La mobilitazione del lavoro

La mobilitazione del lavoro In un'economia corporativa La mobilitazione del lavoro [consueuinimenapo-i trebberò far ritenere che lamo-jdbihtazione del lavoro costitui-ilsca un espediente imposto dal- ; ile straordinarie necessita della | iguerra che distrae dall'attività economica una parte della po lrpolazione attiva e impone cer- ste produzioni particolari cui la tnnnn n^inno nffitrn m/mi ni n popolazione attiva, non alle armi, deve provvedere. La copertura dei consumi bellici' non può ottenersi che mediante la restrizione di certe produzioni e di certi consumi riguardanti la vita civile e mediante un migliore e più esteso impiego del potenziale di lavoro non incorporato nelle Forze Armate. Ma indipendentemente mapmtdlapnp~n£,«°ESSMf W dhtazione del potenziale del la-| cvoro secondo un piano predisposto ai fini contingenti, una economia corporativa implica pur essa una mobilitazione sistematica del potenziale di lavoro distribuito tra le singole attività specifiche secondo piani stabiliti in sede corporativa. L'esecuzione dei piani trova il proprio limite nella quantità e nella qualità del lavoro disponibile e cioè nell'insieme della popolazione fisicamente capace di una attività economica qualsiasi. . Nel fare i piani generali di produzione c'è là tendenza a sottovalutare o a dimenticare la connessione tra essi piani di produzione e il potenziale di lavoro cui quei piani dovrebbero coordinarsi. Generalmente nell'esame delle condizioni di eseguibilità dei piani di produzione si tengono presenti le dispo- DddqscnMgpppsivfanibilità delle materie prime e raausiliarie e della forza motri-' dce e ogni altro fattore materia-1 cle e anche finanziario che pos- Lsa costituire un limite alla e:|dstensione del piano generale di idproduzione nei suoi settori par- vticolari. Non altrettanto valore tviene attribuito in queste gran-I ledi istruttorie della produzione IIncorporativa alla qua/ità e «Jglita del potenziale^ lavoro di-, (gtotestbtspppergvMvpsponibile. In queste istruttorie al dato lavoro si dedica una attenzione secondaria perchè come quantità si pensa che ce ne sia ad esuberanza e come qualità si pensa che il lavoro sia facilmente addestrabile a questo o a quel compito. Non si può consentire in questa impostazione alquanto anacronistica nella quale manca il coordinamento tra il piano di produzione e il potenziale di lavoro che è il limite della eseguibilità del piano stesso. Comunque, e senza voler disconoscere gli altri limiti naturali, un piano di produzione che,, «wiàoiv^i., ^oi „„i.,„i,i„ ir, 'prescmda dal potenziale di la- dvoro è soltanto parzialmente |scorporativo. Lo è dall aspetto; cdei materialismo tecnico e in ! pesso sopravvive la logica dellaI economia capitalistica domina-; Fta dai fattor? materiali e finan- rta dai fattori materiali e finan ziari che considera il lavoro come un fattore non limitativo, e in ogni modo di non primaria importanza condizionale, delle private intraprese. C'è ancora dunque un passo da compiere anzi un grande salto da fare perchè l'impostazione di una struttura corporativa abbia una maturità corrispondente ai suoi principi e alla sua logica. In una economia corporativa sarebbe incompatibile il concetto della esuberanza del potenziale del lavoro che è proprio dell'economia liberale. Questa è la pietra di paragone del corporativismo e dei corporati visti. Nell'economia corporativa il ldpdmmclgsddplavnrn rlPvTpq^rp^pnriqHprntn Ilavoro aeve essere considerato, quantitativamente e qualitati vamente scarso sempre rispet to alle possibilità d'impiego, non soltanto come principio io-1 gico ma nella pratica funziona-'lità del sistema. In economia! corporativa.le possibilità d'im-: ..piego sono illimitate e questa e!anzi la caratteristica che la de-'fimsce e distingue. Politica de- \ mografica, politica del diritto e< dell'obbligo del lavoro sono le- eate pregiudizialmente ad una ÌS^HMrtfta^MlMlItà d'imDle- non nmiiaia possibilità a impie go. Quindi la mobilitazione in-tegrale del lavoro e un IStltU-to organico del Regime e non _ _rf *. _ j' a: i —un espediente di straordinarie«««rrìiir.tiiro Tn niiMfP la mn-bSKSS^^™ teri speciali ed essere sottoposta arf una particolare disciplina. Ma l'istituto della mobilitazione del lavoro è un istituto del Regime e inseparabile da esso. La dottrina che l'impiego del '~lavoro è limitato dal capitale aveva il suo fondamento di ve- riti nell'ordine economico prò- prie dei regimi capitaltaticj La critica de regimf capitanatici converge tutta, direttamente eindirettamente, contro questadottrina che i regimi corporaltivi consentono di superare. Sa rà anzi da esaminare metodicamente quali produzioni siano anche in tempi ordinari necessarie al miglioramento e alla felicità del popolo italiano e alla sua missione di civiltà. Predisporre un piano di produzione non riguarda soltantolWnnnrnia mala politica e l'e-1 economia, ma a pomica e e tica di un popolo e il suo tipo di civiltà e di vita. In ogni economia nazionale c'è un fendo costante, quello che riguarda le produzioni e i consumi elementari; al di sopra di essi e anche in tutto 1 ordine economico produttivo e distributivo, i regimi hanno campo di affermare i loro principi e la loro funzione creatrice; poiché di crea-zion! si può £™^.«™parlare e cioè di fantasia co-struttiva che e il presuppostopoetico-spirituale della possibi-li*à di ordini nuovi e della lorocoerenza intima. Non c'è limi-te! anche in questo campo, a quel che può essere fatto pur rispettando le condizioni ed i bisogni essenziali della vita. L'accrescimento del popolo — oltre sette milioni nei venti anni del Regime ■— pone da se stesso il problema del suo migliore e totalitario impiego perchè il paese non manchi dell'essenziale e perchè possa assicurarsi l'indipendenza anche nelle avverse congiunture mondiali. Non è indifferente dal punto di vista corporativo e nazionale l'una o l'altra attività come i0 era in regime liberale. Non è indifferente la ripartizione del la popolazione attiva tra le varie attività economiche, la di- stribuzloné qualitativa è terri tonale delle imprese, le loro di- . * ' . . _ mensioni e quanto si riferisce alla produttività. Ma il punto di partenza è sempre l'uomo, la fa miglia, il popolo e anche il pun to di arrivo e il criterio stesso del decidere. La mobilitazione del lavoro e la sua interdipendenza con i piani di produzione, la revisione delle attività e dell'assetto produttivo sono istituti orga- del Rcsime ed espressione della sua permanente vitalità costruttiva e finalistica. Alberto de' Stefani La mobilitazione del lavoro In un'economia corporativa La mobilitazione del lavoro [consueuinimenapo-i trebberò far ritenere che lamo-jdbihtazione del lavoro costitui-ilsca un espediente imposto dal- ; ile straordinarie necessita della | iguerra che distrae dall'attività economica una parte della po lrpolazione attiva e impone cer- ste produzioni particolari cui la tnnnn n^inno nffitrn m/mi ni n popolazione attiva, non alle armi, deve provvedere. La copertura dei consumi bellici' non può ottenersi che mediante la restrizione di certe produzioni e di certi consumi riguardanti la vita civile e mediante un migliore e più esteso impiego del potenziale di lavoro non incorporato nelle Forze Armate. Ma indipendentemente mapmtdlapnp~n£,«°ESSMf W dhtazione del potenziale del la-| cvoro secondo un piano predisposto ai fini contingenti, una economia corporativa implica pur essa una mobilitazione sistematica del potenziale di lavoro distribuito tra le singole attività specifiche secondo piani stabiliti in sede corporativa. L'esecuzione dei piani trova il proprio limite nella quantità e nella qualità del lavoro disponibile e cioè nell'insieme della popolazione fisicamente capace di una attività economica qualsiasi. . Nel fare i piani generali di produzione c'è là tendenza a sottovalutare o a dimenticare la connessione tra essi piani di produzione e il potenziale di lavoro cui quei piani dovrebbero coordinarsi. Generalmente nell'esame delle condizioni di eseguibilità dei piani di produzione si tengono presenti le dispo- DddqscnMgpppsivfanibilità delle materie prime e raausiliarie e della forza motri-' dce e ogni altro fattore materia-1 cle e anche finanziario che pos- Lsa costituire un limite alla e:|dstensione del piano generale di idproduzione nei suoi settori par- vticolari. Non altrettanto valore tviene attribuito in queste gran-I ledi istruttorie della produzione IIncorporativa alla qua/ità e «Jglita del potenziale^ lavoro di-, (gtotestbtspppergvMvpsponibile. In queste istruttorie al dato lavoro si dedica una attenzione secondaria perchè come quantità si pensa che ce ne sia ad esuberanza e come qualità si pensa che il lavoro sia facilmente addestrabile a questo o a quel compito. Non si può consentire in questa impostazione alquanto anacronistica nella quale manca il coordinamento tra il piano di produzione e il potenziale di lavoro che è il limite della eseguibilità del piano stesso. Comunque, e senza voler disconoscere gli altri limiti naturali, un piano di produzione che,, «wiàoiv^i., ^oi „„i.,„i,i„ ir, 'prescmda dal potenziale di la- dvoro è soltanto parzialmente |scorporativo. Lo è dall aspetto; cdei materialismo tecnico e in ! pesso sopravvive la logica dellaI economia capitalistica domina-; Fta dai fattor? materiali e finan- rta dai fattori materiali e finan ziari che considera il lavoro come un fattore non limitativo, e in ogni modo di non primaria importanza condizionale, delle private intraprese. C'è ancora dunque un passo da compiere anzi un grande salto da fare perchè l'impostazione di una struttura corporativa abbia una maturità corrispondente ai suoi principi e alla sua logica. In una economia corporativa sarebbe incompatibile il concetto della esuberanza del potenziale del lavoro che è proprio dell'economia liberale. Questa è la pietra di paragone del corporativismo e dei corporati visti. Nell'economia corporativa il ldpdmmclgsddplavnrn rlPvTpq^rp^pnriqHprntn Ilavoro aeve essere considerato, quantitativamente e qualitati vamente scarso sempre rispet to alle possibilità d'impiego, non soltanto come principio io-1 gico ma nella pratica funziona-'lità del sistema. In economia! corporativa.le possibilità d'im-: ..piego sono illimitate e questa e!anzi la caratteristica che la de-'fimsce e distingue. Politica de- \ mografica, politica del diritto e< dell'obbligo del lavoro sono le- eate pregiudizialmente ad una ÌS^HMrtfta^MlMlItà d'imDle- non nmiiaia possibilità a impie go. Quindi la mobilitazione in-tegrale del lavoro e un IStltU-to organico del Regime e non _ _rf *. _ j' a: i —un espediente di straordinarie«««rrìiir.tiiro Tn niiMfP la mn-bSKSS^^™ teri speciali ed essere sottoposta arf una particolare disciplina. Ma l'istituto della mobilitazione del lavoro è un istituto del Regime e inseparabile da esso. La dottrina che l'impiego del '~lavoro è limitato dal capitale aveva il suo fondamento di ve- riti nell'ordine economico prò- prie dei regimi capitaltaticj La critica de regimf capitanatici converge tutta, direttamente eindirettamente, contro questadottrina che i regimi corporaltivi consentono di superare. Sa rà anzi da esaminare metodicamente quali produzioni siano anche in tempi ordinari necessarie al miglioramento e alla felicità del popolo italiano e alla sua missione di civiltà. Predisporre un piano di produzione non riguarda soltantolWnnnrnia mala politica e l'e-1 economia, ma a pomica e e tica di un popolo e il suo tipo di civiltà e di vita. In ogni economia nazionale c'è un fendo costante, quello che riguarda le produzioni e i consumi elementari; al di sopra di essi e anche in tutto 1 ordine economico produttivo e distributivo, i regimi hanno campo di affermare i loro principi e la loro funzione creatrice; poiché di crea-zion! si può £™^.«™parlare e cioè di fantasia co-struttiva che e il presuppostopoetico-spirituale della possibi-li*à di ordini nuovi e della lorocoerenza intima. Non c'è limi-te! anche in questo campo, a quel che può essere fatto pur rispettando le condizioni ed i bisogni essenziali della vita. L'accrescimento del popolo — oltre sette milioni nei venti anni del Regime ■— pone da se stesso il problema del suo migliore e totalitario impiego perchè il paese non manchi dell'essenziale e perchè possa assicurarsi l'indipendenza anche nelle avverse congiunture mondiali. Non è indifferente dal punto di vista corporativo e nazionale l'una o l'altra attività come i0 era in regime liberale. Non è indifferente la ripartizione del la popolazione attiva tra le varie attività economiche, la di- stribuzloné qualitativa è terri tonale delle imprese, le loro di- . * ' . . _ mensioni e quanto si riferisce alla produttività. Ma il punto di partenza è sempre l'uomo, la fa miglia, il popolo e anche il pun to di arrivo e il criterio stesso del decidere. La mobilitazione del lavoro e la sua interdipendenza con i piani di produzione, la revisione delle attività e dell'assetto produttivo sono istituti orga- del Rcsime ed espressione della sua permanente vitalità costruttiva e finalistica. Alberto de' Stefani La mobilitazione del lavoro In un'economia corporativa La mobilitazione del lavoro [consueuinimenapo-i trebberò far ritenere che lamo-jdbihtazione del lavoro costitui-ilsca un espediente imposto dal- ; ile straordinarie necessita della | iguerra che distrae dall'attività economica una parte della po lrpolazione attiva e impone cer- ste produzioni particolari cui la tnnnn n^inno nffitrn m/mi ni n popolazione attiva, non alle armi, deve provvedere. La copertura dei consumi bellici' non può ottenersi che mediante la restrizione di certe produzioni e di certi consumi riguardanti la vita civile e mediante un migliore e più esteso impiego del potenziale di lavoro non incorporato nelle Forze Armate. Ma indipendentemente mapmtdlapnp~n£,«°ESSMf W dhtazione del potenziale del la-| cvoro secondo un piano predisposto ai fini contingenti, una economia corporativa implica pur essa una mobilitazione sistematica del potenziale di lavoro distribuito tra le singole attività specifiche secondo piani stabiliti in sede corporativa. L'esecuzione dei piani trova il proprio limite nella quantità e nella qualità del lavoro disponibile e cioè nell'insieme della popolazione fisicamente capace di una attività economica qualsiasi. . Nel fare i piani generali di produzione c'è là tendenza a sottovalutare o a dimenticare la connessione tra essi piani di produzione e il potenziale di lavoro cui quei piani dovrebbero coordinarsi. Generalmente nell'esame delle condizioni di eseguibilità dei piani di produzione si tengono presenti le dispo- DddqscnMgpppsivfanibilità delle materie prime e raausiliarie e della forza motri-' dce e ogni altro fattore materia-1 cle e anche finanziario che pos- Lsa costituire un limite alla e:|dstensione del piano generale di idproduzione nei suoi settori par- vticolari. Non altrettanto valore tviene attribuito in queste gran-I ledi istruttorie della produzione IIncorporativa alla qua/ità e «Jglita del potenziale^ lavoro di-, (gtotestbtspppergvMvpsponibile. In queste istruttorie al dato lavoro si dedica una attenzione secondaria perchè come quantità si pensa che ce ne sia ad esuberanza e come qualità si pensa che il lavoro sia facilmente addestrabile a questo o a quel compito. Non si può consentire in questa impostazione alquanto anacronistica nella quale manca il coordinamento tra il piano di produzione e il potenziale di lavoro che è il limite della eseguibilità del piano stesso. Comunque, e senza voler disconoscere gli altri limiti naturali, un piano di produzione che,, «wiàoiv^i., ^oi „„i.,„i,i„ ir, 'prescmda dal potenziale di la- dvoro è soltanto parzialmente |scorporativo. Lo è dall aspetto; cdei materialismo tecnico e in ! pesso sopravvive la logica dellaI economia capitalistica domina-; Fta dai fattor? materiali e finan- rta dai fattori materiali e finan ziari che considera il lavoro come un fattore non limitativo, e in ogni modo di non primaria importanza condizionale, delle private intraprese. C'è ancora dunque un passo da compiere anzi un grande salto da fare perchè l'impostazione di una struttura corporativa abbia una maturità corrispondente ai suoi principi e alla sua logica. In una economia corporativa sarebbe incompatibile il concetto della esuberanza del potenziale del lavoro che è proprio dell'economia liberale. Questa è la pietra di paragone del corporativismo e dei corporati visti. Nell'economia corporativa il ldpdmmclgsddplavnrn rlPvTpq^rp^pnriqHprntn Ilavoro aeve essere considerato, quantitativamente e qualitati vamente scarso sempre rispet to alle possibilità d'impiego, non soltanto come principio io-1 gico ma nella pratica funziona-'lità del sistema. In economia! corporativa.le possibilità d'im-: ..piego sono illimitate e questa e!anzi la caratteristica che la de-'fimsce e distingue. Politica de- \ mografica, politica del diritto e< dell'obbligo del lavoro sono le- eate pregiudizialmente ad una ÌS^HMrtfta^MlMlItà d'imDle- non nmiiaia possibilità a impie go. Quindi la mobilitazione in-tegrale del lavoro e un IStltU-to organico del Regime e non _ _rf *. _ j' a: i —un espediente di straordinarie«««rrìiir.tiiro Tn niiMfP la mn-bSKSS^^™ teri speciali ed essere sottoposta arf una particolare disciplina. Ma l'istituto della mobilitazione del lavoro è un istituto del Regime e inseparabile da esso. La dottrina che l'impiego del '~lavoro è limitato dal capitale aveva il suo fondamento di ve- riti nell'ordine economico prò- prie dei regimi capitaltaticj La critica de regimf capitanatici converge tutta, direttamente eindirettamente, contro questadottrina che i regimi corporaltivi consentono di superare. Sa rà anzi da esaminare metodicamente quali produzioni siano anche in tempi ordinari necessarie al miglioramento e alla felicità del popolo italiano e alla sua missione di civiltà. Predisporre un piano di produzione non riguarda soltantolWnnnrnia mala politica e l'e-1 economia, ma a pomica e e tica di un popolo e il suo tipo di civiltà e di vita. In ogni economia nazionale c'è un fendo costante, quello che riguarda le produzioni e i consumi elementari; al di sopra di essi e anche in tutto 1 ordine economico produttivo e distributivo, i regimi hanno campo di affermare i loro principi e la loro funzione creatrice; poiché di crea-zion! si può £™^.«™parlare e cioè di fantasia co-struttiva che e il presuppostopoetico-spirituale della possibi-li*à di ordini nuovi e della lorocoerenza intima. Non c'è limi-te! anche in questo campo, a quel che può essere fatto pur rispettando le condizioni ed i bisogni essenziali della vita. L'accrescimento del popolo — oltre sette milioni nei venti anni del Regime ■— pone da se stesso il problema del suo migliore e totalitario impiego perchè il paese non manchi dell'essenziale e perchè possa assicurarsi l'indipendenza anche nelle avverse congiunture mondiali. Non è indifferente dal punto di vista corporativo e nazionale l'una o l'altra attività come i0 era in regime liberale. Non è indifferente la ripartizione del la popolazione attiva tra le varie attività economiche, la di- stribuzloné qualitativa è terri tonale delle imprese, le loro di- . * ' . . _ mensioni e quanto si riferisce alla produttività. Ma il punto di partenza è sempre l'uomo, la fa miglia, il popolo e anche il pun to di arrivo e il criterio stesso del decidere. La mobilitazione del lavoro e la sua interdipendenza con i piani di produzione, la revisione delle attività e dell'assetto produttivo sono istituti orga- del Rcsime ed espressione della sua permanente vitalità costruttiva e finalistica. Alberto de' Stefani