Storia di un battellino di gomma

Storia di un battellino di gomma Storia di un battellino di gomma L'inizio dei duri lavori per la riattivazione della base navale di Tobruk - Gli inglesi lasciarono intatti tortini e magazzini, ma distrussero sistematicamente mezzi navali e opere portuarie - Le prime imbarcazioni tirate a galla Tobruk, 25 luglio. Attraccato a un pontile semi distrutto del porto c'è un battelino pneumatico di gomma giala che spicca sull'acqua verde scura. Quello fu il primo mezzo navale del nostro Comando Marina di Tobruk. Lo trovammo fra i relitti di un aereo abbattuto sula costa della baia il giorno stesso dell'occupazione. Intanto s'era trovata la frusta Avevamo già fatto un attento giro dì ricognizione lungo la costa per scoprire qualche imbarcazione che ci permettesse di scendere in mare, ma il nemico aveva affondato tutti i suoi mezzi navai, col preciso scopo di ritardare il nostro lavóro dì riattivazione dela base navale di Tobruk. Soltanto verso il tramonto quasi per caso, piegato nel suo sacco, quel battellino di gomma che fu veramente un dono del cielo. Così 11 lavoro per rimettere in funzione certi servizi poteva incominciare. Ma ricordo che, dopo avere messo in mare il battellino, il Comandante ci disse che ci trovavamo nelle stesse condizioni di quel tale che, volendo avere un cavallo e un calesse, cominciò col comprare la frusta. La fortuna vi aveva aiuta to nel trovare la frusta. Tuttavia la storia del battellino di gomma gialla comincia a vivere lo stesso e nonostante le enormi difficoltà che i primi marinai italiani di Tobruk dovevano affrontare. La storia del battellino di gomma di Tobruk è un po' la storia che non è stata mai scritta delle occupazioni dei porti e degli ancoraggi libici da parte dei nostri marinai che marciano spalla a spalla con le valorose truppe di terra. E' una storia anche questa eroica della nostra Marina, scritta da pochi uomini che spesso devono interrompere il loro lavoro per correre alle armi. E' una storia di pionieri, di meccanici, calafati, palombari, nocchieri e torpedinieri. I marinai inglesi prima di abbandonare Tobruk distrussero e danneggiarono tutti gli impianti della base navale, dalle imbarca- imle.apapeffigrchcegadinunsupial'inapbamegudaaltquingradirezioni ai moli, dai depositi ai mac chinari, perchè era facile da pre vedere che noi avremmo cercato (U utilizzare al più presto il porto naturale di Tobruk per quelle "Pwazi°m navah c.hc necessariamente devono seguire i movimenti delle truppe di terra, special- e n e l e e a o d : o ¬ mente in una guerra come la nostra che è guerra di convogli. Le distruzioni nel porto Mentre nel porto bruciavano i depositi di nafta, i soldati inglesi della piazzaforte cedevano come uri sol uomo all'impeto aggressivo delle nostre forze motocorazzate e delle nostre eroiche fanterie, lasciando nelle nostre mani ingenti quantità di materiali bellici di ogni specie e di viveri. Quando arrivammo a Tobruk si ebbe subito la sensazione net-1 ta, precisa del crollo quasi istantaneo delle forze nemiche. Molti erano i fortini ancora intatti. Le postazioni di artiglieria contraerea e i nidi di mitragliatrici e le ridotte sembravano che fossero state abbandonate per un ordine MiniiiiiniiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiininiiiiiiiiiiiiiiiii desialnispnnscrdsl'masodhndadmeltserimvMqvmal Il colonnello Gerardo Vaiarini, citato dal bollettino n. 787 per essersi particolarmente segnalato alla testa del suo 65" Reggimento Fanteria « Trieste » sul fronte egiziano. a a a o à e i - improvviso di franchigia generale. Il senso della disfatta nemica appariva non solo da tutti quegli apprestamenti militari ancora in efficienza, ma soprattutto dai greggi terrorizzati di prigionieri che cercavano un campo di concentramento e dai ricchissimi magazzini di viveri con le loro ordinate cataste di cassette. C'era un senso di libera uscita; mentre sulla fascia più fortificata della piazzaforte pareva che pesasse l'incubo di una epidemia. Le prime distruzioni infatti ci apparvero quando arrivammo alla base navale. Allora si ebbe finalmente una visione tragica della guerra: i relitti delle navi affondate che esprimono più di ogni altro il senso della morte, direi quasi di una doppia morte. Ogni inglese ha una mentalità marinara secondo la quale bisogna giudicare la caduta di Tobruk per de ogbilmee arrtamla chiimlittrarto, navfiadismeficpiatermagioasperendersi conto della importanza] avpapoloo e n- i eogohe re aik t-1 nti Le ele ro ne iiii delia nostra vittoria e del duriS' simo colpo che l'Asse ha inflitto | alla potenza e al prestigio britannico. D'altra parte non si possono spiegare le distruzioni fatte dal nemico negli impianti della base navale a differenza di quelle quasi trascurabili nella zona fortificata, se non si considera una caratteristica mentalità marinara dei nostri nemici e la posizione strategica di Tobruk, alla quale l'Ammiragliato inglese teneva in modo particolare per non cadere anche con lo schieramento navale sotto la pressione delle truppe dell'Asse. Primi recuperi L'importanza che gli inglesi hanno sempre annesso alle basi navali e ai porti e agli ancoraggi, da Bengasi a Derna, da Tobruk a Sollum fino a Marsa Matruh, è dimostrata non solo dalle difese, ma soprattutto dalle distruzioni effettuate prima della resa o della fuga con perfetta regola d'arte, senza nemmeno dimenticare di stendere una insidiosa rete di esplosivi e di mine di vario genere per intralciare in tutti i modi il nostro lavoro di ricupero dei mezzi e di riattivazione dei servizi portuali. Perciò la gente della Marina a terra, quella gente alla quale si pensa cosi di rado, ha lavorato « accanitamente » per rimettere in efficienza i porti e gli ancoraggi lasciati dai nemico nelle nostre mani. Pensate, per esempio, ad un porto con le banchine distrutte; pensate alle grue cadute sul pontile, pensate a un porto senza nemmeno un piccolo battello a remi per scendere in mare quando nella rada sia entrato anche un modesto veliero con il suo carico prezioso da mettere in terra; pensate a quel comandante che senza mezzi di comunicazione deve dirottare anche un piccolo convo glio verso un'altra base perchè all'imboccatura del porto II nemi co ha lanciato mine magnetiche ma soprattutto pensate all'imperiosa necessità di scaricare i rifornimenti per le truppe, armi, vi veri, munizioni e benzina quando ni, er ag » nei porti appena evacuati dal ne mico non vi è più un mezzo per la discarica dei piroscafi. Potrei continuare ancora a enumerare le difficoltà che si sono presentate alla gente di questa Marina, per cui il caso del battellino di gomma che trovammo a Tobruk fu una vera manna caduta dal cielo per essere subito varata in mare. Allora ecco in breve la storia del battellino. Due uomini scesero in mare col battello e riuscirono a imbragare una grossa imbarcazione affondata e stendere la cima fino a terra. Con l'aiuto poi di un « brenn carrier », un carro blindato inglese, si tirò l'imbarcazione con la poppa quasi sotto il molo per issarla sugli scogli e farla affiorare. Due calafati si calarono in acqua e turarono alla meglio la falla con una latta aperta di biscotti inglesi. Con la bassa marea aifiorù tut\p l'orlo dell'imbarcazione. Si mise mano allora ai buglioli per vuotare la barca e per ridarle una spinta di galleggiamento. Dopo alcune ore avevamo ricuperato una seconda imbarcazione. Con questa piccola, umile vittoria il lavoro cominciò a ingranare... La storia del battellino di gomma nasconde — il lettore può ben capirlo — altri particolari più drammatici, più umani, più eroici che purtroppo non si possono raccontare. Tuttavia la storia del battellino di gomma gialla è stata uno spunto per ricordare la gente della Marina a terra, quella gente che riceve i convogli, che provve- trgvasaercacotetulelusphcnnccmsdvrssvcmvRPataucspstiuinmpStg de alla discarica dei materiali con ogni mezzo possibile e immaginabile, che lavora sotto i bombardamenti, che « s'arrangia » sempre e che marcia con le truppe per arrivare presto. E questa gente lavora « accanitamente », lotta col martello e con la fiamma ossidrica, riattiva macchinari, risolleva imbarcazioni, improvvisa zattere, smantella i relitti delle navi affondate per liberare lo specchio d'acqua del porto, trasforma la carcassa di una nave in un pontile, lotta contro le fiamme degli spezzoni incendiari, disattiva le mine, stende sbarramenti: provvede, insomma, all'efficienza di una base dove ogni impianto è distrutto. La Marina a terra non conosce soste, non ha mai riposo; lavora e combatte giorno e notte per proteggere e assicurare i rifornimenti alle truppe che ormai sono andate più ] avanti. I pionieri della Marina preparano e difendono la testata del ponte che le navi tracciano nella loro rotta dall'Italia all'Africa. | Vero Roberti

Persone citate: Gerardo Vaiarini, Vero Roberti

Luoghi citati: Africa, Bengasi, Derna, Italia, Tobruk, Trieste