Misterioso Giorgione

Misterioso Giorgione Letture d'arte Misterioso Giorgione Dodici anni fa quando I arte italiana di sette secoli recò a Londra, tutta la luce della nostra civiltà, la Tempesta di Giorgione allora del principe Giovanelli, « el Morelliano, aveva visto nel 1530 in casa di Chabriel Vendramin a Venezia e giudicato « de man de Zorzi da Castelfranco >, questo giocolo quadro che adesso è il van) delle Gallerie dell'Accademia fu assicurato per la somma — si disse — di quaranta milioni di lire. Sembrò quella cifra un'iperbole anche al confronto delle assicurazioni che avevan coperto gli altri cento e cento capolavori pel quali l'Italia intera aveva tremato durante il viaggio avventuroso della Leonardo da, Vinci lungo le coste di Spalma e di Francia. Perchè s'era richiesto un simile tesoro a garantire, almeno materialmente, il proprietario di quel pochi palmi di tela? E' tfenigmatico dipinto la più eccelsa, la più straordinaria opera di tutta quanta l'arte nostra? E' dubbio lo ai possa affermare. Nella stessa scarsa produzione glorgionesca i Tre filosofi, il Concerto campestre, la sublime « Venere nuda, che dorme in uno paese cun Cupidine», vincono fii splendore pittorico il muto colloquio del soldato e della zingara sotto il cielo solcato di folgori, nella luce dorata che awol- fé erbe alberi acque rovine. Ma la empesta, oltre quello d'una gran pittura, ha anche un altro fascino che neppure l'aridità d'una critica soltanto formalistica (« Il soggetto, competendo alla cultura o tutt'al più al gusto, non ne spiega nè l'arte, nè io stile... >) riesce del tutto a superare: è l'emblema, il simbolo, la- sintesi di quella misteriosità che fu si a lungo la leg- fenda di Giorgione, che risorge e ilegua e poi rinasce e di nuovo si disperde tra dispute di dotti e fatiche d'attribuzioni, e che tuttavia dura in fondo alle coscienze ed è difficile completamente annullare. Appunto contro il « mistero > di Giorgione insorge adesso Giuseppe Fiocco nell'ultimo libro dedicato al maestro di Castelfranco, terzo di quella collezione « I grandi artisti italiani > diretta da Rodolfo Pallucchini e pubblicata dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche nella quale son igià usciti il Veronese del Pallucchini stesso e il Tintoretto- del Coletti (G. Flocco, Giorgione, Bergamo, con 147 tavole, L. 60). Un «mistero che, in sede di critica seccamente « scientifica » come l'attuale, non riguarda tanto l'enigmaticità dello spirito giorgionesco dichiarata da un contenuto estremamente suggestivo, quanto gli infiniti dubbi intorno alla personalità strettamente pittorica dell'artista veneto, dubbi che, dopo le precise indicazioni del Michiel, nacquero coi facili riferimenti e giudizi del Vasari e perdurarono fino a quando Giambattista Cavalcasene e Giovanni Morelli, nel secolo scorso, affrontarono decisi il problema delle attribuzioni a Giorgione. Nota è infatti la confusione che ffa-opere-Ai lui si fede con altre di Sebastiano del Piombo, di Tiziano, del Cariani, del Catena, ecc.; note sono le mistificazioni pittoriche di Pietro Vecchia e del Forabosco; e tutti ricordano il rumerò suscitato dal recente acquisto della Gallerìa Nazionale di Londra, sotto il nome di Giorgione, delle < quattro modeste opericciuole con la storia di Damone e Tirsi > che, secondo il Fiocco, spettano tutt'al più al Previtali. Non solo. Alcune delle più celebri opere de! Rinascimento italiano furono date e tolte e poi restituite e ancor sottratte ai Giorgione. Cosi nel famoso Concerto della Galleria Pitti, che la critica moderna propende a ritener dipinto da Tiziano giovane («fatto che — osservava Matteo Marangoni — se non altro conferma la duplice natura di quest'opera rievocante insieme la poesia nostalgica di Giorgione e il sano e chiaro senso della' realtà di Tiziano >) e sulla cui attribuzione al Vecellio il Suida, sulle orme del Morelli, non ammette dubbio, mentre altri avanza per questo capolavoro il nome di Sebastiano del Piombo, il Flocco scorge adesso, specie nell'aspetto ansioso del clavicembalista, « un'interiorità che non sapremmo trovare al di fuori di Giorgione ». E che dire della Venere di Dresda e del Concerto campestre del Louvre che hanno fatto schierare in campi opposti tanti studiosi invocanti in appoggio alle proprie tesi il bagaglio della più irta filologia? Che slan di Tiziano è lampante per l'Hourticq come per il Suida; ma dal canto suo il Flocco, dopo essersi domandato « che cosa possano avere a che fare col Cadorino », esclama addirittura che non riconoscerli « del pittore di Castelfranco ne va della sua esistenza ». Eruditi litigi, dottissime contese. E' lecito però domandarsi se la critica d'arte non sminuisca alquanto le sue funzioni e (diciamolo pure) le sue possibilità poetiche limitando il suo esercizio ad un acutissimo coordinamento di analitici raffronti, a un vaglio d'opere, a una discriminazione di maniere. Pensiamo cioè alle belle libere respiranti pagine (ben sappiamo a qua! calore di persuasione egli riesca quando tratta dei suoi prediletti maestri veneti) che il Fiocco avrebbe potuto far seguire a queste cosi scabre indagini che s'accentrano sugli affreschi di Casa Pellizzari, sulla Natività Allandale-Kress, sulla Madonna di Castelfranco, sui Tre filosofi, sul Fondaco dei Tedeschi, sulla Tempesta e sul Concerto campestre per ricercare ti senso d'altre opere giorgionesche affini. Le tre smilze paginette dell'epilogo, pur cosi succose e compendiose t«Giorgione è la primavera dell'arte veneta e della pittura mondiale; è la padronanza sostanziale del colore come mezzo autonomo d'espressione, è la pittura totale...»), pur cosi generose nel rivendicare la grandezza di « Zorzl » anche nel confronti d'un Tiziano troppo spesso polemicamente a lui opposto fin dai tempi del Vasari e del Dolce, non ci compensano di quanto il Fiocco ha voluto negare al nostro godimento intellettuale. Doverosamente la critica d'oggi si impone d'essere antiietteraria: 11 temperamento dell'uomo (cioè il contenuto dell'opera) è annullato, soltanto il valore figurativo ò esaltato. Una conquista, senza dubbio; e tuttavia, talvolta, sembra una conquista amara. Si che può prendere persino la nostalgia d'un minor rigore tecnico, d'una più distesa umanità, magari attraverso quel facilone d7un Vasari: «... arrecò non piccolo ornamento a Vinezla la virtù ed eccellenza d'un suo cittadino, il quale di gran lunga passò 1 Bellini da loro tenuti in tanto pregio... Questi fu Giorgio... dalle fattezze della persona e dalla grandezza dell'animo chiamato poi col tempo Giorgione... ». mar. ber.

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