Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva di Giuseppe Piazza

Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva La porta del Caucaso definitivamente chiusa per la Russia sovietica Berlino, 27 luglio. Al trentesimo giorno dell'offensiva al fronte orientale, uno . sguardo soddisfatto all'indietro permette ai giornali del Reich di riassumere la grandezza dei risultati raggiunti in alcune cifre che sono quanto mai adatte a metterli in tutta evidenza. In trenta giorni — si osserva anzitutto — sono state compiute marce vittoriose in gran parte naturalmente sotto i più duri combattimenti, che in linea d'aria si riassumono nella cifra di ottocento chilometri e cioè duecento da Kursk a Voronez e seicento da Voronez al basso corso del Don; e da un paragone fatto con la campagna dèi 1940 in Francia, risulta che una analoga marcia, e cioè complessivamente dal confine tedesco a Calais per 300 chilometri e da Calais a Lione per cinquecento, fu allora compiuta in quarantasei giorni. Si rileva poi che questi trenta giorni di offensiva hanno raggiunto il risultato, certamente apprezzabile, di far crollare tutto intero un settore a sè del sistema di difesa sovietico, e cioè il fronte sud-orientale, ciò che in rapporto con la lunghezza della linea complessiva del fronte che era tenuto dalle truppe tedesche e alleate da Leningrado a Taganrog prima dell'offensiva, equivale alla terza parte dell'impero. In quanto al territorio occupato, come risultato ' tangibile e permanente della rapida operazione, si osserva come la zona di territorio tolta al nemico abbia una estensione di 160 mila chilometri quadrati, cioè che supera di diecimila chilometri quadrati all'incirca la superficie dell'intero «Regno d'Inghilterra», delle isole in- flesi cioè, senza l'Irlanda e la cozla. Intero settore crollato Per quanto riguarda infine le cifre del bottino e delle armi distrutte, esse non si conoscono ancora e si attendono dalle comunicazioni che il Comando supremo farà presumibilmente fra giorni. Una esemplificazione significativa tuttavia ne viene oggi fatta da un autorevole organo il quale precisa come soltanto nel settore di un Corpo d'Armata, presso Voronez, siano stati annientati limitatamente dal 10 luglio, settecentocinquanta carri armati, ciò che corrisponde a tre volte tanto il bottino «atto, insieme con le distruzioni operate in fatto di carri armati, nella battaglia di Kerc. Questo particolare dei settecentocinquanta carri armati distrutti davanti a Voronez — si aggiunge f>oi a complemento di questo blando di trenta giorni d'offensiva — è particolarmente adatto a dare un'idea non soltanto della gravità delle perdite bolsceviche, ma anche del grande valore che il Comando sovietivo annetteva a quella posizione che ha rappresentato in qualche modo la chiave di tutta l'operazione, valore che è anche dimostrato dal proseguire degli accaniti quanto disperati tentativi di ripresa che il nemico vi dedica. Su questi risultati e su queste constatazioni la stampa del Reich insiste principalmente nell'intento anche di rintuzzare le temerarie affermazioni di una parte della stampa nemica la quale ha ereduto di poter arzigogolare la in sinuazione che la presente offensiva sarebbe significativamente pigra e lenta in confronto di quel la « lampo > dell'estate scorsa; e si fa a questo riguardo efficacemente riflettere a codesti imprudenti arzigogolatori avversari, quali e quanti altri risultati le Armate del Reich possono ancora aspettarsi in confronto di questi raggiunti in soli trenta giorni, dato il fatto che esse ancora han no a propria disposizione almeno novanta giorni di utile attività operativa. Temerarie affermazioni rintuzzate « Non può far meraviglia in queste condizioni — cosi scrive la Nachtausgabe rilevando il valore della presa di Bataisk che suggella dal delta il possesso in mano tedesca di Rostov, « porta del Caucaso » — se da Mosca si è levato già fin da ieri il grido che è parso come una parola d'ordine, che « il Paese è in pericolo ». Su tutte le stazioni-radio sovietiche incorporate in tutti i servizi di notiziario, nonché sulle colonne di tutti i giornali, questa proposizione è stata diffusa a Mosca come una obbiettiva constatazione; ed è stata soltanto più tardi un'agenzia londinese che, preoccupata dall'effetto inquietante che questo allarmante appello avrebbe potuto avere sullo spirito pubblico in glese, lo ha munito di qualche parola tranquillante avvertendo che il grido lanciato dalla radio russa non deve tuttavia destare l'impressione che nella capitale sovie fica regni in alcun modo un'atmosfera di panico»; l'agenzia britannica, a buon conto, da parte sua non fa a meno di constatare che al fronte orientale la situazione è diventata quanto mai se ria. Non si può ancora a meno di rilevare, da parte della stampa tedesca, come fino a ieri a Mosca non sia stata nemmeno annunciata la perdita di Rostov e l'ultimo bollettino sovietico al riguardo tentasse ancora ieri sera di alimentare la convinzione che sulle rive del Don perdurino, incessate, attorno alla « porta del Caucaso» le più serie lotte; e la Pravda — nota ancora la Nachtausgabe che abbiamo citato — arrivava ad assicurare che, a costo di estremi sacrifici, Rostov possa essere ancora salvata. Nelle ultime ventiquattro ore, tuttavia, anche a Mosca si è incominciato a parlare, in comunicazioni ufficiali, della critica situazione sul basso Don dove, euferpi sticamente, il tentativo di impedire ai tedeschi il passaggio, incomincerebbe a « mostrare i suoi lati difficili ». Egualmente la Dcutcche Allge- mgmndttvsciedn meine Zeitung valuta al medesimo grado la ripercussione del fallimento dei piani di Timoscenko, nello spirito pubblico avversario. Anche la riva destra del, leggendario fiume è tolta al nemico e con questa conquista, Rostov « porta del Caucaso » è una porta chiusa definitivamente per la Russia sovietica. «La sola perdita di territorio — scrive l'autorevole organo — è per il nemico un colpo formidabile. E basta uno sguardo alla carta per accorgersi come non si tratti minimamente di « territori a piacere », cioè come il giornale si esDrime, di cui ia direzione bolscevica possa disporre a suo agio e che possa eventualmente sostituire a seconda del bisogno; non senza ragione Mosca ha ancora ieri annunciato ai russi e al mondo che il Paese russo è in pericolo ». Giuseppe Piazza Sulle strade della ritirata sovietica. (Weltibild). Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva La porta del Caucaso definitivamente chiusa per la Russia sovietica Berlino, 27 luglio. Al trentesimo giorno dell'offensiva al fronte orientale, uno . sguardo soddisfatto all'indietro permette ai giornali del Reich di riassumere la grandezza dei risultati raggiunti in alcune cifre che sono quanto mai adatte a metterli in tutta evidenza. In trenta giorni — si osserva anzitutto — sono state compiute marce vittoriose in gran parte naturalmente sotto i più duri combattimenti, che in linea d'aria si riassumono nella cifra di ottocento chilometri e cioè duecento da Kursk a Voronez e seicento da Voronez al basso corso del Don; e da un paragone fatto con la campagna dèi 1940 in Francia, risulta che una analoga marcia, e cioè complessivamente dal confine tedesco a Calais per 300 chilometri e da Calais a Lione per cinquecento, fu allora compiuta in quarantasei giorni. Si rileva poi che questi trenta giorni di offensiva hanno raggiunto il risultato, certamente apprezzabile, di far crollare tutto intero un settore a sè del sistema di difesa sovietico, e cioè il fronte sud-orientale, ciò che in rapporto con la lunghezza della linea complessiva del fronte che era tenuto dalle truppe tedesche e alleate da Leningrado a Taganrog prima dell'offensiva, equivale alla terza parte dell'impero. In quanto al territorio occupato, come risultato ' tangibile e permanente della rapida operazione, si osserva come la zona di territorio tolta al nemico abbia una estensione di 160 mila chilometri quadrati, cioè che supera di diecimila chilometri quadrati all'incirca la superficie dell'intero «Regno d'Inghilterra», delle isole in- flesi cioè, senza l'Irlanda e la cozla. Intero settore crollato Per quanto riguarda infine le cifre del bottino e delle armi distrutte, esse non si conoscono ancora e si attendono dalle comunicazioni che il Comando supremo farà presumibilmente fra giorni. Una esemplificazione significativa tuttavia ne viene oggi fatta da un autorevole organo il quale precisa come soltanto nel settore di un Corpo d'Armata, presso Voronez, siano stati annientati limitatamente dal 10 luglio, settecentocinquanta carri armati, ciò che corrisponde a tre volte tanto il bottino «atto, insieme con le distruzioni operate in fatto di carri armati, nella battaglia di Kerc. Questo particolare dei settecentocinquanta carri armati distrutti davanti a Voronez — si aggiunge f>oi a complemento di questo blando di trenta giorni d'offensiva — è particolarmente adatto a dare un'idea non soltanto della gravità delle perdite bolsceviche, ma anche del grande valore che il Comando sovietivo annetteva a quella posizione che ha rappresentato in qualche modo la chiave di tutta l'operazione, valore che è anche dimostrato dal proseguire degli accaniti quanto disperati tentativi di ripresa che il nemico vi dedica. Su questi risultati e su queste constatazioni la stampa del Reich insiste principalmente nell'intento anche di rintuzzare le temerarie affermazioni di una parte della stampa nemica la quale ha ereduto di poter arzigogolare la in sinuazione che la presente offensiva sarebbe significativamente pigra e lenta in confronto di quel la « lampo > dell'estate scorsa; e si fa a questo riguardo efficacemente riflettere a codesti imprudenti arzigogolatori avversari, quali e quanti altri risultati le Armate del Reich possono ancora aspettarsi in confronto di questi raggiunti in soli trenta giorni, dato il fatto che esse ancora han no a propria disposizione almeno novanta giorni di utile attività operativa. Temerarie affermazioni rintuzzate « Non può far meraviglia in queste condizioni — cosi scrive la Nachtausgabe rilevando il valore della presa di Bataisk che suggella dal delta il possesso in mano tedesca di Rostov, « porta del Caucaso » — se da Mosca si è levato già fin da ieri il grido che è parso come una parola d'ordine, che « il Paese è in pericolo ». Su tutte le stazioni-radio sovietiche incorporate in tutti i servizi di notiziario, nonché sulle colonne di tutti i giornali, questa proposizione è stata diffusa a Mosca come una obbiettiva constatazione; ed è stata soltanto più tardi un'agenzia londinese che, preoccupata dall'effetto inquietante che questo allarmante appello avrebbe potuto avere sullo spirito pubblico in glese, lo ha munito di qualche parola tranquillante avvertendo che il grido lanciato dalla radio russa non deve tuttavia destare l'impressione che nella capitale sovie fica regni in alcun modo un'atmosfera di panico»; l'agenzia britannica, a buon conto, da parte sua non fa a meno di constatare che al fronte orientale la situazione è diventata quanto mai se ria. Non si può ancora a meno di rilevare, da parte della stampa tedesca, come fino a ieri a Mosca non sia stata nemmeno annunciata la perdita di Rostov e l'ultimo bollettino sovietico al riguardo tentasse ancora ieri sera di alimentare la convinzione che sulle rive del Don perdurino, incessate, attorno alla « porta del Caucaso» le più serie lotte; e la Pravda — nota ancora la Nachtausgabe che abbiamo citato — arrivava ad assicurare che, a costo di estremi sacrifici, Rostov possa essere ancora salvata. Nelle ultime ventiquattro ore, tuttavia, anche a Mosca si è incominciato a parlare, in comunicazioni ufficiali, della critica situazione sul basso Don dove, euferpi sticamente, il tentativo di impedire ai tedeschi il passaggio, incomincerebbe a « mostrare i suoi lati difficili ». Egualmente la Dcutcche Allge- mgmndttvsciedn meine Zeitung valuta al medesimo grado la ripercussione del fallimento dei piani di Timoscenko, nello spirito pubblico avversario. Anche la riva destra del, leggendario fiume è tolta al nemico e con questa conquista, Rostov « porta del Caucaso » è una porta chiusa definitivamente per la Russia sovietica. «La sola perdita di territorio — scrive l'autorevole organo — è per il nemico un colpo formidabile. E basta uno sguardo alla carta per accorgersi come non si tratti minimamente di « territori a piacere », cioè come il giornale si esDrime, di cui ia direzione bolscevica possa disporre a suo agio e che possa eventualmente sostituire a seconda del bisogno; non senza ragione Mosca ha ancora ieri annunciato ai russi e al mondo che il Paese russo è in pericolo ». Giuseppe Piazza Sulle strade della ritirata sovietica. (Weltibild). Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva Una marcia di 800 chilometri in trenta giorni di offensiva La porta del Caucaso definitivamente chiusa per la Russia sovietica Berlino, 27 luglio. Al trentesimo giorno dell'offensiva al fronte orientale, uno . sguardo soddisfatto all'indietro permette ai giornali del Reich di riassumere la grandezza dei risultati raggiunti in alcune cifre che sono quanto mai adatte a metterli in tutta evidenza. In trenta giorni — si osserva anzitutto — sono state compiute marce vittoriose in gran parte naturalmente sotto i più duri combattimenti, che in linea d'aria si riassumono nella cifra di ottocento chilometri e cioè duecento da Kursk a Voronez e seicento da Voronez al basso corso del Don; e da un paragone fatto con la campagna dèi 1940 in Francia, risulta che una analoga marcia, e cioè complessivamente dal confine tedesco a Calais per 300 chilometri e da Calais a Lione per cinquecento, fu allora compiuta in quarantasei giorni. Si rileva poi che questi trenta giorni di offensiva hanno raggiunto il risultato, certamente apprezzabile, di far crollare tutto intero un settore a sè del sistema di difesa sovietico, e cioè il fronte sud-orientale, ciò che in rapporto con la lunghezza della linea complessiva del fronte che era tenuto dalle truppe tedesche e alleate da Leningrado a Taganrog prima dell'offensiva, equivale alla terza parte dell'impero. In quanto al territorio occupato, come risultato ' tangibile e permanente della rapida operazione, si osserva come la zona di territorio tolta al nemico abbia una estensione di 160 mila chilometri quadrati, cioè che supera di diecimila chilometri quadrati all'incirca la superficie dell'intero «Regno d'Inghilterra», delle isole in- flesi cioè, senza l'Irlanda e la cozla. Intero settore crollato Per quanto riguarda infine le cifre del bottino e delle armi distrutte, esse non si conoscono ancora e si attendono dalle comunicazioni che il Comando supremo farà presumibilmente fra giorni. Una esemplificazione significativa tuttavia ne viene oggi fatta da un autorevole organo il quale precisa come soltanto nel settore di un Corpo d'Armata, presso Voronez, siano stati annientati limitatamente dal 10 luglio, settecentocinquanta carri armati, ciò che corrisponde a tre volte tanto il bottino «atto, insieme con le distruzioni operate in fatto di carri armati, nella battaglia di Kerc. Questo particolare dei settecentocinquanta carri armati distrutti davanti a Voronez — si aggiunge f>oi a complemento di questo blando di trenta giorni d'offensiva — è particolarmente adatto a dare un'idea non soltanto della gravità delle perdite bolsceviche, ma anche del grande valore che il Comando sovietivo annetteva a quella posizione che ha rappresentato in qualche modo la chiave di tutta l'operazione, valore che è anche dimostrato dal proseguire degli accaniti quanto disperati tentativi di ripresa che il nemico vi dedica. Su questi risultati e su queste constatazioni la stampa del Reich insiste principalmente nell'intento anche di rintuzzare le temerarie affermazioni di una parte della stampa nemica la quale ha ereduto di poter arzigogolare la in sinuazione che la presente offensiva sarebbe significativamente pigra e lenta in confronto di quel la « lampo > dell'estate scorsa; e si fa a questo riguardo efficacemente riflettere a codesti imprudenti arzigogolatori avversari, quali e quanti altri risultati le Armate del Reich possono ancora aspettarsi in confronto di questi raggiunti in soli trenta giorni, dato il fatto che esse ancora han no a propria disposizione almeno novanta giorni di utile attività operativa. Temerarie affermazioni rintuzzate « Non può far meraviglia in queste condizioni — cosi scrive la Nachtausgabe rilevando il valore della presa di Bataisk che suggella dal delta il possesso in mano tedesca di Rostov, « porta del Caucaso » — se da Mosca si è levato già fin da ieri il grido che è parso come una parola d'ordine, che « il Paese è in pericolo ». Su tutte le stazioni-radio sovietiche incorporate in tutti i servizi di notiziario, nonché sulle colonne di tutti i giornali, questa proposizione è stata diffusa a Mosca come una obbiettiva constatazione; ed è stata soltanto più tardi un'agenzia londinese che, preoccupata dall'effetto inquietante che questo allarmante appello avrebbe potuto avere sullo spirito pubblico in glese, lo ha munito di qualche parola tranquillante avvertendo che il grido lanciato dalla radio russa non deve tuttavia destare l'impressione che nella capitale sovie fica regni in alcun modo un'atmosfera di panico»; l'agenzia britannica, a buon conto, da parte sua non fa a meno di constatare che al fronte orientale la situazione è diventata quanto mai se ria. Non si può ancora a meno di rilevare, da parte della stampa tedesca, come fino a ieri a Mosca non sia stata nemmeno annunciata la perdita di Rostov e l'ultimo bollettino sovietico al riguardo tentasse ancora ieri sera di alimentare la convinzione che sulle rive del Don perdurino, incessate, attorno alla « porta del Caucaso» le più serie lotte; e la Pravda — nota ancora la Nachtausgabe che abbiamo citato — arrivava ad assicurare che, a costo di estremi sacrifici, Rostov possa essere ancora salvata. Nelle ultime ventiquattro ore, tuttavia, anche a Mosca si è incominciato a parlare, in comunicazioni ufficiali, della critica situazione sul basso Don dove, euferpi sticamente, il tentativo di impedire ai tedeschi il passaggio, incomincerebbe a « mostrare i suoi lati difficili ». Egualmente la Dcutcche Allge- mgmndttvsciedn meine Zeitung valuta al medesimo grado la ripercussione del fallimento dei piani di Timoscenko, nello spirito pubblico avversario. Anche la riva destra del, leggendario fiume è tolta al nemico e con questa conquista, Rostov « porta del Caucaso » è una porta chiusa definitivamente per la Russia sovietica. «La sola perdita di territorio — scrive l'autorevole organo — è per il nemico un colpo formidabile. E basta uno sguardo alla carta per accorgersi come non si tratti minimamente di « territori a piacere », cioè come il giornale si esDrime, di cui ia direzione bolscevica possa disporre a suo agio e che possa eventualmente sostituire a seconda del bisogno; non senza ragione Mosca ha ancora ieri annunciato ai russi e al mondo che il Paese russo è in pericolo ». Giuseppe Piazza Sulle strade della ritirata sovietica. (Weltibild).