Vagabondaggio romagnolo

Vagabondaggio romagnolo Vagabondaggio romagnolo La Romagna balneare non è la Romagna ch'io preferisco: e se lo dico, è con deplorevole ingratitudine verso la marina che in questi giorni mi dà sole e salute ; se lo dico e scrivo, è per quell'amore della verità più crudele d'ogni ingiustizia crudele. Non è la Romagna che preferisco, per due motivi i quali sono entrambi strettamente personali, l'uno d'ordine estetico, l'altro d'ordine patetico: l'uno, che l'edilizia locale mi pare pi'"- convinta, più sincera, più felice quando impianta case ben'fondate nella terra, che non quando improvvisa villette sulla sabbia ; la seconda, che l'Adriatico, a differenza dell'acceso e fastoso Tirreno, male s'accorda, almeno agli occhi miei, con la spogliata moltitudine che da Giugno a. Settembre fa strepito per le sue rive. L'Adriatico è un mare pudico. Vestito com'è, dall'alba al tramonto, dei suoi ca6ti vapori e dei suoi teneri verdi, sembra abbriyidire con ribrezzo ad ogni apparizione di gamba ignuda, mormorando sotto sotto parole di protesta. Torna a distendersi in pace, e a ricantare in gloria, solo alla ricomparsa della luna. Ma la vergine luna è rispettabile, come tutti sanno, anche in istato di nudità. Si comprenderà quindi come all'ora del passeggio, apoteosi del quotidiano balletto balneare, io me ne vada da tutt'altra parte, per viottoli e canali, cercando d'internarmi quanto più possibile, e d'evitare iu ogni maniera la vista di quelle cabine allineate, la cui struttura uguale e sommaria mi ricorda un po' sempre quella dei cippi ili cimitero. Da quando, ragazzo, mi colpì una violenta caricatura dei bagni d'Ostenda disegnata dall'Ensor non c'è più spiaggia formicolali te di rachitidi umane che trovi grazia al mio sguardo ; e poiché anche il suo chiasso mi dispiace, cento volte più molesto delle mo sche ronzanti e del sole a picco così la pace e l'ordine dei campi mi sembrano, al paragone, cento volte più attraenti. In Roma gna, poi, la preferenza è irresistibile: e se il torto è mio, ne domando perdono ai lettori, oltre che ai compagni di villeggiatura. Quello che mi piace, qui, all'ora del passeggio solitario, è di veder spuntare ogni tanto, dietro un capanno che fuma, uno stollo che odora ; o al di là d'un tettuccio immobile, da cui geni'? una tortora o lacrima una gronda, una tenda_ rossa e gialla che 6Ì muove : cioè una vela romagnola che risale dal porticciolo, per via d'acqua, sino al cuore del paese. In verità le magliette della spiaggia, anche se colorite con la stessa vivacità, non sanno prendere tra il vento e la luce le stesse flessioni seducenti: impeti e mollezze, tensioni ed abbandoni in cui l'osservatore, con appena un poco di fantasia, vedrebbe disegnarsi tutte quelle movenze della grazia femminile che sì raramente le bagnanti, anche belle, esprimono nei loro guazzi disordinati e nei loro tuffi clamorosi. Poco lungi dai tuffi e dagli strilli balneari, non tarda la campagna a riavere un volto, uno sguardo. Si ripensano allora, insieme alle sue forme, i suoi spiriti. Risorgono essi alla vista dei cuore, l'uno appresso all'altro, vicini e lontani, noti ed ignoti, cari e meno cari. A pochi tratti di distanza riparlano Oriani e a o , o a Serra, Panzini e Corazzini. Qui Pascoli scendeva a piedi, e Oriani saliva in bicicletta: l'uno roseo e l'altro cupo, l'uno ascoltando la terra e l'altro il mare. Panzini scriveva a Bellaria, Moretti a Cesenatico. E Serra era vicino di casa a Beltramelli: non ultima ragione perchè non si potessero soffrire. Un poco oltre, a Cervia, stava Rino Alcssi ; e ancora un poco iu là Rambelli 10 scultore, Missiroli il filosofo, Pratella il musicista. Chi è dunque ancora vivo, e chi ancora presente fra tanti? Moretti, m'hanno detto. E m'hanno pure indicato la sua casa: a capo d'un ponte, rustica, sassosa, confusa per umiltà con altre della stessa ruvidezza : una casa senza te lefono, il cui silenzio, passandovi, mi ha fatto impressione. Forse per questo non ho valicato la soglia? Non so. Ancora me lo domando. C'è sempre qualche cosa che mi ferma anche nell'arte di questo scrittore, ch'è pure tanto forbito e che stimo tanto. C'è sempre un disaccordo, libro o casa, casa o persona, che sempre m'allontana da lui, pure così attento ad evitare in ogni tratto di penna, di parola, di contegno la menoma stonatura. Il disaccordo che non tollero, nel suo libro,.è l'ironia: quell'ironia rodente e persistente che non so conciliare con l'estremo garbo a cui s'accompagna; quell'ironia che sta in una prosa così fatta, d'una finezza e politezza di rosa bianca, non come un'ape, ma come un verme. Ma una pari, sebbene diversa discordanza, scopro adesso nella sua abitazione. Come può essere, quel petrame, 11 bozzolo d'un sì delicato baco da seta? Per ciò ne rifuggo sul punto d'entrarvi. Mi parrebbe di commettere un'indiscrezione. M'allontano con reverenza, ma senz'amore, anche dai luoghi di Panzini. In trent'anni che lo conobbi, mai mi riuscì di portare affetto a quel grandissimo. Uomini diffìcili come D'Annunzio o come Papini, ebbero immediatamente, fin dal primo incontro, tutta la mia giurata, appassionata devozione. Panzini no. Era in lui qualche cosa d'ostile, anche nella cortesia, e di avaro, anche nell'indulgenza, che il mio giovine cuore avvertì subito, fin dalla prima lezione ch'ebbe ad impartirmi in classe: con quella malavoglia ch'egli si metteva addosso, sia pure per ostentazione, ogni volta che saliva in cattedra ; quel fastidio, quel disgusto che gli vidi mostrare anche in trattoria, malgrado il vigoroso ap petite Ho ragione di credere ch'egli si vendicasse, avversando il prossimo, dell'avversità che per molti anni gli aveva inflitto il destino, condannando lui artista a una carica di professore — la stessa sorte per cui sofferse e fece soffrire Pirandello—, nè tut tavia posso dimenticare quella sera di lontana estate in cui, pranzando egli con me e col pit; tore Dudreville, ebbe a toglierei dalla sua solita, svaporata pigrizia per inveire, rosso di collera contro un sonatore ambulante in cui egli vedeva addirittura «il disonore d'Italia». 11 professore, certo, aveva ragione. Però l'artista aveva torto. Come poteva ignorare che in quel momento, anziché una lezione, avrebbe dovuto fare un'elemosina? Ora quando l'artista se ne accorse, era troppo tardi: clic il musicante se n'era andato, confuso di vergogna, proprio nel limito in cui il professore stava mettendo mano alla borsa. O perchè dunque anche certe pagine panziniane, a rileggerle, mi sembrano più pronte all'insegnamento che alla carità? F, perchè ancora oggi, persino quassù a Bellaria dove tanto ebbe a battere il cuore suo, non riesco ad amarlo come vorrei ? Ritrovo invece la memoria d'altri scomparsi, Oriani, Pascoli. Beltramelli: e rivela subito la mia incontro alla loro anima generosa, tra il fosco ardore della terra e il fresco palpito del mare. Se Pascoli fu il cuore e Oriani il cervello del «dolce pae6e« tra le due generazioni culminate nel conterraneo Mussolini, Beltramelli m'appare oggi come il volto suo stesso. Nessuno fra gli artisti e poeti della regione solatia le assomigliò tanto. 11 san- guo romagnolo può ben fare suo emblema di quel violento che fu un gentile, in quell'invasato che fu un savio, iu quel despota che mostrava i pugni al cielo ed alla terra, e poi discorreva coi poveri, scriveva pei fanciulli, sposava una mousmée. Quando la sua veemenza cedeva a mansuetudini improvvise, era allo stesso modo di certe bufere che, investendo l'Adriatico a tonfi e scrosci, 6Ì spengono d'un tratto nella dolcezza d'un ponentino. Comuni conoscenti me lo vanno rievocando tra la «Sisai e la n Sisella » : e cioè tra la casa aperta agli amici — ne ospitò sino a quindici per volta! — e il romitorio dove si nascondeva a scrivere quelle sue polemiche furiose, oppure quelle favole per bambini, al lume d'una lampada ad olio. Oh, quei suoi fieri discorsi alla sorella Maria, sbigottita tra il servirlo sempre e il non capirlo mai ; quelle urlate strepitose alla, fantesca che, disubbidendolo puntualmente, lo chiamava però a il signorino»; quel gridare, e poi quell'intenerirsi, e poi quel ridere della moglie giapponese, che nei momenti di burrasci] lo placava coi sette inchini rituali del suo paese; la delicata, trasognata, impalpabile sposa che «gli pareva di vetro», e che nei giorni di neve andava disegnandogli, col mignolo sul gelo delle finestre, tanti fiori di crisantemo! Ma le arrabbiature più grosse di Beltramelli erano quando, per errore, o per burla lo chiamavano Bontempelli ; oppure quando un ospite, uno dei quindici o venti, rifiutava di mangiare o di bere nella misura, sempre enorme, voluta dall'anfitrione. Allora minaociavs di « rompere un piatto », secondo il costume romagnolo ; e anche se il convitato obbediva, ingozzandosi sino allo spasimo, lo rompeva lo stesso, non più in segno di collera, ma d'allegria! a Benvenuti gli amici — era scritto sull'attico della «Sisa» — nella mia casa serena». E se la serenità non era proprio assoluta, lo era però la cordialità. Finito di mangiare, finalmente, la moglie intonava qualche canzone del Sol Levante, con una soavità d'accenti che inteneriva tutti, ma dispiaceva, purtroppo, a una scimmia di casa, che insorgeva allora con strilli d'inferno, bersagliando per vendetta le teste (lei commensali ! E per terminare la festa si partiva tutti, ammucchiati l'uno sull'altro se mancasse posto, sopra una sorte d'automobile preistorica, in forma di pagoda, pazzamente ornata d'emblemi floreali e servita da un valletto in divisa verde-ramarro, la quale aveva nome «La Disperata», e i cui segnali di tromba, intonati da quel paggio di strana uniforme, riempivano l'intera plaga di spavento, provocando un fuggi-fuggi da cataclisma. Era la sorella, benefica come sempre, che ritta in piedi sulla pagoda ambulante, con veri miracoli d'equilibrio, dava il segnale delle mucche impaurite o dei carrettieri riottosi al fratello pilota, il cui cappotto, irto dentro e fuori d'un nero pelo di belva, aumentava il terrore generale. E non si vorrà credere: ma in soli sei mesi di tragitto, la monumentale vettura consumò per ventimila lire fra gomme e freni ! Serra aveva accusato Beltramelli di mancare del «freh dell'arte», e Beltramelli voleva dimostrargli di possederne, almeno, come automobilista. Penso che la morte, adesso, abbia conciliato i due rivali ; e che al suono d'una tromba d'angelo, non più così tremenda come quella della «Disperata», insieme trascorrano gli spiriti, vigilando dall'alto la buona terra che insieme li ricorda, li valuta e li onora. Marco Ramperti A Sebastopoli: l'ampio torace di una delle statue che ornavano il monumento a Lenin, abbattuto, ha servito da tavola d'affissione per il proclama alla popolazione. Vagabondaggio romagnolo Vagabondaggio romagnolo La Romagna balneare non è la Romagna ch'io preferisco: e se lo dico, è con deplorevole ingratitudine verso la marina che in questi giorni mi dà sole e salute ; se lo dico e scrivo, è per quell'amore della verità più crudele d'ogni ingiustizia crudele. Non è la Romagna che preferisco, per due motivi i quali sono entrambi strettamente personali, l'uno d'ordine estetico, l'altro d'ordine patetico: l'uno, che l'edilizia locale mi pare pi'"- convinta, più sincera, più felice quando impianta case ben'fondate nella terra, che non quando improvvisa villette sulla sabbia ; la seconda, che l'Adriatico, a differenza dell'acceso e fastoso Tirreno, male s'accorda, almeno agli occhi miei, con la spogliata moltitudine che da Giugno a. Settembre fa strepito per le sue rive. L'Adriatico è un mare pudico. Vestito com'è, dall'alba al tramonto, dei suoi ca6ti vapori e dei suoi teneri verdi, sembra abbriyidire con ribrezzo ad ogni apparizione di gamba ignuda, mormorando sotto sotto parole di protesta. Torna a distendersi in pace, e a ricantare in gloria, solo alla ricomparsa della luna. Ma la vergine luna è rispettabile, come tutti sanno, anche in istato di nudità. Si comprenderà quindi come all'ora del passeggio, apoteosi del quotidiano balletto balneare, io me ne vada da tutt'altra parte, per viottoli e canali, cercando d'internarmi quanto più possibile, e d'evitare iu ogni maniera la vista di quelle cabine allineate, la cui struttura uguale e sommaria mi ricorda un po' sempre quella dei cippi ili cimitero. Da quando, ragazzo, mi colpì una violenta caricatura dei bagni d'Ostenda disegnata dall'Ensor non c'è più spiaggia formicolali te di rachitidi umane che trovi grazia al mio sguardo ; e poiché anche il suo chiasso mi dispiace, cento volte più molesto delle mo sche ronzanti e del sole a picco così la pace e l'ordine dei campi mi sembrano, al paragone, cento volte più attraenti. In Roma gna, poi, la preferenza è irresistibile: e se il torto è mio, ne domando perdono ai lettori, oltre che ai compagni di villeggiatura. Quello che mi piace, qui, all'ora del passeggio solitario, è di veder spuntare ogni tanto, dietro un capanno che fuma, uno stollo che odora ; o al di là d'un tettuccio immobile, da cui geni'? una tortora o lacrima una gronda, una tenda_ rossa e gialla che 6Ì muove : cioè una vela romagnola che risale dal porticciolo, per via d'acqua, sino al cuore del paese. In verità le magliette della spiaggia, anche se colorite con la stessa vivacità, non sanno prendere tra il vento e la luce le stesse flessioni seducenti: impeti e mollezze, tensioni ed abbandoni in cui l'osservatore, con appena un poco di fantasia, vedrebbe disegnarsi tutte quelle movenze della grazia femminile che sì raramente le bagnanti, anche belle, esprimono nei loro guazzi disordinati e nei loro tuffi clamorosi. Poco lungi dai tuffi e dagli strilli balneari, non tarda la campagna a riavere un volto, uno sguardo. Si ripensano allora, insieme alle sue forme, i suoi spiriti. Risorgono essi alla vista dei cuore, l'uno appresso all'altro, vicini e lontani, noti ed ignoti, cari e meno cari. A pochi tratti di distanza riparlano Oriani e a o , o a Serra, Panzini e Corazzini. Qui Pascoli scendeva a piedi, e Oriani saliva in bicicletta: l'uno roseo e l'altro cupo, l'uno ascoltando la terra e l'altro il mare. Panzini scriveva a Bellaria, Moretti a Cesenatico. E Serra era vicino di casa a Beltramelli: non ultima ragione perchè non si potessero soffrire. Un poco oltre, a Cervia, stava Rino Alcssi ; e ancora un poco iu là Rambelli 10 scultore, Missiroli il filosofo, Pratella il musicista. Chi è dunque ancora vivo, e chi ancora presente fra tanti? Moretti, m'hanno detto. E m'hanno pure indicato la sua casa: a capo d'un ponte, rustica, sassosa, confusa per umiltà con altre della stessa ruvidezza : una casa senza te lefono, il cui silenzio, passandovi, mi ha fatto impressione. Forse per questo non ho valicato la soglia? Non so. Ancora me lo domando. C'è sempre qualche cosa che mi ferma anche nell'arte di questo scrittore, ch'è pure tanto forbito e che stimo tanto. C'è sempre un disaccordo, libro o casa, casa o persona, che sempre m'allontana da lui, pure così attento ad evitare in ogni tratto di penna, di parola, di contegno la menoma stonatura. Il disaccordo che non tollero, nel suo libro,.è l'ironia: quell'ironia rodente e persistente che non so conciliare con l'estremo garbo a cui s'accompagna; quell'ironia che sta in una prosa così fatta, d'una finezza e politezza di rosa bianca, non come un'ape, ma come un verme. Ma una pari, sebbene diversa discordanza, scopro adesso nella sua abitazione. Come può essere, quel petrame, 11 bozzolo d'un sì delicato baco da seta? Per ciò ne rifuggo sul punto d'entrarvi. Mi parrebbe di commettere un'indiscrezione. M'allontano con reverenza, ma senz'amore, anche dai luoghi di Panzini. In trent'anni che lo conobbi, mai mi riuscì di portare affetto a quel grandissimo. Uomini diffìcili come D'Annunzio o come Papini, ebbero immediatamente, fin dal primo incontro, tutta la mia giurata, appassionata devozione. Panzini no. Era in lui qualche cosa d'ostile, anche nella cortesia, e di avaro, anche nell'indulgenza, che il mio giovine cuore avvertì subito, fin dalla prima lezione ch'ebbe ad impartirmi in classe: con quella malavoglia ch'egli si metteva addosso, sia pure per ostentazione, ogni volta che saliva in cattedra ; quel fastidio, quel disgusto che gli vidi mostrare anche in trattoria, malgrado il vigoroso ap petite Ho ragione di credere ch'egli si vendicasse, avversando il prossimo, dell'avversità che per molti anni gli aveva inflitto il destino, condannando lui artista a una carica di professore — la stessa sorte per cui sofferse e fece soffrire Pirandello—, nè tut tavia posso dimenticare quella sera di lontana estate in cui, pranzando egli con me e col pit; tore Dudreville, ebbe a toglierei dalla sua solita, svaporata pigrizia per inveire, rosso di collera contro un sonatore ambulante in cui egli vedeva addirittura «il disonore d'Italia». 11 professore, certo, aveva ragione. Però l'artista aveva torto. Come poteva ignorare che in quel momento, anziché una lezione, avrebbe dovuto fare un'elemosina? Ora quando l'artista se ne accorse, era troppo tardi: clic il musicante se n'era andato, confuso di vergogna, proprio nel limito in cui il professore stava mettendo mano alla borsa. O perchè dunque anche certe pagine panziniane, a rileggerle, mi sembrano più pronte all'insegnamento che alla carità? F, perchè ancora oggi, persino quassù a Bellaria dove tanto ebbe a battere il cuore suo, non riesco ad amarlo come vorrei ? Ritrovo invece la memoria d'altri scomparsi, Oriani, Pascoli. Beltramelli: e rivela subito la mia incontro alla loro anima generosa, tra il fosco ardore della terra e il fresco palpito del mare. Se Pascoli fu il cuore e Oriani il cervello del «dolce pae6e« tra le due generazioni culminate nel conterraneo Mussolini, Beltramelli m'appare oggi come il volto suo stesso. Nessuno fra gli artisti e poeti della regione solatia le assomigliò tanto. 11 san- guo romagnolo può ben fare suo emblema di quel violento che fu un gentile, in quell'invasato che fu un savio, iu quel despota che mostrava i pugni al cielo ed alla terra, e poi discorreva coi poveri, scriveva pei fanciulli, sposava una mousmée. Quando la sua veemenza cedeva a mansuetudini improvvise, era allo stesso modo di certe bufere che, investendo l'Adriatico a tonfi e scrosci, 6Ì spengono d'un tratto nella dolcezza d'un ponentino. Comuni conoscenti me lo vanno rievocando tra la «Sisai e la n Sisella » : e cioè tra la casa aperta agli amici — ne ospitò sino a quindici per volta! — e il romitorio dove si nascondeva a scrivere quelle sue polemiche furiose, oppure quelle favole per bambini, al lume d'una lampada ad olio. Oh, quei suoi fieri discorsi alla sorella Maria, sbigottita tra il servirlo sempre e il non capirlo mai ; quelle urlate strepitose alla, fantesca che, disubbidendolo puntualmente, lo chiamava però a il signorino»; quel gridare, e poi quell'intenerirsi, e poi quel ridere della moglie giapponese, che nei momenti di burrasci] lo placava coi sette inchini rituali del suo paese; la delicata, trasognata, impalpabile sposa che «gli pareva di vetro», e che nei giorni di neve andava disegnandogli, col mignolo sul gelo delle finestre, tanti fiori di crisantemo! Ma le arrabbiature più grosse di Beltramelli erano quando, per errore, o per burla lo chiamavano Bontempelli ; oppure quando un ospite, uno dei quindici o venti, rifiutava di mangiare o di bere nella misura, sempre enorme, voluta dall'anfitrione. Allora minaociavs di « rompere un piatto », secondo il costume romagnolo ; e anche se il convitato obbediva, ingozzandosi sino allo spasimo, lo rompeva lo stesso, non più in segno di collera, ma d'allegria! a Benvenuti gli amici — era scritto sull'attico della «Sisa» — nella mia casa serena». E se la serenità non era proprio assoluta, lo era però la cordialità. Finito di mangiare, finalmente, la moglie intonava qualche canzone del Sol Levante, con una soavità d'accenti che inteneriva tutti, ma dispiaceva, purtroppo, a una scimmia di casa, che insorgeva allora con strilli d'inferno, bersagliando per vendetta le teste (lei commensali ! E per terminare la festa si partiva tutti, ammucchiati l'uno sull'altro se mancasse posto, sopra una sorte d'automobile preistorica, in forma di pagoda, pazzamente ornata d'emblemi floreali e servita da un valletto in divisa verde-ramarro, la quale aveva nome «La Disperata», e i cui segnali di tromba, intonati da quel paggio di strana uniforme, riempivano l'intera plaga di spavento, provocando un fuggi-fuggi da cataclisma. Era la sorella, benefica come sempre, che ritta in piedi sulla pagoda ambulante, con veri miracoli d'equilibrio, dava il segnale delle mucche impaurite o dei carrettieri riottosi al fratello pilota, il cui cappotto, irto dentro e fuori d'un nero pelo di belva, aumentava il terrore generale. E non si vorrà credere: ma in soli sei mesi di tragitto, la monumentale vettura consumò per ventimila lire fra gomme e freni ! Serra aveva accusato Beltramelli di mancare del «freh dell'arte», e Beltramelli voleva dimostrargli di possederne, almeno, come automobilista. Penso che la morte, adesso, abbia conciliato i due rivali ; e che al suono d'una tromba d'angelo, non più così tremenda come quella della «Disperata», insieme trascorrano gli spiriti, vigilando dall'alto la buona terra che insieme li ricorda, li valuta e li onora. Marco Ramperti A Sebastopoli: l'ampio torace di una delle statue che ornavano il monumento a Lenin, abbattuto, ha servito da tavola d'affissione per il proclama alla popolazione. Vagabondaggio romagnolo Vagabondaggio romagnolo La Romagna balneare non è la Romagna ch'io preferisco: e se lo dico, è con deplorevole ingratitudine verso la marina che in questi giorni mi dà sole e salute ; se lo dico e scrivo, è per quell'amore della verità più crudele d'ogni ingiustizia crudele. Non è la Romagna che preferisco, per due motivi i quali sono entrambi strettamente personali, l'uno d'ordine estetico, l'altro d'ordine patetico: l'uno, che l'edilizia locale mi pare pi'"- convinta, più sincera, più felice quando impianta case ben'fondate nella terra, che non quando improvvisa villette sulla sabbia ; la seconda, che l'Adriatico, a differenza dell'acceso e fastoso Tirreno, male s'accorda, almeno agli occhi miei, con la spogliata moltitudine che da Giugno a. Settembre fa strepito per le sue rive. L'Adriatico è un mare pudico. Vestito com'è, dall'alba al tramonto, dei suoi ca6ti vapori e dei suoi teneri verdi, sembra abbriyidire con ribrezzo ad ogni apparizione di gamba ignuda, mormorando sotto sotto parole di protesta. Torna a distendersi in pace, e a ricantare in gloria, solo alla ricomparsa della luna. Ma la vergine luna è rispettabile, come tutti sanno, anche in istato di nudità. Si comprenderà quindi come all'ora del passeggio, apoteosi del quotidiano balletto balneare, io me ne vada da tutt'altra parte, per viottoli e canali, cercando d'internarmi quanto più possibile, e d'evitare iu ogni maniera la vista di quelle cabine allineate, la cui struttura uguale e sommaria mi ricorda un po' sempre quella dei cippi ili cimitero. Da quando, ragazzo, mi colpì una violenta caricatura dei bagni d'Ostenda disegnata dall'Ensor non c'è più spiaggia formicolali te di rachitidi umane che trovi grazia al mio sguardo ; e poiché anche il suo chiasso mi dispiace, cento volte più molesto delle mo sche ronzanti e del sole a picco così la pace e l'ordine dei campi mi sembrano, al paragone, cento volte più attraenti. In Roma gna, poi, la preferenza è irresistibile: e se il torto è mio, ne domando perdono ai lettori, oltre che ai compagni di villeggiatura. Quello che mi piace, qui, all'ora del passeggio solitario, è di veder spuntare ogni tanto, dietro un capanno che fuma, uno stollo che odora ; o al di là d'un tettuccio immobile, da cui geni'? una tortora o lacrima una gronda, una tenda_ rossa e gialla che 6Ì muove : cioè una vela romagnola che risale dal porticciolo, per via d'acqua, sino al cuore del paese. In verità le magliette della spiaggia, anche se colorite con la stessa vivacità, non sanno prendere tra il vento e la luce le stesse flessioni seducenti: impeti e mollezze, tensioni ed abbandoni in cui l'osservatore, con appena un poco di fantasia, vedrebbe disegnarsi tutte quelle movenze della grazia femminile che sì raramente le bagnanti, anche belle, esprimono nei loro guazzi disordinati e nei loro tuffi clamorosi. Poco lungi dai tuffi e dagli strilli balneari, non tarda la campagna a riavere un volto, uno sguardo. Si ripensano allora, insieme alle sue forme, i suoi spiriti. Risorgono essi alla vista dei cuore, l'uno appresso all'altro, vicini e lontani, noti ed ignoti, cari e meno cari. A pochi tratti di distanza riparlano Oriani e a o , o a Serra, Panzini e Corazzini. Qui Pascoli scendeva a piedi, e Oriani saliva in bicicletta: l'uno roseo e l'altro cupo, l'uno ascoltando la terra e l'altro il mare. Panzini scriveva a Bellaria, Moretti a Cesenatico. E Serra era vicino di casa a Beltramelli: non ultima ragione perchè non si potessero soffrire. Un poco oltre, a Cervia, stava Rino Alcssi ; e ancora un poco iu là Rambelli 10 scultore, Missiroli il filosofo, Pratella il musicista. Chi è dunque ancora vivo, e chi ancora presente fra tanti? Moretti, m'hanno detto. E m'hanno pure indicato la sua casa: a capo d'un ponte, rustica, sassosa, confusa per umiltà con altre della stessa ruvidezza : una casa senza te lefono, il cui silenzio, passandovi, mi ha fatto impressione. Forse per questo non ho valicato la soglia? Non so. Ancora me lo domando. C'è sempre qualche cosa che mi ferma anche nell'arte di questo scrittore, ch'è pure tanto forbito e che stimo tanto. C'è sempre un disaccordo, libro o casa, casa o persona, che sempre m'allontana da lui, pure così attento ad evitare in ogni tratto di penna, di parola, di contegno la menoma stonatura. Il disaccordo che non tollero, nel suo libro,.è l'ironia: quell'ironia rodente e persistente che non so conciliare con l'estremo garbo a cui s'accompagna; quell'ironia che sta in una prosa così fatta, d'una finezza e politezza di rosa bianca, non come un'ape, ma come un verme. Ma una pari, sebbene diversa discordanza, scopro adesso nella sua abitazione. Come può essere, quel petrame, 11 bozzolo d'un sì delicato baco da seta? Per ciò ne rifuggo sul punto d'entrarvi. Mi parrebbe di commettere un'indiscrezione. M'allontano con reverenza, ma senz'amore, anche dai luoghi di Panzini. In trent'anni che lo conobbi, mai mi riuscì di portare affetto a quel grandissimo. Uomini diffìcili come D'Annunzio o come Papini, ebbero immediatamente, fin dal primo incontro, tutta la mia giurata, appassionata devozione. Panzini no. Era in lui qualche cosa d'ostile, anche nella cortesia, e di avaro, anche nell'indulgenza, che il mio giovine cuore avvertì subito, fin dalla prima lezione ch'ebbe ad impartirmi in classe: con quella malavoglia ch'egli si metteva addosso, sia pure per ostentazione, ogni volta che saliva in cattedra ; quel fastidio, quel disgusto che gli vidi mostrare anche in trattoria, malgrado il vigoroso ap petite Ho ragione di credere ch'egli si vendicasse, avversando il prossimo, dell'avversità che per molti anni gli aveva inflitto il destino, condannando lui artista a una carica di professore — la stessa sorte per cui sofferse e fece soffrire Pirandello—, nè tut tavia posso dimenticare quella sera di lontana estate in cui, pranzando egli con me e col pit; tore Dudreville, ebbe a toglierei dalla sua solita, svaporata pigrizia per inveire, rosso di collera contro un sonatore ambulante in cui egli vedeva addirittura «il disonore d'Italia». 11 professore, certo, aveva ragione. Però l'artista aveva torto. Come poteva ignorare che in quel momento, anziché una lezione, avrebbe dovuto fare un'elemosina? Ora quando l'artista se ne accorse, era troppo tardi: clic il musicante se n'era andato, confuso di vergogna, proprio nel limito in cui il professore stava mettendo mano alla borsa. O perchè dunque anche certe pagine panziniane, a rileggerle, mi sembrano più pronte all'insegnamento che alla carità? F, perchè ancora oggi, persino quassù a Bellaria dove tanto ebbe a battere il cuore suo, non riesco ad amarlo come vorrei ? Ritrovo invece la memoria d'altri scomparsi, Oriani, Pascoli. Beltramelli: e rivela subito la mia incontro alla loro anima generosa, tra il fosco ardore della terra e il fresco palpito del mare. Se Pascoli fu il cuore e Oriani il cervello del «dolce pae6e« tra le due generazioni culminate nel conterraneo Mussolini, Beltramelli m'appare oggi come il volto suo stesso. Nessuno fra gli artisti e poeti della regione solatia le assomigliò tanto. 11 san- guo romagnolo può ben fare suo emblema di quel violento che fu un gentile, in quell'invasato che fu un savio, iu quel despota che mostrava i pugni al cielo ed alla terra, e poi discorreva coi poveri, scriveva pei fanciulli, sposava una mousmée. Quando la sua veemenza cedeva a mansuetudini improvvise, era allo stesso modo di certe bufere che, investendo l'Adriatico a tonfi e scrosci, 6Ì spengono d'un tratto nella dolcezza d'un ponentino. Comuni conoscenti me lo vanno rievocando tra la «Sisai e la n Sisella » : e cioè tra la casa aperta agli amici — ne ospitò sino a quindici per volta! — e il romitorio dove si nascondeva a scrivere quelle sue polemiche furiose, oppure quelle favole per bambini, al lume d'una lampada ad olio. Oh, quei suoi fieri discorsi alla sorella Maria, sbigottita tra il servirlo sempre e il non capirlo mai ; quelle urlate strepitose alla, fantesca che, disubbidendolo puntualmente, lo chiamava però a il signorino»; quel gridare, e poi quell'intenerirsi, e poi quel ridere della moglie giapponese, che nei momenti di burrasci] lo placava coi sette inchini rituali del suo paese; la delicata, trasognata, impalpabile sposa che «gli pareva di vetro», e che nei giorni di neve andava disegnandogli, col mignolo sul gelo delle finestre, tanti fiori di crisantemo! Ma le arrabbiature più grosse di Beltramelli erano quando, per errore, o per burla lo chiamavano Bontempelli ; oppure quando un ospite, uno dei quindici o venti, rifiutava di mangiare o di bere nella misura, sempre enorme, voluta dall'anfitrione. Allora minaociavs di « rompere un piatto », secondo il costume romagnolo ; e anche se il convitato obbediva, ingozzandosi sino allo spasimo, lo rompeva lo stesso, non più in segno di collera, ma d'allegria! a Benvenuti gli amici — era scritto sull'attico della «Sisa» — nella mia casa serena». E se la serenità non era proprio assoluta, lo era però la cordialità. Finito di mangiare, finalmente, la moglie intonava qualche canzone del Sol Levante, con una soavità d'accenti che inteneriva tutti, ma dispiaceva, purtroppo, a una scimmia di casa, che insorgeva allora con strilli d'inferno, bersagliando per vendetta le teste (lei commensali ! E per terminare la festa si partiva tutti, ammucchiati l'uno sull'altro se mancasse posto, sopra una sorte d'automobile preistorica, in forma di pagoda, pazzamente ornata d'emblemi floreali e servita da un valletto in divisa verde-ramarro, la quale aveva nome «La Disperata», e i cui segnali di tromba, intonati da quel paggio di strana uniforme, riempivano l'intera plaga di spavento, provocando un fuggi-fuggi da cataclisma. Era la sorella, benefica come sempre, che ritta in piedi sulla pagoda ambulante, con veri miracoli d'equilibrio, dava il segnale delle mucche impaurite o dei carrettieri riottosi al fratello pilota, il cui cappotto, irto dentro e fuori d'un nero pelo di belva, aumentava il terrore generale. E non si vorrà credere: ma in soli sei mesi di tragitto, la monumentale vettura consumò per ventimila lire fra gomme e freni ! Serra aveva accusato Beltramelli di mancare del «freh dell'arte», e Beltramelli voleva dimostrargli di possederne, almeno, come automobilista. Penso che la morte, adesso, abbia conciliato i due rivali ; e che al suono d'una tromba d'angelo, non più così tremenda come quella della «Disperata», insieme trascorrano gli spiriti, vigilando dall'alto la buona terra che insieme li ricorda, li valuta e li onora. Marco Ramperti A Sebastopoli: l'ampio torace di una delle statue che ornavano il monumento a Lenin, abbattuto, ha servito da tavola d'affissione per il proclama alla popolazione.

Luoghi citati: Cervia, Cesenatico, Italia, Pratella, Roma, Romagna, Sebastopoli