ARRIVO' STALIN DI SORPRESA e un ubriaco provò a dargli del tu... di Giorgio Sansa

ARRIVO' STALIN DI SORPRESA e un ubriaco provò a dargli del tu... Compagno Tamarin racconta: ** Una sera, da Gorki ARRIVO' STALIN DI SORPRESA e un ubriaco provò a dargli del tu... Berlino, 23 marzo. ■— Che uomo è questo Stalin f •' domando a Vsevolod Tamarin: il vecchio famoso attore russo, scappato da Mosca attraverso le prime linee, è di nuovo con me oggi, e racconta: — Stalin* Questa è la domanda che tutti fanno. Anch'io desideravo vederlo da vicino, ma da quando lo incontrai e gli parlai, Quel desiderio non mi è più tornato, Stalin non è.un uomo gradevole e tutti fanno a meno volentieri di trovarsi dinanzi a lui. Anche coloro che onora col titolo di amici, anche i collaboratori intimi, i segretari, si sentono a disagio alla sua presenza. Stalin è una specie di incubo; è come un generatore di scintille elettriche che non si sa da guai parte si scaricheranno contro chi, con quanta forza. Meglio guindi sfarci lontano. . Scampato pericolo Lo vidi in ousn di Massimo Oorki —: continua Tamarin — due anni prima della morte del grande scrittore, Oorki 'abitava in una villa ohe era stata costruita per un pezzo prosso del regime nella regione più, bella dei dintorni di Mosca, a Barviha, presso G-nico lina Gora, sulla strada di Oaluga, dove, sorge anche u,n sanatorio por i malati privilegiati del KremHno Èra stata costruita per un altro, quella villa, ma là si donò a Oorki, 0 quale, per appoggiare moralmente il bolscevismo., aveva rinunciato al soggiorno prediletto di Capri e bisognava quindi compensarlo in qualche modo. Che bell'edificio la villa di Barviha, ohe arredamento, quanti mobili di mogano rossol Il giorno in parola avevo fatto colazione a Mosca, con Alcxei Tolstoi, V autore moderno che scrisse il romanzo « Pietro, il Grande » da cui fu tratto il film che certo conoscete. Alexei non è imparentato con Leone Tolstoi. Avevamo dunque fatto colazione insieme e io stavo leggendogli i miei versi su Mosca —■ narra Tamarin — quando improvvisamente egli tirò di tasca l'orologio e disse: « Debbo lasciarti, perchè Oorki mi attende! ». Ma poi decidemmo di andare entrambi alla villa. Prendemmo la macchina e, un'ora più tardi, eravamo da Oorki, che aveva una brigata di amici a tavola, giornalisti, scrittori, uomini di governo. C'era suo figlio con la signora e Bubnof, il commissario dell'educazione; Bubnof buon'anima, che riposa oggi in una tomba della O.P.V. insieme a Pesciof. La mensa di Gorki non mancava di nulla; c'era il caviale, c'era il vino lo sciampagna, la Vodka, i sigari, ogni ben di Dio. E quando noi arrivammo, i convitati avevano già avuto agio di far onore alle cantine, perché erano tutti ubbriachi. Bubnof mi si fece incontro e con la sua voce bassa e sonora, ma con accento roco disse ad alta voce: « Eccolo qui il compagno Tamarin, quello che non vuol recitare il repertorio sovietico, eccolo qui». « Non dimenticate, compagno Bubnof — gli risposi — che sono attore classico! ». « Tutte scuse, tutte scuse (diceva Bubnof), le conosco ormai ». Gorki in persona dovette intervenire con la sua autorità immensa per fermare il commissario, che cominciava a diventare minaccioso. < Lascia in pace Tamarin — diceva Gorki — egli è venuto a bere e non a discutere di politica ». Come una disgrazia... — Quel banchetto era in onore di Stalin t — No, no. Stalin non Cera e nessuno lo aspettava. Capitò di sorpresa, come fa sempre, in casa degli amici. Oorki era un suo intimo, al posto che oggi occupa Alexei Tolstoi. A un certo punto entra nella sala da pranzo, agitata (tome se fosse successa una disgrazia, la cameriera, e si rivolge al padrone di casa: « Compagno Gorki — aice — venite, venite subito! ». Gorki si alza, le si avvicina, la donna gli sussurra delle parole all'orecchio e allora si vide il vecchio baffone uscir di corsa. — Solo noi che eravamo appena giunti ci accorgemmo della scena — continua Tamarin, — gli altri no. Cantavano, facevun brindisi, si beffeggiavano. Erano tutti sbronzi. Ma constatai più tardi che in Russia non si è mai tanto sbronzi da non capire quando bisogna aver pau¬ rmsdtedcsdmsdOfragneiEgng a o e o l a i n n ¬ ra. Ecco qui: Oorki. era uscito da mezzo minuto, allorché i battenti si spalancarono e due individui, due ceffi, si fecero innanzi mettendosi nel vano della porta ed esaminandoci a uno a uno senza dir verbo, ma lasciando capire che per loro eravamo degli assassini, dei criminali, dei dinamitardi, dei controrivoluzionari, insomma, allo stato potenziale. Quell'esame durò una trentina di secondi che ci sembrarono lunghissimi. Oli schiamazzi, i brindisi, le beffe erano cessati di colpo; l'appa. rizione dei due inequivocabili agenti della Ghepeù aveva fatto agghiacciare l'atmosfera. Quando gli agenti si scostarono e ormai nulla ci poteva più sorprendere, entrò Stalin e noi tutti, come ipnotizzati, ci alzammo in piedi, Egli indossava la tuscturka grigia,' quel giacchettone che conoscete dalle fotografie, si soffregava le mani con aria da usuraio soddisfatto e aveva sulla faccia la maschera di un sorriso. Ci salutò uno alla volta, prendendo la mano di ciascuno nelle sue e ripetendo: « Ocenrat, ocenrat » che vuol dire felicissimo; poi ci disse di sederci. Prese posto vicino a Gorki e si fece versar da Vere. Sotto la maschera — Per capire Stalin — -mi osserva Tamarin a questo punto-— bisogna vederlo da vicino. Non bastano i ritratti, non bastano la sua fronte bassa, da scimmia e quella faccia brutale, per svelarveio. TI popolo russo non 10 ama, ma se anche lo amasse non me ne stupirei quando lo dipingono sui cartelloni con una fisionomia bonaria e umana. Non vi è però nulla di bonario e di umano in quel viso. Sotto i copelli ormai grigi brillano due occhi piccoli penetranti, sgradevoli; l'uno è situato più in alto del secondo e il destro è sempre socchiuso con una espressione grottesca. Quegli occhi sono nerissi mi, ma alle volte hanno dei riflessi gialli, come di gatto... Sono occhi orientali. Come vi ho detto — prosegue Tamarin — il sorriso di Stalin è una maschera. E' una contrazione dei muscoli alla quale lo sguardo non partecipa. Delle zampe di gallina gli si disegnano a lato degli occhi quando si sforza di sorridere, ma lo sguardo rimane gelido. Quel giorno accadde un piccolo incidente, cui bisogna aver assistito per capire l'uomo Stalin nella sua interezza. Uno dei-con. vitati, un celebre scrittore che preferisco non nominare, già molto in « cimbalis ». si era preso delle confidenze col dittatore. E Stalin era seccato. Fu come un lampo. Lo scrittore gli si rivolse, dandogli del tu. E la faccia di Stalin si trasformò all'istante, in quella di una tigre stuzzicata durante il pasto. Ogni traccia di sorriso era scomparsa ed egli conficcò i suoi occhi freddi ed aguzzi su quel povero letterato che, nonostante l'ubbriachezza, capi allora il pericolo e si accasciò sulla seggiola come colpito dal fulmine. Ma due vicini di tavola, interpretando un cenno di Gorki, strapparono in tempo la preda a Stalin. Afferrarono lo scrittore e senza complimenti lo scaraventarono fuori della porta 11 dittatore si calmò di colpo; l'atto di servilità gli era piaciuto e sulla sua fàccia tornò ad apparire la maschera del sorriso. Il serpente calmato Quella scenetta — riprende Tamarin — era bastata per rendere l'ambiente pesantissimo Nessuno osava più parlare, ma tutti sentivano in pari tempo che bisognava dir qualche cosa per non provocare un uomo cosi pericoloso con uno scortese silenzio. Senonché le parole uscivano dalle bocche come tirate col cavatappi ed erano di una banalità desolante, perchè non dicevano nulla, o. gnuno riflettendo tre volte almeno prima di' parlare e ooteervan do, rinchiuso in fondo al cuore, ogni pensiero che si prestasse a false interpretazioni. Meglio non stimolare la belva: Io mi ritirai al pianoforte e cominciai a suonare qualche vecchia aria georgiana. Mi avevano detto che con la musica si poteva calmare il serpente. Oorki, infatti, mi approvava con gli occhi. Suonavo volgendo la schiena alla tavola — dice Tamarin — ed ero assorto nella musica. Ad un tratto sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Mi volsi: era Stalin. Quello fu il mio incontro a tu per tu con l'uomo che terrorizza la Russia. Vedendolo, mi alzai in piedi ma egli mi disse di mPmgsloszmpnD mettermi a sedere e di suonare. Poi mi domandò, chinandosi sulla mia spalla: — Donde le sapete queste arie georgiane? — Josif Visarionovic — gli risposi — nel Caucaso ho trascorso la mia giovinezza artistica. — Me ne compiaccio, compagna Tamarin, e se è così suonatemi ora la Stari Pesgno e poi fatemi sentire una Lesghinca. Io gli intonai lo Stari Pesgno, poi lai danza. Ed egli rimaneva piegato su di me, che lo guardavo di scorcio. Quel profilo che osservavo per la prima' volta dappresso, me ne ricordava un altro. L'avevo visto prima ? Ma dovef E mentre suonavo mi s-forzavo di sovvenirmi. D'improvviso si fece luce nella mia memoria. I/avevo visto a Pietroburgo, al principio del secolo, al club degli scacchi. Era un club organizzato dai principi georgiani Ucia Dadinni e Vlagimir Eristof. Era un cub che pretendeva di far della politica, ma organizzava rapine. Furono i georgiani guidati da quei cosiddetti principi che commisero la famosa Exproprasia delie banche- nel Fonami Perinlog, la via delle Lanterne Pietroburgo, col pretesto di finanziare la rivoluzione. Fu Vlagimir Eristof che freddamente assassinò l'industriale Herman, a Lodz, per impadronirsi, in nome della rivoluzione, di trecento mila rubli. In quel club di Pietroburgo avevo incontrato per la prima volta il futuro'dittatore: Allora, ricordando, mi feci coraggio e, rivolgendomi a Stalin che mi stava accanto e che ascoltava il pianoforte gli domandai timidamente: — Vi ricordate del club degli scacchif IStalin mi guardò un po' sorpreso, poi rispose: — Certo, me ne ricordo. . — E di Ucia Sadùinì? — Anche di Ucia mi ricordo. Siete stato anche voi là dentro? Gli dissi di sì ed egli approvò soddisfatto. — Bene, bene, compagno Tamarin — mi ripeteva. Rispetto = paura Quindi mi salutò. — Amo ed ammiro molto l'arte di Maria MicaUovna, vostra madre — mi disse. E tornò alla tavola, dove si congedò dagli altri. Quando Stalin uscì fu come se un peso cadesse dai nostri cuori. Gorki, che aveva accompagnato l'ospite fino all'automobile, tornava ora tirandosi nervosamente i lunghi baffi da contadino. — Insomma — dico a Tamarin — Stalin incute più paura che rispetto? I/attore non risposo; mi guardò con aria interrogativa, domandò dove stia la differenza. Alla fine di un tentativo di spiegazione dovetti accorgermi che, per un russo tra paura e rispetto differenza non c'è o questa differenza non è sentita dai russi. - Paura e rispetto — mi dice Tmmarin sintomaticamente — non sono forse la stessa cosa? Giorgio Sansa