e proprio qui a Torino, e proprio in quello stesso anno 1775, in cui il giovane scapestrato, cedendo alla sua ambizione e alla moda del tempo, riscuoteva al teatro Carignano, con la sua « Cleopatraccia », quegli applausi calorosi e compiacenti che gli fecero entrare in ogni vena, per sua stessa confessione, un tal furore e bollore di gloria poetica, <£ che non mai », soggiunge va, * febbre alcuna di amore mi aveva con tanta impetuosità assalito... ». Nemmeno dunque, si domanderà meravigliato il letto re, la. febbre cocente per la beila Penelope, con tutti i suoi spasimi e i suoi deliri?!... Schiettamente; c'è qualcuno, che si senta di dar torto al Bertana, quando osserva, a proposito di quella esercitazione giocosa del poeta, che « vi sono ebbrezze ed angoscio che lasciano]un profondo solco nell'anima: sii' può rimpiangerle o maledirle tut ta la vita; o si potrà anche, cogli anni, scordarsene quasi; riderne mai?... » Col ritorno a Torino, la missione delicata che il conte di Cumiana aveva affidata al bravo Elia si poteva considerare in buona parte finita. A Torino era più facile il controllo ed erano meno pericolose le acappate sentimentali dell'Alfieri, Ma poi un bel giorno, che è che non è, il nome dell'Elia, del tanto lodato ed esaltato Elia, non compare più nelle pagine della Vita. Fu anche quella, a quanto sembra, un'altra grave delusione dell'Alfieri! A dire il vero, sin dalla lettera del 17 maggio 1771 appare chiaramente il malcontento dell'Ella per 11 malo trattamento fattogli dal padrone. Era la verità, o erano piuttosto arti di furbo monfervino per Ingraziarsi il conte di Cumiana, dopo gli straordinari servigi resigli in segreto? Il fatto è che In quella lettera l'Elia pre ga il conte di « ricordarsi sempre di un misero suo servo, che sì rac comanda sempre alla sua protcsione », aggiungendo che il suo padrone lo « tiene stretto in que sto viaglo e si puole dire che mi tiranegla e scrtsa che sapia io abia veruna ochasione di lagnarsi di me, che questo fa che attribuisco tutto alla duresa del suo cuore verso di me »; ma assicurandolo d'altra parte che, dal canto suo, <-• con tutto ciò non mi sono mai clipartitto di fare il dover mio e di amare il mio padrone e sino al grado come mi son vedutto in questa ocasione, non mi sarei mai credutto ». Fuori dai piedi Restò dunque l'Elia, malgrado tutto, al servizio dell'Alfieri per altri dieci anni, finché nel 1781 il noeta lo cedette alla Stolberg. E fu con lei che, a quanto pare, successero guai cosi seri, che quattro anni dopo, e precisamente nel giugno del 17S5, il vecchio servo fu definitivamente licenziato e rimandato da Parigi in Piemonte con una buona pensione annua di 1400 lire, ma col patto « di non si muovere di Torino e di Piemonte », come l'Alfieri informava la sorella Giulia; « di non mai scrivere nè a me nè alla Signora nè a nessuno di casa nostra », e di non parlare « né in bene nè in male di nessuna maniera e con nessuna persona della slg.ra Contessa ». Certo, c'erano state indiscrezioni o insinuazioni, più o meno! maligne, dell'Elia, come appare' evidente da quella lettera alla soìella, che il Bertana per primo ha fatto conoscere e che ha la data del 19 giugno: «Elia finalmente parte oggi per Torino e vi sarà quanto prima. Devo dunque dirvi, e con somma mia vergogna, che mi sono ingannato su quell'uomo per ben vent'anni... Egli, tolto che ladro, del resto ha tutti i più essenziali difetti che uomo aver possa. Curioso, bugiardo, impertinente, turbolento e calunniatore ». E continua esponendo le ragioni, o, diremo meglio, le giustificazioni del licenziamento: inquietava continuamente la contessa con le sue impertinenze, sparlava di lui con gli altri servitori, sparlava di lei per i caffè e in casa; onde, conchiude: «questa condotta che lo costituisce pazzo, non meno che indiscreto, ingiusto e briccone, mi ha risoluto a rimandarlo a Torino e a non volerlo mai più fra piedi ». Giusto! Ma quel trattamento di favore, dopo le tirchierie usate per tanti anni, a un servo che è scoperto con tutti quei torti, e alcuni gravissimi, non può destare in parecchi qualche sospetto e sembrare una generosità fuor di posto?... Onde non si può, in verità, dar del tutto torto al Bertana se conchiude il capitolo dell'Elia con una certa punta di malignità: «O coi denari o in qualsiasi altro modo, bisognava mettergli un bavaglio, e segregarlo da ogni consorzio per riguardo alla fama della signora Contessa »... Comunque, l'Elia se ne contentò, e stette ai putti, e riscosse la sua grassa pensione fino a tutto il 1793, quando cioè, dopo il terribile 1 agosto del 1792, l'Alfieri, salvata a stento la pelle sua e della con-i tessa, aveva perduti In Francia e sifis denaro e mobili e libri, nè c'era per il momento speranza di rifar- si e bisognava per amore p per forza ridurre le spese... Onde ancora una volta il buon Elia seguiva suo malgrado la triste sorte del suo padrone, vittima anche lui di quella « tragica farsa » dei « scimiotigri », che aveva proclamata la fine dei ricchi e degli aristocratici. Luìrì Piccioni FINE Avanzano I carri armati germanici sulle polverose strade del fronte orientale. (Foto Hoffni'a-mi).