Achille ed Elisabetta

Achille ed Elisabetta Achille ed Elisabetta Talvolta, e soprattutto di mattina, oppure di-sera noi uomini notturni che guardiamo nel crepuscolo la.nostra aurora, sentiamo una straordinaria leggerezza ed elasticità di membra, un felice desiderio di muoverci è di camminare : è il nostro sentimento d'immortalità, il nostro a; chilleismo». Ci sentiamo leggeri ma non privi_ di corpo, e quella gioia anzi ci viene dal poter muovere noi agevolmente e senza sforzo il nostro corpo ; ma il nostro corpo che funziona benef e nel quale tutte le molle scattano con facilità e le rotelle girano senza intoppi* Se non ci sentissimo corpo, la nostra gioia non avrebbe ove « agganciarsi 1 e si .disperderebbe nel vuoto. Cominciamo dunque a camminare leggeri e veloci, perchè nostro desiderio è camminare: non volare. L'icarismo è sentimento di là dagli strumenti umani, di là dalle umane possibilità, e dunque inumano e folle, nel quale trasognati taluni si lasciano rapire dalla ondosa voluttà di abbandonarsi alla morte. Non per nulla sede dell'icarismo è Creta, questa dogana del mondo greco, nella quale confluivano le torbide mercanzie dell'Asia. Tutto che viene dall'oriente è inquinato dall'idea dell'aldilà;^ e .dopo l'icarismo viene lo spiritualismo. Il segreto d'Achille invece è di non pensare se non cose terrestri e del presente. Comineiamo dunque a camminare leggeri e veloci, 01 pare in pochi passi di poter traversare questa grande pianura che ci si apre davanti, scavalcare con un salto -quei monti laggiù, affacciarci ai paesi di là dai monti; perchè l'achilleismo rin nova in noi questo desiderio che ci strugge fin dall'infanzia, di scoprire i paesi che* stanno di là dalle montagne. Questa l'esseu za dell'achilleismo : questo passo scattante e leggero, che ci solle va sulle dita dei piedi a. ogni passo come per spiccare il volo che ci consente di camminare senza sforzo e con gioia la superficie della terra, ma non di stao carcene. Un passo ancora, e sia mo nella danza: nella danza di Zaratustra. Ma questo passo ini "prudente Achille non lo compie, e l'aggettivo ohe meglio si affa al figlio di Peleo e di Teti non è forte, non è furente, ma pie veloce. A ragion veduta dunque la Moia pose nella parte più pre ziosa del corpo di Achille, ossia, nel piede, anche il punto debole di Achille, il suo punto mortale ; e la vulnerabilità del tallone di Achille è uno di quegli schiaffi che il. Destino si diverte ogni tanto a tirare all'ambizione umana, come la sordità di Beethoven o l'anchilosi delle mani di Renoir. Stroncato, al piede dal telo di Paride, Achille non solo è~ colpito a morte, ma è mortalmente ingiuriato pure, lui il pieveloce. Colpito mortalmente al petto o alla testa (soprattutto alla testa: la testa di Achille è del tutto divina e immortale, ossia vuota di pensieri, queste cose mortali) Achille sarebbe morto senza _ ingiuria : sartbbe morto camminando, come tanto tempo dopo l'imperatrice Elisabetta d'Austria, questo esemplare fra i più puri dell'achilleismo. Perchè Achille muore, ma si continua negli uomini, e soprattutto nelle donne. Domandarono un giorno a Elisabetta perchè avesse dedicato il suo palazzo di Corfù ad Achille, ed essa rispose: «Perchè quel greco era veloce alla corea». Dei vari generi di forza, la velocità è la più ammirata, la più ambita. Il sollevatore di pesi non stimola l'emulazione degli spettatori, meno che di qualche garzone macellaio, e meno ancora la stimolano quei hamàl di Costantinopoli che si buttano un pianoforte sulle spalle e da soli lo portano al terzo piano di una casa di Pera, sul quale la signorina Pipizza, figlia di levantini, «farai le sue scale e sonerà la prima Sonatina di Muzio Clementi. I pesi non si sollevano se non per scontare qualche colpa, e Atlante, re dei sollevatori di pesi perchè si regge sulle spalle il mondo, è un punito. Dichiarato o sottinteso ma presente sempre, nostro eterno nemico è il Tempo, e l'uomo che corre ha la speranza, che all'uomo che non corre manca, di vincere il Tompo alla corsa, ossia di vincere la Morte, o almeno' di lasciarsi le cose mortali dietro le spalle e di affacciarsi sia pure per un attimo all'immortalità. Questa illusione incita gli uomini a correre, a correre sempre, a corfere sempre più presto, a piedi o a cavallo, in treno o in automobile o in aeroplano, e della velocità fa una variante del piacere. Gli uoniitv pratici poi, che una illusione così smaccata non possono decentemente accettarla, giustificano la velocità col dire che essa fa entrare molta «vita praticai- in poco spazio di tempo, e pròverbieggiano che il tempo è denaro. Marion è fórse anche un che d'insano, d'impuro in questo correre continuo, e la volontà di uscir da se stessi, da questa « vergognosa prigione i? Nonché individui, ma popoli interi manifestano questa scontentezza di sé, questo bisogno di sfuggire a se stessi; gente»per la quale il proprio io è un rimorso. "Elisabetta non si contenta di viaggiare i paesaggi del ^uo delirio, come quando nella cripta della chiesa dei Cappuccini, tra le tombe degli Asburgo, essa invoca il «sommo Geovai perchè le faccia udire ancora la voce di euo figlio Rodolfo j ma una forza irresistibile la spinge a cammi°nare interminabilmente le strade iel mondo.. Questa infelice imperatrice costituisce forse il caso più caratteristico di estetismo in atto, ossia di ripugnanza di sé e di speranza di -trovare fuori di sé, lontano da sé, ciò che in e& manca. Questo desiderio di «evaderei noi ci fa ridere, ma è ben triste il dramma di queste anime scontente e irrequiete perchè vacue, che dalla loro stessa vacuità, come da un vento continuo, Bono spinte alla ricerca di una «vita bella »,9 almeno di- una vita sop portabile. , Quando non viaggia, Elisabetta e come il marinaio esiliato sulla terraferma, e sfoga il suo bisogno irresistibile di moto negli esercizi violenti. Fuori degli esercizi fisici, la vita a Vienna non ha Benso per l'imperatrice. Per più ore del giorno Elisabetta fa delle marce al passo accelerato, e le sue dame di compagnia tornano a palazzo in condizioni da fare pietà. Poi, quando Elisabetta associa alle sue terribili passeggiate il gobbo Cristomanos, questi non ha soltanto da tenere dietro al passo da bersagliere della _ sua compagna, ma le deve .recitare fiure dei brani lunghissimi del'Iliade e dell'Odissea. Il 5 settembre 1898, Elisabet: ta arriva a .Ginevra. Alcuni giorni dopo stabilisce di recarsi a Caux. Al tocco e mezzo; accompagnata dalla sua dama di compagnia, la contessa Szataray, si avvia cól suo passo spedito verso l'approdo dei battelli. Un uomo le si avvicina e la urta col pugno. Elisabetta vacilla, ma subito si riprende e a coloro che aoco-frono -per darle aiuto, dice sorridendo: a Grazie, non ho nulla i. Si raddrizza il cappellino, raccoglie, l'ombrello e il ventaglio, si rimette in cammino col suo passo elastico e lungo. Dopo pochi passi domanda con stupore alla sua dama di compagnia: «Che avrà voluto da me quell'uomo?». Colpita a morte dal pugpale di Luccheni,' Elisabetta non si accorge che la sua lunga camminata e arrivata al termine, e continua a camminare. E cammina ancora:, camminano assieme per i Campi Elisi, lei e il pie-veloce. Alberto Savinio

Persone citate: Alberto Savinio, Asburgo, Beethoven, Benso, Elisabetta D'austria, Elisabetta Talvolta, Muzio Clementi, Pera, Renoir

Luoghi citati: Asia, Corfù, Costantinopoli, Ginevra, Teti, Vienna