Appunti baltici di Giovanni Artieri

Appunti baltici Appunti baltici Di* un solo luo- ?o della Lettonia quando ancora esisteva quella nazione) nerbo .ricordo e non certo per il paesaggio, che e quello di tutte le terre baltiche sul declino di autunno (tetro, grigio ferro, imbiancato dai sepolcrali fusti delle betulle) ma per un uomo, un controllore ferroviario che non m'è riuscito di cavarmi dalla mente. Venivo, in quel tempo dalla Lituania e avevo preso il treno pomeridiano a Kaunas, in vista del torpido Nienien carico di tronchi fluitanti. M'avviavo verso Eiga e di 11 avrei proseguito per Tallinn e poi oltre; contavo d'andare in Russia (ma poi i russi, occupando tutta la riva continentale mi vennero incontro, a Narva). Di quei giorni trovo scritto nei miei appunti frequentemente la parola noia. Noia vuol dire che non succede nulla, noia vuol dire il regolare scambio dei Areni, i regolari controlli di passaporti e biglietti alla frontiera, il consueto monotono passaggio dell'uomo della carrozza-ristorante, noia vuol dire la pianura baltica, le medesime foreste, lo stesso mare scialbato qua e là intravisto e quei fiumi grandi e solitari ove non galleggiano barche ma alberi recisi e sulle rive, magri cavalli bradi mordicchiano erbe. Dalla Lituania portavo qualche emozione. Le avvisaglie della invasione russa, il viaggio per le province interne fino al confine di iVilno, l'incontro con quei carristi e carri armati lituani, una trentina in tutto, nuovi nuovi di ritorno dalla frontiera, allegri perchè non avevano sparato un colpo e i bolscevichi non s'erano mostrati. Ad un villaggio i soldati m'avevano offerto vodka all'etere e lasciate le macchine da guerra se n'andavano coi contadini a disseppellire il grano affossato alla prima minaccia. Ancora: mi portavo il ricordo di quella campagna costellata di croci alte e nere levate a decorare -, il cielo grigiastro su per poggi e cumuli in calvari di due, tre, con le loro aperte braccia asimmetriche.-In Lettonia nulla. De' lèttoni avevo saputo trattarsi di gente dura e fiora da fidarcisi poco. Non contavo, comunque di fermarmi tra loro. Ne avevo abbastanza di quei paesi smorti, delle città color ghisa piene di vetrine ove si espongono bare bianche e piramidi di mele. Osservavo dal treno i nomi delle stazioni che non giudicavo valesse la péna di scrivere sul taccuino. Al fine il treno si fermò e andai a leggere come si chiamasse quel luogo; ed ecco con mia grande meraviglia appresi che ero a Platone. Qui salì l'uòmo ; era un doga niere di quelli che s'occupano della valuta. Vestiva il lungo cappotto turchino delle milizie baltiche, carico di buffetterie ne' re e d'un pistolone. Sul berretto torreggiava il leone lettone, ma nel cuore quell'uomo portava diversa insegna. Il volto colpiva; mongoloide quel volto, scuro, la larga fron te divergente aggettava un'ombra, proprio come una trabeazione, sugli occhi rotondi, duri, neri. La bocca era piegata in basso dalla curva degli angoli, così risolutamente espressivi nelle maschere tragiche antiche. L'immobilità statuaria di* quel terribile insieme (quasi la_ crudeltà e la disperazione vi si fossero congelate) parlarono, ed era lingua lettone ch'io non capivo. Detti il passaporto e oercai d'interessare l'attenzione dell' uomo turchino a qualcuna dello lingue in cui per 1 Europa è facile intendersi. Ma l'altro curvo il capo sull'alto colletto del rigido pastrano osservava a sua volta i timbri, le firme, lo stemma. Poi disse : a Italia » ; non so qual spe eie di grugnito gorgogliò dalla caverna vuota e tenebrosa della bocca. E fece il gesto col pollice è l'indice di chi conta danaro. «Gelt, gelt... Avete moneta straniera? Avete moneta letto ne?» tradusse e per_ amor di pace, vista la mala disposizione mia e del mio aguzzino, un ingegnere, lettone pure lui ma assai colto e in buoni termini con le lingue europee, che viaggiava con me. Dissi di no, che non ave vo moneta straniera e neppure moneta lèttone, che contavo di ricevere sterline (s'era nel '39) alla Banca di Stato a Tallinn. Ma la maschera turchina non fu convinta. Egli tratteneva il mio passaporto tra le sue mani grandi, callose, nere. Questo mi dava la curiosa angoscia di sentire la mia anima, la mia libertà tra le dita dell'odioso uomo. Mentre parlava, sempre in lingua del paese, aggiunsi volto al mio compagno: «Che questo vòstro compatriota mi restituisca il passaporto prego». E l'altro, interrompendo il discórso : < Dice di voler perquisirvi, dice che non restituirà il passaporto... ». Ora è molto increscioso voler litigare e non sapere in che lingua ; non "resta altro, che menare le mani. Pensai rapidamente alla forza risolutiva di un buon puguo e d'un incidente. Però è sempre difficile venire alle mani con un nordico che non abbia bevuto. Il peggio disposto di costoro vi sa angariare, vi sa mettere in croce senza sorpassare i limiti della più stretta cortesia. Decisi di raccogliere le parole peggiori della lingua più accessibile ali uomo turchino (il tedesco). Ma quegli, che qualcuna assolutamente inequivocabile, come Bchwein, malgrado tutto conosceva, non sembrò smuoversi. Disse solo: « Jch strafa, bitte ». E se ne andò a chiamare il suo superiore; con questo, di miglior pasta, non fu difficile mettersi d'accordo e ricevere scuse. Tuttavia la promessa d'una punizione, accompagnata dallo sguardo d'odio di quella maschera tragica io non dimenticai più. pdn Avrei rivisto quell'uomo e infatti lo_ rividi. Era sopra un cumulo di cinquecento morti, nella foresta finnica di Porlampi; al sommo di altri corpi pei quali si scavava un gran fossato. Sapete com'è : tanti morti sui campi di battaglia si vedono senza guardarli: son tutti eguali, è difficile distinguere questo da quello, non hanno più volto. Ma l'uomo turchino sì, l'uomo dei treno di Platone lo ritrovavo rottame tra ì rottami di' una divisione sovietica annientata in una_ foresta della Carelia. (Non dissi nulla, a nessuno, di quest'incontro. Egli era lì col suo volto di pietra,' l'arco tragico della bocca pièno di tenebre, la fronte architettata potentemente, Non più vestito del gran cappòtto turchino, nè della berretta dal leone lettone. Egli era seminudo, per le peripezie del campo c\i battaglia; la faccia all'aria e un occhio semiaperto dal quale mandava ancora vivo, saettante, lo sguardo di odio e la minaccia: « ,Tch strafe »). Il sabato séra a Helsinki le donne si fanno accompagnare da un amico o paren• te nerboruto: nessuna ardisce andar fuori da sola perchè il sabato sera (e soltanto in questo giorno della set¬ timana) in Finlandia si fa allegria. E' un'allegria strana, programmatica, rituale. Da noi non si capisce e ritengo difficile farlo capire. Si tratta di Una libertà decompressa come il gas d'un vino spumante, in odio forse alle continenze puritane di sei giorni trascorei in un lavoro duro, continuo, accanito. Ma è poi un'allegria andare al ristorante, mangiare bere — bere molto — scambiandosi poche parole, sempre meno sino al mutismo assoluto, ammano a mano che aumentano ì bicchieri di snaps, le bottiglie di birra, le preso di cognac? L'uomo è la donna si guardano negli occhi, poi quello sguardo cala a fissare una remota stella nel grano di luce della curva d'un bicchiere : il monto chino sulpetto, una,mano nella mano al disopra della tovaglia, etanno per ore lunghe. Non si sa che pensino, • forse a niente ; forse consumano in quella ebbrezza una buona quantità di nostalgie indistinte, di spassionate ambizióni, di indecifrabili desideri. Le donne si fanno accompagnare il sabato sera ; quelle, coraggiose, sole subiscono assalti di uomini soli, giovanotti che hanno bevuto anche loro ma esiliati dinnanzi ad un tavolo e che alla fine rompono lo stupore e l'incanto e se ne vanno alla ventura delle strade. Questi assalti 6on bruschi è ingenui ; si tenta di afferrar* il braccio di una donna qualsiasi (■« volte avviene l'opposto), ma tutto questo non ha altro fine che di far allegria, innocentemente, perchè è sabato sera e occorre aver compagnia per bere, anche se non si beve e si passeggia invece, senza dirsi nulla, senza chiacchierare o conoscersi o raccontarsi i casi propri. Com'è difficile a dirsi! Lassù il sabato sera7 è un tentativo mal riuscito di rompere il gelo entro cui ogni uomo e *gni donna si sente racchiuso; quelle anime incomunicabili vorrebbero uscir davvero dalla bottiglia entro cui son sigillate e travasarsi, ma non ne trovano la forza. Questo ricercar l'ignoto o l'ignota per le strade e i parchi di Helsinki, il sabato sera, m'ha colpito come uno dei tratti più rivelatori e tragici della vita. M'è parso riscoprirvi le remote cacce umane delle prime età del mondo, l'abbozzo informe di una prima ribellione alla solitudine delle terre da poco uscite dal caos. Non so. Al nord tanti aspetti riconducono a ragioni preistoriche : l'innocenza degli uomini, la stupefacente . testardaggine dei guerrieri, gli istinti; e le intelligenze cimentate dagli oscuri geli degli inverni, dalla monotona asperità naturale. (Occorre mettere in nota anche questa terribile volontà di divertirsi al sabato sera; divertirsi a qualunque costo, oltre il lutto o il disgusto. Obbedire al comandamento del sabato sera, come l'uomo primitivo obbediva al rituale cannibalico del banchetto funebre in cu^ mangiava la carne dei genitori o parenti, uomini uccisi sul. ghiacciaio nella lotta contro il mammuth). Giovanni Artieri

Persone citate: Platone