Corteggiamenti e baci

Corteggiamenti e baci FASTI E NEFASTI DELL'INGIURIA 4 Corteggiamenti e baci Anche gli sguardi possono essere offensivi del decoro, ma con più frequenza sono tali per la donna le audaci insistenze ed i baci non corrisposti . Anche gli « sguardi Insistenti minacciosi e provocanti, rivolti intenzionalmente ad una persona, possono considerarsi offensivi del decoro». E' l'ultimo verbo della corte suprema, la quale aveva pur sentenziato che « non è far Ingiuria ghignare sul viso e sputare al passaggio altrui,' senza dirigere 10 sputo contro la persona ». Il salto è notevole, ma non si tratta d'una di quelle svolte con cui la giurisprudenza cerca scandire le variazioni della sensibilità collettiva. La capacità vulnerativa degli sguardi insistenti e provocanti è stata ammessa in tema di oltraggio. E si sa, per generale esperienza, che la suscettibilità di una guardia campestre o del più oscuro e maldestro incaricato di pubblico servizio travalica di gran lunga quella del privato cittadino, anche il più illustre e il più dotto, sorpassa, in intensità e sottigliezza, quella, a mo' d'esempio, dello scienziato e del cattedratico, del filosofo e dell'artista, mentre è notorio, d'altro canto, che a questa estrema e quasi morbosa-suscettibilità, la legge usa fare concessioni larghissime. A cavalcioni dell'offensore Il fenomeno ha avuto una netta accentuazione attraverso le codificazioni recenti, ma era in atto già In passato. Ed anche nei tempi più antichi e remoti. Senonchè allora, 11 sistema repressivo era, forse, più giudizioso. Non si affidava a criteri di preconcetto rigore nella incriminazione dell'offesa, giungendo a scoprirla, come usa oggi, nella vaporosità di un atteggiamento o nell'indeterminatezza di un gesto, soltanto perchè l'offeso ha funzioni che lo distinguono dal privato cittadino, ma, restando in ogni caso inalterato 11 criterio valutatore dell'offesa, commisurava le sanzioni od il « quid » del soddisfacimento alla condizione ed alle funzioni sociali dell'offeso. Tipica e pittoresca, fra le scale metriche previste dalle antiche legislazioni, quella in vigore presso gli abitanti di Irlanda, dove le classi cittadine essendo distinte pel numero dei colori del loro abito in questo modo: artigiani colori 1, soldati 2, ufficiali 3, esercenti l'ospitalità 4, nobili 5, storiografi e dotti 6, principi del sangue 7, la graduazione delle sanzioni seguiva questa classificazione ed a chiunque erano palesi preventivamente i pericoli e le conseguenze dell'offesa, anche se accadeva che la collisione avvenisse con uno sconosciuto. Non si vuole affermare con questo che i sistemi punitivi passati fossero esenti da incongruenze ed eccessi, che, anzi, abbondavano di eccessi, e proprio degli eccessi peggiori. A prescindere dalla di stinzione fra liberi e schiavi, che rendeva legittimo per i primi quel 10 che per gli altri non era, già 11 diritto romano e poi, quasi invariabilmente, le leggi del tempo di mezzo, consentivano all'offeso, se l'offensore era di condizione umile o spregevole, di reagire vio lentemente. Secondo lo statuto di Ivrea, ad es., se l'offesa era fatta da persona vile (meretrix, ribaldila, joculator, furiosus vel niente^ captus) l'offeso poteva bastonarlo anche con effusione di sangue, seppure non con pericolo di vita. Lo statuto di Novara consentiva ogni più atroce oltraggio alle me retrici, quello di Cremona distin gueva fra abitanti della città e della campagna e sanciva per le offese recate da questi agli altri una pena doppia di quella che era prevista per le offese tra cittadini e cittadini. Particolari umiliazioni, infine, potevano venire imposte all'offensore, similmente a quanto è previsto ancor oggi del diritto consuetudinario dell'Eritrea, dove, secondo lo statuto di Sahartl, Lamza e Uocartl, riconosciuto dalle nostre leggi, chi offende un altro dandogli dell'* asino » deve pagare una grossa multa e lasciarsi cavalcare dall'offeso. « Vigliacchissimo becco » La sensibilità, all'onore non era, comunque, minore nel tempi andati che ai giorni nostri. Era, anzi, più accentuata, che la -.: sola idea, la sola possibilità, il solo timore dello scredito Inducevano a sacrificargli la vita o ad esporsi al pericolo di perderla ». Il gladiatore romano vicino ad esalare l'ultimo respiro, si guardava dal dare segni di debolezza o dall'alleviare il dolore con un sospiro per timore di essere fischiato dal pubblico. A Sparta, Il cittadino che era fuggito dalla battaglia diveniva Inabile a qualunque Impiego, non poteva feperare parentela con chicchessia, poteva essere battuto senza avere il diritto di lagnarsi o di ribellarsi, doveva vestire stoffe grossolane e comparire in pubblico semiraso, si che una tale prospettiva suscitava tanto orrore fra gli spartani, da indurre anche i vili a trasformarsi in eroi e ad esporsl alla morte più certa. Ma egualmente pungente era il timore del ridicolo, ed i romani, sempre dignitosi e cautelati, « costumavano, ritornando dai loro viaggi, darne avviso preventivo alle loro spose » per diminuire il rischio di apparire ridicoli agli occhi dei conoscenti e del vicinato. Oggi, su questo tema delicato, le opinioni sono meno fondate, la tolleranza notevolmente maggiore, la stessa giurisprudenza più incerta o più blanda. A Padova, in una di quelle riunioni che si'sogliono dire mondane, una signora udì qualificare suo marito « vigliacchissimo becco ». 'Ella si querelò per il disdoro che la qualifica attribuita al marito riverberava sulla sua persona, ma il tribunale escluse che l'espressione usata dal querelato fosse lesiva della sua reputazione. In passato, il fatto avrebbe avuto tutt'altra valutazione. Ed anche l'eroe della vicenda, 11 « vigliacchissimo becco », sarebbe incorso nel fulmini della legge. Implacabile contro la donna adultera, lo statuto di Ferrara non lo era meno contro il marito che passava sopra alle infedeltà della moglie. Lo dannava al ludibrio di « essere tratto per le pubbliche strade, sopra una carretta, ornato la fronte di due corna di becco o di bue »; terribile estrosa e paradossale trovata dell'antico legislatore, il quale, per accentuare il carattere del le pene « derisorie », cui era affidata per gran parte l'efficacia della repressione, non si peritava di ricorrere a quel motivi popolareschi che egli stesso puniva, con spietata crudezza, allorché erano utilizzati come meccanismo ingiurioso! Alla porta di casa E che ti motivo emblematico delle corna fosse utilizzato con estrema larghezza in tutto l'evo di mezzo, è provato dalla generalità con cui ebbe a dispiegarsi l'intervento del legislatore. Sul vecchio tema le variazioni sono oggi puramente verbali (a Bari, durante un litigio con un concorrente, un commerciante si senti apostrofare: « Cornutone superbo, coi danari portati da quella... di tua moglie »; a Viterbo, al suo giungere al caffè, un tale si senti dire da un cliente che sbarrava l'Ingresso: «Entrate, signore, che ci sono le corna », e nelj'un caso e nell'altro la cassazione, rifacen dosi al significato loro attribuito dalla lingua parlata, soggiunse che le parole corna e cornuto rivelano obiettivamente e subiettivamente l'animus iniuriandi), ma nel secoli passati le variazioni avevano un carattere più concreto e consistevano nel far trovare appese alla porta di casa della persona che si voleva dileggiare un vistoso palo di coma. Di qui, in rapporto al carattere reale dell'offesa, 11 rigore delle sanzioni: « tre tratti di corda o cinque anni di bando », secondo lo statuto di Corsica; cento scudi d'oro o « altra maggior pena sino alla galera Inoluslvamente », secondo i decreti del Monferrato; la morte, addirittura, secondo una prammatica napoletana del 1587 che annullava quella di alcuni anni prima secondo cui « aflgentes corrala in domibus » erano puniti con dieci anni di galera. E le sanzioni non restavano sènza applicazione. Racconta il SabeHico che Antonio Venterò, doge di Venezia sullo scorcio del XIV secolo, firmò la condanna alla prigionia perpetua lnf Inflitta all'unico suo figlio Luigi perchè aveva legato corna di bue alla porta di casa del marito di una sua amante. Improntate ad eguale rigore erano le sanzioni con cui 1 legislatori dei secoli di mezzo colpivano il bacio cosidetto violento, il bacio che ancor oggi è ritenuto ingiurioso. Ma non è sempre facile, nella pratica, distinguere 11 bacio che e diretto a ferire l'onore da quello che, consapevolmente o inconsapevolmente, è lesivo del pudore. « Che il bacio possa significare ingiuria — ha detto la cassazione — è apprezzamento di fatto ». Ed il supremo collegio ha chiarito che per « ben determinare la speciale criminosità di un atto, di sua natura non equivoco, ma oltremodo equivoco, di per se stesso ambiguo, come, astrattamente considerato, è il bacio, occorre avere speciale riguardo all'elemento volitivo dell'agente, alla sua intenzione ed allo scopo ohe egli si fosse prefisso di raggiungere a mezzo di quell'atto, il quale, a seconda dei casi può anche mirare a un fine lecito onesto e tutt'altro che impudico ». Su questa direttiva, la corte di Catanzaro ha sentenziato di recente che « qualche bacio e qualche abbraccio, dati ad una donna più per saggiare la sua arrendevolezza che per altro, costituiscono ingiuria ». Ma la decisione non è piaciuta alla dottrina ed ha fatto inorridire quelle correnti secondo cui il bacio è sempre impudico ed il bacio violento, se costituisce ingiuria, costituisce, altresì, offesa al pudore, giacché agli astanti produce la « stessa impressione di turbamento aggravata dal contrasto delle due volontà e dalla visione della prepotente brutalità di chi bacia, che il bacio erotico consensualmente scambiato ». Diffidare dell'amor platonico! Eccessi o fisime di dottrinari? Può darsi. La corte di Catanzaro non è venuta meno, comunque, all'ortodossia quando ha affermato che il « mettere le mani sul seno di una donna, se non un reato più grave costituisce certamente quello di ingiuria ». Su questo tema la prassi è più netta ed anche la dottrina più uniforme e concorde. Ingiuria è stato ritenuto dalla cassazione il « tentativo di alzare le vesti ad una donna per scoprirne le nudità », giacché non si alzano, sia pure per tentativo, le vesti ad una donna perchè bella e per fare omaggio alla sua bellezza, ma si alzano per guardarne le nudità e soddisfare la propria concupiscenza. E in questo risiede il dolo, che la donna racchiude in massima parte, appunto, il suo de coro nel tenere gelosamente na scosta la propria nudità e lo sco prlrgliela apporta offesa alla sua personalità. Ma non occorre tonto, secondo la patria giurisprudenza, per integrare il reato di in giuria. All'Inizio del secolo era stato ritenuto che « una lettera amorosa indirizzata ad una donna maritata, onesta, costituisce Ingiuria, poiché si reputa questa donna capace di accettare sentimenti che sono incompatibili coi suoi doveri » ed il vecchio principio non è stato smentito dalle elaborazioni giurisprudenziali che sono seguite. I corteggiatori, soprattutto quelli che usano procedere speditamente, ma anche quelli che si Illudono di agire sempre correttamente, han da guardarsi, poiché l'ingiuria può balenare anche nelle variazioni più evanescenti della galanteria. Se è pacifico ed apodittico che P ingiuria sussiste nel fatto « di chi fermi una donna, le faccia proposte oscene, e la tiri per la veste», di chi- < con parole o atti manifesti ad una donna one sta e per giunta maritata propo siti libidinosi», anche nella sem p d a o pllce « proposta di un bacio ad una giovanetta ben si ravvisa il reato di Ingiuria », mentre 11 «corteggiamento di una donna può dar vita al reato ogni volta che « per le condizioni familiari della donna e per la continuità ed il carattere degli atti, possa com promettere il suo decoro ». Sulla trama di questi capisaldi indicati dalla cassazione, il pretore di San Miniato è arrivato oltre ed ha giudicato che « desiderando la donna altrui, l'uomo è da ritenersi colpevole di ingiuria se il suo desiderio manifesta con frasi o con richieste di amore che offendono la dignità di una donna ». La sentenza ha fatto chiasso, molto più di quanto non ne avesse fatto la vicenda nel plcciol borgo di Ponte a Egola, che ne era stato 11 teatro, ed in nome di essa han finito coll'accaplgliarsl gli interpreti del diritto. Con ieratica severità il pretore aveva affermato che < si può indulgere alla passione che trabocca dal cuore di un giovane e ritenerla non offensiva per la fanciulla che, inconsapevolmente, la suscita, ma non si può non ritenere ingiuriosa la brama di un uomo per una donna che vive onestamente, fedele al marito e nella più assoluta compiacenza della sua maternità ». E su questa via aveva concluso: «Il solo proposito di attentare all'onore di una mamma è ingiurioso; più ingiurioso, ancore, l'averle scritto Voglio baciare le tue fresche lab bra». E perchè? s'è chiesto la dottrina. Ogni donna deve reputarsi fortunata di avere il suo Cirano, e il desiderio di- baciare la donna amata non può, in niun caso, essere appreso come qualche cosa che vada al di là del platonismo. — E dunque — ha incalzato il Paoli, confutando ancora la tesi del pretoro secondo cui « bisogna sempre diffidare del cosidetto amor platonico » — tutte le volte che un uomo dichiara il proprio amore a una donna maritata, le fa ingiuria? Fece ingiuria Paolo Malatesta a Francesca da Rimlnl? E Dante Alighieri, scrivendo la Vita Nova e la Divina Commedia, ingiuriò, forse, Beatrice Portinari? ■ A dispetto del chiasso suscitato, la sentenza non è stata modificata. E il chiasso si rinnoverà, possiamo esserne certi, allorché una analoga fattispecie si proietterà sullo schermo della giustizia. Ma ci sarà da attendere, forse, che l'opinione delle donne non collima sempre con i principi banditi dalla sentenza di S. Miniato! Superate, Invece, sono le polemiche della dottrina Intorno al carattere ingiurioso dello schiaffo. Due tendenze si contrastavano a questo proposito, mentre una tendenza intermedia sosteneva che lo schiaffo costituisce reato di lcslo ne, anche se dato ni fine di in giuriare, ove produca un danno al corpo, anche se consistente in un semplice dolore fisico, mentre se non vi è danno al corpo si ha semplice Ingiùria. Col nuovo codice, lo schiaffo dà luogo al reato di percossa. E non è detto che la pena possa essere minore. Ingiuria rimane, per contro, come per l'addietro, il taglio dei baffi della barba e del capelli quando avvenga con violenza e per sprezzo. La giurisprudenza tramanda i casi dei deputati Maffi e Ciriani, ma le fila dell'orientamento repressivo si perdono nella notte dei tempi: sotto le prime razze dei Franchi era ingiuria grave tagliare le chiome a taluno, giacché, i gradi di nobiltà si misuravano dalla lunghezza delle chiome e lo schiavo, che rappresentava lo zero sul termometro sociale, doveva essere raso. E la pena per la tonsura era rapportata a quella per l'omicidio: 600 scudi doro per questo, 62 per quella. Francesco Argenta Si tolgono le mine seminate dagli inglesi sul fronte africano. Corteggiamenti e baci FASTI E NEFASTI DELL'INGIURIA 4 Corteggiamenti e baci Anche gli sguardi possono essere offensivi del decoro, ma con più frequenza sono tali per la donna le audaci insistenze ed i baci non corrisposti . Anche gli « sguardi Insistenti minacciosi e provocanti, rivolti intenzionalmente ad una persona, possono considerarsi offensivi del decoro». E' l'ultimo verbo della corte suprema, la quale aveva pur sentenziato che « non è far Ingiuria ghignare sul viso e sputare al passaggio altrui,' senza dirigere 10 sputo contro la persona ». Il salto è notevole, ma non si tratta d'una di quelle svolte con cui la giurisprudenza cerca scandire le variazioni della sensibilità collettiva. La capacità vulnerativa degli sguardi insistenti e provocanti è stata ammessa in tema di oltraggio. E si sa, per generale esperienza, che la suscettibilità di una guardia campestre o del più oscuro e maldestro incaricato di pubblico servizio travalica di gran lunga quella del privato cittadino, anche il più illustre e il più dotto, sorpassa, in intensità e sottigliezza, quella, a mo' d'esempio, dello scienziato e del cattedratico, del filosofo e dell'artista, mentre è notorio, d'altro canto, che a questa estrema e quasi morbosa-suscettibilità, la legge usa fare concessioni larghissime. A cavalcioni dell'offensore Il fenomeno ha avuto una netta accentuazione attraverso le codificazioni recenti, ma era in atto già In passato. Ed anche nei tempi più antichi e remoti. Senonchè allora, 11 sistema repressivo era, forse, più giudizioso. Non si affidava a criteri di preconcetto rigore nella incriminazione dell'offesa, giungendo a scoprirla, come usa oggi, nella vaporosità di un atteggiamento o nell'indeterminatezza di un gesto, soltanto perchè l'offeso ha funzioni che lo distinguono dal privato cittadino, ma, restando in ogni caso inalterato 11 criterio valutatore dell'offesa, commisurava le sanzioni od il « quid » del soddisfacimento alla condizione ed alle funzioni sociali dell'offeso. Tipica e pittoresca, fra le scale metriche previste dalle antiche legislazioni, quella in vigore presso gli abitanti di Irlanda, dove le classi cittadine essendo distinte pel numero dei colori del loro abito in questo modo: artigiani colori 1, soldati 2, ufficiali 3, esercenti l'ospitalità 4, nobili 5, storiografi e dotti 6, principi del sangue 7, la graduazione delle sanzioni seguiva questa classificazione ed a chiunque erano palesi preventivamente i pericoli e le conseguenze dell'offesa, anche se accadeva che la collisione avvenisse con uno sconosciuto. Non si vuole affermare con questo che i sistemi punitivi passati fossero esenti da incongruenze ed eccessi, che, anzi, abbondavano di eccessi, e proprio degli eccessi peggiori. A prescindere dalla di stinzione fra liberi e schiavi, che rendeva legittimo per i primi quel 10 che per gli altri non era, già 11 diritto romano e poi, quasi invariabilmente, le leggi del tempo di mezzo, consentivano all'offeso, se l'offensore era di condizione umile o spregevole, di reagire vio lentemente. Secondo lo statuto di Ivrea, ad es., se l'offesa era fatta da persona vile (meretrix, ribaldila, joculator, furiosus vel niente^ captus) l'offeso poteva bastonarlo anche con effusione di sangue, seppure non con pericolo di vita. Lo statuto di Novara consentiva ogni più atroce oltraggio alle me retrici, quello di Cremona distin gueva fra abitanti della città e della campagna e sanciva per le offese recate da questi agli altri una pena doppia di quella che era prevista per le offese tra cittadini e cittadini. Particolari umiliazioni, infine, potevano venire imposte all'offensore, similmente a quanto è previsto ancor oggi del diritto consuetudinario dell'Eritrea, dove, secondo lo statuto di Sahartl, Lamza e Uocartl, riconosciuto dalle nostre leggi, chi offende un altro dandogli dell'* asino » deve pagare una grossa multa e lasciarsi cavalcare dall'offeso. « Vigliacchissimo becco » La sensibilità, all'onore non era, comunque, minore nel tempi andati che ai giorni nostri. Era, anzi, più accentuata, che la -.: sola idea, la sola possibilità, il solo timore dello scredito Inducevano a sacrificargli la vita o ad esporsi al pericolo di perderla ». Il gladiatore romano vicino ad esalare l'ultimo respiro, si guardava dal dare segni di debolezza o dall'alleviare il dolore con un sospiro per timore di essere fischiato dal pubblico. A Sparta, Il cittadino che era fuggito dalla battaglia diveniva Inabile a qualunque Impiego, non poteva feperare parentela con chicchessia, poteva essere battuto senza avere il diritto di lagnarsi o di ribellarsi, doveva vestire stoffe grossolane e comparire in pubblico semiraso, si che una tale prospettiva suscitava tanto orrore fra gli spartani, da indurre anche i vili a trasformarsi in eroi e ad esporsl alla morte più certa. Ma egualmente pungente era il timore del ridicolo, ed i romani, sempre dignitosi e cautelati, « costumavano, ritornando dai loro viaggi, darne avviso preventivo alle loro spose » per diminuire il rischio di apparire ridicoli agli occhi dei conoscenti e del vicinato. Oggi, su questo tema delicato, le opinioni sono meno fondate, la tolleranza notevolmente maggiore, la stessa giurisprudenza più incerta o più blanda. A Padova, in una di quelle riunioni che si'sogliono dire mondane, una signora udì qualificare suo marito « vigliacchissimo becco ». 'Ella si querelò per il disdoro che la qualifica attribuita al marito riverberava sulla sua persona, ma il tribunale escluse che l'espressione usata dal querelato fosse lesiva della sua reputazione. In passato, il fatto avrebbe avuto tutt'altra valutazione. Ed anche l'eroe della vicenda, 11 « vigliacchissimo becco », sarebbe incorso nel fulmini della legge. Implacabile contro la donna adultera, lo statuto di Ferrara non lo era meno contro il marito che passava sopra alle infedeltà della moglie. Lo dannava al ludibrio di « essere tratto per le pubbliche strade, sopra una carretta, ornato la fronte di due corna di becco o di bue »; terribile estrosa e paradossale trovata dell'antico legislatore, il quale, per accentuare il carattere del le pene « derisorie », cui era affidata per gran parte l'efficacia della repressione, non si peritava di ricorrere a quel motivi popolareschi che egli stesso puniva, con spietata crudezza, allorché erano utilizzati come meccanismo ingiurioso! Alla porta di casa E che ti motivo emblematico delle corna fosse utilizzato con estrema larghezza in tutto l'evo di mezzo, è provato dalla generalità con cui ebbe a dispiegarsi l'intervento del legislatore. Sul vecchio tema le variazioni sono oggi puramente verbali (a Bari, durante un litigio con un concorrente, un commerciante si senti apostrofare: « Cornutone superbo, coi danari portati da quella... di tua moglie »; a Viterbo, al suo giungere al caffè, un tale si senti dire da un cliente che sbarrava l'Ingresso: «Entrate, signore, che ci sono le corna », e nelj'un caso e nell'altro la cassazione, rifacen dosi al significato loro attribuito dalla lingua parlata, soggiunse che le parole corna e cornuto rivelano obiettivamente e subiettivamente l'animus iniuriandi), ma nel secoli passati le variazioni avevano un carattere più concreto e consistevano nel far trovare appese alla porta di casa della persona che si voleva dileggiare un vistoso palo di coma. Di qui, in rapporto al carattere reale dell'offesa, 11 rigore delle sanzioni: « tre tratti di corda o cinque anni di bando », secondo lo statuto di Corsica; cento scudi d'oro o « altra maggior pena sino alla galera Inoluslvamente », secondo i decreti del Monferrato; la morte, addirittura, secondo una prammatica napoletana del 1587 che annullava quella di alcuni anni prima secondo cui « aflgentes corrala in domibus » erano puniti con dieci anni di galera. E le sanzioni non restavano sènza applicazione. Racconta il SabeHico che Antonio Venterò, doge di Venezia sullo scorcio del XIV secolo, firmò la condanna alla prigionia perpetua lnf Inflitta all'unico suo figlio Luigi perchè aveva legato corna di bue alla porta di casa del marito di una sua amante. Improntate ad eguale rigore erano le sanzioni con cui 1 legislatori dei secoli di mezzo colpivano il bacio cosidetto violento, il bacio che ancor oggi è ritenuto ingiurioso. Ma non è sempre facile, nella pratica, distinguere 11 bacio che e diretto a ferire l'onore da quello che, consapevolmente o inconsapevolmente, è lesivo del pudore. « Che il bacio possa significare ingiuria — ha detto la cassazione — è apprezzamento di fatto ». Ed il supremo collegio ha chiarito che per « ben determinare la speciale criminosità di un atto, di sua natura non equivoco, ma oltremodo equivoco, di per se stesso ambiguo, come, astrattamente considerato, è il bacio, occorre avere speciale riguardo all'elemento volitivo dell'agente, alla sua intenzione ed allo scopo ohe egli si fosse prefisso di raggiungere a mezzo di quell'atto, il quale, a seconda dei casi può anche mirare a un fine lecito onesto e tutt'altro che impudico ». Su questa direttiva, la corte di Catanzaro ha sentenziato di recente che « qualche bacio e qualche abbraccio, dati ad una donna più per saggiare la sua arrendevolezza che per altro, costituiscono ingiuria ». Ma la decisione non è piaciuta alla dottrina ed ha fatto inorridire quelle correnti secondo cui il bacio è sempre impudico ed il bacio violento, se costituisce ingiuria, costituisce, altresì, offesa al pudore, giacché agli astanti produce la « stessa impressione di turbamento aggravata dal contrasto delle due volontà e dalla visione della prepotente brutalità di chi bacia, che il bacio erotico consensualmente scambiato ». Diffidare dell'amor platonico! Eccessi o fisime di dottrinari? Può darsi. La corte di Catanzaro non è venuta meno, comunque, all'ortodossia quando ha affermato che il « mettere le mani sul seno di una donna, se non un reato più grave costituisce certamente quello di ingiuria ». Su questo tema la prassi è più netta ed anche la dottrina più uniforme e concorde. Ingiuria è stato ritenuto dalla cassazione il « tentativo di alzare le vesti ad una donna per scoprirne le nudità », giacché non si alzano, sia pure per tentativo, le vesti ad una donna perchè bella e per fare omaggio alla sua bellezza, ma si alzano per guardarne le nudità e soddisfare la propria concupiscenza. E in questo risiede il dolo, che la donna racchiude in massima parte, appunto, il suo de coro nel tenere gelosamente na scosta la propria nudità e lo sco prlrgliela apporta offesa alla sua personalità. Ma non occorre tonto, secondo la patria giurisprudenza, per integrare il reato di in giuria. All'Inizio del secolo era stato ritenuto che « una lettera amorosa indirizzata ad una donna maritata, onesta, costituisce Ingiuria, poiché si reputa questa donna capace di accettare sentimenti che sono incompatibili coi suoi doveri » ed il vecchio principio non è stato smentito dalle elaborazioni giurisprudenziali che sono seguite. I corteggiatori, soprattutto quelli che usano procedere speditamente, ma anche quelli che si Illudono di agire sempre correttamente, han da guardarsi, poiché l'ingiuria può balenare anche nelle variazioni più evanescenti della galanteria. Se è pacifico ed apodittico che P ingiuria sussiste nel fatto « di chi fermi una donna, le faccia proposte oscene, e la tiri per la veste», di chi- < con parole o atti manifesti ad una donna one sta e per giunta maritata propo siti libidinosi», anche nella sem p d a o pllce « proposta di un bacio ad una giovanetta ben si ravvisa il reato di Ingiuria », mentre 11 «corteggiamento di una donna può dar vita al reato ogni volta che « per le condizioni familiari della donna e per la continuità ed il carattere degli atti, possa com promettere il suo decoro ». Sulla trama di questi capisaldi indicati dalla cassazione, il pretore di San Miniato è arrivato oltre ed ha giudicato che « desiderando la donna altrui, l'uomo è da ritenersi colpevole di ingiuria se il suo desiderio manifesta con frasi o con richieste di amore che offendono la dignità di una donna ». La sentenza ha fatto chiasso, molto più di quanto non ne avesse fatto la vicenda nel plcciol borgo di Ponte a Egola, che ne era stato 11 teatro, ed in nome di essa han finito coll'accaplgliarsl gli interpreti del diritto. Con ieratica severità il pretore aveva affermato che < si può indulgere alla passione che trabocca dal cuore di un giovane e ritenerla non offensiva per la fanciulla che, inconsapevolmente, la suscita, ma non si può non ritenere ingiuriosa la brama di un uomo per una donna che vive onestamente, fedele al marito e nella più assoluta compiacenza della sua maternità ». E su questa via aveva concluso: «Il solo proposito di attentare all'onore di una mamma è ingiurioso; più ingiurioso, ancore, l'averle scritto Voglio baciare le tue fresche lab bra». E perchè? s'è chiesto la dottrina. Ogni donna deve reputarsi fortunata di avere il suo Cirano, e il desiderio di- baciare la donna amata non può, in niun caso, essere appreso come qualche cosa che vada al di là del platonismo. — E dunque — ha incalzato il Paoli, confutando ancora la tesi del pretoro secondo cui « bisogna sempre diffidare del cosidetto amor platonico » — tutte le volte che un uomo dichiara il proprio amore a una donna maritata, le fa ingiuria? Fece ingiuria Paolo Malatesta a Francesca da Rimlnl? E Dante Alighieri, scrivendo la Vita Nova e la Divina Commedia, ingiuriò, forse, Beatrice Portinari? ■ A dispetto del chiasso suscitato, la sentenza non è stata modificata. E il chiasso si rinnoverà, possiamo esserne certi, allorché una analoga fattispecie si proietterà sullo schermo della giustizia. Ma ci sarà da attendere, forse, che l'opinione delle donne non collima sempre con i principi banditi dalla sentenza di S. Miniato! Superate, Invece, sono le polemiche della dottrina Intorno al carattere ingiurioso dello schiaffo. Due tendenze si contrastavano a questo proposito, mentre una tendenza intermedia sosteneva che lo schiaffo costituisce reato di lcslo ne, anche se dato ni fine di in giuriare, ove produca un danno al corpo, anche se consistente in un semplice dolore fisico, mentre se non vi è danno al corpo si ha semplice Ingiùria. Col nuovo codice, lo schiaffo dà luogo al reato di percossa. E non è detto che la pena possa essere minore. Ingiuria rimane, per contro, come per l'addietro, il taglio dei baffi della barba e del capelli quando avvenga con violenza e per sprezzo. La giurisprudenza tramanda i casi dei deputati Maffi e Ciriani, ma le fila dell'orientamento repressivo si perdono nella notte dei tempi: sotto le prime razze dei Franchi era ingiuria grave tagliare le chiome a taluno, giacché, i gradi di nobiltà si misuravano dalla lunghezza delle chiome e lo schiavo, che rappresentava lo zero sul termometro sociale, doveva essere raso. E la pena per la tonsura era rapportata a quella per l'omicidio: 600 scudi doro per questo, 62 per quella. Francesco Argenta Si tolgono le mine seminate dagli inglesi sul fronte africano. Corteggiamenti e baci FASTI E NEFASTI DELL'INGIURIA 4 Corteggiamenti e baci Anche gli sguardi possono essere offensivi del decoro, ma con più frequenza sono tali per la donna le audaci insistenze ed i baci non corrisposti . Anche gli « sguardi Insistenti minacciosi e provocanti, rivolti intenzionalmente ad una persona, possono considerarsi offensivi del decoro». E' l'ultimo verbo della corte suprema, la quale aveva pur sentenziato che « non è far Ingiuria ghignare sul viso e sputare al passaggio altrui,' senza dirigere 10 sputo contro la persona ». Il salto è notevole, ma non si tratta d'una di quelle svolte con cui la giurisprudenza cerca scandire le variazioni della sensibilità collettiva. La capacità vulnerativa degli sguardi insistenti e provocanti è stata ammessa in tema di oltraggio. E si sa, per generale esperienza, che la suscettibilità di una guardia campestre o del più oscuro e maldestro incaricato di pubblico servizio travalica di gran lunga quella del privato cittadino, anche il più illustre e il più dotto, sorpassa, in intensità e sottigliezza, quella, a mo' d'esempio, dello scienziato e del cattedratico, del filosofo e dell'artista, mentre è notorio, d'altro canto, che a questa estrema e quasi morbosa-suscettibilità, la legge usa fare concessioni larghissime. A cavalcioni dell'offensore Il fenomeno ha avuto una netta accentuazione attraverso le codificazioni recenti, ma era in atto già In passato. Ed anche nei tempi più antichi e remoti. Senonchè allora, 11 sistema repressivo era, forse, più giudizioso. Non si affidava a criteri di preconcetto rigore nella incriminazione dell'offesa, giungendo a scoprirla, come usa oggi, nella vaporosità di un atteggiamento o nell'indeterminatezza di un gesto, soltanto perchè l'offeso ha funzioni che lo distinguono dal privato cittadino, ma, restando in ogni caso inalterato 11 criterio valutatore dell'offesa, commisurava le sanzioni od il « quid » del soddisfacimento alla condizione ed alle funzioni sociali dell'offeso. Tipica e pittoresca, fra le scale metriche previste dalle antiche legislazioni, quella in vigore presso gli abitanti di Irlanda, dove le classi cittadine essendo distinte pel numero dei colori del loro abito in questo modo: artigiani colori 1, soldati 2, ufficiali 3, esercenti l'ospitalità 4, nobili 5, storiografi e dotti 6, principi del sangue 7, la graduazione delle sanzioni seguiva questa classificazione ed a chiunque erano palesi preventivamente i pericoli e le conseguenze dell'offesa, anche se accadeva che la collisione avvenisse con uno sconosciuto. Non si vuole affermare con questo che i sistemi punitivi passati fossero esenti da incongruenze ed eccessi, che, anzi, abbondavano di eccessi, e proprio degli eccessi peggiori. A prescindere dalla di stinzione fra liberi e schiavi, che rendeva legittimo per i primi quel 10 che per gli altri non era, già 11 diritto romano e poi, quasi invariabilmente, le leggi del tempo di mezzo, consentivano all'offeso, se l'offensore era di condizione umile o spregevole, di reagire vio lentemente. Secondo lo statuto di Ivrea, ad es., se l'offesa era fatta da persona vile (meretrix, ribaldila, joculator, furiosus vel niente^ captus) l'offeso poteva bastonarlo anche con effusione di sangue, seppure non con pericolo di vita. Lo statuto di Novara consentiva ogni più atroce oltraggio alle me retrici, quello di Cremona distin gueva fra abitanti della città e della campagna e sanciva per le offese recate da questi agli altri una pena doppia di quella che era prevista per le offese tra cittadini e cittadini. Particolari umiliazioni, infine, potevano venire imposte all'offensore, similmente a quanto è previsto ancor oggi del diritto consuetudinario dell'Eritrea, dove, secondo lo statuto di Sahartl, Lamza e Uocartl, riconosciuto dalle nostre leggi, chi offende un altro dandogli dell'* asino » deve pagare una grossa multa e lasciarsi cavalcare dall'offeso. « Vigliacchissimo becco » La sensibilità, all'onore non era, comunque, minore nel tempi andati che ai giorni nostri. Era, anzi, più accentuata, che la -.: sola idea, la sola possibilità, il solo timore dello scredito Inducevano a sacrificargli la vita o ad esporsi al pericolo di perderla ». Il gladiatore romano vicino ad esalare l'ultimo respiro, si guardava dal dare segni di debolezza o dall'alleviare il dolore con un sospiro per timore di essere fischiato dal pubblico. A Sparta, Il cittadino che era fuggito dalla battaglia diveniva Inabile a qualunque Impiego, non poteva feperare parentela con chicchessia, poteva essere battuto senza avere il diritto di lagnarsi o di ribellarsi, doveva vestire stoffe grossolane e comparire in pubblico semiraso, si che una tale prospettiva suscitava tanto orrore fra gli spartani, da indurre anche i vili a trasformarsi in eroi e ad esporsl alla morte più certa. Ma egualmente pungente era il timore del ridicolo, ed i romani, sempre dignitosi e cautelati, « costumavano, ritornando dai loro viaggi, darne avviso preventivo alle loro spose » per diminuire il rischio di apparire ridicoli agli occhi dei conoscenti e del vicinato. Oggi, su questo tema delicato, le opinioni sono meno fondate, la tolleranza notevolmente maggiore, la stessa giurisprudenza più incerta o più blanda. A Padova, in una di quelle riunioni che si'sogliono dire mondane, una signora udì qualificare suo marito « vigliacchissimo becco ». 'Ella si querelò per il disdoro che la qualifica attribuita al marito riverberava sulla sua persona, ma il tribunale escluse che l'espressione usata dal querelato fosse lesiva della sua reputazione. In passato, il fatto avrebbe avuto tutt'altra valutazione. Ed anche l'eroe della vicenda, 11 « vigliacchissimo becco », sarebbe incorso nel fulmini della legge. Implacabile contro la donna adultera, lo statuto di Ferrara non lo era meno contro il marito che passava sopra alle infedeltà della moglie. Lo dannava al ludibrio di « essere tratto per le pubbliche strade, sopra una carretta, ornato la fronte di due corna di becco o di bue »; terribile estrosa e paradossale trovata dell'antico legislatore, il quale, per accentuare il carattere del le pene « derisorie », cui era affidata per gran parte l'efficacia della repressione, non si peritava di ricorrere a quel motivi popolareschi che egli stesso puniva, con spietata crudezza, allorché erano utilizzati come meccanismo ingiurioso! Alla porta di casa E che ti motivo emblematico delle corna fosse utilizzato con estrema larghezza in tutto l'evo di mezzo, è provato dalla generalità con cui ebbe a dispiegarsi l'intervento del legislatore. Sul vecchio tema le variazioni sono oggi puramente verbali (a Bari, durante un litigio con un concorrente, un commerciante si senti apostrofare: « Cornutone superbo, coi danari portati da quella... di tua moglie »; a Viterbo, al suo giungere al caffè, un tale si senti dire da un cliente che sbarrava l'Ingresso: «Entrate, signore, che ci sono le corna », e nelj'un caso e nell'altro la cassazione, rifacen dosi al significato loro attribuito dalla lingua parlata, soggiunse che le parole corna e cornuto rivelano obiettivamente e subiettivamente l'animus iniuriandi), ma nel secoli passati le variazioni avevano un carattere più concreto e consistevano nel far trovare appese alla porta di casa della persona che si voleva dileggiare un vistoso palo di coma. Di qui, in rapporto al carattere reale dell'offesa, 11 rigore delle sanzioni: « tre tratti di corda o cinque anni di bando », secondo lo statuto di Corsica; cento scudi d'oro o « altra maggior pena sino alla galera Inoluslvamente », secondo i decreti del Monferrato; la morte, addirittura, secondo una prammatica napoletana del 1587 che annullava quella di alcuni anni prima secondo cui « aflgentes corrala in domibus » erano puniti con dieci anni di galera. E le sanzioni non restavano sènza applicazione. Racconta il SabeHico che Antonio Venterò, doge di Venezia sullo scorcio del XIV secolo, firmò la condanna alla prigionia perpetua lnf Inflitta all'unico suo figlio Luigi perchè aveva legato corna di bue alla porta di casa del marito di una sua amante. Improntate ad eguale rigore erano le sanzioni con cui 1 legislatori dei secoli di mezzo colpivano il bacio cosidetto violento, il bacio che ancor oggi è ritenuto ingiurioso. Ma non è sempre facile, nella pratica, distinguere 11 bacio che e diretto a ferire l'onore da quello che, consapevolmente o inconsapevolmente, è lesivo del pudore. « Che il bacio possa significare ingiuria — ha detto la cassazione — è apprezzamento di fatto ». Ed il supremo collegio ha chiarito che per « ben determinare la speciale criminosità di un atto, di sua natura non equivoco, ma oltremodo equivoco, di per se stesso ambiguo, come, astrattamente considerato, è il bacio, occorre avere speciale riguardo all'elemento volitivo dell'agente, alla sua intenzione ed allo scopo ohe egli si fosse prefisso di raggiungere a mezzo di quell'atto, il quale, a seconda dei casi può anche mirare a un fine lecito onesto e tutt'altro che impudico ». Su questa direttiva, la corte di Catanzaro ha sentenziato di recente che « qualche bacio e qualche abbraccio, dati ad una donna più per saggiare la sua arrendevolezza che per altro, costituiscono ingiuria ». Ma la decisione non è piaciuta alla dottrina ed ha fatto inorridire quelle correnti secondo cui il bacio è sempre impudico ed il bacio violento, se costituisce ingiuria, costituisce, altresì, offesa al pudore, giacché agli astanti produce la « stessa impressione di turbamento aggravata dal contrasto delle due volontà e dalla visione della prepotente brutalità di chi bacia, che il bacio erotico consensualmente scambiato ». Diffidare dell'amor platonico! Eccessi o fisime di dottrinari? Può darsi. La corte di Catanzaro non è venuta meno, comunque, all'ortodossia quando ha affermato che il « mettere le mani sul seno di una donna, se non un reato più grave costituisce certamente quello di ingiuria ». Su questo tema la prassi è più netta ed anche la dottrina più uniforme e concorde. Ingiuria è stato ritenuto dalla cassazione il « tentativo di alzare le vesti ad una donna per scoprirne le nudità », giacché non si alzano, sia pure per tentativo, le vesti ad una donna perchè bella e per fare omaggio alla sua bellezza, ma si alzano per guardarne le nudità e soddisfare la propria concupiscenza. E in questo risiede il dolo, che la donna racchiude in massima parte, appunto, il suo de coro nel tenere gelosamente na scosta la propria nudità e lo sco prlrgliela apporta offesa alla sua personalità. Ma non occorre tonto, secondo la patria giurisprudenza, per integrare il reato di in giuria. All'Inizio del secolo era stato ritenuto che « una lettera amorosa indirizzata ad una donna maritata, onesta, costituisce Ingiuria, poiché si reputa questa donna capace di accettare sentimenti che sono incompatibili coi suoi doveri » ed il vecchio principio non è stato smentito dalle elaborazioni giurisprudenziali che sono seguite. I corteggiatori, soprattutto quelli che usano procedere speditamente, ma anche quelli che si Illudono di agire sempre correttamente, han da guardarsi, poiché l'ingiuria può balenare anche nelle variazioni più evanescenti della galanteria. Se è pacifico ed apodittico che P ingiuria sussiste nel fatto « di chi fermi una donna, le faccia proposte oscene, e la tiri per la veste», di chi- < con parole o atti manifesti ad una donna one sta e per giunta maritata propo siti libidinosi», anche nella sem p d a o pllce « proposta di un bacio ad una giovanetta ben si ravvisa il reato di Ingiuria », mentre 11 «corteggiamento di una donna può dar vita al reato ogni volta che « per le condizioni familiari della donna e per la continuità ed il carattere degli atti, possa com promettere il suo decoro ». Sulla trama di questi capisaldi indicati dalla cassazione, il pretore di San Miniato è arrivato oltre ed ha giudicato che « desiderando la donna altrui, l'uomo è da ritenersi colpevole di ingiuria se il suo desiderio manifesta con frasi o con richieste di amore che offendono la dignità di una donna ». La sentenza ha fatto chiasso, molto più di quanto non ne avesse fatto la vicenda nel plcciol borgo di Ponte a Egola, che ne era stato 11 teatro, ed in nome di essa han finito coll'accaplgliarsl gli interpreti del diritto. Con ieratica severità il pretore aveva affermato che < si può indulgere alla passione che trabocca dal cuore di un giovane e ritenerla non offensiva per la fanciulla che, inconsapevolmente, la suscita, ma non si può non ritenere ingiuriosa la brama di un uomo per una donna che vive onestamente, fedele al marito e nella più assoluta compiacenza della sua maternità ». E su questa via aveva concluso: «Il solo proposito di attentare all'onore di una mamma è ingiurioso; più ingiurioso, ancore, l'averle scritto Voglio baciare le tue fresche lab bra». E perchè? s'è chiesto la dottrina. Ogni donna deve reputarsi fortunata di avere il suo Cirano, e il desiderio di- baciare la donna amata non può, in niun caso, essere appreso come qualche cosa che vada al di là del platonismo. — E dunque — ha incalzato il Paoli, confutando ancora la tesi del pretoro secondo cui « bisogna sempre diffidare del cosidetto amor platonico » — tutte le volte che un uomo dichiara il proprio amore a una donna maritata, le fa ingiuria? Fece ingiuria Paolo Malatesta a Francesca da Rimlnl? E Dante Alighieri, scrivendo la Vita Nova e la Divina Commedia, ingiuriò, forse, Beatrice Portinari? ■ A dispetto del chiasso suscitato, la sentenza non è stata modificata. E il chiasso si rinnoverà, possiamo esserne certi, allorché una analoga fattispecie si proietterà sullo schermo della giustizia. Ma ci sarà da attendere, forse, che l'opinione delle donne non collima sempre con i principi banditi dalla sentenza di S. Miniato! Superate, Invece, sono le polemiche della dottrina Intorno al carattere ingiurioso dello schiaffo. Due tendenze si contrastavano a questo proposito, mentre una tendenza intermedia sosteneva che lo schiaffo costituisce reato di lcslo ne, anche se dato ni fine di in giuriare, ove produca un danno al corpo, anche se consistente in un semplice dolore fisico, mentre se non vi è danno al corpo si ha semplice Ingiùria. Col nuovo codice, lo schiaffo dà luogo al reato di percossa. E non è detto che la pena possa essere minore. Ingiuria rimane, per contro, come per l'addietro, il taglio dei baffi della barba e del capelli quando avvenga con violenza e per sprezzo. La giurisprudenza tramanda i casi dei deputati Maffi e Ciriani, ma le fila dell'orientamento repressivo si perdono nella notte dei tempi: sotto le prime razze dei Franchi era ingiuria grave tagliare le chiome a taluno, giacché, i gradi di nobiltà si misuravano dalla lunghezza delle chiome e lo schiavo, che rappresentava lo zero sul termometro sociale, doveva essere raso. E la pena per la tonsura era rapportata a quella per l'omicidio: 600 scudi doro per questo, 62 per quella. Francesco Argenta Si tolgono le mine seminate dagli inglesi sul fronte africano.

Persone citate: Antonio Venterò, Beatrice Portinari, Ciriani, Dante Alighieri, Francesco Argenta, Maffi, Paolo Malatesta, Vita Nova