La drammatica vicenda di un medico torinese a tu per tu con la soldataglia britannica

La drammatica vicenda di un medico torinese a tu per tu con la soldataglia britannica NELLA " GABBIA 308,, AD ALESSANDRIA D» EGITTO La drammatica vicenda di un medico torinese a tu per tu con la soldataglia britannica Miracoli dei bisturi sotto ie bombe nemiche - // baronetto inglese con la testa un po' rotta - Addio, ospedaletto X... - // calvario verso la prigionia - Vita ingegnosa nel campo di concentramento Il professore Giulio Giorelli, no-1 atro esimio concittadino, e m que.ìisti giorni appena reduce da uni penodo di prigionia, era arrivato a Benqa.fi VI agosto del quaranta au una'delle nostre belle navi che uh aereo nemico otieua tentato di l a i 0 colpire lanciando tre siluri Immediatamente la scorta gli aveva dato caccia impedendogli, non soltanto di avtrtcinarai e cogliere nel segno, ma abbattendolo in pochi minuti. : I tre siluri erano sgusciati vta, sull-'acqua spumeggiante di una attenta e rapidissima accostata. Cosi il Professore prendeva contatto col nemico e riceveva iZ battesimo del fuoco. Non il primo della sua vita, che Giorelli, il vero battesimo, l'ebbe l'altra yuerra, in Albania. ■ Egli' entra nel suo verq elemento circa un mese dopo, in un magnifico Ospedale da campo del quale, prende il comando: cento letti feri feriti al viso. II giorno stesso del suo arrivo inizia la serie degli isHerventtL maxillo facciali. Le più, terrìbili o, come dicono i chirurghi, le pitì spettacolari ferite da operare. — Ah, se questo « materiale di studio »' non provenisse datte'nostre, trincee, se questi soldati che non hanno occhi per vedermi non fossero del mio Paese, se questi eroi, che a mala pena monosillabdno, parlassero una lingua a me sconosciuta... Operare a 40 gradi Aspetta Giorelli che fra diciotto mesi udrai parlare attorno a te un idioma straniero. Aspetta che non è ancora finita la tua missione, il tuo servizio di « richiamato ». Ora sta zitto e lavora; lavora giorno e notte, quattordici, quindici e anche venti ore consecutive, c'è bisoano dell'opera tua. Sta zitto e dagli dentro finché starai in piedi. Attorno a te, assistenti e soldati, cascano dal sonno e dalla fa. tica. Le crocerossine, che sono così brave e coraggiose, cosi calme e vigilanti, specialmente sotto ai bombardamenti, resistono come gli uomini, ma ora, anch'esse, come gli uomini, crollano dalla stanchezza. Non è mica il cuore che manca, sono le gambe v che piegano. Giorelli, non levarti la calotta di testa, non toglierti la garza che Ci chiude la bocca, non sfilarti i guanti, non vestirti che il lavoro continua... — Ah! dunque noi, degli ospedali, siamo degli imboscati/ — Ma no, Giorelli, nessuno si è permesso di dir questo, rientra sotto la tenda, i soldati che vanno sulla linea di fuoco sai bene che scherzano sempre. — E dov'è la linea di fuoco? -— E' là Giorelli, dove ci sono quelle fiammate, le vedi? — Mi par -di vederle... ma sai... talvolta ho delle sfitte e delle fiamme negli occhi che mi confondono la vista. — Ecco, ora rientra. Non ti accorgi che sei quasi nudo? — Già è vero me ne dimenticavo. Va quale Ile giorno dimentico tutto, anche di vestirmt. Ma tanto dovrei poi subito spogliarmi. Come farei a operare vestito, sotto que.- tenda che e un forno? Quaran: , quarantadue, quarantacinque oradi. Gli occhi di Giorelli galleggiano appena sul limite estremo della maschera di' garza. Sulla terra, dove operando, il Professore pesta i piedi nudi, si forma come una pozzanghera, che il sudore gli cola dalle spalle lungo la schiena, dal petto sulle gambe nude sotto al camice, e cade a rivoletti che, prima di staccarsi dalla pelle, si freddano e raggelano. — Hai la febbre? — No, ho dei brividi... Dammi quel ferro. Tutti i chirurghi, tutti gli assistenti lavorano e sudano, tentennano per qualche attimo come sorpresi da stordimenti e collassi, poi si riprendono e ricominciano a lavorare con le mani di caucciù, muovendole velocemente sulla immobilita dei volti, sulla fissità degli occhi, attorno alle bocche o troppo chiuse o troppo aperte. —| Soffrono? — No... i feriti al viso forse non soffrono; più le ferite appaiono imponenti e cavernose e meno soffrono. O se soffrono non lo danno a vedere. Non sanno che guariranno e hanno il pudore della loro deturpazione. Credo sia cosi. f Bui lettino operatorio rilucono i ferrri dixposti sull'< assistente >, il piatto di metallo cromato, in fisso in un braccio che si protende, mobilissimo, da un'asta piantata nel suolo. É' manovrabile anche dal gomito del chirurgo che l'allontana e t'avvicina da se, per prendere un ferro, sostituirlo con un altro, cercare da se stesso, fra tutti quegli strumenti ciò che subito gli occorre, senza perdere tempo a chiedere questo o quello a qualcuno dei colleght, — Si continua? — Naturalmente, credo ve ne siano altri due. — E' mezzanotte, Giorelli. — Non lo sapevo. Non so più se è notte o giorno sotto questa tampqda. Nel silenzio abbacinato e abbagliante delle tenae «luminate a giorno dalle lampade ascialitiche par-{.veramente di essere sempre in pieno giorno e isolati dal mondo. Se fuori, fra le onde di sabbie o sulle petraìe o sui pàscoli del Gebel Cirenaico non singhiozzassero clamorosamente gli sciacalli, seìlghTbti non battesse contro i, teli gonfiandoli e scuotendoli come-vele di brigantino, nessuno, in quelle ore così intense, «i ri corderebbe di ' essere in Africa. Via tutto, pinze e ferrettini, non servono più! Dammi i soliti ferri. Tu prenditi i traumatizzati, e tu gli addominali e tu, dottóre i cranici, e, tu, tenente i leggeri. Mandate a me i maxillo facciali, subito. Sessanta bombe, su un centro abitato esclusivamente da arabi, hanno devastato un centinaio di visi, alcuni dei quali sono irriconoscibili. — E chi è questo qui? Un bianco ? — Un autista della Fiat, professore. •— E chi me l'ha condotto T — Prima si è... condotto da sè, guidando egli stesso il camion, poi, all'ultimo chilometro ho guidato io; l'ho veauto passarmi vicino, a tutta velocità e in quello stato; e allora son saltato al volante, glie l'ho strappato di mano. Con una mano guidava, con l'altra si teneva premuto contro al viso quello -etraccio... e andava forte... accidenti se andava-. Giorelli guarda il tenente poi il ferito. Un simile racconto non gli pare credibile, eppure il fatto si è proprio svolto cosi come lo raccontano. .L'autista, colpito al viso mentre era sul camion, senza neppure fermarsi ed anzi, pretti endo l'acceleratore si era diretto verso Vospedaletto, senza chiedete l'aiuto di nessuno, guidando e Jappandosi la ferita. fi tenente aveva dovuto imporsi per prendergli il volante. — Bravo, ora allungati li, che ti guardo... E dimmi un po', di che paese sei? L'autista non può parlare. Guarda è volge gli occhi sugli uomini e sulle cose. Forse non vede. Bisognerà attendere prima di mettere il suo nome sul cartellino e chissà fino a quando. Che non sia più giovane lo si capisce dai capelli ormai grigi. Novanta minuti di intervento chirurgico e senza anestesia. L'autista, mentre Giorelli pazientemente qli opera la scheggiotomia della faccia, a gesti fa capire di voler carta e matita e, avutala, scrive: « Mi chiamo Auteii, sono delta Fiat, abito a x... avvertite mia moglie ». — Jlfa questo è un leone... — Professore, io non ho mai veduto nulla di simile. Giorelli intanto, frenata l'emorragia, liberata la ferita da un'infinità di scheggie, gli pratica immediatamente la ricostruzione plastica. vi avranno detto che sono barone, di antica nobiltà. — Naturalmente, naturalmente, barone, si vede subito, e... dove siete ferito? — Nella testa. — In tutta la testa? — Oh no, professore! In una porticina della tetta, qui, sopra l'orecchio... — Barone, vogliamo tagliare i capelli... — Tagliare i capelli... a met — Naturalmente! — Ah! no professore, questo no, giammai. A Londra i miei capelli sono più- conosciuti delle scarpe di Churchill... — E se avessi qui Churchill, non credete che gli toglierei le scarpe dovendolo ricoverare in uno di questi letti? Su, barone, da bravo, date la testa al mio attendente... ma no, mica per sempre, glie la imprestate e, in dieci minuti, vi rapa. Altrimenti come faccio a vedere quello che avete sotto le chiome! — Ma a parte tu.lo neh, son cose che fanno piacere anche se bombardano... Cadono le chiome del signor battone, e sotto non si rivela che una gran brutta testa noccheruta e che i capelli e il fazzolettone ricoprivano. Con una scopa il soldato Roue spazza i residuati della testa del barone. Tutto quello che aveva in testa e che era caduto leggiadramente sul pavimento di terra pestata. Questi eran divertimenti che di rado accadevano e, quando accadevano, duravano poco. \ « Fra pochi minuti... a a e è n a e e n e à . a a i a L'ultima lettera che il professo re Giorelli scrive alla moglie e alla sua bimba comincia così: «Fra pochi minuti sarò fatto prigioniero; state tranquilli, la mia salute è ottima...*. La lettera la riceve uno dei suoi ufficiali che poi prende il comando dell'Ospedaletto, subito e completamente smontato e caricato sopra gli autocarri dell'ultima colonna che passa. Ga autocarri sostano pochi minuti sul posto dove sorgevano le tende. C'è ancora una . baracca dove Oiorelli riunisce i suoi ufficiali. — Io debbo restare. Voi fate il possibile per portarmi in salvo l'ospedale, vi saluto e vi ringrazio... — Signori ufficiali attenti ! r All'ordine dell' ufficiale più anziano lutti scattano sutt't attenti > mentre l'attendente di Giorelli accende, al centro della baracca, un forneuetto. Quando le fiamme si alzano viride ad illuminare la tristissima scena, gli ufficiali, con gli occhi pieni di lacrime, guardano il Comandante che si avvicina al focherello con un involto fra le mani. Sono le carte dell'ospedale, la corrispondenza d'ufficio, i vari ordini di movimento che egli getta per i primi fra le fiamme, e subito dopo le fotografie e le radioscopie; alcune migliaia di documenti e di « storie scientifiche », un materiale preziosissimo che va distrutto e perduto per sempre; e poi, per ultimo, Giorelli, vincendo un attimo di indecisione, getta ancora sul fuoco alimentato dalla celluloide, la bandiera. Di tutti i dolori, di tutte le angoscie, di tutti i sacri ricordi raccolti nel sangue, altro non restano che pochi feriti gementi sulla sabbia, fuori dalla baracca. Gli ufficiali abbracciano Giorelli e il cappellano al quale il professore, tanto per incoraggiarlo, gli dice: « Va là, sta tranquillo, fra poco rivedrai il tuo collega, U cappellano di Giarabub, don Blennio... A proposito, chi di voi andrà in Piemonte, porti ad Asti sue notizie... ». I camions partono. Giorelli resta con qualche dottore che non ha voluto abbandonarlo, e col suo attendente. II gruppetto saluta quelli che, rispondendo si allontanano, diventano sempre più piccoli, finché scotnpaiono. L'altipiano del Gebel Cirenaico è vuoto di soldati, silenzioso. La campagna coltivata dai nostri coloni anche sotto ai continui bombardamenti di quelle giornate è folta di rode come l'Umbria e si perde a vista d'occhio verso l'interno mentre a nord è limitata dn.Ua linea del mare azzurro e cupo. Non un canto, non una voce sale dai campi dove biancheggiano le camicie degli uomini che lavorano senza gnibba e, qua e là, si staccano dal verde delle messi, le falde gialle delle larghe cappelline delle donne. Mandre pascolanti si azzardano fino ai limiti della- Litoranea, si fermano a gaurdare la novità di quel silenzio ormai turchino nell'ora serale. «Per adesso, uscite! » Non un colpo di fucile eccheggia nell'aria spessa di calore. Tutto è immoto, anche i feriti; le inquietudini torneranno ad afferrarli non appena sarà calato il sole e di notte li faranno gemere e lamentare. Qualcuno griderà, col grido cosi caratteristico del ferito di scheggia; non è vana lamentela, ma sfogo naturale contro al dolore. Anche gli assetati gridano cosi. Giorelli, sulla soglia dell'usciolo della baracca, guarda di dove sono giunte dalla linea di fuoco le ultime colonne dei combattenti, ordinate come uscissero dalla caserma. Guarda e attende un qualunque ferito che non mene; magari l'ultimo, restato indietro. Dai reticolati della linea « P'mtor » non giunge più nessuno. L'indomani il silenzio e il vuoto ai fanno pw, grandi, si dilatano umidicci nei colori indecisi delle albe Africane, fradice di rugiada, lacrimanti sulle cose e sugli uomini come un pianto muto e rabbrividito. Sorge finalmente il sole tra i fumi di zolfo, soffi di polvere ruggì, uosa e rosseggiatiti fuochi di vengala. Il sole compare e scompare senza contorni precisi, che di tanto in tanto, una nube gli passa sopra violenta come uno schiaffo, al-

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