Due storie dell'aria di Giovanni Artieri

Due storie dell'aria Due storie dell'aria Commiato Non-volevo crederci, -ma chi me la raccontò mi disse ohe andassi puro a quel tal campo, interrogassi i compagni di volo, i comandanti, gli avieri, tutti. Tutti lo avevano conosciuto, specialmente i più anziani dei luoghi, tutti avevano parlato con lui sino alla partenza per l'ultima azione e tutti adesso lo ricordavano non come s'egli fosse morto f'altr'ieri, ma tanti secoli fa e la sua fama c il suo nome lentamente avessero valicato il tempo traverso la memoria della gente. Il fatto mi resultava però difforme, perchè di questo ufficialo negli altri campi, presso gli stormi anche più vicini non si sapeva nulla. Sapete com'è, in guerra s'accendono le emulazioni si stabiliscono subito paragoni, si oerca di fermare i casi più rilevanti del proprio reparto perché gliene venga gloria. I/uomo eccezionale è presto conosciuto, la'eua gesta si spande rapidamente con la forza che contengono le storie di guerra. Si travisa, magari, si dilata magari, ma subito percorre gli spazi da un capo all'altro delle regioni. I soldati sono i più forti propalatori di poemi, Omero era forse un veterano. Del capitano G. però, nulla. Mi stupiva; andai a trovare allora in fondo ad un deserto costiero gli uomini che • l'avevano conosciuto.' Era un ''campo, tra i più remoti e dispe- brati. Non si poteva dire neppure rche fosse localizzato bene, e con Kl'apparecchio stentammo a tro- eGsoktcrmErttvrrrdbvbdcrmazEapnDtoflpscapimvario. Non si trattava d'altro che d'uno sterrato,jie più nè meno: un gran quadrato di quattrocento metri ricavato a furia di.pestar la sabbia di quel deserto, fissandone un approssimativo perimetro mediante baracchetts di legno ai quattro angoli. Più di qua disperse nella monotonia cruda sventolavano delle tende, con quello sbracciarsi affannato delle tende battute dal sempiterno-vento polveroso del deserto. A gruppi come magri greggi si vedevano mucchi di bidoni vuoti e le fosse coperte di aride frasche dei rifugi antiaerei. Era un pa norama assai meschino ove, distanziati, riposavano avvolti dalle raffiche gli apparecchi. Le ali vibravano di continuo, le funi degli ancoraggi tremavano e tutt'insieme quelle macchine sembravano colpite da febbre, malazzate. Tant'è poi la forza d'animo e il potere di vita degli aviatori che anche lì, nel più tignoso campo di tutto il fronte, tutti erano allegri e contenti e trovavano motivo di svago dai minimi diversivi. E uno era quello di cacciare le salamandre, abbondantissime nel caldo delle sabbie, un altro quello di ammazzare vipere. * * L'arrivo di un apparecchio fuo: ri orario li raccolse a gruppetti sul vasto ■ sterrato, a guardar l'atterraggio e, come al solito, ori' ticarlo. Perché mettere le ruote su quel pezzo di deserto con i venti da ogni rombo variabili e traditori offriva ai malpratici la possibilità di mostrarsi schiappe e farsi ridere in faccia. Tanto più che quegli aviatori Cera una sezione da ricognizione lontana) amavano, senza confessarlo, il loro quadrato di deserto, tutto loro, e forse per la impossibilità a viverci per tutti gli altri abituati alle condizioni minime di vita pure" possibili negli altri campi, e all'asprezza aviatoria di arrivare e partire di lì. Insomma ci fermammo alla meglio, imbar dando un poco, e spenti i motori il pilota ed io sentimmo arrivare dal gruppetto più vicino un mo derato e amabile sghignazzare. Uscimmo incontro alla gaia compagnia e, presto fatte le presentazioni, andai al mio scopo. Il capitano G., sicuro, lo conoscevano. Era stato lì con loro sino Era m orano Vftlll». JJ1II II Wll Olii a dieci giorni prima. Era moi to: («Di', Pedretti, il capitar passssEvtpvceslstnbsscMupvaadlgmcaprvslcAnppmtcmdaqafssnssnlcu • ''lce^a' 7L°Jl ho ma' «{lanciata una b°mba: Ma sono venuto qui alla r»9°Kn'zl?n«. Perche e anche mc Kho- 9m »lam0 quasi disarmati e.serviamo lo stesso. Meglio: e G. non è morto quando hai preso la medaglia d'argento, su Fuka? No, no ecco, il giorno avanti. Aspetta., chi c'era? C'è qualcuno ohe l'ha visto. Il mitragliere Pasutti. Adesso lo chiamo... ») «Ma, diasi io, vorrei principalmente sapere se è vero che...». Era vero. Paolini il tenente mi raccontò a lungo, minuziosamente, e vorrei poterlo riportare qui tutto il racconto. Paolini parlava tanto bene, con calma. Pareva timido delle sue stesse parole e di ciò che mi diceva, come riferendo non so che di arcano e di glorioso a lui stesso inafferrabile. I 6Uoi occhi chiari,- il suo volto di bimbo arrossato dal ghibh, si volgevano altrove, parlandomi : verso la distesa aperta del campo disperato, verso la polvere ammulinata dalle corrènti « le meravigliose trombe d'aria che ai attorcigliavano come colonne bizantine, qua'e là. «Chi lo sa, diceva, chi lo sa. Era forse un santo. Il migliore aviatore che fosse qui ; perfetto pilota, perfettobombardiere, conosceva la navigazione come un Dio.- Prese due medaglie d'argento nelle più terribili azioni sulla flotta nemica. Nessuno sapeva però cosa avesse nell'animo. Gli scoprimmo, un giorno attorno agli occhi un alone pallido, sapete, un segno misterioso che si imprime sui predestinati, tlo, più fiero e più forte e coraggioso andare da soli sul nemica •. Pensava ad una guerra paradossale senza sangue; un assurdo da santo. Ah, ecco il mitragliere Pasutti. Questo l'ha visto cadere. Era ala contro ala quando G. venne colpito dalla raffica dei tre caccia nemici ». Pasutti venne avanti col suo passo di contadino calabrese. Aveva un volto solido e sformato come una pietra di cava. Vidi le enormi mani callose, indurite sul ferro della mitragliatrice. Salutò sugli attenti: «Dunque, 'Pasutti, lo vedesti davvero il capitano G.?» «E come, signor tenente. Si vedeva bene dalla cabina. Io ero all'arma e sparavo su uno che ci veniva dalla sinistra in Alto, credevo che il signor capitano G. non fosse colpito. Ma i caccia avevano già fatto una passata: la coda del auo apparecchio era in fiamme, fumava. Sparai, sparai e quando mi accorsi dell' incendio feci segno al capitano che ancora pilotava di buttarsi. Lo vedevo e vedevo l'altro pilota agganciarsi le cinghie del paracadute. Lui invece mi guardo e con la mano mi fece un cenno. Mi eaiutava. Si mise a muso sotto e non lo vidi più perchè dovevo sparare: i caccia ritornavano...*. Solitudine Disse il tenente Gon : «Dovevo salvare il paracadute; m'era stato così ordinato. Bruciare l'apparecchio non mi riesci. L'accendisigari non ne volle sapere. Avevo ottanta chilometri di pieno deserto davanti a me e quel peso del paracadute ; pensate, il paracadute, adesso, a terra, non mi serviva più e dovevo tuttavia tirarmelo dietro. Pesava, faceva caldo. Passavano sul mio capo i miei compagni che non erano caduti e se ne andavano altissimi, a casa, senza vedermi. Essi a quattrocento, io a tre chilometri all'ora. Calcolai il tempo, le mie forze. Dovevo arrivare perchè uscisse la colonna che poi raggiunse e recuperò l'apparecchio danneggiato. Tutta quella angosciosa marcia la passai a pensare me stesso solo, solissimo sulla pagina del deserto. A vedermi dall'alto, piccolo omino zoppicante, come un I tracciato al oentro di un foglio, da mano inesperta». Giovanni Artieri Dalla torretta di un «U-Boot» si scruta l'orizzonte in cerca della preda (Foto Schlesmer Trans.)

Persone citate: Boot, Paolini, Pedretti

Luoghi citati: Alto