Attila nella leggenda italiana di Ferdinando Neri

Attila nella leggenda italiana Attila nella leggenda italiana Trentasettemila cinquecento trentaoinquo versi, per un poema cho Munge solo ai due tersi del suo disegno, »on molti; e più di un filologo vi aveva girato intorno, vi aveva esercitatoper un certo tempo la sua curiosità e ia sua dottrina, e poi se n'era allontanato. Ma oggi il dott. Guido Stendardo, venuto al fine eh una lunga e meritori* fatica, ci. offro a stampa, nella sua gran mole, il testo della Guerra a A ttxla -, composta nella seconda metà del Trecento da Nicolò da Casola, notaio bolognese, il quale, bandito dal Visconti, nuovo signore della sua città, aveva percorso la Venezia e il Friuli, raccogliendo le memorie, le tradizioni, che poi, riparando presso la corfc- di Ferrara, prese a verseggiare anvpiamente. _ ' I lettori del libro saranno d'ora innanzi un po' più numerosi di quanti furono quelli del codice estense ; non saranno mai una legione; che l'opera non rifulge per i doni della poesia. Ma e una opera che, nei limiti dell'arte sua, illustra la leggenda del (Flagello di Dio»; e per questo si è tratta, e si trarrà ancora, dal limbo delle morte scritture. E' stesa, come suoi dirsi, in franco-italiano: cioè in un francese convenzionale e annacquato, eh 'era, fra noi, il. linguaggio della poesia epica ; e lo trattavano, quegli antichi scrittori veneti ed emiliani, con una liberta, una disinvoltura, ohe a volte fa pensare al modo come i poeti maccheronici (aggiungendovi una intenzione burlesca) tratteranno il latino. Varietà linguistiche che ebbero .una vitalità più. sensibile in quella regione, padana e veneziana, dove anche il dialetto fece le sue prove più durevoli e felici :* la, regione che si appropriò poi anche;il toscano con una vispa e saporosa sprezzatura, fino al Boiardo, fin che da Venezia il cardinal Bembo riusci a disciplinare l'idioma dell'Ariosto... E per questa via si andrebbe lontano: se pur questi nomi valgano anch'essi a rammentare -la gran fortuna oVOrlando e di tut ta la gesta dei cavalieri: vaste a correnti della poesia europea, che ' l'Italia suggellò nello spinto estetico del RmaBoimento. ■ ,.Ora, la leggenda di Attila pre senta un suo carattere proprio ; é il Rama non dubitava di affér mare che «per interesse solenti' fico > essa (iene il primato fra le leggende italiane. Vò un nodo epico, che risale alle origini del^ la nostra civiltà; e v'S l'aperto conflitto fra la barbarie e la religione": il pósto era pronto per l'eroe nazionale, che il Petrarca cercava in Scipione per la sua Africa, e il Trissino cercheràin Belisario per l'Italia liberata dai Goti, E quell'eroe, nel poema del ( Càscia, è il re Gilio, di Padova, e vicino gli. grandeggia, con prodigi di valore, Foresto, oh'è il principe d'Este : ecco perchè, due secoli dopo, il duca di Ferrara comanderà a Giovan Maria Barbieri di volgere in italiano quel vecchio poema, ed in un italiano che sembrasse arcaico, ad attestare anche meglio le prime ciòrie della sua Casa. Inoltre: la leggenda attribuiva ai profughi d'Aitino, e delle terre devastate da Attila, la fondazione di Venezia : il che apriva un'altra visione di sacre memorie, e di virtù, è di fierezza.. Ma la poesia spira dove vuole ; la storia e l'epopea non sono connesse così strettamente come pensavano i Romantici. Orlando, di cui si sa appena che morì in bai taglia, regna in tutte le fantasie , e Giovanna d'Arco, che risollevò tutto un popolo, è celebrata in due Puleelle, di cui l'uni», di Ckapelain, non è che tedio, e l'altra, di Voltaire, non è che scherno. L'epica italiana non eb be in Nicolò da Càsola il suo cantore ; e l'Ariosto affidò i suoi sogni ad altri eroi. 7 La leggenda italiana di Attila, quale risulta dalle sparse narrazioni, a cominciare dalle cronache medievali fino alle tradizioni orali, non ancora spente, si riassume nel tipo del distruttore. Un'altra leggenda, d'oltralpe,! diffusa tra il popolo magiaro, ne fa un signore prode, giusto, e persino gentile; nei «Nibelungi », ha un destino tragico, ohe a'accorda.con una fosca grandezza nativa; ma fra noi, egli non appare se non come il barbaro, il quale s'avventa contro tutto quanto è romano, o cristiano. Alla testa delle sue orde, che non sono soltanto di Unni, ma ora di Goti, ora di Saraceni, ora — in una leggenda istriana — di Slavi, egli scende sino a Firenze e la distrugge (Dante scrive che la sua città rinacque i sovra '1 cener ohe d'Attila rimase ») ; scen: de fino a Roma, dove i morti si levano dalle tombe per combatterlo; e v'è chi aggiunge che Attila cadde fulminato, per le pre ghiere del Papa (deformando co sì la memoria dell'intervento di Leone nella pace con l'invasore) Dov'è la. rovina d'una città, d un borgo, e non fosse che di un mulino, ivi passò Attila, E una tal furia distruttiva 'procede da una natura bestiale: altre figure mitiche nacquero da un cigno, o da un tòro ; ma Attila da un cane. Così, la tradizione accumula va au quella memoria aborrita l'ingiuria e la vendetta; ma, di riflesso, n'era come sbarrato uno sviluppo più arioso e fantastico della leggenda. Non che ne manchi ogni trac eia (e nel poema di Nicolo v'è co me un'oasi più lieta, fra le guerre interminabili, nell' episodio della regina di Damasco, la fata Gardena, che viene alla ricerca del più. torte uomo del mondo), ma di solito vi ti riconosce l'in 1 treccio di elementi novellistìci e , «tranei, scritti per un momento sotto un nome diverso, e pur sempre isolati su di uno sfondo truce e pauroso. E come in un racconto fanciullesco fu immaginata }a fine di Attila secondo una versione che ritorna nel poemetto italiano, in ottava rima, Attila nCnlcpi d*~ rappresine mero cieco, perchè nella storia tradizionale l'aèdo epico è un cieco al quale la Musa nel dare 11 canto ha tolto la vista. Non è per lo meno curiosa l'analogia tra l'aèdo cieco e l'uso tuttora vivo in Ispagna di accecare l canarini per farli cantare meglio ? Circondati di tenebre e più da nulla distratti, aedi e canarini ai riconcentrai solitari nella loro anima canuta. Anche l'aèdo cieco rientra dunque nella categoria delle « crudeltà pratiche», assieme con l'uso di inchiodare le oche per le all, o, peggio, l'uso normanno di sotterrare l'oca, lasciandole fuori soltanto la testa, perchè il fegato della povera bestia ingrossato dal tormento, fornisca materia più abbondante al pasticcio di fegato grasso. . , Qinnilo >l parte l'anima hroce " Agonia »«1 «»pu oml'ell» stona a'è ■ r ,tUi»vdU... In questi due versi ohe Pier delle Vigne dice a Dante nel canto decimoterzo dell'Inferno, è tutto 11 senso della parola agonia, reso anche più violento dalla morte volontaria, Ma sempre la parola agonia giustifica il suo significato letterale che viene da agón, combatttrr.anto , e definisce il supremo combattimento dell'uomo con la morte. Anche più direttamente ed esplicitamente 1 tedeschi dicono Todeskampf. Tutta-' via, e come mi ha mostrato un recente e dolorosissimo esempio, l'agonia è meno un combattimento che un terribile sforzo « per passare ». E' co;l angusta dunque la porta dell'aldilà? flagellum Dei: divulgato fino ad oggi in libriccini popolari, e nella campagna toscana ridotto in un maggio, ch'è una sorta di rappresentazione drammatica. Perduta ogni speranza di vin cere Giano di Padova (ch'è il fGilio» di Nicolò e d'altre fon ti), Attila si traveste da pelle grino e giunge alla corte del re nemico per tentare di ucciderlo a tradimento. Ma Giano era, «armato tutto dai piedi alla fronte», e giocava a scacchi con un suo cavaliere: Attila dunque avanti a, lui condotto Sopra il bordon piovuto li abbandona; Be Giano non sii pensa e non lo , [guarda, Ma al gioco suo va dietro e nulla [tarda. Il pellegrino assiste alla par; tita, vi s'interessa, ed esce fuori a dar consigli e a ridere dei giocatori: sì che il suo linguaggio barbaro, e il ghigno che dava risalto al suo voljo canino, lo scoprono; e non è più il guerriero feroce, ma un misero prigioniero, a cui ai preclude ogni ecampo : Ed Attila ten. ita, con china faccia, Perdon chiedendo con aperte braccia. Quella breve soena qcl riposo fra le armi, e dei nemici distratti, l'uno e l'altro, da ogni pensiero, e dal pericolo mortale che sovrasta a» tutti e due, come se in quell'ora di svago nul1 altro avesse a contare ae non la mossa di un alfiere odi una torre, ha pure una aua grazia umile, come d'uD fiore che spunti fra le pietre grige, squadrate, d una fortezza. Ma l'arida fortezza, senza luce,' deserta dalla strage, è quella ohe si profila all'orizzonte, ai primi crepuscoli del Medio Evo, e che meglio raffigura nel suo complesso la leggenda italiana di Attila. Ferdinando Neri