La padrona di Corrado Alvaro

La padrona La padrona La nuova domestica ti chiamava Clementina, era "piccai», vestita di nero, diceva che sapeva fare- tutto. A proposito del suo vestito nero: era il suo unico vestito, e la parte superiore, fino alla cintura, era di velluto, un velluto nero come se ne vede nei paesi dove diventa triste e polveroso. Era arrivata dalla provincia due anni prima, ed era stata a servizio sempre nella stessa casa. La sua padrona si chiamava Ivonne. Poi cani; biò. La sua nuova padrona si chiamava Marta. Clementina era di una regione vicina, ma non raccontava nulla del suo paese. Non ci pensava. Senza nostalgia, un giorno disse che al suo paese aveva un podere e una casa. « Cose ■ vecchie, cose vecchie* ella dioeva. Non si capiva perche a quell'età e con un podore fosse andata a servizio in città. 0 forse non era neppure vero che avesse una terra sua : forse lo diceva per dare di se un'immagine che le piacesse. Ma era probabile che avesse vissuto al suo paese senza bisogni, perchè in verità non sapeva fare niente. Per quanto, anche se fosse stata estremamente povera, non avrebbe avuto bisogni, e non avrebbe saputo far niente lo stesso. In casa non la si sentiva. Entrando in una stanza dove lei lavorava, sii capiva assai tardi che stava dietro a qualche mobile a spazzare o a spolverare: veniva a mente che si trattasse d'un animale lento che avesse da combattere fra elementi nuo-. vi e sconosciuti, una tartaruga, per esempio, che cerca nascondigli, o una volpe che, rinchiusa, tenta «n'uscita nello spiraglio di qualche mobile. Non capiva che cosa significasse riordinare, e perchè si debba spolverare tutti i giorni giacchè tutto s'impolvera di nuovo. Sarebbe stato più semplice aspettare che si accumulasse dell'altra polvere, per toglierla un giorno tutta in una volta. Però si arrendeva alla volontà della sua nuova padrona senza darò il più piccolo segno di scontento. Pare che già nell'altra casa fosse abituata all'idea che non bisogna stupirsi di nulla. Il silenzio che c'era su di lei, intorno a lei, era il silenzio'delle case di campagna, delle stalle, dei buoi nelle stalle. Ella accumulava su di lei il silenzio di tutta la casa, dei letti, dei vestiti appesi, dei mobili chiusi. Così piccola di statura, sembrava schiacciata da quel silenzio. "Era difficile fare domande a Clementina, o darle ordini e consigli. Diceva di sapere tutto, niente le riusciva nuovo. Rispondeva sempre:. «Eh, che ci vuole fi. A volte usciva da quel suo silenzio per dire che sapeva fare merletti, lavori a maglia, biancheria e' vestiti. Lo diceva come in .sogno, con l'aria .visionaria e 6eria dei dormienti. Ma veramente non riusciva a far stare insieme neppure una frit tatina, e questa impossibilità era proprio un segno di lei. Non si sapeva come facesse ; ma in un piatto cucinato da lei i di * versi elementi òhe lo compone vano restavano ognuno per suo conto senza amalgamarsi nèunirsi. Allo;stesso modo dovevano essere i pensieri suoi. Allo stesso modo non riusciva a capire che un tappeto va rimosso, sbattuto, rimesso al suo poeto. Di fronte a un fatto come questo, l'oggetto pareva diventasse enorme per lei, come è enorme un chicco di grano fra le pinze d'una formica. Questo precisa mente era il suo rapporto co stante con le cose. Chiedendole di fare cose comuni di ogni giorno, pareva che la sua padrona le facesse una prepotenza. Ella aspettava, con gli occhi brillanti, la testa impennata come quella delle galline, ohe succedesse qualche cosa di nuovo, di insolito, di strano. Quando chiese alla sua padrona nuova come si chiamasse, ed ella disse che si chiamava Marta, Clementina rie fu un poco delusa, come se ella avesse scelto il suo nome, e questo nome era troppo semplice. Disse come in una filastrocca: «Maria, Marta e Maddalena*. E' diffìcile capire che cosa sia ridicolo per uno di paese. — Ma dove siete stata questi due anni, Clementina? — Dalla signora Ivonne. — E che cosa facevate? — Tutto. Quando mi sono licenziata, la signora Ivonne m'ha detto che è sempre disposta a riprendermi. — Ma se non sapete fare niente ! — La mia padrona viveva come una signora. — S.-percllè l'avete lasciata? —; -*H stancava stare sempre fuori di casa. —Stavate sempre fuori di casa? — (La signora non si contentava mai. Ella disse queste parole con una grande ammirazione. Aggiunse : — La mia signora aveva bisogno di cose che non ai trovano in tutta la città. Come succede, la vita d'un'altra casa entra in casa vostra con una nuova domestica: la domestica nuova vi giudica con quella misura, vi serve come servirebbe quell'altra padrona. Specialmente se la prima padrona è stata esigente, cattiva, alla fine lascia un rispetto, un rimpianto. Non soltanto ci si lega ai luoghi per quello che vi abbiamo sofferto, ma anche alle persone che ai hanno fatto soffrire. Nella nuova casa Clementina stava più comoda, i suoi padroni si contentavano di quello che trovavano, ma appunto per questo ella li stimava poco. Ella aspettava cose senza ragione nè spiegazione : questo era per lei la città,. una cosa assurda di cui era spettatrice. — Ma che cosa cercava di cosi introvabile la vostra padrona? Clementina rispose; — Cercava il policreto, l'assiduo e il menante. Disse proprio così, e la sua padrona la guardò stordita. — E che roba è? Clementina disse con superiorità: ;— Non le conoscete neppure voi! Sono cose che non ho trovato da nessuna parte; i negozianti si stupiscono come voi. Ma la mia padrona ne aveva bisogno. E siccome non trovavo mai le cose che le piacevano, ella si contentava di una minestra e di un po' di formaggio. Il formaggio glielo forniva un signore suo amico che era un fabbricante. Io non vidi mai questo signore. Veniva in casa quando io ero uscita. Quando lo aspettava, la mia signora mi mandava fuori a cercare il policreto, l'assiduo, il menante. Clementina ripeteva con una facilità estrema queste tre parole, come avrebbe detto : pane, latte, uova. Aggiunse: «Voi non avete nessuno che vi regali qualcosa? ». Clementina aveva l'aria di dare una lezione alla signora Marta. Allo stesso modo di ohi, non avendo mai viaggiato, arriva in una città sconosciuta e scambia facilmente il suo quartiere per il centro della città, e solo più tardi tri accorge che il centro animato, ricco, luminoso, è altrove, cosi Clementina aveva creduto che la sua prima padrona fosse il vero tipo della donna cittadina. — Non vi affacciate mai alla finestra, voi — ella disse un giorno alla signora Marta. — La signora Ivonne stava sempre alla finestra. Portava ricche vesti, aveva una vestaglia di raso molto larga, le babucce di raso ornate di_ piuma. Si pettinava tutto il giorno; stava tra la finestra e lo specchio. Spendeva tutto per vestirsi. Tanto, quello che si mangia ai sa come fini sce. Ma i vestiti restano. Quando usciva sembrava una princi pessa. Tutti si voltavano. Clementina raccontava lentamente, a tratti, dicendo una frase per volta. Chiusa nel suo abito nero col velluto fino alla cintola, con quella parvenza di triste e povero lusso da fiera, silenziosa e come de "verta, con un giudizio fermo nella sua testa d'un nero ostinato come quello del suo corpetto di velluto, ella ammirava tutto quello elio era opposto a lei. Le fu chiesto se andasse in chiesa la domenica. Rispose che queste cose le faceva ai suo paese, come se ricordasse di avere giocato con quak-lio ..cosa nella sua infanzia. Tu' atta-'ersi altra"'cosa In città ci sono molti preti, ma al suo paese, quaudo morì il pre te, jò'erauina maestra che dava la benedizione ai mortì^perchè era istruita. «Ma è impossibile. Clementina!'*. Raccontava di queste cose, e chissà di dove le cavava. : — Che bisogno c'è di scaldarsi? — chiese Clementina un giorno che doveva accendere la stufa. — La mia padrona stava sempre alla finestra e non aveva freddo. Poteva stare nuda nella sua stanza; ci era abituata. Quando aveva freddo si metteva a letto. Io tornavo che avevo girato tutti i negozi vicini, sempre cercando quello che non si trova in questa città, e la mia signora si levava allora dal letto. Il letto se lo faceva sempre da sé. Stendeva l'asciugamano alla finestra. Faceva tutto secondo il suo capriccio; era a letto; e si levava di botto. Usciva, e tornava magari dopo un momento, e mi mandava fuori. O non tornava fino a sera. E io rimanevo sola in casa, che non mi restava neppure da fare il letto. Clementina raccontava queste cose con l'aria esaltata, come se ricordasse i letti rifatti al mattino nelle case dei paesi, i materassi arrotolati fino a sera, e lo sdegno che suscitava chi, durante il giorno, ci si buttasse sopra in un momento di stanchezza, con quel senso proibito che ha il letto nelle case dove la vita è dura. Clementina se ne ricordava una nuova ogni giorno. A volte brontolava per conto suo: i suoi nuovi padroni volevano fare i signori, la padrona andava vestita in casa come una massaia, il padrone stava a lavorare tutto il giorno nella sua stanza. — La mia signora aveva un marito, ma stava sempre in viaggio, suo marito, a volte arrivava di notte. Non l'ho mai veduto perchè all'alba era già partito. La signora Marta non conosceva nessuno di quelli che passavano per istrada. — La mia signoria conosceva molta gente; c'era sempre qualcuno che, passando, la salutava, e lei faceva cenni di saluto. — E poi? — E poi qualche volta salivano a discorrere. Come non riusciva a far stare insieme una frittata, Clementina non riusciva a legare un pensiero a un altro pensiero. Diceva queste cose con rispetto, e forse pensava al suo paese dove' tutto è male, come ai pensa alle paure dell'infanzia. — Ma immaginate, Clementina, che qualcuno avesse fatto qualcosa di simile al vostro paese. — Ella sorrise superiore, e rispose: — Che c'entra! Quelli sono paesi. Là ci conosciamo tutti. Qui si può fare quello che si vuole; tanto, nessuno parla, nessuno vede. — Ma anche se nessuno vede, non vediamo noi stessi? Non lo sappiamo noi che facciamo qualche cosa di male? — le dioeva la signora Marta. Clementina si stringeva nelle spalle : —= Lo sappiamo noi, ma non lo andiamo a raccontare». Ella fece un gesto sulla città, volgendosi verso la finestra, e disse: «Tutti fanno qualche cosa di male, ma lo sanno soltanto loro. Ecco che cos'è la vita ». La eignora Marta disse: «Ma dunque voi sapete che cosa è il male ». Clementina rispose: «Certo che lo so» e sorrise col suo spento sorriso di donna che ha riso poco nella sua vita e che non sapeva ridere. Poi aggiunse all'improvviso: «La mia padrona era pulitissima». Lo disse come lo avrebbe' detto di un animale, di un gatto, o di un lattante, come si direbbe di un essere irragionevole ma che ha questa distinta qualità umana. « Ma voi, avete mai amato qualcuno, Clementina?» le chiese la signora Marta. Clementina, senza arrossire, rispose : « Che c'entra ! Io non mi faccio abbracciare da nessuno. Io sono di paese. Io mi vergogno. Io non sono la signora Ivonne*. «L'abbracciava qualcuno?*. «Certo. I suoi amici. Ella diceva che li conosceva da tanti anni. Era bella*. « Clementina, voi lascerete questa casa al più presto. Tornate dalla signora Ivonne*. Clementina scrollò il capo. Disse soltanto: «Vado via volentieri. In questa casa mi annoio*. Corrado Alvaro

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