Tamarin, re delle scene sovietiche, racconta come sfuggì all'inferno di Giorgio Sansa

Tamarin, re delle scene sovietiche, racconta come sfuggì all'inferno ii TRE MESI FA ERO ANCORA A MOSCA Tamarin, re delle scene sovietiche, racconta come sfuggì all'inferno Berlino, 14 marzo, Ho fatto colazione oggi con un russo celebre, che fu a Mosca fi¬ di Blu- ™Sa° tré-mài fa. origine tedesca, si chiama montai, ma nacque a Mosca sesSturi ia e visse in Russia ta^nln Ila vita Ba masticare n nome BluViìZial non dice però nulla. Egli Tncìo sotto lo pseudonimo di Tamarin- Vsevofod Alexandrovic Tainarin. Chi è stato a Mosca, udendo questo nome capirà che si trutta df'uno dei più grandi attori teatrali russi, al quale il primato 'assoluto è forse contestato solo dal tragico Cacialof. Tamarin, fino a pochi mesi fa, fu direttore, regista e attore della Compagnia Mortalof (così si chiamava un grande attore russo defunto), compagnia che girava in lungo e in largo per l'Unione sovietica, da Murmansk a Ialta, da Minsk a Vladivostok. Egli ha calcato le scene per quarantatre anni, prima con i genitori che pur erano gente di teatro, ultimamente con la moglie e la figlia che sono attrici. E siccome parla oggi con un italiano, ama ricordare che quaranta o più anni fa, non saprebbe di re esattamente quando, recitò, an cor giovane, una .piccola parte insieme a Tomaso Saluini, in un teatro di Pietroburgo, nel «Mero di Venezia » di Shakespeare. « Fu alle 4,30 » «Noi tutti recitavamo in russo — egli racconta — SaZuini, però, in italiano. Afa bastava ». Si capisce da quanto precede, che Tamarin proviene dall'epoca zarista e ?ueste radici che la sua famiglia eatrale ha nel passato, ci aiutano a capire per quale ragione, sopravvenuta la crisi della Russia sovietica, egli abbia voluto fuggire il bolscevismo e cercar riparo in Germania. Perchè lo abbia fatto sarà spiegato un'altra volta Basti dire oggi che egli non lasciò la JBussia per mancanza di lavoro o di mezzi. Al contrario guadagnava ogni sera duemila rubli e sebbene duemila rubli siano appena sufficienti per comperare quattro paia di scarpe, bisogna sapere che gli altri attori ne ricevevano al massimo trecento. Egli si era costruito una villa e possedeva un'automobile: occupava insomma una posizione di privilegio. Mentre assaggiava una tartina spalmata di caviale del Beno, che trova inferiore a quello di Astrakan, il mio commensale descrive come si incontrò inaspettatamente con la guerra. Fu alle A,S0 della mattina del 22 giuono 19^1. La compagnia di comici viaggiava verso Cernovìz. Oli attori dormicchiavano. Tamarin aveva di fronte un colonnello dell'esercito rosso. « Improvvisamente — egli narra e depone la tartina perchè ha bisogno di colorire con i gesti il suo racconto — una esplosione ci sveqlia e il treno ha un sussulto. Il finestrino va in pezzi. « Che cosa è successo, compagno? » mi domanda il colonnello. « Che cosa sia successo — gli dico — non so; dovreste saperlo voi, compagno colonnello che siete soldato: a me pare una bomba*. « Una bombar — obbietta il colonnello. — E perchè dovrebbero cadere bombe quif ». . . . Allora guardiamo entrambi fuori del finestrino e vediamo ad un centinaio di metri una fumata che sgorga dalla terra. « E' proprio una bomba-» dice il colonnello, noi cerca di spiegarsi quel mistero e dice: « Forse siamo al confine rumeno e gli aviatori rumeni ci credono in territorio loro ». Ma la spiegazione non è convincente. Il treno continua il viaggio, più lentamente di prima, e i passeggeri discutono facendo ipotesi. «Siamo arrivati a Cernoriz — continua Tamarin — alle otto di mattina, Alla stazione non c'era nulla di straordinario, ma l'impresario del (eatro, venendoci, incontro gridò: «E' la guerra, la guerra! ». «Le guerra, ma con chif ». « Con chif con la Germania. Si combatte a trenta chilometri da Cernovìz ». A*bn aveva finito di parlare che una bomba piombò sulla stazione. In preda al pànico abbandonammo tutta: valigie, costumi, suppellettili. E trovandoci ?toi lontano dalla stazione discuemmo sul modo come salvarci. Suggerii a mia moglie dì fermarci li ad aspettare i tedeschi, ma eravamo senza documenti. Non ci avrebbero creduti che siamo di origine tedesca. Decidemmo di dirigerci verso l'interno. Noleggiammo una carretta e due cavalli e, messe le donne sulla carretta, noi uomini, tutti insieme dedici, ci av. viammo insieme a loro per strade che erano come una processione di fuggiaschi. La nostra mèta era Chotin, capolinea di un altro tronco ferroviario. Orrendo giuoco razti allinttedtriserstePrtermacoprsoe qdeEsdòTuQudoveDumain al torvalonledmasi vonemiimvimmparinuegullafipedoglunmvikernTamarin descrive con ricchezza di particolari e con ima espansività di gesti e di parole degni di un attore di teatro l'intero viaggio, fino a Mosca. Anch'esso fu avventuroso. Quando la compagnia giunse alla capitale, c'erano già molte cose nuove. I viveri, ad esempio, che erano stati abbastanza abbondanti, mancavano. Le razioni erano state diminuite, ma poi nemmeno con le tessere si riusciva a avere da mangiare. Carne non se ne trovava affatto. « Uopo quindici giorni ci fu il primo allarme aereo — riprende Tamarin — e fu una notte terribile. Gli uomini erano quasi tutti assenti da Mosca. Rimanevano in città le donne che dovevano fare la guardia sui tetti, anziché rifugiarsi nelle cantine per poter segnalare gli incendi. La polizia voleva così. Quante bombe sono cadute quella notte! Due bombe hanno colpito il Kremlino. Nessuno sa che cosa abbiano demolito, ma tutti sanno che, contrariamente alle affermazioni del governo, sono cadute proprio là dentro. Un'altra ha distrutto un rifugio, uccidendo, secondo quello che si mormora a Mosca, ottocento persone. Poi gli attacchi si ripeterono ogni notte. All'indomani veniva perforato il « Teatro Vactangof » e quella notte trovava la morte, oltre al buttafuori e ad un* pompiere, anche il principe romeno bolscevico Cuza, che vi faceva l'attore. A Mosca si cominciava ormai a stare male, con tanti allarmi. Noi decidemmo di ritirarci nella nostra villa di latra. Si trovava a ovest della capitale, presso la strada che conduce a Rzev, in una regione collinosa e boscosa. .Abbiamo ad un chilometro il celebre monastero di Nova Jerusalima che fu del pa*"arcv Nicon. L'architettura è dell'italiano Rastrelli ». I/attore russo mi fa la sua nar lasfarafafatititdGdrdmcTpnpmc.ismmrFsmgdimvfdccls ò o e e o a a a a e e a a csli è ti e lhe mi a o; no me r rbe on he o o, eici a Il nri — di ra enr». Si da di bò co oci uci. ci a ci di dim e, oi v. aota ro razione in tedesco, ma nei -lomenti di emozione ricade nel russo ed allora debbono intervenire i due interpreti che ha portato seco, due tedeschi che furono attori nei teatri sovietici e adesso prestano servizio rispettivamente al Ministero degli Esteri e a quello della Propaganda del Reich. Il loro intervento è necessario quando Tamarin si eccita. Egli mi descrive con gesti vivaci, ma parole incomprensibili, un duello aereo al di sopra della sua casa. Ripete tale e quale il grido della figlia, che vide cadere uno degli apparecchi. Esso sfiorò cadendo la casa e andò a sfracellarsi a poca distanza. Tutti correvano dalle case vicine. Quando l'attore arrivò sul posto dovette arrestarsi. Egli impaludi vedendo un orribile . spettacolo. Due ragazzi — e gli occhi di Tamarin che fa il racconto sempre in russo si dilatano — giocavano al calcio con la testa di un aviatore tedesco che l'esplosione aveva staccato dal busto e lanciato lontano. « Che cosa fanno quei maledetti ragazzi? » domandò Tamarin. « Che te ne importa ? » gli si replicava da tutte le parti. « Che vorresti fare di loro ? ». « Va bene — disse Tamarin — sono nemici, ma sono morti! Avete forse imparato queste cose dai bolscevichi? ». Tamarin continua: «Un miliziano mi si avvicinò allora e mi sussurrò in un orecchio: «Compagno Tamarin, torna a casa e ringrazia il cielo che non ti denunci ». Quando mi allontanai, egli riprende, un fanciullo con un ultimo calcio mandò nel ruscello la povera testa dell'aviatore ». Mitrante la notte Tamarin e la figlia uscirono di soppiatto e ripescarono la testa. Estrassero poi dot rottami del velivolo i resti degli aviatori e li seppellirono. Su una pietra Tamarin scrisse con la matita blu: « Qui giacciono due aviatori tedeschi, di un « ffeinkel 82 », caduti ». — Erano Bespriaorni quei due, erano ragazzi randagi? — Non erano Bespriaorni, erano figli di contadini del Colcose. Gli aerei distruttori za si di gfu nia già enrapoi cine po ar— mida le arrsi Le notizie che si ricevono ad latra dicono-intanto della ritirata sovietica e allora il progetto di farsi prendere dai tedeschi matura nel cervello dell'attore. Egli si fa venire da Mosca i documenti familiari. Senonchè quando si ritirano i soldati russi, debbono partire anche gli abitanti. La difficoltà è di sfuggire alla vigilanza delle autorità locali. Capo dello Ghepeù nel paese è il direttore della stazione di trattrici a motore per l'agricoltura, un certo Fedotof. Fedotof sospetta che Tamarin attenda i tedeschi. Va perciò da lui e gli dice: « Compagno Tamarin tu hai una automobile, parche non torni a Mosca, perché non vai in Siberia? », L'attore non può rivelare di avere nascosto la macchina nel bosco sotto un mucchio di frasche, che ora — siamo .in novembre, sono aoperte.da uno spesso strato di neve. « La mia macchina — dice — è a Mosca, il mio autista è a Mosca ». «E allora come fuggirai? ». « Al momento opportuno — dice Tamarin a Fedotof — mia figlia andrà a Mosca a piedi e poi verrà a prendermi con la macchina ». Questo colloquio, egli narra, si svolgeva un giorno che già il rombo' lontano dei cannoni era percepibile. « Io non ero solo ad aspettare i tedeschi. Anche Ut famiglia Damasgnief li aspettava e cosi la vedova, del ginecologo prof. Greife. Si pensava che, arrivati i tedeschi, si sarebbe andati in macchina a Kiev. Quel colloquio ci fece capire — mi dice l'attore — ehe la nostra posizione era pericolosa, e di notte perciò andammo nel bosco e cominciammo a scavare una buca. Lavorammo per tre notti di seguito riposandoci di giorno soltanto, il più possibile lontano dalla casa. Quando la buca, una fossa da cimitero, era pronta ed era coperta con' rami, dissi d mia moglie di prendere viveri per almeno due settimane. Le Compagnie di disttruttori, aiutate dall'aviazione, continua Tamarin, stavano incendiando e demolendo tutto^ Un aeroplano passò sulla casa e vi tirò due bombe. Mia figlia che cercava viveri vi era appena giunta e parlava sulla terrazza con la nonna. In quel mentre una bomba colpì la terrazza e mandò tutto all'aria. Io ero ad un centinaio di metri e fui gettato a terra, ma vidi la scena con questi occhi Diradandosi il fumo, della casa non rimaneva più nulla. Osservai un braccio umano a terra. Vidi sangue sulla neve. Pensai: sono tutte morte. Ma ecco i rottami muoversi e mia figlia uscirne: sporca, ma illesa. Ella corse come una pazza dalla mamma e diceva piangendo lamentosamente: « La nonna è morta, la serva- è morta, il cane è morto! ». Quindi s'inginoecTifò e si mise a pregare San Nicola. «.Ho trovato poi il cadavere della serva continua Tamarin — senza gambe e senza braccia, con gli occhi aperti che mi fissavano. Allora sono svenuto ». Questa tragica scena non doveva essere l'ultima. Le notti e i giorni che seguirono furono terribili, spaventosi. « Quella sera — dice Tamarin — i cannoni sovietici bombardarono il paese. Una scheggia feri il mio amico Martino!, professore di elettrotecnica, ' proprio nel momento in cui entrava nel no- nouscnochriachramilo,rirsusi moil la vameparitvismiadpocovetrchsccesotetopenmMpo« Aticcmtavn«qrbtcvcfvLdQamttrovare nulla netta casa, che era un ammasso di rovine. La ferita , o a i u a , . d a i i non r.,-a in sé gravò, ma da essa usciva il sangue a fiotti. Il cannone a tiro rapido, uno di quelli che i soldati russi chiamano « Maria Ivanovna », dagli spalti del chiostro di No-va Jerusalima sparava sul bosco. « Sono ferito », mi disse Martino] con un'rantolo, « ma non importa. Debbo morire. Non importa ». Io lo presi sulle mie ginocchia. Nella buca si stava appena, eravamo io, mia moglie, mia figlia, un servitore, il prof. Martino/ e sua moglie e la vedova Greife. Non ci si poteva muovere. Non potevamo nemmeno parlare, perchè, di fuori passavano i soldati bolscevichi in ritirata. Martino} s'indeboliva a vista d'occhio. Agonizzava nel mio grembo, non c'era posto per adagiarlo a terra. Otto ore dopo, spillò. E cosi, rimanemmo in condizioni che non potrei descrivervi senza farvi inorridire, per tre giorni quasi immobili, ranntcchiati' l'uno addosso all'altro, riscaldandoci a vicenda, fuori faceva un freddo di trenta gradi sotto zero, mangiando quasi niente e bevendo neve, io con il morto sulle ginocchia. Qui stanno le mine « Le cannonate fioccavano dappertutto ed è un miracolo che la nostra buca ne sia rimasta immune. Dopo tre giorni la signora Martinof, ormai vedova, non ne poteva più. Mise la testa fuori. « Non si vede nessuno » bisbigliò. Allora uno alla volta, quatti quatti uscimmo all'aperto, portando con noi il cadavere, lo coprimmo con un cappotto e lo seppellimmo sotto la neve. Mia figlia intanto si spingeva cautamente verso la casa. Ad un tratto tornò di corsa, gridando . agitata: « Niemzi sdies, i tedeschi sono qui, i tedeschi sono qui.' ». Corremmo tutti. I cannoni russi bombardavano da una parte, quelli tedeschi dall'altra, ma noi non ci accorgemmo più di nulla. Davanti a me voltandoci la spalle camminavano due tedeschi, un ufficiale e un soldato, il primo aveva una pistola l'altro un fucile. Li rincorsi e gridai loro: « O tedeschi, o tedeschi aiuto, Hilfe! ». Quelli si voltarono puntandomi addoiso le armi e l'ufficiale domandò minaccioso: «Chi sei?*. DptbstmmemprcnrrprpdvI o e : o i n e e. . i *. Dovevo avere un aspetto da far paura: la bdrba lunghissima e irta, la faccia sudicia, l'abito a brandelli. « Sono tedesco — risposi — ero prussiano.' ». « Come ti chiami?». «Mi chiamo Blumental». «Blumental? Non sei mica ebreo ? ». « No, non sono ebreo, sono tedesco ». « Vieni con me — disse allora l'ufficiale, e poi domandò: — Chi è questa ragazza?». «E' mia figlia». E ci portarono al comando della nona Armata. Li c'era un generale, un uomo piccolo dai capelli rossi. Anche il generale volle sapere chi fossimo: « Russi, siete russi? » domandò con un gran cipiglio. « Non sono russo — gli dissi — e per dimostrarvelo vi avvertirò che dovete stare attenti. Il terreno è tutto minato ». ■■ Il terreno è minato e tu sai doue ? ». «So dove » — disse Tamarin — e quello fu il principio della salvezza. « Allora accompagnai gli ufficiali e indicai le mine. Uscimmo e ricordatimi i posti che i contadini mi avevano mostrato, li rivelai, all'ufficiale. Alcuni solditi levarono poi le mine. Dopo due ore il terreno era libero. «Il giornalista tedesco Heiasing venne a parlarmi, mi fotografò e mi regalò del pane. « Cosa volete fare adeaao? » mi chiese. « Vorrei prendere la macchina e andare a Kiev » gli risposi. « Se avete una macchina signor Blumental, disse il giornalista ufficiale, dovrete darcela perchè ab Diamo l'ordine di sequestrare le automobili. Sono preda bellica ». « Andrò come potrò, gli dissi, se la macchina vi può servire ». E così finisce la mia avventura. Qualche settimana più tardi arrivavamo tutti salvi a Berlino. Questo racconto è durato quattro ore. Alla fine domandai a Tamarin di narrarmi come si viveva a Mosca in tempo di guerra, di dirmi che cosa lo abbia maggiormente colpito in Germania, quale differenza abbia trovato, lui che ha dietro di se ventìcinaue anni di vita in regime bolscevico. Ma egli era stanco. « Un'altra volta, un'al ra volta, amico Giorgio, egli mi disse abbracciandomi con l'espan sività caratteristica dei russi, oggi sotto esausto. Ho ricordato troppo ». E quando ci lasciamo egli mi promette di rivedermi fra poco per riprendere la narrazione. Giorgio Sansa edszemmncrnummsttiqb , é n a o o a l a n o e a e l e e i e Effetti della propaganda anglosassone: anche agli indigeni si sono rizzati i capelli in testa. dell'interno australiano (Foto Schòpke).

Persone citate: Nova Jerusalima, Shakespeare, Tomaso Saluini