Banchi di scuola

Banchi di scuolaBanchi di scuola Non v'è iiulla di più malinconico che entrare in una scuola deserta, dove non si muove nessuno, neppur l'ombra di un bidello. Nei corridoi anche il sole semhra stagnare ; l'odoro che viene dal legno e dai pavimenti ò odore inerte ; i muri scrostati sono squallidi. Ad aprire, poi qualcuna delle tante porte chiuse sul corridoio, le aule vi danno un senso desolato d'abbandono e di vuoto. E' come trovarsi davanti al leito abbandonato e secco di un torrente: la vita è defluita di là e ciò che la conteneva resta misero e inutile. La vita d'una scuola è la scolaresca, senza di essa la Bcuola rimane come uno stampo, una buccia lasciata da parte. Questa impressione ebbi un giorno di vacanza ch'ero ' salito alla mia scuola, per prendere alcuni quaderni. Nel silenzio mi parve d'udire allontanarsi, quasi con un'ultima eco di giubilo, la fiumana di vita ch'ero solito trovare là dentro. E con la fiumana s'allontanava anche quell'aria di vivacità che è come il sangue sotto la pelle austera della scuola ; ne rimaneva solo la maschera, screpolata e non senza un ghigno di stanchezza. Allora, dentro quei muri vuoti, in quei baTichi deserti mi piacque immaginarmi la folla di tutte le generazioni d'allievi che Stano passati davanti a me. Un ^hare di facce, balenante d'ochi, un tumulto d'espressioni, i roprio come 1e onde: fronti aggrondate, umili, superbe; bocche tremanti, fresche, ridenti; mani esili, incerte, solide; e movimenti di spalle e capi improvvisamente chini quasi che un vento li piegasse. Difficile orientarmi, scoprire in quella folla presentatasi di colpo alla mia memoria, le gingole fisonomie, isolarne gli individui. Eppure sapevo che quell'insieme fluttuante di giovani non era qualche cosa di generico, che si potesse catalogare schematicamente e lasciar lì ; ma erano persone vive, e come vive, ognuna col suo destino, con la sua volontà, con la sua propria anima. Negli anni ch'essi erano stati miei allievi, avevo cercato di conoscerli a uno a uno, di scriitari^ quanto più m'era possibile nel fondo della loro tenera per- . eonalità, vincendo quell'inerzia che spesse volte preclude proprio all'educatore la relazione ; veramente spirituale con l'allievo. Sentivo ancora in me lo sforzo di distinguere i singoli nella collettività, di seguire le espressioni caratteristiche dei loro animi, di non adoperare una misura astratta per giudicarli. Anche così, molti m'erano sfuggiti, non li ricordavo più, le loro fisonomie sbiadivano, stingevano una nell'altra. Erair pascati come passa l'acqua sotto un ponte fermo: la vita li aveva portati con sé, Come prima di venire su ^fuei banchi, sotto i miei occhi, tutto di loro mi era ignoto, così, dopo esser stati qualche anno con me, mi sfuggivano ancora. Anche incontrandoli per la strada non li avrei forse più riconosciuti. Questo restare aperta al flusso delle generazioni, d'essere un campo di semina che non raccoglie per sé i frutti ma affida le piante cresciute sul suo suolo alla corrente della vita, è il destino malinconico ma generoso della scuola. Eppure quanti altri m'erau rimasti vivi nella memoria. Li rivedevo ancora con 1 immaginazione nell'aula, al loro posto; rio, vocavo precisi il timbro della loro voce, il colore © l'intensità dei loro sguardi ; certuni aperti nel volto adolescente, spontanei negli atteggiamenti; cert'altri complicati o enigmistici, soverchiamente timidi e chiusi in se stessi. Le ragazze, tanto diverse dai maschi anche nella 'loro ostontata collegialità con questi ; quelle loro espressioni o audaci o in sordina, ma sempre istintivamente femminili, quel loro equilibrio già formato. Avrei potuto chiamare ognuno col suo nome e con ognuno discorrere, rammentando insieme piccoli episodi, scenette comiche o drammatiche : e sapevo il sorriso con cui quello m'avrebbe risposto, e lo sguardo fuggitivo dell'altra e la foga a,scatti del terzo. Ma qualche cosa era in me fin dal primo momento che m'ero guardato intorno in quei corridoi e in quelle aule deserte, qualche cosa che mi dolorava dentro e che trovava inquieta rispondenza in quel mio aggirarmi fra ombre di ricordi, nella scuola vuota, in cui il sole del pomeriggio, entrando dai finestroni chiusi, formava delle pozze calde di luce come in una serra abbandonata. Era un sentimento che mi spingeva a scegliere in qualche modo tra la fiumana dei giovani che la vita trasporta con se e alcune ombre che, già staccate dalla corrente, si appartavano in un'austera solitudine, fisse in una loro figura indimenticabile. Ecco che la folla tumultuosa arretrava per lasciare il posto a un gruppo di giovani. Solenne pallore sui loro volti e quella composta pace che trasfigura le creature di questa terra, quando non si muovono più tra i vivi, ma vivono nell'anima e dell'anima di chi li ricorda. Una fiera commozione mi prese in quel vuoto silenzio, una dolce intimità fra quei muri nudr, carezzati dal sole. A uno a uno d giovani mi guadavano. Aule lontane, aule dei primi anni del mio insegnamento ; e, in una, ecco risaltarmi un banco e, nel banco, due occhi neri che mi guardano e non m'abbandonano ; due occhi ia cui cova un fuoco intenso; volontà e intelligenza fuse insieme ; e quando scendo da quegli occhi alla bocca sottile, serrata, trovo la stessa volontà anche più decisa e ta¬ gqofsftarlsNadmSdDnpbdtvrfEcfsmamsrilggpspeasBvnilscpmvtp■ « - - — **■ 6U.en.te. NICCOLO' GIANI. E- o e n a i i a i i o i é e o i l gli non-ha mutato da allora; quel fuoco che covava nei suoi occhi d'adolescente, è lo stesso fuoco che più tardi doveva consumarlo nell'azione e nel sacrifizio. Un'altra aula. Il sorriso aperto d'un fanciullo biondo, che accoglie tutto con ingenua sicurezza ; e nelle sue iridi azzurre la vita si rispecchia come in una spera di gioiosa fiducia, EUGENIO COSCIANI. Con lo stesso aperto sorriso di fanciullo egli deve esser andato incontro alla morte. Un altro mi prende per mano. Sorride anche lui dal suo volto di mistico santo. AURELIO VEDOVI. Ha sguardo perduto nel cielo, dov'è la sua passione ; passione di volare, a cui ha abbandonato il peso troppo grave della vita.' MANLIO RAVASINI è taciturno, chiuso nel suo bellissimo volto; sembra assente con lo spirito, che forse naviga lento, tra fantasie e ricordi, eugli oceani. E un giorno «ri suo idrovolante colpito; piomberà in una soia di fuoco nel Canale di Tunisi. ■ FURIO NODUS tiene come il solito la testa china e la sua timidezza gli fa venire le fiamme al viso ogni volta che lo solleva, ma dai suoi occhi mobili e fondi sprazza la luce d'un cuore generoso. Come deve aver sollevato il capo quel giorno a Monte Golico, che al nemico lo colpì alla gola con una raffica di mitragliatrice. E sono tornati scolari : mi pare che l'austerità dei loro volti si sia trasformata in vivace o pensosa espressione d'adolescenza e che sotto le loro guance scorra ancora il sangue della vita. Sono seduti nei loro vecchi banchi e Be li guardano, contenti di ritrovarli com'erano allora. Qui hanno sostato pochi anni, ma anni intensi, che lasciano traccia. Me li vogliono ricordare, e vedo che sulle loro labbra c'è una leggera commozione. Niccolò fissa un punto lontano: * fin da allora », mi par ohe mormori : ' < scorgevo !a mia mèta e l'ho raggiunta »j il fuoco dei suoi occhi si placa, lo sguardo s'intenerisce, egli volge un poco il capo verso la sua compagna di banco: è la dolce sorella Pierina che gli stava sempre a lato e trepidava per lui, a ogni interrogazione, stupita delia temerarietà della sua intelligenza. Cosciani ride con la sua bocca abbagliante: « lo studio pesava, ma la gioconda vita ci sorrideva anche qua, dalle finestre, da ogni spuntò umano che venisse a rallegrare la lezione; tutto è facile, tutto si supera, quando si ha la gioia nel cuore » ; e io vedo nell'ombra sua madre che lo accompagnava, timida custode del figlio così prodigo. E Aurelio, arrossendo; mi ricorda le sue pagine di diario sui suoi primi voli a vela; Ravasini non parla, ma mi fa capire ch'egli attendeva la prova e che nessun destino lo spaventava; mentre Furio non sa vincere neppur ora la sua timidità e capisco ch'egli vuol dire, quasi domandandomi scusa, che tutto è stato semplice e naturale. A lungo m'ero fermato a discorrere con loro, tanto che mi avvidi che il sole lasciava i muri scrostati e scivolava con lunghi raggi giù dal soffitto. Il silenzio, i banchi deserti, il vuoto della scuola mi ridiedero il senso di desolazione che avevo provato nell'entrarvi. Ma domani il fiume delle generazioni che passano avrebbe riempito quel vuoto, l'avrebbe fatto risonare della propria vita. Grani Stuparich mi Banchi di scuolaBanchi di scuola Non v'è iiulla di più malinconico che entrare in una scuola deserta, dove non si muove nessuno, neppur l'ombra di un bidello. Nei corridoi anche il sole semhra stagnare ; l'odoro che viene dal legno e dai pavimenti ò odore inerte ; i muri scrostati sono squallidi. Ad aprire, poi qualcuna delle tante porte chiuse sul corridoio, le aule vi danno un senso desolato d'abbandono e di vuoto. E' come trovarsi davanti al leito abbandonato e secco di un torrente: la vita è defluita di là e ciò che la conteneva resta misero e inutile. La vita d'una scuola è la scolaresca, senza di essa la Bcuola rimane come uno stampo, una buccia lasciata da parte. Questa impressione ebbi un giorno di vacanza ch'ero ' salito alla mia scuola, per prendere alcuni quaderni. Nel silenzio mi parve d'udire allontanarsi, quasi con un'ultima eco di giubilo, la fiumana di vita ch'ero solito trovare là dentro. E con la fiumana s'allontanava anche quell'aria di vivacità che è come il sangue sotto la pelle austera della scuola ; ne rimaneva solo la maschera, screpolata e non senza un ghigno di stanchezza. Allora, dentro quei muri vuoti, in quei baTichi deserti mi piacque immaginarmi la folla di tutte le generazioni d'allievi che Stano passati davanti a me. Un ^hare di facce, balenante d'ochi, un tumulto d'espressioni, i roprio come 1e onde: fronti aggrondate, umili, superbe; bocche tremanti, fresche, ridenti; mani esili, incerte, solide; e movimenti di spalle e capi improvvisamente chini quasi che un vento li piegasse. Difficile orientarmi, scoprire in quella folla presentatasi di colpo alla mia memoria, le gingole fisonomie, isolarne gli individui. Eppure sapevo che quell'insieme fluttuante di giovani non era qualche cosa di generico, che si potesse catalogare schematicamente e lasciar lì ; ma erano persone vive, e come vive, ognuna col suo destino, con la sua volontà, con la sua propria anima. Negli anni ch'essi erano stati miei allievi, avevo cercato di conoscerli a uno a uno, di scriitari^ quanto più m'era possibile nel fondo della loro tenera per- . eonalità, vincendo quell'inerzia che spesse volte preclude proprio all'educatore la relazione ; veramente spirituale con l'allievo. Sentivo ancora in me lo sforzo di distinguere i singoli nella collettività, di seguire le espressioni caratteristiche dei loro animi, di non adoperare una misura astratta per giudicarli. Anche così, molti m'erano sfuggiti, non li ricordavo più, le loro fisonomie sbiadivano, stingevano una nell'altra. Erair pascati come passa l'acqua sotto un ponte fermo: la vita li aveva portati con sé, Come prima di venire su ^fuei banchi, sotto i miei occhi, tutto di loro mi era ignoto, così, dopo esser stati qualche anno con me, mi sfuggivano ancora. Anche incontrandoli per la strada non li avrei forse più riconosciuti. Questo restare aperta al flusso delle generazioni, d'essere un campo di semina che non raccoglie per sé i frutti ma affida le piante cresciute sul suo suolo alla corrente della vita, è il destino malinconico ma generoso della scuola. Eppure quanti altri m'erau rimasti vivi nella memoria. Li rivedevo ancora con 1 immaginazione nell'aula, al loro posto; rio, vocavo precisi il timbro della loro voce, il colore © l'intensità dei loro sguardi ; certuni aperti nel volto adolescente, spontanei negli atteggiamenti; cert'altri complicati o enigmistici, soverchiamente timidi e chiusi in se stessi. Le ragazze, tanto diverse dai maschi anche nella 'loro ostontata collegialità con questi ; quelle loro espressioni o audaci o in sordina, ma sempre istintivamente femminili, quel loro equilibrio già formato. Avrei potuto chiamare ognuno col suo nome e con ognuno discorrere, rammentando insieme piccoli episodi, scenette comiche o drammatiche : e sapevo il sorriso con cui quello m'avrebbe risposto, e lo sguardo fuggitivo dell'altra e la foga a,scatti del terzo. Ma qualche cosa era in me fin dal primo momento che m'ero guardato intorno in quei corridoi e in quelle aule deserte, qualche cosa che mi dolorava dentro e che trovava inquieta rispondenza in quel mio aggirarmi fra ombre di ricordi, nella scuola vuota, in cui il sole del pomeriggio, entrando dai finestroni chiusi, formava delle pozze calde di luce come in una serra abbandonata. Era un sentimento che mi spingeva a scegliere in qualche modo tra la fiumana dei giovani che la vita trasporta con se e alcune ombre che, già staccate dalla corrente, si appartavano in un'austera solitudine, fisse in una loro figura indimenticabile. Ecco che la folla tumultuosa arretrava per lasciare il posto a un gruppo di giovani. Solenne pallore sui loro volti e quella composta pace che trasfigura le creature di questa terra, quando non si muovono più tra i vivi, ma vivono nell'anima e dell'anima di chi li ricorda. Una fiera commozione mi prese in quel vuoto silenzio, una dolce intimità fra quei muri nudr, carezzati dal sole. A uno a uno d giovani mi guadavano. Aule lontane, aule dei primi anni del mio insegnamento ; e, in una, ecco risaltarmi un banco e, nel banco, due occhi neri che mi guardano e non m'abbandonano ; due occhi ia cui cova un fuoco intenso; volontà e intelligenza fuse insieme ; e quando scendo da quegli occhi alla bocca sottile, serrata, trovo la stessa volontà anche più decisa e ta¬ gqofsftarlsNadmSdDnpbdtvrfEcfsmamsrilggpspeasBvnilscpmvtp■ « - - — **■ 6U.en.te. NICCOLO' GIANI. E- o e n a i i a i i o i é e o i l gli non-ha mutato da allora; quel fuoco che covava nei suoi occhi d'adolescente, è lo stesso fuoco che più tardi doveva consumarlo nell'azione e nel sacrifizio. Un'altra aula. Il sorriso aperto d'un fanciullo biondo, che accoglie tutto con ingenua sicurezza ; e nelle sue iridi azzurre la vita si rispecchia come in una spera di gioiosa fiducia, EUGENIO COSCIANI. Con lo stesso aperto sorriso di fanciullo egli deve esser andato incontro alla morte. Un altro mi prende per mano. Sorride anche lui dal suo volto di mistico santo. AURELIO VEDOVI. Ha sguardo perduto nel cielo, dov'è la sua passione ; passione di volare, a cui ha abbandonato il peso troppo grave della vita.' MANLIO RAVASINI è taciturno, chiuso nel suo bellissimo volto; sembra assente con lo spirito, che forse naviga lento, tra fantasie e ricordi, eugli oceani. E un giorno «ri suo idrovolante colpito; piomberà in una soia di fuoco nel Canale di Tunisi. ■ FURIO NODUS tiene come il solito la testa china e la sua timidezza gli fa venire le fiamme al viso ogni volta che lo solleva, ma dai suoi occhi mobili e fondi sprazza la luce d'un cuore generoso. Come deve aver sollevato il capo quel giorno a Monte Golico, che al nemico lo colpì alla gola con una raffica di mitragliatrice. E sono tornati scolari : mi pare che l'austerità dei loro volti si sia trasformata in vivace o pensosa espressione d'adolescenza e che sotto le loro guance scorra ancora il sangue della vita. Sono seduti nei loro vecchi banchi e Be li guardano, contenti di ritrovarli com'erano allora. Qui hanno sostato pochi anni, ma anni intensi, che lasciano traccia. Me li vogliono ricordare, e vedo che sulle loro labbra c'è una leggera commozione. Niccolò fissa un punto lontano: * fin da allora », mi par ohe mormori : ' < scorgevo !a mia mèta e l'ho raggiunta »j il fuoco dei suoi occhi si placa, lo sguardo s'intenerisce, egli volge un poco il capo verso la sua compagna di banco: è la dolce sorella Pierina che gli stava sempre a lato e trepidava per lui, a ogni interrogazione, stupita delia temerarietà della sua intelligenza. Cosciani ride con la sua bocca abbagliante: « lo studio pesava, ma la gioconda vita ci sorrideva anche qua, dalle finestre, da ogni spuntò umano che venisse a rallegrare la lezione; tutto è facile, tutto si supera, quando si ha la gioia nel cuore » ; e io vedo nell'ombra sua madre che lo accompagnava, timida custode del figlio così prodigo. E Aurelio, arrossendo; mi ricorda le sue pagine di diario sui suoi primi voli a vela; Ravasini non parla, ma mi fa capire ch'egli attendeva la prova e che nessun destino lo spaventava; mentre Furio non sa vincere neppur ora la sua timidità e capisco ch'egli vuol dire, quasi domandandomi scusa, che tutto è stato semplice e naturale. A lungo m'ero fermato a discorrere con loro, tanto che mi avvidi che il sole lasciava i muri scrostati e scivolava con lunghi raggi giù dal soffitto. Il silenzio, i banchi deserti, il vuoto della scuola mi ridiedero il senso di desolazione che avevo provato nell'entrarvi. Ma domani il fiume delle generazioni che passano avrebbe riempito quel vuoto, l'avrebbe fatto risonare della propria vita. Grani Stuparich mi Banchi di scuolaBanchi di scuola Non v'è iiulla di più malinconico che entrare in una scuola deserta, dove non si muove nessuno, neppur l'ombra di un bidello. Nei corridoi anche il sole semhra stagnare ; l'odoro che viene dal legno e dai pavimenti ò odore inerte ; i muri scrostati sono squallidi. Ad aprire, poi qualcuna delle tante porte chiuse sul corridoio, le aule vi danno un senso desolato d'abbandono e di vuoto. E' come trovarsi davanti al leito abbandonato e secco di un torrente: la vita è defluita di là e ciò che la conteneva resta misero e inutile. La vita d'una scuola è la scolaresca, senza di essa la Bcuola rimane come uno stampo, una buccia lasciata da parte. Questa impressione ebbi un giorno di vacanza ch'ero ' salito alla mia scuola, per prendere alcuni quaderni. Nel silenzio mi parve d'udire allontanarsi, quasi con un'ultima eco di giubilo, la fiumana di vita ch'ero solito trovare là dentro. E con la fiumana s'allontanava anche quell'aria di vivacità che è come il sangue sotto la pelle austera della scuola ; ne rimaneva solo la maschera, screpolata e non senza un ghigno di stanchezza. Allora, dentro quei muri vuoti, in quei baTichi deserti mi piacque immaginarmi la folla di tutte le generazioni d'allievi che Stano passati davanti a me. Un ^hare di facce, balenante d'ochi, un tumulto d'espressioni, i roprio come 1e onde: fronti aggrondate, umili, superbe; bocche tremanti, fresche, ridenti; mani esili, incerte, solide; e movimenti di spalle e capi improvvisamente chini quasi che un vento li piegasse. Difficile orientarmi, scoprire in quella folla presentatasi di colpo alla mia memoria, le gingole fisonomie, isolarne gli individui. Eppure sapevo che quell'insieme fluttuante di giovani non era qualche cosa di generico, che si potesse catalogare schematicamente e lasciar lì ; ma erano persone vive, e come vive, ognuna col suo destino, con la sua volontà, con la sua propria anima. Negli anni ch'essi erano stati miei allievi, avevo cercato di conoscerli a uno a uno, di scriitari^ quanto più m'era possibile nel fondo della loro tenera per- . eonalità, vincendo quell'inerzia che spesse volte preclude proprio all'educatore la relazione ; veramente spirituale con l'allievo. Sentivo ancora in me lo sforzo di distinguere i singoli nella collettività, di seguire le espressioni caratteristiche dei loro animi, di non adoperare una misura astratta per giudicarli. Anche così, molti m'erano sfuggiti, non li ricordavo più, le loro fisonomie sbiadivano, stingevano una nell'altra. Erair pascati come passa l'acqua sotto un ponte fermo: la vita li aveva portati con sé, Come prima di venire su ^fuei banchi, sotto i miei occhi, tutto di loro mi era ignoto, così, dopo esser stati qualche anno con me, mi sfuggivano ancora. Anche incontrandoli per la strada non li avrei forse più riconosciuti. Questo restare aperta al flusso delle generazioni, d'essere un campo di semina che non raccoglie per sé i frutti ma affida le piante cresciute sul suo suolo alla corrente della vita, è il destino malinconico ma generoso della scuola. Eppure quanti altri m'erau rimasti vivi nella memoria. Li rivedevo ancora con 1 immaginazione nell'aula, al loro posto; rio, vocavo precisi il timbro della loro voce, il colore © l'intensità dei loro sguardi ; certuni aperti nel volto adolescente, spontanei negli atteggiamenti; cert'altri complicati o enigmistici, soverchiamente timidi e chiusi in se stessi. Le ragazze, tanto diverse dai maschi anche nella 'loro ostontata collegialità con questi ; quelle loro espressioni o audaci o in sordina, ma sempre istintivamente femminili, quel loro equilibrio già formato. Avrei potuto chiamare ognuno col suo nome e con ognuno discorrere, rammentando insieme piccoli episodi, scenette comiche o drammatiche : e sapevo il sorriso con cui quello m'avrebbe risposto, e lo sguardo fuggitivo dell'altra e la foga a,scatti del terzo. Ma qualche cosa era in me fin dal primo momento che m'ero guardato intorno in quei corridoi e in quelle aule deserte, qualche cosa che mi dolorava dentro e che trovava inquieta rispondenza in quel mio aggirarmi fra ombre di ricordi, nella scuola vuota, in cui il sole del pomeriggio, entrando dai finestroni chiusi, formava delle pozze calde di luce come in una serra abbandonata. Era un sentimento che mi spingeva a scegliere in qualche modo tra la fiumana dei giovani che la vita trasporta con se e alcune ombre che, già staccate dalla corrente, si appartavano in un'austera solitudine, fisse in una loro figura indimenticabile. Ecco che la folla tumultuosa arretrava per lasciare il posto a un gruppo di giovani. Solenne pallore sui loro volti e quella composta pace che trasfigura le creature di questa terra, quando non si muovono più tra i vivi, ma vivono nell'anima e dell'anima di chi li ricorda. Una fiera commozione mi prese in quel vuoto silenzio, una dolce intimità fra quei muri nudr, carezzati dal sole. A uno a uno d giovani mi guadavano. Aule lontane, aule dei primi anni del mio insegnamento ; e, in una, ecco risaltarmi un banco e, nel banco, due occhi neri che mi guardano e non m'abbandonano ; due occhi ia cui cova un fuoco intenso; volontà e intelligenza fuse insieme ; e quando scendo da quegli occhi alla bocca sottile, serrata, trovo la stessa volontà anche più decisa e ta¬ gqofsftarlsNadmSdDnpbdtvrfEcfsmamsrilggpspeasBvnilscpmvtp■ « - - — **■ 6U.en.te. NICCOLO' GIANI. E- o e n a i i a i i o i é e o i l gli non-ha mutato da allora; quel fuoco che covava nei suoi occhi d'adolescente, è lo stesso fuoco che più tardi doveva consumarlo nell'azione e nel sacrifizio. Un'altra aula. Il sorriso aperto d'un fanciullo biondo, che accoglie tutto con ingenua sicurezza ; e nelle sue iridi azzurre la vita si rispecchia come in una spera di gioiosa fiducia, EUGENIO COSCIANI. Con lo stesso aperto sorriso di fanciullo egli deve esser andato incontro alla morte. Un altro mi prende per mano. Sorride anche lui dal suo volto di mistico santo. AURELIO VEDOVI. Ha sguardo perduto nel cielo, dov'è la sua passione ; passione di volare, a cui ha abbandonato il peso troppo grave della vita.' MANLIO RAVASINI è taciturno, chiuso nel suo bellissimo volto; sembra assente con lo spirito, che forse naviga lento, tra fantasie e ricordi, eugli oceani. E un giorno «ri suo idrovolante colpito; piomberà in una soia di fuoco nel Canale di Tunisi. ■ FURIO NODUS tiene come il solito la testa china e la sua timidezza gli fa venire le fiamme al viso ogni volta che lo solleva, ma dai suoi occhi mobili e fondi sprazza la luce d'un cuore generoso. Come deve aver sollevato il capo quel giorno a Monte Golico, che al nemico lo colpì alla gola con una raffica di mitragliatrice. E sono tornati scolari : mi pare che l'austerità dei loro volti si sia trasformata in vivace o pensosa espressione d'adolescenza e che sotto le loro guance scorra ancora il sangue della vita. Sono seduti nei loro vecchi banchi e Be li guardano, contenti di ritrovarli com'erano allora. Qui hanno sostato pochi anni, ma anni intensi, che lasciano traccia. Me li vogliono ricordare, e vedo che sulle loro labbra c'è una leggera commozione. Niccolò fissa un punto lontano: * fin da allora », mi par ohe mormori : ' < scorgevo !a mia mèta e l'ho raggiunta »j il fuoco dei suoi occhi si placa, lo sguardo s'intenerisce, egli volge un poco il capo verso la sua compagna di banco: è la dolce sorella Pierina che gli stava sempre a lato e trepidava per lui, a ogni interrogazione, stupita delia temerarietà della sua intelligenza. Cosciani ride con la sua bocca abbagliante: « lo studio pesava, ma la gioconda vita ci sorrideva anche qua, dalle finestre, da ogni spuntò umano che venisse a rallegrare la lezione; tutto è facile, tutto si supera, quando si ha la gioia nel cuore » ; e io vedo nell'ombra sua madre che lo accompagnava, timida custode del figlio così prodigo. E Aurelio, arrossendo; mi ricorda le sue pagine di diario sui suoi primi voli a vela; Ravasini non parla, ma mi fa capire ch'egli attendeva la prova e che nessun destino lo spaventava; mentre Furio non sa vincere neppur ora la sua timidità e capisco ch'egli vuol dire, quasi domandandomi scusa, che tutto è stato semplice e naturale. A lungo m'ero fermato a discorrere con loro, tanto che mi avvidi che il sole lasciava i muri scrostati e scivolava con lunghi raggi giù dal soffitto. Il silenzio, i banchi deserti, il vuoto della scuola mi ridiedero il senso di desolazione che avevo provato nell'entrarvi. Ma domani il fiume delle generazioni che passano avrebbe riempito quel vuoto, l'avrebbe fatto risonare della propria vita. Grani Stuparich mi

Persone citate: Eugenio Cosciani, Manlio Ravasini, Ravasini, Stano, Stuparich

Luoghi citati: Tunisi